Nell’aria frizzante di un’aurora primaverile in Cappadocia, imbaccuccata negli unici abiti caldi trovati nello zaino, salgo sulla jeep che attende davanti all’albergo coi miei compagni di avventura.
Dopo pochi chilometri di strada tortuosa lasciamo il tracciato per addentrarci su piste battute nella campagna.
È ancora buio e s’intravvedono dei bagliori.
Non sono fuochi, ma le fiammate che fuoriescono dalle mongolfiere, come scopriamo giungendo nella vasta radura.
Enormi palloni aerostatici giacciono sgonfi, adagiati sul terreno in un ammasso di corde, i loro colori sgargianti che spiccano nel chiarore incerto di quei momenti prima dell’alba. I cesti per il trasporto dei passeggeri sono dei grandi canestri in vimini, che ricordano i cesti da picnic.
Ogni mongolfiera trasporterà 16 viaggiatori, disposti a coppie negli 8 settori della cesta. Intorno si muovono con ordine e precisione gli addetti, ciascuno impegnato nel proprio ruolo.
Lentamente, i palloni variopinti si gonfiano e assumono la posizione verticale. Le ultime operazioni sono concluse e il nostro pilota – un turco che ci parla in un inglese dalla forte inflessione americana – dà le informazioni sul volo.
Tutto finalmente è pronto e intorno a noi qualche mongolfiera si è già alzata.
La luce aumenta, mostrando uno spettacolo difficile da descrivere.
Siamo a bordo, le fiammate riscaldano l’aria ancora fredda. Saliamo lentamente, in assenza di vento. Un’ascensione lieve, quasi impercettibile, più dolce di quella di un moderno e silenzioso ascensore.
Siamo sospesi nel vuoto, in un caleidoscopio di 150 palloni aerostatici che popolano il cielo.
È l’alba: il sole si alza e rischiara il cielo rosato e azzurro, delicato acquerello di un pittore innamorato. Sotto di noi, lo spettacolo della Natura si rinnova in un’alternanza di verde e di rocce, e avvistiamo i Camini delle Fate, coi loro comignoli e tetti aguzzi, nei colori sabbiosi del tufo.
La commozione prende alla gola, m’impedisce di parlare.
I miei compagni di viaggio ridono eccitati, parlano, scattano foto. Ma i loro commenti mi giungono indistinti e smorzati, filtrati dall’emozione.
Mi estranio da tutto e ammiro il panorama. Tuttavia non posso esimermi dallo scattare qualche foto. Voglio immortalare nel tempo questa sensazione di sospensione, di attesa, d’immobilità.
Sono in balìa dell’aria e dell’abilità del pilota, che dirige il velivolo e dolcemente lo fa abbassare, mostrando i dettagli di un paesaggio unico al mondo.
Da quassù i pensieri sono diversi, rarefatti. Forse non penso nemmeno ma lascio emergere solo le sensazioni. È incredibilmente affascinante.
Stiamo planando, e il sogno ad occhi aperti s’infrange nella realtà dell’atterraggio. Placidamente il pallone tocca terra. Anzi, no. Siamo atterrati direttamente sul carrello trasportatore del velivolo.
Tutti applaudono alla maestria del conducente. E si scende, per un improvvisato brindisi a base di champagne e le ultime foto di rito con il pilota.
L’avventura è finita. Resta nel cuore quella sospensione dei pensieri, quel pacifico volo nel blu e nell’oro di un’alba turca che non teme uguali.
§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§
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Paola Trinca Tornidor |