Delle linee bianche che tagliano il turchese del cielo: un aereo che in alta quota lascia dietro di sé delle strisce di vapore. Gli inglesi le indicano con una sola parola “contrails”, in italiano si chiamano scie di condensazione, ma in un cielo invernale come quello di oggi, limpido fino all’inverosimile, anche senza conoscerne il nome rimarrebbero uno spettacolo meraviglioso.
Su questa collina fa freddo, ma il sole e’ un caldo sollievo sul viso. Sono qui ed aspetto; aspetto che il vento diventi giusto per poter decollare. Le mie ali sono una semplice tela colorata alla quale mi appendo con un seggiolino imbottito. Una strana attrezzatura che indossata a terra mi da’ l’aspetto di una lumaca che trascina il suo guscio. No, con questa imbracatura non si e’ agili a terra, ci si muove con passi corti e un incedere incerto, attenti ad evitare di calpestare i cordini che sostengono la vela. Quello che conta però, non e’ come si e’ ora a terra, ma come si sarà più tardi in volo. Una volta che i piedi avranno lasciato il suolo tutto cambierà: non ci saranno più movimenti goffi e andature stentate, tutto si trasformerà in virate armoniose e leggere planate. Niente più peso sulle spalle, ma, al contrario, una forza trasparente capace di farti salire senza fatica e che, se ben domata, ti farà stare a lungo lontano dalle cime degli alberi.
Ecco cosa aspetto qui seduto: il momento giusto per volare, il giusto grado di riscaldamento del terreno, la brezza perfetta che, dopo pochi passi di rincorsa, mi aiuti a staccare i piedi da terra. Così nell’attesa, che in questo posto che domina la valle rappresenta di per sé un piacere, guardo queste candide strisce nel cielo, prodotte dai motori di un aereo. Già se guardo attentamente riesco a distinguere il numero dei motori: “… quattro, un 747, un gigante del cielo. Chissà dove andrà?” mi chiedo a voce alta.
Fino a qualche tempo fa guardare queste strisce era un momento importante per me. Mi ricordo quando mi fermavo a guardarle e mi lasciavo fantasticare su dove l’aereo che le tracciava stesse andando, su come sarebbe stato bello essere lì su, da passeggero. Avere un orizzonte vastissimo sotto di sé e volare nel sole verso un’altra città, magari un altro stato. Quelle linee bianche erano simboli di libertà. La mia fantasia si agganciava a quelle traiettorie di vapore per generare fughe ideali da quello che era allora la mia realtà.
La realtà: l’università’ prima, con gli studi ostici che a volte erano riusciti a rendere triste persino la bellissima città dove li frequentavo; poi il lavoro e un’altra città: difficili entrambi, voraci di tempo e di energie. Già, “le difficoltà di una vita normale”, ti dice qualcuno. Ma certo, una vita normale, quella che fanno tutti. E sapere questo dovrebbe farti stare meglio?
Meglio guardare il cielo. Nelle giornate invernali di alta pressione, con il cielo limpido e azzurro, le scie di condensazione mi guidavano fuori da tutto, cancellavano gli umori foschi e mi proiettavano in un altro posto dove, nelle mie fantasie, ero un turista senza legami. Altri paesi, altra gente, una lingua diversa, magari una vita diversa.
E’ strano realizzare come certi pensieri, senza ne’ capo ne’ coda, senza il minimo fondamento se non il traballante sostegno della fantasia, possano aiutarti. Le strisce di nuvola per me erano proprio questo, un aiuto. Non erano solo una fantasia terapeutica per i momenti di depressione, erano piuttosto lì a mostrarmi una via che aspettava di essere percorsa.
Non so se accada a tutti che osservando a lungo qualcosa alla fine ci si trovi un significato recondito e ci si convinca che ciò che si sta osservando contenga un significato che va oltre l’oggetto in sé. Lo si guarda e ci si trova riflessi, lo si guarda e ci si legge un messaggio preciso.
Scie di condensazione: linee rette, sottili e ben definite al principio, cominciano ad allargarsi e a perdere consistenza con il passare del tempo. Trasportate dal vento creano ampi archi ben definiti o si disfano lasciando solo un’opaca traccia della loro presenza. A volte vengono ondulate dai rotori del vento e sembrano onde spumeggianti, altre volte rimangono lì a lungo, sospese fino a quando lentamente si allargano sempre di più fino a diventare pallide nuvole impalpabili …
Così guardando le scie di condensazione io leggevo la mia vita: una linea dritta, calibrata dalle motivazioni, puntata sull’obiettivo finale sin dal principio. Poi la retta, nell’impatto con la realtà, si stava curvando, piegata dal vento della consuetudine o, peggio, silenziosamente modellata dai bisogni e dalle necessità della vita di altri. In qualche modo, così come le scie di condensazione, tracciate con decisione, alla fine si rivelano inconsistenti, in balia del vento in quota, così io, determinato e deciso all’inizio, ero ora in balia della mia vita, e subivo gli effetti uniformanti che lenti mi avrebbero portato alla dissolvenza: grigio su sfondo grigio.
Quelle scie di libertà paradossalmente si rivelavano impietose rappresentazioni di una lenta agonia. Strisce di nuvola che descrivevano un naufragio silenzioso ed inesorabile. No, non poteva essere così, e se non potevano tradirmi in questo modo meschino, trasformandosi da fate in streghe, complici crudeli nel trasformare i sogni in illusioni.
“E’ impossibile che tanta bellezza possa tradirti così!” Leggi meglio, lasciati guidare; lascia andare il passato. Pensa al presente, pensa al di là di quello che loro ti hanno già detto; leggi oltre, non fermarti alla superficie, scava e cerca quello che veramente vogliono dirti; amiche così non tradiscono.”
Ma certo! Quelle amiche che hanno a lungo accompagnato la tua fantasia, sono lì per mostrarti che loro stesse sono quello che cerchi. Non devi andare in nessun luogo lontano, non devi varcare dei confini geografici, devi solo capire che quello che vuoi; la svolta, i nuovi orizzonti sono qui sopra di te.
Così grazie ad uno zaino pieno di tela colorata, moschettoni, tuta e scarponi, la mia vita è cambiata. Ma non e’ stato come si vede nei film; non c’è stata una fuga, non c’è stata una famiglia abbandonata da qualche parte, né un lavoro piantato all’improvviso e neanche c’è stato un viaggio favoloso stile Fandango. C’è stata una semplice, lineare, candida scelta: iniziare a volare.
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Claudio Palmieri |