The last man on the moon

titolo: The last man on the moon – [L’ultimo uomo sulla Luna]

autore: Eugene Cernan e Don Davis

editore: St. Martin’s Griffin – New York

ISBN: 978-0-312-19906-7 e 0-312-19906-6





Se Neil Armstrong è stato il primo a mettere il piede sulla Luna, Eugene Cernan è stato l’ultimo. L’ultima orma impressa sulla polvere del suolo lunare è stata la sua, un attimo prima di salire la scaletta del LM (Lunar Module – modulo lunare). Da quel momento nulla più ha turbato la millenaria desolazione del nostro satellite per decenni e solamente adesso si torna a parlare di nuovi progetti per nuove spedizioni. Ma queste dovrebbero essere finalizzate a fare della Luna una sorta di base, di stazione di servizio per viaggi più lunghi. Anzi, per uno in particolare: quello verso Marte.

A mò di annuario scolastico (che tanto adorano gli statunitensi), ecco la solita, canonica foto di missione diramata dalla NASA che ritrae Eugene, detto “Gene”, Cernan. L’astronauta, a tutt’oggi, è stato l’ultimo esponente dell’umanità ad aver lasciato il suolo lunare. Erano le ore 05:40 UTC del 14 dicembre 1972. Con periodica puntualità si parla di far tornare astronauti sulla Luna … vedremo!

Questo libro, ancor più degli altri che ho letto sull’argomento delle missioni spaziali, mi ha coinvolto e tenuto letteralmente appiccicato al kobo per lunghe ore, del giorno e della notte.

Le prime pagine riguardano un incidente occorso a tre astronauti il 27 gennaio 1967. Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee, l’equipaggio di quella che avrebbe dovuto chiamarsi la missione Apollo 1, schedulata per partire un mese più tardi, si stavano addestrando all’interno della navicella sulla rampa di lancio quando un incendio invase la loro cabina. Provarono ad uscire, ma il portellone si rifiutò di aprirsi e in una manciata di minuti la tragedia era compiuta. Dopo, il problema fu studiato e risolto, anche quello che aveva riguardato il portellone, ma intanto l’era delle missioni Apollo aveva avuto un pessimo inizio.

La missione Apollo 17, più di tutte le altre missioni, ebbe un contenuto ad alto tasso scientifico. Qui è ritratto l’intero equipaggio a bordo del LRV con sullo sfondo il “solito” razzo vettore Saturno V e il logo della missione.

Il primo capitolo del libro di Cernan si intitola: Fire on the pad – [Fuoco sulla rampa di lancio].

Il lancio dell’enorme razzo Saturno V con a bordo l’equipaggio e i materiali della missione Apollo 17 avvenne dalla piattaforma di lancio 39a del KSC, acronimo del Kennedy Space Center. Era la notte del 7 dicembre 1972, alle 05:33:00 UTC. Si trattò del primo lancio notturno effettuato durante tutte le missioni del programma Apollo. Ne giovarono molto le fotografie

Il resto del racconto in prima persona di Cernan si snoda in tanti capitoli e ripercorre tutta la storia che altri astronauti hanno raccontato nei loro libri, solo che qui il punto di vista è quello estremamente interessante di un uomo diverso.

Diverso in cosa?

Diverso in molteplici aspetti.

Senz’altro Cernan ha un carattere più espansivo e comunicativo. Infatti coglie aspetti che altri non avevano espresso, sebbene anch’egli usi una terminologia parecchio tecnica.

Un elemento molto importante e che costituisce una notevole differenza dagli altri, a mio avviso, è che Gene Cernan, pur essendo americano, con mentalità tipica americana e addestrato come pilota militare, con uno standard duro e rigido, la sua origine è europea. Lui ha radici cecoslovacche, proviene da quella che oggi è la repubblica slovacca.

Conosco bene quella nazione. Ho visto il suo paese, parlo un poco anche la sua lingua e conosco il paese di nascita di sua madre: Tàbor. La gente è semplice e meravigliosa, ha una cultura notevole ed una storia altrettanto importante.

Nel libro, spesso si ritrova traccia di una impostazione mentale più rivolta all’aspetto umanistico che a quello troppo tecnico, nella narrazione di fatti che altrimenti non riuscirebbero a passare i concetti complessi che l’autore vuole condividere.

Che cosa vorrebbe trovare il lettore in un libro del genere?

Vorrebbe sapere cosa ha provato un astronauta nello svolgere il suo lavoro.

Vorrebbe essere con lui idealmente e vivere le avventure proprio come se ci fosse stato lui stesso.

Durante le fasi del lungo addestramento necessario per le faticose attività EVA (extra veicolary activity – attività extra veicolari, ossia effettuate fuori dal LM) previste durante la missione Apollo 17, il comandante Gene Cernan ricevette la visita della sua famiglia e di un’amichetta della figlia. I fotografi ufficiali della NASA avrebbero mai potuto farsi sfuggire una simile opportunità ? … certo che no! E noi siamo loro infinitamente grati perchè ci hanno consegnato questa posa di famiglia astronautica. Ora, mentre la moglie Barbara è facilmente individuabile, la famosa figlia Tracy (Teresa) è la ragazzina che indossa la maglietta rossa. All’epoca di questo scatto aveva solo 9 anni.

Vorrebbe sapere, vivere i fatti senza aver dovuto passare prima attraverso il durissimo e lungo studio e il contemporaneo addestramento.

Vorrebbe percorrere l’infinito e pericoloso viaggio verso la Luna e ritorno, senza però correre alcun rischio.

Gene Cernan riesce a comunicare tutto questo. Ci sono certi passaggi che, seppure scritti in inglese, raggiungono la mente ed il cuore del lettore fino a farlo commuovere e a fargli, a volte, accapponare la pelle.

Per noi piloti, che possiamo leggere e comprendere meglio i racconti perché possiamo confrontarli con molti aspetti aeronautici ben conosciuti per averli provati noi stessi, questo libro è qualcosa di formidabile.

Come al solito non voglio rivelare troppo, per non privare il lettore del piacere di “ascoltare” di persona le parole di Cernan, ma alcune perle della sua narrazione sono troppo belle per non parlarne qui.

Una di queste riguarda il primo incontro con la moglie Barbara, tanto bella da lasciarlo senza fiato la prima volta che l’ha vista.

Per poterla conoscere ricorre ad uno stratagemma, ma di lì a poco erano sposati.

Barbara resterà la sua migliore sostenitrice. Il loro matrimonio resisterà agli attacchi furiosi delle vicende che, invece, travolgevano senza scampo la vita matrimoniale di tanti altri colleghi.

Dopo poco nasce la figlia Tracy.

Gene Cernan ritratto mentre effettua il test-driving – [test di guida] del LRV, il Lunar Rover Vehicle – [veicolo di ricognizione lunare]. Per guidarla, chissà che patente avrà conseguito!?

E a questo riguardo voglio rivelare subito qualcosa di unico che riguarda questa ragazza. Prima di risalire la scaletta del LM per ripartire dalla Luna, nel predisporre le apparecchiature che dovevano essere lasciate sul suolo lunare, Cernan trova il tempo di scrivere il nome della figlia sulla polvere. Il nome è ancora lì, dove resterà per secoli e millenni, perché nessun evento fisico o meteorologico lo potrebbe cancellare.

Interessantissimi sono i resoconti delle prime prove di aggancio in orbita tra una navetta Gemini e un altro veicolo che veniva lanciato allo scopo qualche ora prima. I cosiddetti rendez-vous, dei quali era un esperto Buzz Aldrin, ma che dovevano essere provati da tutti gli altri, perché le missioni Apollo dipendevano da questa tecnica piuttosto complessa.

E le prime esperienze di attività extra veicolari? Cernan, in una di queste, scoprì quanto fossero stressanti. Si stancò moltissimo, perché ogni movimento degli arti doveva vincere la resistenza della tuta pressurizzata che si opponeva ad ogni movimento. E al momento di rientrare a bordo della navetta, proprio la tuta pressurizzata così espansa per essere stata esposta alla diretta radiazione solare e a temperature elevatissime, non entrava bene attraverso lo spazio strettissimo della porta. Anche questo problema, emerso durante le prime prove, fu risolto nelle successive.

La missione Apollo17 stabilì diversi record di: – permanenza degli astronauti sulla superficie lunare; – tempo totale di attività extraveicolare (EVA); – durata complessiva (ben 3 giorni e 3 ore partendo dal lancio all’ammaraggio); – quantità di campioni raccolti e riportati sulla Terra. Purtroppo sarà anche l’ultima missione dell’ambizioso programma che, nelle intenzioni iniziali, avrebbe consentito agli Stati Uniti di recuperare il divario tecnologico nel settore aerospaziale rispetto all’allora Unione Sovietica. Questo è uno dei fotogrammi tra i più famosi che hanno immortalato Eugene Cernan sporco e impolverato sulla Luna. La frase con la quale la salutò non è famosa tanto quanto quella del suo famoso collega Neil Armstrong, tuttavia merita di essere ricordata: “Ce ne andiamo come siamo venuti e, se Dio vuole, come ritorneremo, con pace e speranza per tutto il genere umano”. Amen

C’era stato un commento fatto da un astronauta, al rientro da un volo sub orbitale. Aveva detto, in preda a commozione, che nel vedere la Terra da quell’altezza aveva pensato che avrebbe potuto, idealmente, tirare fuori un braccio e accarezzare il volto di Dio. Certamente un’espressione efficace, che rende l’idea.

Cernan, da parte sua, in rotta verso la Luna, dopo aver lasciato l’orbita terrestre ed essersi addentrato nella spazio profondo, nel vuoto assoluto e buio, dice che questa solitudine non gli comunicava nulla di tetro o spaventoso.

Io vedevo solo bellezza, una bellezza infinita e una perfezione assoluta”. Dice.

La missione Apollo 17, a differenza di tutte le altre, non aveva per equipaggio solo piloti.

A Cernan, comandante della missione, capita di avere con sé uno scienziato. Un geologo, uno che poteva osservare e comprendere meglio la natura delle rocce e la consistenza del suolo lunare.

Inizialmente era rimasto sconcertato da una simile scelta. Un pilota è un pilota. Ci si intende meglio fra due persone che hanno la stessa professionalità, specialmente nel caso in cui qualcosa dovesse andare storto. Un pilota comprende e reagisce in tempi brevissimi e a volte questo può fare la differenza.

Ma un geologo?

Il geologo era stato addestrato in maniera mirata alla missione ed aveva anche fatto un certo numero di ore di volo. La diffidenza, pian piano, lascia spazio alla fiducia. Infatti, è storia, tutto finirà per andare bene.

Ma c’è un’altra cosa che Gene Cernan mette in evidenza nel suo libro.

Tutti gli astronauti erano concordi nel dire quanto fosse difficile, se non impossibile, comunicare attraverso la parola o attraverso qualunque altro mezzo, ciò che avevano provato durante le missioni. Perfino le persone più intime, che ogni giorno ed ogni ora condividevano con loro la vita, erano impossibilitate a capire. E a nulla serviva spiegare. Alla fine, l’unica risoluzione era quella di lasciar perdere.

Chi vola, con qualunque mezzo, può capire questa impotenza a comunicare. Un semplice pilota di aliante, che vola nella poesia del cielo, nel silenzio, tra le nubi, non riesce a comunicare ad altri realmente cosa prova.

Il 19 dicembre 1972 alle ore 19:24 UTC, avvenne l’ammaraggio del modulo di comando dell’Apollo 17 nelle acque dell’Oceano Pacifico. Questa è la splendida immagine (scattata da un elicottero di appoggio) che ritrae il cosiddetto spash down – [ammaraggio]. L’equipaggio venne recuperato dalla portaerei USS Ticonderoga che, già in occasione della precedente missione Apollo 16, si era prestata quale nave di recupero. Nel momento in cui il modulo toccò l’acqua dell’Oceano terminò ufficialmente il programma lunare statunitense.

Lo sappiamo anche noi tutti, semplici piloti di Aeroclub. Inutile spiegare. Le persone più vicine a noi, sebbene a volte ci accompagnino perfino nei nostri voli, arrivano a capire fino ad un certo punto. L’essenza più profonda della mente di un pilota responsabile, che percepisce e decide, con le mani sui comandi, le invisibili traiettorie attraverso l’etere, resta incomunicabile.

E oltremodo personale.

Anche questo libro, così come gli altri, non si limita a parlare delle missioni. Parla abbondantemente del prima e del dopo. Ed anche la storia che segue l’ultimo allunaggio del 1972 è di grande interesse. Quella di Cernan è leggermente diversa.

Alla missione Apollo 17 dobbiamo concedere anche il merito di aver regalato all’umanità questa immagine strepitosa del nostro pianeta. Risale al lontano 7 dicembre 1972 e fu scattata ad una distanza di circa 29.000 km dalla Terra.

Tuttavia, per la cronaca, anche il suo matrimonio con Barbara, sebbene durato più a lungo, finisce per cedere. E per lasciare il posto ad un’altra storia, con una donna diversa.

L’unica cosa stabile resta il nome della figlia Tracy, incisa nella polvere lunare, a quasi 500.000 km dalla Terra.

 

Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)

Didascalie a cura della Redazione






Nota della Redazione

Tutte le fotografie presenti in questa recensione sono state prelevate gratuitamente dallo splendido sito web Apollo archive che vi invitiamo a visitare in lungo e largo. Troverete centinaia di scatti a colori e in bianco e nero che ripercorrono le missioni Apollo nonchè le pre e post Apollo. Ricco di didascalie e di ulteriore materiale collaterale, è un sito divulgativo cui non smetteremmo mai ti attingere. Perchè se è vero che la storia, per essere viva,  deve essere vissuta, ebbene siamo certi che questa è la migliore opportunità offerta a coloro che vogliano farlo davvero


The last man on the moon



Neil Armstrong – The success of Apollo 11 and the first man on the moon

titolo: NEIL ARMSTRONG – The success of Apollo 11 and the first man on the moon – [Neil Armstrong – Il successo dell’Apollo 11 e il primo uomo sulla Luna]

autore: Roman Parmentier in collaborazione con Romain Prevalet

traduzione dal francese di: Carly Probert

editore: 50minutes.com

ISBN e-book: 978-2-8062-7609-4





Neil Armstrong è stato il primo uomo a mettere piede sulla Luna. Insieme a Buzz Aldrin è sceso con il modulo lunare (LM, Lunar Module) denominato “Eagle” ed è arrivato sulla superficie polverosa del nostro satellite nel luglio del 1969. Intanto, nel modulo di comando, denominato “Columbia”, dal quale l’LM si era separato e che era rimasto ad orbitare intorno alla Luna, Mike Collins effettuava da solo una gran mole di calcoli e controlli e teneva aggiornati i dati della missione in costante contatto con la Terra.

Neil Armstrong è universalmente conosciuto come il primo uomo a mettere piede sulla superficie lunare – è vero – ma a mantenere scolpita la sua notorietà nella memoria universale è più che altro la famosa frase che pronunciò mentre scendeva dalla scaletta del LM: “Questo è un piccolo passo per [un] uomo, un gigantesco balzo per l’umanità”-. La storia ufficiale vuole che la frase fosse coniata dallo stesso Neil nel corso del lancio e nelle ore successive all’allunaggio mentre recenti indiscrezioni giornalistiche riportano una dichiarazione del fratello di Neil secondo le quali il futuro eroe della missione Apollo 11 gliela anticipò una sera, scritta sopra un bigliettino di carta, mentre giocavano a Risiko. E questo ben prima del fatidico lancio. Un dato è certo: l’affermazione del comandante della missione Apollo 11 fu tutt’altro che estemporanea. Non dateci dei visionari o dei complottisti ma … non stentiamo a credere che alla NASA occorresse un’affermazione memorabile, un’aforisma indelebile che rimasse nel tempo a suggellare un’impresa che era certamente memorabile ma che, inevitabilmente, avrebbe rischiato di cadere comunque nell’oblio. E’ dunque molto probabile che la frase sia stata studiata, limata, masticata e digerita dai un vero e proprio comitato editoriale fino a giungere alla versione che, effettivamente, è rimasta indenne al trascorrere del tempo. Suggestioni? Congetture? Sì, probabilmente, ma non dimenticate che la missione Apollo 11, mai come prima era accaduto, ebbe una copertura mediatica in perfetto stile hollywooddiano. Tenete conto che, con l’esclusione delle nazioni facenti parte del blocco sovietico, ¾ della popolazione mondiale seguì l’allunaggio in diretta, via radio e via televisione, senza parlare poi delle tonnellate di carta che furono stampate dai giornali e dalle riviste a proposito dell’evento. Per quanto poi riguarda la diatriba pluriennale che riguarda la pronuncia o meno dell’articolo “un” uomo da parte di Neil Armstrong stendiamo un velo pietoso: lui fu sicuramente il primo uomo a stampare il suo bel piedone sulla Luna e che abbia compiuto il gesto da semplice uomo o da rappresentante dell’intera umanità … beh, poco cambia. Questo in barba a perizie fonetiche, elaborazione audio digitali e ricerche linguistiche sul dialetto del Midwest.

Neil Armstrong era nato il 5 Agosto 1930 in Ohio. Appassionato di aeronautica, aveva conseguito il brevetto di pilota prima ancora della patente per l’automobile.

Si era laureato in ingegneria aeronautica all’Università Purdue. Dopo essersi arruolato come pilota militare della Marina era andato a combattere nella guerra di Korea.

Neil Armstrong ritratto accanto al musetto dell’aereo-razzo X-15. Anche i trascorsi scolastici di Neil sono a dir poco singolari. Dopo aver frequentato la Blume High School di Wapakoneta (suo paese natale) in Ohio, si iscrisse nel ’47 alla facoltà d’ingegneria aeronautica della Purdue University, anonimo college con sede nella sconosciuta cittadina di West Lafayette, nello stato dell’Indiana. E questo benchè avesse ottenuto l’ammissione al ben più blasonato MIT, acronimo del celeberrimo Massachusetts Institute of Technology, già allora vera eccellenza tra le più prestigiose università statuntensi. Pare che Neil maturò questa scelta dopo essersi confidato con l’unico ingenere di sua conoscenza (forse un amico di famiglia) il quale lo convinse che non sarebbe stato necessario trasferirsi a MIT giacchè, anche frequetando una onesta università di uno stato di confine, sarebbe riuscito a conseguire un’ottima preparazione ingegneristica. Molto più verosimilmente è probabile che la sua scelta fu dettata da questioni di natura squisitamente economica, in quanto, benchè il padre di Neil fosse uno stimato revisore dei conti impiegato presso il governo dello Stato dell’Ohio, non poteva disporre certo di grandi somme di denaro da mettere a disposizione del figliolo (ricordiamo che, negli USA, l’istruzione di livello superiore è piuttosto costosa). Neil però, per nulla affranto e comunque desideroso di coronare il suo progetto, riuscì a pagarsi la retta universitaria approfittando dell’opportunità offertagli dal “Piano Halloway” che consentiva di frequentare gli studi universitari proprio a quei giovani intellettualmente promettenti seppure incapaci della necessaria disponibilità economica. Affinchè costoro si potessero laureare a costo praticamene zero, Il piano prevedeva due anni di studio, tre anni di servizio militare e ancora due anni di studio. Detto fatto: il nostro Neil si iscrisse nel 1947 alla Purdue University ottenendo voti nella media nel corso dei primi due anni; nel 1949 fu arruolato dalla Marina e, al ritorno dalla Guerra di Corea, frequentò il campus universitario con profitto i due anni successivi tanto che nel 1955, a 22 anni, conseguì la laurea di primo livello nel corso di ingegneria aeronautica. Ma la passione per lo studio e il modo accademico non lo abbandoneranno mai giacchè nel 1970 la University of Southern California gli riconobbe un Master of Science in ingegneria aerospaziale mentre, conclusasi definitivamente la sua esperienza astronautica, decise di accettare l’incarico di docente di ingegneria aerospaziale presso il minuscolo Dipartimento di ingegneria aerospaziale dell’Università di Cincinnati dove rimase per otto anni dopodichè, senza apparenti motivazioni, rassegnò le dimissioni. Ad ogni modo, durante la sua vita ricevette vari riconoscimenti accademici onorari da numerose università e dunque, a torto o a ragione, Neil Armstrong è ricordato come l’astronauta-ingegnere o il pilota-professore. Per inciso, presso la Purdue University si sono laureati, oltre al nostro Neil Armstrong, ventitré astronauti americani tra i quali Eugene Cernan, l’ultimo uomo a camminare sulla Luna. Per tale motivo la Purdue University è soprannominata “Cradle of Astronauts”, ovvero la “culla di astronauti”. Non male per un’anonima università di confine.

Al suo ritorno divenne pilota sperimentale (test pilot), operando insieme ad un altro leggendario pilota, Chuck Yeager, il primo uomo ad aver superato il muro del suono.

Nel 1962 passò alla NASA, nel 1965 partecipò alla missione Gemini 8. Dunque Armstrong, a differenza degli altri suoi colleghi, tutti militari, era civile. Anche se era stato in servizio nell’Aviazione della Marina ed aveva le stesse origini militari degli altri.

Poi venne selezionato come comandante della famosa missione Apollo 11, quella che effettivamente compì il primo allunaggio. 

Neil Armstrong compì il suo primo volo (in qualità di passeggero, s’intende) alla tenerissima età di soli sei anni, a bordo di in Ford Trimotor ma la sua passione aviatoria era tanta e tale che conseguì il brevetto di volo a soli 15 anni prendendo lezioni di volo nell’aeroporto della contea di Wakaponeta (dove era nato), ossia prima ancora di raggiungere l’età legale prevista per la patente di guida per le automobili. Ovviamente il legame con questo figlio divenuto illustre è oggi ben manifesto nel territorio che gli diede i natali. A Neil è infatti dedicato  il “Neil Armstrong Air and Space Museum” che ha sede proprio nel cuore della città di Wakaponeta nonchè un aeroporto civile, l'”Airport Auglaize County Neil Armstrong” situato a circa 15 km da Wakaponeta, nella contea di Auglaize, stato dell’Ohio

Molti astronauti, dopo il ritorno da queste complesse e stressanti missioni spaziali, ebbero conseguenze che influenzarono la loro vita successiva. Molti cercarono di continuare e si impegnarono in altri compiti nello stesso settore, altri faticarono per lunghi anni a riadattarsi alla vita normale.

Armstrong decise di non ritornare nello spazio. Con la fama che derivava dall’essere stato il primo conquistatore della Luna avrebbe potuto avere accesso a professioni importanti, con alte retribuzioni. Invece si limitò ad essere un semplice professore all’Università di Cincinnati.

Anche il suo matrimonio finì con un divorzio, come era accaduto agli altri suoi colleghi.

Morì il 25 Agosto 2012 a Cincinnati.

Durante la sua carriera ha pilotato innumerevoli tipi di macchine volanti, aerei, elicotteri, prototipi dell’ LM e alianti.

Neil Armstrong e l’equipaggio dell’Apollo 11 salgono a bordo del veicolo che li condurrà alla rampa di lancio del gigantesco razzo vettore Satuno 5. La missione con destinazione “Luna” sta per avere inizio. Il resto è storia.

Era appassionato di volo a vela, tanto che ha continuato a volare in aliante per molti anni.

Sebbene si sia guadagnato un’eterna fama per essere stato un pioniere delle imprese spaziali e primo uomo sulla Luna, Armstrong ha condotto una vita piuttosto ritirata. Evidentemente timido e riservato per natura, ha sofferto il gran numero di viaggi di rappresentanza e di conferenze che ha dovuto tenere insieme ad Aldrin e Collins, in tutti i paesi del mondo, subito dopo il ritorno dal viaggio sulla Luna.

Non sono a conoscenza di libri scritti da lui stesso. Sicuramente non ne ha mai scritti.

Altri autori hanno invece scritto libri su di lui, utilizzando il materiale ufficiale esistente, spesso di provenienza militare.

Vi siete mai domandati come e perchè Neil Armstrong divenne il primo uomo a mettere piede sulla Luna? Perchè proprio lui? Perchè un ingegnere, perchè un civile? Secondo la versione storicamente più accreditata Neil Armstrong fu scelto per una serie di combinazioni del tutto fortunose.  L’ex pilota della Marina statunitense era stato schedulato dalla NASA addirittura quale equipaggio di riserva per l’Apollo 8, dunque lontanissimo dalla missione lunare. Si verificarono però degli imprevedibili ritardi nella progettazione e nella realizzazione del modulo lunare LM  (in questo scatto d’epoca si può vedere Armstrong proprio davanti al clone di modulo lunare utilizzato per l’addestramento) che obbligarono l’ente spaziale a rivedere i programmi e le tempistiche già stabilite: l’ottava e la nona missione del programma Apollo, causa di forza maggiore, dovettero necessariamente essere invertite.  Accadde così che,  in virtù dello schema di rotazione degli astronauti adottato dalla NASA per le missioni Apollo, il nostro Neil si trovò catapultato improvvisamente al comando della missione Apollo 11. E’ pur vero che, egli superò brillantemente i feroci test psico-attitudinali cui gli tutti astronauti furono sottoposti e che anzi dimostrarono il suo carattere riflessivo, ponderato, non incline a facili entusiasmi né a demoralizzarsi facilmente. Insomma Neil apparve da subito il candidato migliore da porre al comando di una missione tanto delicata. Occorreva un pilota – sì -, ma anche un ingegnere che conoscesse a fondo il modulo di comando e il modulo lunare – certamente -, soprattutto occorreva un uomo che mantenesse la necessaria freddezza e il giusto equilibrio psico-fisico … requisiti che fecero di Neil il candidato perfetto a svolgere il gravoso incarico di capo missione. Peraltro la storia vuole che fosse l’allora direttore “Flight Crew Operations” della NASA, Donald “Deke” Slayton, in accordo con Robert R. Gilruth, all’epoca direttore del Manned Spacecraft Center (ora Johnson Space Center ) della NASA a stabilire che il comandante della missione sarebbe stato anche il primo a sfiorare il suolo lunare. E questo con grande pace di Buzz Aldrin, secondo membro dell’equipaggio del LM e di Michael Collins, relegato a bordo del modulo di comando, in orbita lunare.

Questo libro è stato scritto da due autori francesi e tradotto in lingua inglese. In pratica si tratta di una stringata biografia della sua vita. Riporta i fatti principali della carriera militare e di quella di pilota sperimentale, proseguendo con il susseguirsi degli eventi da lui vissuti presso la NASA, culminati con l’allunaggio dell’Apollo 11.

La retrocopertina del volume che ha come protagonista Neil Armstrong

Uno dei capitoli, ad esempio, si intitola: After the moon landing (dopo l’allunaggio). E riporta il ritiro dalle missioni spaziali per divenire un professore universitario. E non solo, in verità. Armstrong ha fatto anche parte delle commissioni di inchiesta per la NASA ed ha investigato sugli incidenti dell’Apollo 13 del 1970 e dello Space Shuttle Challenger nel 1986.

Il libro prosegue con una trattazione analitica della situazione internazionale degli anni successivi, la Guerra Fredda, con riferimento allo sviluppo delle altre imprese spaziali di Stati Uniti e Russia in questa nuova realtà politico-economica.

Segue un’altra panoramica sull’Apollo 11 ed il racconto particolareggiato di tutta la missione. Evidentemente gli autori hanno utilizzato resoconti disponibili in grande abbondanza, ma che non aggiungono nulla di nuovo sul nostro distaccato e riservato astronauta.

Prove sperimentali di discesa sulla Luna. Sembra facile ma immaginate solo per un istante di scendere voi sulla Luna percorrendo la minuscola scaletta a pioli del LM e, soprattutto, con quel catafalco addosso. Mica un scherzo!?

Il libro infatti finisce così.

Nel complesso è un documento interessante. Sta bene nel kobo. Magari insieme ad altre biografie di Armstrong, scritte da altri autori. Giusto per comparazione.



 


Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)

Didascalie a cura della Redazione






Nota della Redazione

Tutte le fotografie presenti in questa recensione sono state prelevate gratuitamente dallo splendido sito web Apollo archive che vi invitiamo a visitare in lungo e largo. Troverete centinaia di scatti a colori e in bianco e nero che ripercorrono le missioni Apollo nonchè le pre e post Apollo. Ricco di didascalie e di ulteriore materiale collaterale, è un sito divulgativo cui non smetteremmo mai ti attingere. Perchè se è vero che la storia, per essere viva,  deve essere vissuta, ebbene siamo certi che questa è la migliore opportunità offerta a coloro che vogliano farlo davvero