Tira un vento forte e tiepido, un vento di primavera precoce, poiché non é ancora metà Marzo, uno di quei venti che creano mulinelli d’aria portando con sé cartacce e polvere, facendole turbinare un poco, come per gioco, e poi lasciandole ricadere al suolo, per levarsi verso l’alto quasi a riprender nuovo vigore. L’aria s’infila sotto le giacche ancora invernali, fa volare i cappelli come se un qualche monello si divertisse a prendere a scappellotti le nuche degli uomini, s’infila nelle case dalle finestre socchiuse e depone polvere grigia sui pavimenti, sotto le tende, scarmiglia il prato dove l’erba sta rinascendo, s’alza e scompiglia le chiome dei cedri, s’insinua fra gli aghi dei pini, decapita un fiore – oh, come mi dispiace -, accarezza le prime margherite e le viole nell’aiuola proprio davanti alla casa, mentre in alto nel cielo chiaro trasvolano leggeri fiocchi di nuvole come fatte di garza o forse di tulle bianche e azzurrine e rosate: sembra che il mondo si faccia il make-up per rimettersi a nuovo. La gente se ne va per le solite strade e s’accalca alla fermata dell’autobus – é in ritardo, mai una volta che sia in orario – e laggiù, alla rotonda uno non ha rispettato lo stop ed é andato a sbattere contro l’auto che aveva la precedenza e, no, non ci sono feriti, ma i due stanno litigando e forte, anche. Passano ragazzi in motorino, approfittano già del bel tempo per tirar fuori le moto e passa un vecchio in bicicletta, pedala adagio e ad ogni pedalata sembra di sentire scricchiolare l’articolazione del ginocchio. Arriva l’ autobus – era ora – e la gente sale e si fa spazio alla fermata, sotto la pensilina che il sole scalda non rimane nessuno. Il merlo dalle piume nere e lucenti il becco giallo guizzante fra gli occhi tondi e scintillanti come schegge di giaietto é finalmente solo, apre le ali e su nel vento, con il vento se ne vola via a fare una passeggiata fra le nuvole piene di luce. Man mano che s’alza le auto le case le persone rimpiccioliscono e non sembrano avere nessuna importanza: non hanno importanza, non sono niente e il merlo lo sa. Eppure passa gran parte della sua vita laggiù, fra lo strepito che non comprende, con la paura che spesso lo allontana di corsa dalla briciola caduta a terra, perché laggiù ha fatto la sua casa di fili d’erba secca e profumata dai gas di scarico, fra i rami dell’ albero sul limitare del prato, laggiù. Ma tutto il suo mondo é in alto, nello spazio dove volteggia e fa acrobazie e chiacchiera allegro con colombi paffuti, passeri ancor gonfi d’inverno, fringuelli ciarlieri: “Come va?” e “Buon giorno, visto che bella giornata?” Vola fra le nuvole chiare e gode dei volteggi eleganti e delle ali tese a seguir le correnti dell’aria. Dalla mia nuvola bionda lo posso vedere e lo seguo con lo sguardo fin che riesco. Mi sono seduta un momento per riposarmi e godermi il panorama, ma adesso riprendo la mia passeggiata. Non rinuncerei mai alla mia passeggiata fra le nuvole, il primo giorno bello dopo l’inverno, anche se so, lo so, lo so, che dovrò anche questa volta, ridiscendere giù, alla fermata dell’autobus. Ma intanto, mi rimangono ancora sette minuti e li voglio passare camminando leggera, piano piano, per una volta senza affanno, fra le nuvole e tendere la mano e riempirla di fiocchi luminosi e rilucenti, colmare gli occhi di forme strane ma perfette, e poi, lontanissimo, ecco l’alone del sole a intiepidirmi le ossa di vecchia rimbambita, lasciarmi avvolgere da una nuvoletta capricciosa, come nel nido di un bozzolo di seta e uscirne e accarezzare il ricciolo che si fa innanzi e che mi sfiora l’orecchio sussurrando: “ Ciao”. Ci si sente meravigliosamente così, a passeggio, fra le nuvole con null’altro da fare se non camminare e ammirare e lasciarsi penetrare da silenzi immacolati. Ma devo affrettarmi a scendere, lo so, ancora un momento … No? Va bene, grazie lo stesso, é stato bello, come sempre. Adesso mi tolgo. Sì lo so sono sul sentiero d’avvicinamento del Concorde. Vado. Dai, merlo, vieni giù con me. Dammi retta. Almeno tu te ne puoi rivolare quassù quando vuoi. Io? No. Me lo concedo solo una volta ogni dodici mesi. Perché? Che cosa vuoi mai che ti dica, é già molto così. In ultima analisi io sono solo una in libera uscita. Ci vediamo giù, allora? Sono quella che esce la mattina con la faccia stravolta dalla notte e si fionda in auto come se avesse il diavolo alle calcagna, e se ne va di corsa. Ah, lo sai? Bene, ci vediamo presto allora … Vicino al tuo albero? Quello? D’accordo. Certo che no. Non mi dimentico gli appuntamenti. Né le promesse. Ancora due passi, ecco, uno … due …
“Sempre in ritardo quest’ autobus! E’ un’indecenza, non trova?” Annuisco, ma non me ne frega assolutamente niente. Non adesso. Non ancora.
Lasciatemi dove sono: a mezz’ aria.
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