Il titolo di questa breve serie di riflessioni potrà sorprendere, destare perplessità, sembrare solo un titolo ad effetto o, semplicemente, incuriosire.
In considerazione del numero degli scacchisti e di quello dei volovelisti, instaurare un simile rapporto, probabilmente, non sarebbe potuto venire in mente a nessuno che non si trovasse nella singolare condizione di praticare (o di aver praticato), abbastanza seriamente, sia l’una che l’altra disciplina; una condizione – sottolineo – privilegiata, per la bellezza e la ricchezza di entrambe, che ti ammettono a mondi ben lontani dalla comune esperienza quotidiana.
Gli amici volovelisti mi perdoneranno ma, in estrema e molto approssimativa sintesi, utile solo per capire quanto sto per esporre, il volo a vela (detto anche volo veleggiato), è quello condotto a bordo di una macchina volante sprovvista di motore e dalle speciali caratteristiche aerodinamiche che le conferiscono eccezionale efficienza: l’aliante. Gli scopi di un simile tipo di volo, esclusivamente sportivi, sono:
- restare in aria numerose ore,
- guadagnare più quota possibile,
e, per i più esperti,
- percorrere varie centinaia di chilometri di distanza libera o secondo un percorso prefissato prima del decollo.
Per far ciò, l’aliante sfrutta le correnti termiche generate dal riscaldamento del terreno e gli effetti del vento in relazione all’orografia. Le principali strategie di volo sono:
- il volo termico, che consiste nel salire nelle colonne d’aria calda e poi compiere lunghe planate trasformando in distanza la quota acquisita fino a raggiungere la termica successiva e ripetere il ciclo;
- il volo dinamico, grazie al quale si corre lungo i costoni montani investiti dal vento facendosi sostenere senza perdere quota;
- il volo d’onda, troppo raro e particolare per considerarlo in questa sede.
Generalmente, in un volo si combinano in diversa misura, a seconda delle condizioni meteorologiche che si incontrano, i tipi 1 e 2.
Quello che vorrei provare a far notare è che tra scacchi e volo a vela, per strano che possa sembrare, esistono non poche e non piccole analogie, affinità, somiglianze, consonanze o – comunque vogliamo chiamarle – correlazioni. Sono due attività così diverse, eppure hanno tanto in comune. Inoltre, i tratti che ne derivano e che si possono mettere a confronto, sono d’importanza rilevante per entrambe le discipline.
Naturalmente esiste tutta una serie di differenze che è bene elencare subito – giusto per far rilevare come siano, seppure importanti – strutturalmente di minore rilievo. Ebbene, almeno a mio avviso, sono:
- il giocatore di scacchi opera nel chiuso di una sala da torneo, il pilota en plein air;
- il primo è indipendente dal tempo atmosferico, il secondo ne dipende totalmente;
- l’uno, seduto su una sedia, non corre alcun rischio, l’altro, in continuo movimento e in scenari che mutano, è soggetto a un rischio potenziale elevato;
- l’uno contende con un avversario, l’altro contende con altri suoi simili solo in alcuni tipi di competizioni agonistiche e, per lo più, effettua un tipo di volo solitario in cui si misura con un obiettivo da raggiungere.
Analizziamo, però, meglio queste differenze.
La prima è solo di contorno.
Nella seconda, la situazione meteorologica – come vedremo – è il principale dei fattori che condizionano la strategia del pilota e diventa il contraltare delle forze in gioco sulla scacchiera.
La terza è in sé valida, ma si attenua nella sua portata se consideriamo più pertinente – riguardo ai casi che ci interessano – l’accezione non di “rischio per la persona” ma di “rischio sportivo”. In altri termini, per il giocatore, fare una mossa o seguire un piano con una forte componente di azzardo (nel tentativo di forzare il gioco), può comportare la perdita della partita; per il pilota, fare una scelta, altrettanto azzardata, può comportare il mancato completamento del percorso che si era prefisso.
Anche la quarta si riduce, se concordiamo sul punto che, sia per uno scacchista sia per un volovelista, il principale avversario che deve superare è lui stesso. Anzi, questa è una delle analogie più importanti: sia gli scacchi sia il volo a vela costringono a guardare dentro sé stessi, a imparare a conoscersi, a studiare i propri limiti e i modi che ciascuno individualmente ha di “spingerli un po’ più in là”, per usare le parole di Angelo D’Arrigo. Come? Per esempio, osservando il nostro modo di prendere le decisioni e quale elemento più le caratterizza: rapidità, esitazione, decisione, incertezza, calma,coraggio, ripetitività, inventiva, rinuncia. Basti ricordare che, nel momento della verità – quello delle scelte decisive, per intenderci – sia il giocatore di scacchi che il pilota sono fondamentalmente soli.
Oppure – occorre chiedersi – con che grado di resilienza reagiamo alle frustrazioni? Quali pensieri riusciamo a concepire quando dubitiamo di noi stessi? Quanto conta per noi una motivazione forte rispetto alle difficoltà e ai potenziali rischi? O come gestiamo quei rischiosi momenti in cui ci accade di avere un eccesso di fiducia in noi stessi?
L’aspetto che accomuna volo a vela e scacchi è che la performance è un continuum che ha una progressione ininterrotta fino all’esito finale; non è – a differenza di molte altre attività sportive e agonistiche individuali – una prova composta di azioni “discrete”, ciascuna delle quali genera un punteggio parziale che contribuisce a quello totale.
Ci sono poi le somiglianze esteriori, o forse solo apparentemente esteriori, come la posizione di virtuale immobilità del pilota, seduto o disteso, e dello scacchista che può rimanere tutta la partita davanti alla scacchiera. La durata del tempo in cui questa situazione statica si prolunga è assolutamente comparabile: è infatti di alcune ore, sia per una partita sia per un volo di un certo impegno agonistico.
Il parallelismo non è così banale: vuol dire che, anche per il volo come per gli scacchi, quello che conta non è tanto un atto fisico, come l’uso dei comandi per governare l’aeromobile (che a un certo punto di esperienza diventa istintivo e automaticamente efficace), quanto l’attività intellettuale, la gestione mentale del tempo e della strategia. Ed è questo che costituisce la specificità del volo a vela rispetto al volo praticato con l’ausilio di un motore (usualmente definito volo a motore).
Lungo quelle ore si distribuisce, sia per il pilota che per il giocatore, un notevole e prolungato dispendio di energie psichiche e nervose. Esse si riflettono sul fisico, che, se non debitamente allenato a quel tipo di sforzo, subisce un calo di prestazioni. E quel calo avverrà proprio in momenti decisivi per entrambi, ossia quando si richiederà loro il massimo di concentrazione e di efficacia delle proprie azioni. Per l’uno potrà pregiudicare il completamento del tema e -ottimisticamente parlando – il ritorno sull’aeroporto di partenza; per l’altro, l’esito infausto della partita.
L’aspetto probabilmente fondamentale che hanno in comune gli scacchi e il volo a vela è che sono discipline fondate entrambe sulle scelte. Sono discipline in cui l’attività fondamentale è prendere decisioni. Esse si basano su:
- fattori esterni (la valutazione)
- fattori interni (il carattere della persona, la sua attitudine comportamentale).
Questo fattore è talmente importante che due piloti o due giocatori potrebbero fare scelte anche notevolmente diverse pur partendo da una base di una valutazione analoga. Figuriamoci poi quante volte valuteranno in modo diverso le molteplici possibilità che offre una posizione complessa sulla scacchiera o un cielo da interpretare che si apre davanti a loro.
L’insieme delle nozioni apprese, lo studio delle partite e dei voli effettuati dai campioni o da altri, non sono altro che un bagaglio che deve essere accumulato ma che non è utilizzabile per imitazione, bensì servirà a favorire la ricerca della scelta giusta ogni volta che ne giunga il momento.
Ogni partita e ogni volo sono costruiti su una lunga serie di scelte, alcune più semplici, altre decisive e difficili perché da esse dipende il successo o l’insuccesso dell’intero piano complessivo. E – come dicevo prima – a mano a mano che gli eventi seguiranno il loro corso, nella partita come nel volo, le scelte diventeranno sempre più delicate e irrevocabili.
Che tipo di scelte sono quelle dello scacchista e del volovelista? L’approccio mentale che ad esse presiede – in entrambi i casi – è quello della selezione di un piano; ovvero, prima di tutto, occorre una strategia generale, che per il giocatore di scacchi dipende da:
- le varianti d’apertura;
- la personalità dell’avversario;
- la maggiore o minore aggressività che si vuole conferire al proprio gioco.
Per il pilota dipende da:
- la stagione (cioè quante ore di sole sono prevedibili);
- le condizioni meteo del giorno;
- il tipo e dalla lunghezza del percorso;
- le caratteristiche di performance dell’aliante con cui vola.
Nel corso dell’attuazione di tale piano ci si troverà, però, quasi di continuo a confrontarsi – stavolta su una scala più piccola – con il vaglio delle possibilità e con il calcolo delle varianti, aspetto ben noto negli scacchi ma presente anche nell’applicazione di una strategia di volo (esempio: Ho bisogno di quota; mi conviene avvicinarmi al costone o dirigermi verso un cumulo più promettente ma più distante? E quale alternativa ho se la scelta che faccio fallisce?).
E’ in special modo interessante notare che, sia negli scacchi che nel volo, a volte ci si basa su una sorta di “teoria dei vantaggi”. Al sacrificio combinativo o posizionale degli scacchi corrisponde nel volo – sempre a titolo di esempio – l’abbandono di un’ascendenza sicura per una migliore (di cui però s’indovina solo l’esistenza secondo i principî generali e l’esperienza), oppure la decisione di continuare a seguire la dinamica del costone a quote più basse, rinunciando a perdere tempo con una deviazione di rotta allo scopo di salire più in alto sotto i cumuli di valle. Scelta quest’ultima che garantirebbe un volo più sicuro ma meno fluido e veloce. In entrambe le discipline si tratta di scelte esposte ai rischi legati alla giustezza del calcolo e all’assenza di imprevisti.
Oltre a questa capacità di valutare le alternative, un buon giocatore e un buon pilota devono sviluppare l’attitudine alle previsioni intuitive, soprattutto sotto quella peculiare forma che chiamiamo senso del pericolo (Non mi fido, quindi questa mossa, seppure attraente, non la faccio / Passare di lì, benché sia la cosa apparentemente più ovvia, non mi convince del tutto, quindi percorrerò un’altra strada).
A questo proposito, si può aggiungere che l’azzardo fine a sé stesso (cioè con una percentuale di rischio inversamente proporzionale alle possibilità di successo) è considerato un errore di prospettiva, e qualcosa di alieno dai sani principî dell’una e dell’altra disciplina, benché occasionalmente sia il giocatore di scacchi sia il volovelista sperimentino l’ebbrezza di mettere alla prova la loro fortuna.
Al tema delle scelte è connesso almeno un corollario che vale per entrambe le discipline. E’ quello secondo il quale“è meglio un cattivo piano che nessun piano” (qui dissento da G. Kasparov, Gli scacchi, la vita, Milano, Mondadori, p. 26). Per un giocatore di scacchi e per un pilota di aliante, infatti, la scelta più grave e sicuramente destinata all’insuccesso è giocare/volare senza idee, senza aver concepito un piano. Un piano, invece, anche se ad una verifica risulta sbagliato, può ispirarne un altro basato su diversi presupposti validi. Magari salvifici o vincenti.
Quello che sia lo scacchista sia il pilota ricercano sono le linee invisibili di energia. La bravura dell’uno e dell’altro risiede spesso nel saper individuare – o, diremo meglio, intuire – le sottili linee non discernibili dall’occhio che collegano, non necessariamente in linea retta, due punti distanti della scacchiera (si pensi alle “triangolazioni” nei finali; con le parole di Y. Averbach: “Un postulato essenziale della geometria della scacchiera è che la linea retta non è sempre la via più breve fra due punti”). Stesso discorso se si tratta due zone del cielo.
In un caso, si tratta dell’energia – anzi, della potenziale sinergia – insita nella posizione reciproca di alcuni pezzi vantaggiosamente collocati dal giocatore e in quella sfavorevole dei pezzi dell’avversario. Occorre prenderne coscienza per concepire il piano giusto e procedere con la sequenza di mosse corretta. Nell’altro, abbiamo a che fare con linee di energia termodinamica derivanti dalle condizioni generali della meteo (documentate da specifiche previsioni meteorologiche applicate al volo a vela) ma combinate – e questo è davvero difficile – con quelle micrometeorologiche del luogo e del momento, che, se colte, ispireranno la scelta dell’opportuna strategia e la conduzione del volo per raggiungere un certo punto del percorso, o per fare ritorno da esso una volta raggiunto.
Anche il concetto della dimensione temporale presenta molte affinità negli scacchi e nel volo. Di solito, sia il giocatore che il pilota hanno sufficiente tempo per riflettere e prendere le decisioni che a loro sembrino configurare le migliori strategie, a breve e a lunga scadenza. Ma questo non vuol dire che ce ne sia sempre abbastanza per elaborare ciascun piano o per sottoporre ad approfondita verifica quello che sembra più promettente. Ci sono casi, non infrequenti, in cui lo scacchista è nella necessità di muovere velocemente (Zeitnot); così pure il volovelista può dover compiere delle scelte rapide, per esempio a causa di un repentino cambiamento delle condizioni meteo (l’arrivo di una copertura, un cambiamento di vento) o di situazioni impreviste (una discendenza prolungata, che sta dissipando la quota), ma anche quando non ha più quota per mantenersi in volo e deve scegliere in pochissimi minuti un campo di fortuna in cui atterrare (cioè effettuare un fuoricampo: un’evenienza che, benché sia sempre da tenere in conto nel volo a vela sportivo, è tuttavia non sempre scevra di pericoli). Ad entrambi è richiesta l’attitudine (che si può consolidare con l’allenamento specifico e soprattutto con l’esperienza), a pensare e decidere in fretta, a volte in poche decine di secondi, anche quando la posta in gioco è davvero alta.
Accade anche il contrario: il giocatore o il pilota possono dover applicare una tattica attendista o di resistenza in una situazione difficile. Per il primo si tratta delle cosiddette “mosse d’aspetto” o del trovarsi in una posizione passiva senza un controgioco. Per il secondo, di una fase di attesa del volo dovuta a particolari situazioni meteo (come quando il passaggio di una copertura non estesa blocca solo temporaneamente l’attività termica e costringe il pilota a cercare di “parcheggiarsi” nel punto meno sfavorevole, dove la perdita di quota sia la minima possibile, in attesa che il cielo sia di nuovo sgombro da nubi alte e rifioriscano le ascendenze; oppure del dover faticosamente risalire da un punto basso in condizioni termodinamiche estremamente deboli).
Esistono, infine, analogie anche nell’evoluzione dei progressi di uno scacchista e di un volovelista in termini di abilità acquisita. Entrambi cominciano mantenendosi nell’ambito di ciò che si vede, di ciò che è evidente agli occhi e alla mente per poi muoversi gradualmente verso territori dove acquista efficacia ciò che non si vede, e che per ciò stesso esercita il fascino del mistero.
Attraverso una serie complessa di fasi, il giocatore passa dalla banalità delle mosse elementari dei pezzi all’universo sconosciuto che si cela in una scacchiera, quando la si sappia guardare. Allo stesso modo, il pilota, dopo che ha raggiunto la padronanza del pilotaggio, procede dai sicuri voli attorno al campo all’avventurarsi in nuovi scenari fuori dalla valle, in luoghi, pur vicini, ma da cui gli appare arduo e incerto il ritorno.
La scoperta di tali nascoste possibilità riempie l’uno e l’altro di gioia, soddisfazione e fiducia nei propri mezzi.
Raggiungere simili traguardi di competenza e di esperienza, tuttavia, richiede una speciale dedizione e un grandissimo investimento di tempo: è la ragione per cui molti praticanti di entrambe le discipline si fermano alle soglie di questa fase e rinunciano ad andare oltre. Per chi prosegue nell’ascesa e continua ad impegnarsi con costanza e sacrificio, la migliore fonte di progressi, sia negli scacchi sia nel volo, è l’analisi dei propri processi decisionali, ma soprattutto di quelli viziati da manchevolezze, perché inducono alla ripetizione degli errori. È solo studiando la natura dei propri errori che uno scacchista o un volovelista può far crescere le sue abilità e di conseguenza le sue aspirazioni.
Il modo ottimale di migliorare il proprio modo di giocare o di volare non è, infatti, di concentrarsi sulle competenze acquisite ma di confrontarsi con l’erroneo trattamento di determinate situazioni per capire come e perché si siano insinuate (talora radicate) in noi convinzioni e risposte fallaci. E – magari – per compiere l’operazione – talvolta indispensabile – di reimparare nozioni e procedimenti ad un livello di comprensione più approfondita, giacché potrebbero essere stati appresi superficialmente o su basi meccaniche, come è tipico, per ragioni di semplificazione didattica, nell’insegnamento basico dei fondamenti di una disciplina.
Qualcuno dei punti che ho trattato potrà apparire forse poco convincente (In fondo – mi obiettò, tra il serio e il faceto, un amico cui avevo chiesto di fare l’avvocato del diavolo – alcune delle cose che hai detto si potrebbero applicare anche ad un analista finanziario), ma credo che sia l’insieme – a mio avviso non trascurabile – di questi fattori a configurare la profonda affinità identitaria che avverto dentro di me quando sono seduto a una scacchiera e quando sono sdraiato nell’abitacolo di un aliante.
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