titolo: Tempest pilot
autore: Cornelius James Sheddan e Norman Franks
editore: Grub Street
ISBN: 9781906502959
ePUB ISBN: 9781909166561
anno di pubblicazione: 1993
Prefazione a cura di: “Johnnie” Johnson (Air Vice Marshall)
Seconda prefazione a cura di: Johnny Iremonger (Group captain OC 486 – New Zeland – Squadron nel 1944)
Qui in Italia siamo abituati a pensare alla Seconda Guerra Mondiale come ad un conflitto fra Germania e Gran Bretagna. Si sa che erano coinvolte altre nazioni, come la Russia e il Giappone. E, ovviamente il resto dell’Europa. Solo in un secondo tempo vennero coinvolti gli Stati Uniti d’America.
Nelle scuole non si tratta questo argomento con sufficiente cura, come purtroppo accade anche per altri argomenti. Infatti, basterebbe fare quattro domande ad un certo numero di persone e avremmo conferma di quanto poco si sappia di Storia in questo Paese.
Peccato.
Anche quando si parli in maniera approfondita della Seconda Guerra Mondiale, difficilmente si arriverebbe a prendere in considerazione il coinvolgimento di nazioni come la Cecoslovacchia, la Romania, ecc.
Figuriamoci se emergono nomi come Australia e Nuova Zelanda.
Ma il conflitto era mondiale. Tutti erano coinvolti, anche se c’erano paesi neutrali, come la Spagna e la Svizzera.
Quando ho cominciato a leggere “Tempest pilot” conoscevo già le vicende che riguardavano Johnnie Johnson, quello che ha scritto la prima prefazione di questo libro.
Nel proseguire la lettura mi sono però trovato parecchio spiazzato da qualcosa di nuovo, mai incontrato prima.
Intanto ho capito che qui si parlava di un gruppo di piloti che erano basati in Inghilterra, ma non erano né britannici né statunitensi.
Erano Neozelandesi.
Inoltre, sin dalle prime pagine avevo avuto una notevole difficoltà a leggere il testo, scritto in inglese, ma con frasi talmente inusuali, a volte così ermetiche, da farmi persino dubitare che fosse inglese davvero.
Il libro comincia, come quasi tutti gli altri libri scritti da piloti, dalla prima esperienza di volo. E comunque dall’infanzia. E questo non fa eccezione. Solo che qui l’autore, dopo aver detto di essere cresciuto in una fattoria, in una famiglia di sei figli e amorevoli genitori, precisa subito che il luogo si trovava in una remota area della Nuova Zelanda …
“L’avversario più pericoloso del Messerschmitt Me 262 era il British Hawker Tempest: estremamente veloce a basse altitudini, altamente manovrabile e armato fino ai denti.”
(Hubert Lange, pilota Me262)
Ah, ecco! Questo particolare spiegherà, più avanti, il motivo per cui l’inglese del testo appare tanto arcano e insolito. Avevo già sperimentato una stranezza del genere in Canada, dove il francese parlato da quelle parti era altrettanto arcano e insolito. Infatti, spesso preferivo usare l’inglese.
Non che non ci si capisse, ma … venivo dagli Stati Uniti e dopo poche frasi in francese, con la mia evidente pronuncia italiana e il loro idioma antico, mi usciva automaticamente qualche frase in inglese.
Così si continuava in inglese. Per loro era lo stesso.
L’autore, Sheddan, parla subito della scuola di volo in Nuova Zelanda. L’aereo era un Tiger Moth.
Dopo la scuola basica in Nuova Zelanda, Sheddan andò in Canada a continuare la scuola e qui l’aereo utilizzato era il “T6 Texan, un aereo che ha dato le ali a generazioni di piloti.
Dopo un addestramento adeguato sul T6 si poteva passare abbastanza agevolmente ad altri aerei più performanti, come gli Hurricane, gli Spitfire e perfino i Typhoon e, appunto, i Tempest, che erano un’ evoluzione del Typhoon.
Forse pochi sanno che il Canada ha sempre avuto eccellenti scuole di volo, dalle quali uscivano piloti talmente ben addestrati, specialmente nel volo strumentale, da essere nettamente al di sopra della media degli altri piloti.
In Canada, ad esempio, l’addestramento al volo cieco veniva eseguito dall’allievo dal sedile posteriore, chiuso da una tendina in modo che non potesse vedere fuori, mentre l’istruttore stava davanti e vedeva tutto.
In questo modo si svolgeva tutto il programma di volo, acrobazia compresa.
E anche la vite.
L‘istruttore metteva in vite l’aereo e l’allievo, solo con gli strumenti del cruscotto, doveva uscirne.
I piloti addestrati in Canada si trovavano molto avvantaggiati in un clima come quello inglese, o nord-europeo in genere, nella foschia densa, dentro le nuvole e nella pioggia, condizioni tipiche e quasi una costante in Gran Bretagna, specialmente in inverno.
Di questi esempi ce ne sono moltissimi in tutto il libro.
Già dal secondo capitolo, intitolato “England“, troviamo ampie descrizioni di queste giornate uggiose.
Nei primi capitoli ho riscontrato un’altra stranezza. Avevo la netta impressione di avere già letto esattamente gli stessi avvenimenti. Una cosa del genere capita quando si leggono tanti libri scritti da piloti diversi ma che raccontano la stessa guerra aerea.
Poi mi sono accorto che c’era un libro in particolare dove erano state raccolte parti di altri libri, compreso questo. Si tratta di; “Raise against Eagles“, che ho letto solo a metà e devo ancora finirlo.
Ma le vicende di quegli anni, sempre le stesse per tutti coloro che le hanno vissute e raccontate, sono quelle che ho letto anche nel libro di Pierre Clostermann, di Johnnie Johnson, di Chuck Yeager e di Anderson.
Davvero ho la netta impressione di averle vissute io stesso, quelle vicende.
Il contenuto dei capitoli fa sentire il lettore come se fosse davvero lì.
E a questo proposito vorrei riportare un’altra caratteristica particolare di questo libro, anche se un po’ difficile da presentare in maniera adeguata, senza il rischio di urtare la sensibilità di chi leggerà questa recensione.
La natura neozelandese dell’autore non ha remore nel descrivere scene scabrose tipiche del periodo e forse anche dei luoghi e forse di ogni teatro di guerra, anche se, secondo me, in tempo di pace succede la stessa cosa. Nessuno prende l’iniziativa di riportare certe faccende su un libro. Si preferisce ometterle, oppure semplicemente accennarle, lasciarle vagamente sottintese.
Lui no. Lui le descrive con tutti i particolari del caso, anche se l’inglese neozelandese è più difficile da capire e le frasi idiomatiche che usa costringono ad uno sforzo ulteriore.
Alla fine, però, è tutto chiaro.
Si tratta delle ubriacature sistematiche di ogni giornata nella quale non si è di servizio, o delle feste, ovunque queste avessero luogo, anche a casa di ospiti illustri, delle conseguenze successive e degli incidenti di automobile nella fase di rientro alla base e così via.
Chi è ubriaco deve spesso espletare altre funzioni fisiologiche e allora viene descritto il modo in cui queste venivano espletate, nelle scarpe, oppure dalla finestra, anche quando sotto di essa si trova qualcuno steso a smaltire la propria sbornia.
Ma questo non è ancora il peggio.
Perché viene descritto, in maniera altrettanto cruda ed esplicita, anche come si muore.
Ci sono moltissime descrizioni di mitragliamenti di obiettivi al suolo. Un Typhoon scende a mitragliare un treno, gli sparano, cade in pochi istanti, esplode e fine della storia.
Tizio non rientra dalla missione. Punto.
Tutti hanno sentito parlare del famoso caccia inglese Spitfire. Anche l’Hurricane è conosciuto, come l’americano P 51, il tedesco Messerschmitt o il FW 109.
Pochi conoscono il Typhoon e il Tempest.
Ho scoperto in questo libro che il Typhoon, caratterizzato da un’ala spessa e da una grande presa d’aria sotto il muso, era molto pericoloso in caso di ammaraggio. Nessuno si era mai salvato da un evento simile.
Sheddan fu costretto ad ammarare e fu il primo a salvarsi, sebbene a costo di ferite al corpo e al viso. Poi rimase tante ore in mare, prima di essere salvato.
Il Tempest aveva l’ala diversa, molto più sottile. Per ragioni dinamiche il Tempest ammarava molto meglio.
Nonostante Pierre Clostermann, nel suo libro “La grande giostra“, parli abbondantemente delle differenza fra i due aerei, sui quali anche lui aveva fatto la guerra, tante caratteristiche non erano emerse.
Sheddan ne rivela molte altre e questo è davvero interessante per un appassionato di cose aeronautiche in generale e di guerra aerea in particolare.
Ma non fu l’unico incidente. Ce ne sono diversi, narrati nel libro.
Uno in particolare, molto grave, avvenuto in Danimarca quando la guerra era già finita, era stato descritto anche da Pierre Clostermann, proprio a conclusione del suo libro.
Sheddan descrive questo incidente, poi aggiunge ben poco. La guerra è finita e tutti tornano ai loro paesi di origine.
Voglio aggiungere un altro episodio, che mi ha lasciato interdetto, ma che forse non è neppure tanto inusuale come potrebbe sembrare.
autore del libro dedicato ai piloti di Hawker Tempest, disponiamo diverse fotografie che lo ritraggono in varie situazioni e pose ma solo queste due fotografie in bianco e nero lo vedono in primo piano. La prima, chiaramente scattata in un set fotografico (come spesso facevano i militari durante la guerra) e la seconda più estemporanea, probabilmente scattata all’aperto con lo sfondo di uno dei suoi Tempest.
La biografia dell’autore, nato nel marzo 1918, riporta che egli tornò in Nuova Zelanda alla fine della guerra ove trascorse il resto della sua esistenza … fino al dicembre 2010 quando, novantaduenne, ci ha lasciato per sempre …
Nel giugno 1945 gli fu attribuita la Distinguished Flying Cross (DFC per brevità) per aver abbattuto 4 velivoli nemici assieme a 3 condivisi con altri piloti e 8 bombe volanti V1.
In basso la motivazione con cui gli fu attribuito il prestigioso riconoscimento .
– Foto provenienti da www.flick.com
Questo ufficiale ha dimostrato la massima qualità nell’esecuzione del suo dovere. Ha partecipato a un numero molto elevato di missioni di un’ampia varietà di tipi durante le quali ha causato danni significativi a obiettivi come locomotive, chiatte, veicoli o infrastrutture industriali.
Durante un volo sopra la Francia, l’ufficiale di volo Sheddan fu costretto ad atterrare in mare con il suo aereo danneggiato. Ha quindi dovuto aspettare 19 ore nel suo gommone prima di essere salvato. Al suo ritorno in operazione, Sheddan ha dimostrato rapidamente che questa esperienza non aveva in alcun modo influenzato la sua determinazione a combattere e rimane un esempio di coraggio e spirito combattivo. Tra i suoi successi c’è la distruzione di tre aerei nemici in combattimento aereo.
Tornato in Nuova Zelanda, un gruppo di piloti vengono a sapere che uno di loro ha un ristorante in un certo luogo e pensano di andare a fargli visita.
Dopo tutte le vicende vissute insieme in guerra è lecito credere che sarà una rimpatriata, con successiva grande festa eccetera.
Ma quando si presentano al loro amico, dopo il primo approccio, lui si distacca dalla compagnia e si allontana, preso dalle proprie faccende. Come se avesse dimenticato il passato e contasse solo il presente e i propri affari.
Come ho detto, questo è un libro diverso.
La lingua è l’inglese, ma diverso.
Le vicende di guerra sono le stesse, ma riportate in maniera diversa.
Diversi Hawker Tempest sono sopravvissuti alla II Guerra Mondiale e, come questo esemplare conservato a Caen, all’interno del War Memorial, fanno bella mostra di sè a beneficio delle giovani generazioni. Si tratta di un Mark V equipaggiato con il classico amamento da attacco al suolo e, ancora oggi, incute un certo timore. Figuriamoci all’epoca vederselo passare sopra la testa o incrociandolo in volo col rischio di un “dogfight”. – Foto proveniente da www.flick.com
Gli aerei sono gli stessi, ma presentati in una diversa maniera, molto più completa.
Le persone sono le stesse, ma anche di queste si scopre molto di più.
Anche il teatro di guerra è lo stesso. Noi lo conosciamo bene, non solo per aver letto le descrizioni di piloti europei o americani. Lo conosciamo perché è il nostro ambiente. Noi ci viviamo.
Tuttavia, il nostro ambiente europeo, visto dagli occhi di un neozelandese, in parecchie descrizioni del libro, appare diverso.
Recensione a cura di Evandro A. Detti (Brutus Flyer)
Didascalie a cura della redazione di VOCI DI HANGAR