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Il club MELC


Ho sempre avuto due punti deboli nella mia vita, da che ho memoria, anzi, tre, ma il terzo è diventato il mio lavoro e quindi non lo conto più. Aggiungo che, col tempo, ho accettato il concetto di debole riguardo ai punti perché lo associo all’impossibilità di resistere loro. Ma questa è un’altra storia. Una vecchia storia.

A ogni modo e a onor del vero sono sempre stati gli altri a definirli debolezze. I punti in questione, intendo.

Credo, e non sono lontano dalla verità, che sia stato del livore. Niente altro che umano livore per i miei progetti. Comunque non mi sono mai agguerrito per trasformare il tutto in un affare di orgoglio. Non seguo troppo i pareri altrui. In un modo o nell’altro faccio sempre di testa mia. Tiro dritto per la mia strada.

Ebbene, in questa vicenda i fatidici tre punti si sono beatamente incrociati. E aggiungo,  coordinati fra loro per dare forma a una delle più  indimenticabili  esperienze della mia vita.

È questo che importa e che ha fatto la differenza.

Se tornassi indietro farei esattamente ciò che ho fatto, comportandomi proprio come mi sono comportato.

 

1.

Il pomeriggio quando tutto iniziò mi trovavo a Parigi. Piovigginava. Era la fine di aprile. Sarei ripartito solo l’indomani quindi ero libero di muovermi come meglio credevo.

Ho sempre prediletto camminare senza meta lungo il viale dei bouquinistes. Lungo la Senna. Curiosare fra i vecchi libri.

Procedevo lento perché ero in anticipo per l’appuntamento con una vecchia amica. Ripeto, non dovevo essere a Parigi, ma all’ultimo avevo sostituito un collega ed eccomi lì.

A proposito mi chiamo Marc. Marc Fabrien. Francese da indicibili generazioni. Pilota di linea della Air Corsica, ma per un bel po’ di tempo sono stato pilota privato grazie al Club aeronautico della Camargue. Periodo splendido quello.

Quando riaffiorano i ricordi mi vengono gli occhi lucidi.

È in Camargue che ho conosciuto due dei miei più cari amici. Tutti e tre noi, piloti.

È con loro che ho affinato la mia indole naturale di generosità genuina, quella che ancora oggi mi rende disponibile a sostituire un collega se ne ha bisogno. Siamo stati inseparabili per due anni. Noi tre a cavalcare i cieli su i Cessna 172. I piccoli monomotore a quattro posti placidi nella loro garbata velocità massima. Ci sentivamo intoccabili. Noi tre a stilare sfide con i numeri di ore di volo. Noi tre a ridere della nostra audacia. Ci sentivamo dei temerari. Più di tutto liberi. Era come se sapessimo sfruttare ogni momento della vita. Ci caricavamo facendo paragoni.

Anche se certe auto sportive regalano sensazioni da brividi – ci dicevamo – con le loro capacità meccaniche, con il gioco impercettibile dei cambi di marcia fra tornanti montani o lungo autostrade infinite, non c’era storia a nostro vedere.

No, non ci lasciavamo abbindolare dalla potenza dei cavalli di certe quattro ruote.

Eravamo così.  Édouard, Claude e io. Uniti.

Poi in piena notte ci ritrovavamo per fumarci in pace una sigaretta e raccontarci a turno i sogni a venire. E guardavamo davvero il cielo scuro.

Per me volare significava  respirare. Anche oggi.

E, scordavo, ero un fumatore quanto basta. Ancora adesso ma forse questo è un dettaglio marginale in tutta la vicenda.

Insomma stavo aspettando Aline e per un verso ero contento fosse lei in ritardo e io  in largo anticipo.

Mi è sempre piaciuto crogiolarmi fra i libri e vecchie storie e questo è un’altra forma di libertà. A rigor di puzzle della vicenda, è il primo dei due punti entrato in scena. Mi spiego meglio.

Sono uno che ama leggere, sfiorare le pagine scritte, raccontare storie. I vecchi libri, quelli passati nelle mani di altre persone, mi procurano misteriosa adrenalina che mette in moto il mio senso dell’avventura.

Ebbene, curiosando qua e là, passavo in rassegna le varie copertine sperando di essere attratto da un’immagine magnetica che per me significava viaggi o esplorazioni. Capitai su un volumetto grigio e piuttosto sgualcito nell’insieme ma con, in bella mostra, un aereo d’epoca. L’avevo riconosciuto senza se e senza ma.

Un caccia  North American P-51 Mustang in voga durante la Seconda Guerra Mondiale. Un gioiello che con la sua apertura alare inclinata e in scala copriva la grandezza della pagina. Mi ritrovai ad accarezzarne le forme con pura delicatezza.  Volevo toccare.

“Posso?” Chiesi al tizio dietro il banco pensile.

“Certo signore , sbirci pure. ” Mi sorrise soddisfatto, credo perché intuii che l’avrei comprato.

“Lo prendo.”

“Cinque euro. Prego e buona lettura.”

Mi sentivo più tranquillo avendolo tra le mani. Quasi come una premonizione liberatoria. Ammiravo quella copertina dai bordi mangiucchiati. Avevano la forma ricamata tipico del lavorio sordido dei pappagallini. Lo so perché ne avevo uno da bambino che si divertiva a rovinarmi i quaderni.

Salutai il venditore con un cenno del libro sollevato a mezz’aria e con il desiderio di appartarmi per divorare quelle pagine. Nascondevano un mistero, ne ero sicuro poiché avevo adocchiato delle mezze frasi scritte a matita fine all’interno, aprendolo casualmente. Il mio animo antico di pilota solitario si era svegliato. E alla grande. In effetti non sono diventato pilota a caso. Ho sempre provato attrazione per gli aerei, per il volo, per la libertà.

Gran parte di questa passione la devo agli anni trascorsi nel sud della Francia. In estate. A Perpignan. Nella casa di famiglia dove a un certo punto non si capiva più chi era chi e chi arrivava o andava. Cugini mai visti. Amici di amici.  Una gran confusione e a me le confusioni non sono mai andate giù, nemmeno in estate. Il caldo torrido, poi,  non l’ho mai tollerato e un mio zio di Marsiglia a quanto pare se n’era accorto e aveva cominciato a salvarmi spesso dalle noie della spiaggia e dai  rumori della casa o forse io salvavo lui.  Non ho mai approfondito.

Mi portava  all’hangar di Marsiglia. Quello nei pressi della Legione Straniera. Un luogo magico per lui. Sia l’hangar sia la Legione.

E magico anche per me.

Zio Xavier era un meccanico con la emme maiuscola. Ci capiva di motori come Monet di colori.

Lavorava in quell’hangar e non avvertiva il bisogno di staccare perché amava il suo lavoro. A dirla bene la vacanza era un dovere e così  forse è più evidente captare il tipo di personalità.

Mi ripeteva spesso:

“Marc, pensaci bene! Pensa molto bene a quel che vuoi fare da grande. Se sbagli lavoro sarai fottuto. Rovinerai la tua vita.”

“Farò un lavoro fantastico.” Rispondevo tanto per rispondere ma non sapevo cosa dicevo. A me, al contrario suo,  importava che le  vacanze durassero il più a lungo possibile.

Avevo sette anni e mezzo la prima volta che toccai con le mani un aereo. Voglio dire, non ci capivo un bel niente. Li vedevo di solito passare in cielo. Tutto qui. E con l’espressione un po’ da ebete allungavo il collo e sgranavo gli occhi su, su fin dentro al cielo e non li staccavo se non dopo che l’aereo di passaggio svaniva dalla mia vista.

Quel giorno invece, con zio, la mia mente cominciò a lavorare a modo suo e non mi lasciò più in pace. Da quell’istante non mi sarei più accontentato di guardarli.

Vedere con gli occhi quelle meraviglie volanti, ascoltare i piloti che sembravano parlare in codice fra loro era rugiada; anche i meccanici apparivano speciali nelle loro tute, nei loro andirivieni, l’atmosfera mi faceva sentire fortunato.

Era un mondo nel mondo.

Altro che stare sulla sabbia, facendo buche, aspettando di fare un bagno.

Nell’immenso capannone, dove mi sentivo una piccola vite, toccavo aerei veri. Veri.

Sarei diventato un pilota. Lo comunicai allo zio nell’istante stesso in cui lo decisi e lui, per suggellare il momento, mi alzò di peso e mi collocò seduto all’interno dell’abitacolo dell’aereo che stava controllando, davanti a un riquadro di pulsanti che per un istante mi fece sobbalzare.

Ecco, tutto quel pomeriggio contribuì a formare il terzo punto di debolezza che con gli anni ho onorato in pieno.

E non finì là. Eh no.

Divenni la mascotte dell’hangar. Conobbi un po’ tutti.

In estate andavo più spesso all’hangar che dal gelataio.

In inverno vivevo come un orso in letargo per accumulare energie da liberare a Marsiglia.

Ognuno di loro – quelli dell’ hangar  ovvio – mi raccontava avventure incommensurabili che facevano brillare gli occhi e uno in particolare. Un pilota che lavorava a tempo pieno per un ricchissimo uomo d’affari e pilotava per lui un jet privato con le ali di uno sfavillante color rosso, mi prese in simpatia. Luc, si era semplicemente presentato così. La seconda volta che mi vide, mi prese per mano e mi portò vicino a due bidoni di un colore blu acceso. Vicino alla grande apertura che si immetteva sulla pista. Su quella traiettoria arrivava il vento che movimentava l’aria calda.

“Conosci Il  piccolo Principe?” Mi chiese a bruciapelo.

“Il libro?”

“Sì proprio il libro.”

Lì per lì rimasi deluso perché all’epoca i libri non mi interessavano anzi li scartavo come regola prioritaria.  Non avevo mai passato cinque minuti di mia volontà con un libro aperto  fra le mani.  Quel libro poi me lo avevano regalato ben due volte in due compleanni diversi. Uno strazio ricevere quel che non si vuole.

Il mio rammarico si vedeva lontano un miglio e Luc riprese la situazione a vantaggio di quel libro.

“Non dico di leggerlo. Se vuoi ti racconto la storia e dopo, sono sicuro che vorrai sbranarlo personalmente.”

“Non credo. Non credo proprio.”

Non avevo nemmeno colto il concetto di sbranare delle pagine.

Ricordo la risata immensa di Luc. Mi strizzò l’occhio e cominciò a parlare.

In capo a dieci minuti lo seguivo con la bocca aperta e rigoletti di saliva pendenti ai lati per quanto rapito dalla storia.

Venni così a conoscenza di uno strepitoso, misterioso Antoine de Saint-Exupéry. Saint-Ex per gli amici, a detta di Luc, quell’Antoine sapeva più di quel che voleva far intendere, e il libro del piccolo principe era un concentrato di simboli e codici da decriptare. Decisamente non era un semplice e bravo pilota.

Soprattutto mi colpì il mistero della sua scomparsa e del suo aereo sprofondato in mare.  Luc disse testualmente le seguenti parole, parole che imparai a memoria:

“Antoine de Saint-Exupéry sparì da qualche parte nelle profondità marine a largo delle coste della Provenza. Stava pilotando un P-38 Lightning.”

Risposi.  E pensai che lui era un pilota nell’anima. Era l’anima del pilota. Tutto ciò che stavo ascoltando con le mie orecchie faceva galoppare il mio cervello e non avevo nemmeno  nove anni. Traguardo per me lontanissimo ai tempi.

Ovviamente decisi in silenzio che avrei letto parola per parola quel libricino e non lo avrei più considerato una fiaba per bambinetti. Eh no! Le cose erano radicalmente cambiate. Io ero cambiato e quando si cambia è molto difficile tornare indietro. Si vuol solo andare avanti.

È quel che feci da quel giorno grazie a Luc, a zio Xavier ma anche alla brutta casa caotica di Perpignan perché se non fosse stato per lei molto probabilmente non sarei mai diventato pilota e tantomeno  l’uomo che sono.

 

2.

L’universo di Saint-Exupéry non mi ha mai più abbandonato. Con gli anni mi affaccendai nel tempo libero per scoprire sempre più nuove informazioni sulla vita di quel pilota scrittore. In realtà non mi andò mai via dalla testa ciò che mi svelò Luc quel caldo giorno d’estate, ovvero, Saint-Exupéry era sparito. Disperso. Il suo corpo non era stato trovato. Ovviamente lo si considerava morto, ma non c’erano dati inconfutabili né ragionevolmente probatori a dimostrarlo.  Dove era finito ?

Insinuazioni, ricostruzioni non avevano fatto altro che gettare mistero sul mistero.

E c’era dell’altro. Ne erano tutti certi.

Le mie giornate sfuggivano per quanto facevo. Fra il lavoro e le mie ricerche e i libri ero stanco sì eppure profondamente gioioso. Le persone che gravitavano intorno a me non si davano pace. Era fastidiosa la mia esuberanza. Avrebbero preferito un Marc lagnoso. Pessimista. Normale. Controllabile.

Mai stato e mai lo sarò.

Lessi tutti i libri del pilota scrittore. Del mio pioniere preferito. Quelli che in pochi apprezzano perché sembrano diari tecnici. Molto specializzati. Io invece ci scovavo sempre nuovi dettagli geniali. Non che io sia dotato di intelligenza superiore ma, con gli anni, ho compreso che ognuno ha un talento ed è un peccato non alimentarlo. Ho anche sorvolato il Nord Africa seguendo i suoi tragitti. Ho riletto e riletto Il Piccolo Principe senza mai averne abbastanza.

Uno spettacolo. Più procedevo e migliore e forte mi ritrovavo.

È lampante che il secondo mio punto di fantomatica debolezza è Antoine de Saint- Exupéry. Lui e chiunque l’abbia conosciuto.

È gioia pura in me quando rileggo un suo passaggio scritto e non voglio spiegare di più perché guasterei la magia . Ecco l’ho detto. Con i suoi scritti mi ero avvicinato al senso della magia quale mistero insondabile della vita. La stessa magia che provo quando sono in decollo e trasporto sotto mia piena responsabilità un bel numero di persone.

Mi aveva affascinato anche il suo rapporto con la madre.

Madame Marie de Boyer de Fonscolombe. Una contessa. Una donna acuta. Una madre che dopo la presunta morte del figlio ricevette – a quanto si vocifera – una sua lettera nella quale la confortava spiegando che stava bene.

Quale fitto mistero nella vita di quest’uomo!  Come faceva a stare bene se era scomparso, se il suo Lightning si era inabissato, se il cadavere non era mai rinvenuto? Quale orizzonte sconfinato mi aspettava da sondare ? Lui che decollato la mattina per una ricognizione non aveva più dato segnali via radio e il suo aereo, abbattuto da uno nemico, era stato inghiottito dal Mediterraneo?

Senza aprire poi lo squarcio del marinaio che alla fine degli anni novanta scovò un oggetto che rimescolò la già fitta e intricata leggenda della scomparsa di Saint-Exupéry. Strati di misteri.

Decisi che non potevo tenermi tutto dentro. Troppa carne al fuoco. Troppa energia da gestire. Tanta esuberanza. Morivo dalla voglia di confidarmi.  Confrontarmi o semplicemente raccontare quel che ribolliva dentro il mio animo. Ricontattai i miei due amici Claude e Édouard per metterli a conoscenza.

In men che non si dica ricostituimmo il nostro club dei piloti fumatori. E gli anni sembravano non essere trascorsi quando ci vedemmo. Non avrei sperato meglio.

 

3.

L’aperitivo con Aline non sortì l’effetto sperato. Nel senso di trascorrere un paio d’ore in allegria. Quando arrivò si sprigionò disagio fra noi. Forse io non ero più dell’umore dopo aver comprato il libricino che mi rubava tutta l’attenzione. O forse ero più brutto di quel che lei ricordava. Non so che dire su di noi. La stonatura era reciproca.

Aline non era mai stata una bellezza ma aveva un certo fascino, un bel sorriso, la ricordavo buona conversatrice. Non so, non l’avevo, però, mai pensata fuori dai paletti dell’amicizia e probabilmente neppure lei.  Francamente non saprei nemmeno dire perché l’avevo chiamata. L’aggravante stava, comunque, nel libro appena trovato. 

Non avevo dubbi. Non c’ero con la testa. Una donna lo capisce al volo ma per fortuna non me lo fece pesare. Non avevo intenzione di svelarle che un libro aveva appena rapito tutta la mia esuberanza e non ne restava per altro.

Chiacchierammo del più e del meno. Bevemmo il nostro aperitivo e ci salutammo sfiorandoci con tre bacetti sicuri che non ci saremmo mai più cercati.

Del resto certe conoscenze non sanno sprofondare dell’anima e non c’è niente di male in questo.

Mi precipitai in albergo inseguito da una pioggia che si era fatta più prepotente.

Niente di meglio che vedere l’acqua disintegrarsi sui vetri lisci e io  dentro al riparo.

Lessi tutta la notte. Non riuscivo a chiudere occhio. Non tanto per la storia che non era eccezionale quanto per le note scritte dal misterioso proprietario del libro.

La grafia era pessima. Stretta, inclinata. Le lettere erano mangiate. Questi fatti non facevano che esaltare la mia vivacità.

Avevo deciso di trascrivere tutto quanto su un foglio separato. Intendevo dare un ordine e infine una logica.

Il dettaglio sconvolgente fu un nome.

Circa verso la fine, precisamente alla quintultima pagina scritta sul margine esterno, decifrai: “deBoyer”.

Ora, se uno più uno non può mai fare tre, io mi trovavo nel bel mezzo di una straordinaria rivelazione;

“de Boyer” era  la porzione di cognome della madre di Saint-Exupéry. Se non era riferito a lei, era comunque qualcuno della famiglia. Il cerchio era ben ristretto.

Non era tutto. Accanto al nome c’era scritto: “…domandare a …”ˋ

Cosa? E perché ?

E ancora. Seminati fra le pagine erano annotate tante cifre doppie.

A cosa si riferivano quei numeri? E perché così tanti? E perché simili e in successione ? Del tipo: se c’era il trentasette, trovavo anche il trentaquattro e il trentotto e così via.

Sudavo per l’energia ridondante.

Ricordando cosa Luc, il pilota di Marsiglia, mi raccontò circa i numeri sparsi fra le pagine de Il Piccolo Principe non potei concludere altro che quelle annotazioni erano preziosissime e che l’intuito mi suggeriva essere collegate al mistero di Saint-Ex.  Me lo sentivo. Non mi sbagliavo.

Presi il libro fra le mani e cercai la data di pubblicazione,

Millenovecentosessanta.

Annotai dei dati della casa editrice. Non era una di quelle famose.

Dovevo iniziare da qualche parte.

Presi il telefono chiamai il servizio in camera e mi feci preparare, nel bel mezzo della notte, una bottiglia di champagne e due spumose omelettes.

Mi andava così. Ero su di giri. Avevo fra le mani una bomba. Forse sarei divenuto colui scelto dal destino per aggiungere un tassello nuovo al mistero della scomparsa di Antoine de Saint-Exupéry.

L’indomani avrei chiamato Claude che avrebbe rintracciato Édouard. Non stavo più nella pelle.

Era evidente. Qualcuno aveva usato un libro qualsiasi e poco attraente per il grande pubblico ma legato al mondo dell’aviazione. Un libro la cui copertina poteva interessare principalmente un certo tipo di persona. Un appassionato di aviazione. Un pilota. Qualcuno poco conforme al qualunquismo. Il libro non era destinato ad andar perso. Sembrava che il tutto facesse parte di un grande piano.  E chi l’aveva trovato?

Io. Me medesimo. Marc. Pilota. Strambo. Appassionato di libertà. Non poteva essere un caso ma non volevo fissarmi su quel dettaglio. Era capitato. Dovevo proseguire a ogni costo.

Esultavo. Non vedevo l’ora di dare un assetto a quel materiale tanto vago quanto intrigante. In seguito sarei andato alla ricerca di qualche “de Boyer”. Di qualche discendente. E poi via, sempre oltre.

Mi addormentai dopo aver svuotato la bottiglia e dopo aver scritto in modo indecente: “Svelare i misteri ma non troppo …”

 

  4.

Quando mi svegliai era tardi. Troppo tardi. La realtà era in trepidazione ma la mia sbornia pesava come cento mattoni sulla testa e non ero in grado di mettere a fuoco un bel niente.

Avevo il volo Parigi-Nizza a breve e le mie condizioni somigliavano a una tenda travolta da una tormenta di sabbia.

Quando si elargiscono piaceri è facile riceverne. Tentai. Andò bene. Trovai il mio  sostituto causa forza maggiore. Intendiamoci non accadono spesso gli scambi ma è altrettanto vero che quando il destino ci si mette non ce n’è per nessuno. O lo si segue o gli ostacoli si moltiplicano.

Più rilassato ma sempre alticcio mi preparai per uscire. Avevo in mente di fare un salto dal tizio che mi aveva venduto il libro. Forse ricordava qualche dettaglio, tipo la provenienza. O addirittura il proprietario.

Per esperienza so che le coincidenze esistono quali movimenti di disegni più grandi. Mi gironzolavano un sacco di idee in testa.

Non ero ancora capace di comprendere la ragione  di tutto questo ma se proprio volevo trovare un aggancio di qualità non potevo che riferirmi a Luc e a quel lontano pomeriggio estivo. Camminavo e mentalmente mi sforzavo di ricordare al meglio.

Anche Luc doveva essere implicato in qualche modo nel grande disegno di questa faccenda vertiginosa poiché non è ordinario né frequente trovare qualcuno che getta l’amo di un importante mistero in una conversazione normale.  Tra l’altro con un bambino. Luc aveva proprio fatto così. Mi aveva visto e senza mezzi termini mi aveva catapultato in un mistero.

Dovevo contattare anche lui.  Per forza. Pur vecchio, ero certo che avrebbe saputo districarsi.

Aggiunsi il suo nome alla mia lista intitolata “il codice” e mi venne il desiderio di rivederlo al più presto.

Mi fermai in un bistrot qualsiasi per mangiare un boccone e per chiamare Claude. Rispose ancor prima che mi arrivasse il menù.

Ci accordammo. Ci saremmo visti di lì a due giorni a Marsiglia. Gli effetti dello champagne stavano dignitosamente svanendo.

La vita ha un aroma davvero speciale quando la si onora.

Pensavo ai numeri trovati nel libro. Masticavo e ripetevo mentalmente. Più ripetevo più si faceva largo l’idea che quelle cifre fossero dati di longitudini e latitudini. Mi rimaneva il compito di collegarli alle lettere stampate del libro accanto alle quali erano state scritte. Quel collegamento lo trovavo un buon punto di partenza.

Quanto lavoro mi aspettava. Quante notti insonni.

A un tratto per riposare la mente strizzai e sgranai gli occhi a intermittenza per mettere a fuoco la vista. Gli scorci di Parigi erano proprio inimitabili.

Mi sembrava di essere il protagonista di un romanzo.

Accesi una sigaretta e mi lasciai andare all’immaginazione.

Mi aspettava un bel carico di avventura.

 

5.

A Marsiglia respirai a pieni polmoni il profumo salato della baia del porto.

Arrivare a Marsiglia era come tuffarsi a ritroso nel tempo. Avrei cenato a casa di Luc. La serata si prospettava al meglio. Sul tardi ci avrebbero raggiunto i miei due vecchi amici.

Non stavo nella pelle. Le mani tremavano ma mi piaceva tremare per motivi positivi.

Ero impaziente e rovesciai anche la birra a un certo punto, bagnando tutto il tavolino al quale ero seduto.

Infine camminai un po’.  A zonzo. Con la testa fra le nuvole. Avevo inserito il pilota automatico per dirla col nostro gergo.

Trovarci insieme dopo tanti anni fu emozionante. Luc mi diede almeno tre pacche potenti sulla spalla. Era il suo modo per dirmi quanto felice fosse di vedermi. Mangiammo senza affrontare il grande argomento. Per quello avevamo deciso di aspettare Édouard e Claude.

Quella notte fondammo il nostro club esclusivo. Il club MELC.

Ovviamente le nostre iniziali accordate per essere pronunciate facilmente.

Pura genialità. Un club in onore di un pilota leggendario fondato da quattro piloti onorati d’esserlo e legati da un profondo rispetto della libertà. Cosa mai potevo chiedere di meglio?

Gettammo le basi del nostro lavoro. Euforici. Decidemmo come sede la casa di Luc.

Abitavamo tutti nel Sud e sarebbe stato semplice incontrarci. Ci dividemmo i compiti della ricerca. Io mi sarei concentrato sulla madre di Saint-Exupéry.

Avevamo una montagna di lavoro ma eravamo certi di arrivare, presto o tardi, a una notevole conclusione. Per suggellare il club, Luc propose di farci un giro col suo Cessna. Tirammo a sorte per pilotare. Toccò a Claude.

Sorvolammo i cieli della Provenza, sopra l’Estérel. In silenzio. Uniti dall’intento di onorare un grande pilota. Saint-Ex.

Il Mediterraneo sotto di noi era scuro come il velluto nero. Dentro lo stesso cielo aveva effettuato il suo ultimo ufficiale volo Saint-Exupéry quel trentun luglio millenovecentoquarantaquattro. Doveva raggiungere Grenoble. Raggiunse qualche altra destinazione dopo che il suo aereo precipitò? Pensavo a questo quando subimmo un leggero scossone. Una semplice turbolenza. Mi risvegliai dal pensiero. Guardai Luc e accennai un mezzo sorriso. Quello tipico degli uomini abituati alle fatiche.

Il Club MELC avrebbe realizzato grandi progetti.

Ne ero certo. Più che mai.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Luisa Sala

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

titolo: Ali diplomatiche

autore: Bruno Servadei

editore: Amazon (autopubblicazione)

pagine: 285

anno di pubblicazione: 2019 (seconda edizione)

ISBN: 978-1679497445




Dopo un decennio di “Vita da cacciabombardiere e alcuni anni di servizio presso il Ministero Difesa Aeronautica dove le sue ali sono diventate “Ali di travertino“, per Bruno Servadei si apre un altro capitolo della sua carriera.

Deve andare in Svezia come Addetto Aeronautico presso le Ambasciate di Svezia e di Norvegia. Un compito non certo facile, diverso da quello di pilota. Ma un ufficiale che esce dall’Accademia è soprattutto un professionista del comando, non solo del pilotaggio. E la sua carriera passa attraverso diversi tipi di incarichi, anche attraverso incarichi diplomatici come questo. Le sue, d’ora in poi, saranno “ali diplomatiche”; da qui prende spunto il titolo del libro.

Il primo capitolo è introduttivo, ma fondamentalmente tratta della partenza da Roma e del viaggio verso la Svezia. Inutile dire che la narrazione cattura immediatamente il lettore, questa è una costante, nei libri di Servadei. Così, senza accorgercene, finiamo coinvolti nel viaggio, nella ricerca di casa, nei primi contatti con la nuova realtà.

L’autore ritratto con indosso la divisa adorna delle famose cordelline mentre si intrattiene in compagnia dell’allora capo delle Forze Armate svedesi in occasione di una delle svariate cerimonie ufficiali cui dovette partecipare per dovere d’ufficio (foto fornita dall’autore)

I capitoli si susseguono e prendono in esame una moltitudine di aspetti che riguardano non solo la Svezia, ma anche la Norvegia. Riguardano gli usi e costumi tipici dei popoli scandinavi, le cerimonie ufficiali e la vita comune.

Lentamente, pagina dopo pagina, conosciamo i paesaggi, le automobili dell’epoca, le leggi locali…

Le associazioni, e le attività che queste svolgono, e alle quali Servadei deve prendere parte, senza potersi sottrarre se non in casi estremamente rari, finiscono per introdurre il lettore in una realtà che ben poco ha a che vedere con la nostra. Tutto è diverso a quella latitudine. Tanto da farci temere che per un italiano sia troppo difficile uniformarvisi.

Scopriamo sin da subito, invece, che l’autore non è davvero un italiano tipico. Lui si uniforma senza difficoltà.

Da ottimo sportivo, entra facilmente negli usi e costumi svedesi. Ha esperienza di tanti tipi di sport, sci, bob, pattinaggio, tennis, sport nautici, tiro con armi di ogni tipo.

In uno dei primi capitoli Bruno Servadei ci ricorda che: “In quei tempi la piccola Svezia, con le sue centinaia di Draken bisonici, era la terza forza aerea del mondo, dopo USA e Unione Sovietica, e questo ci impressionò molto”. Un aspetto non proprio trascurabile tenuto conto che la “piccola Svezia” era anche una nazione neutrale benché a ridosso del colosso bolscevico, esposta in tutti i suoi confini terrestri e marini a un possibile improvviso attacco (come la Blitzkrieg – la guerra lampo operata dai tedeschi aveva ben insegnato nel corso della II Guerra Mondiale). La premessa dell’autore è poi ancora più illuminante: “Bisogna ricordare che noi nel 1961 volavamo sul vecchio T6 e i nostri reparti da caccia viaggiavano ancora su velivoli della classe 80, tutti subsonici, o al massimo, appena supersonici in picchiata (foto proveniente da www.flickr.com)

Un’altra bella immagine del Saab J35 Draken che nelle sue diverse versioni (elaborate nel corso degli anni) ha equipaggiato le forze aeree svedesi a partire dal 1960 fino a tutto il 1999. Si trattava di un caccia inizialmente progettato per essere un ottimo intercettore (dei bombardieri ad alta quota) ma che poi si rivelò capace anche di buone doti di dogfight-combattimento manovrato. In questa foto risalta l’insolita (per non dire rivoluzionaria) ala con architettura a doppio delta. Tuttavia le specifiche più singolarei stabilite dai vertici militari svedesi e ai quali gli ingegneri della Saab risposero con il Draken erano quelle secondo le quali il velivolo avrebbe dovuto essere rifornito e riarmato in soli 10 minuti da personale minimamente addestrato allo scopo e inoltre il suo carrello gli avrebbe dovuto consentire il decollo da strade pubbliche (appena rinforzate), che, in caso di conflitto, avrebbero dovuto sostituire le basi aeree. (foto proveniente da www.flickr.com)

Non solo è all’altezza dei nordici, ma spesso ne sa anche qualcosa di più.

Troviamo descrizioni di pranzi, cene, colazioni. Tutto ciò fa parte della realtà del mondo diplomatico. Tutto è formale, in quel mondo. Tutto si svolge secondo modalità consolidate nel tempo, che bisogna conoscere e seguire alla lettera, altrimenti si rischia di fare figuracce imbarazzanti.

Perfino nei brindisi, con il classico skol, che si dovrebbe scrivere skal, ma col pallino sopra la “a” che si legge “o”, c’è un rigoroso cerimoniale da seguire scrupolosamente.

“Seduti a tavola prima di qualsiasi azione bisognava attendere che il padrone di casa facesse il brindisi di benvenuto, che spesso era anche preceduto da un discorsetto”,

spiega Servadei.

E continua:

“Lo skol iniziale, detto anche round skol perché interessava tutti i convitati, prevedeva che il padrone di casa alzasse il bicchiere fino all’altezza dello sterno invitando tutti a fare lo stesso, guardasse negli occhi ogni invitato, pronunciasse la parola skol, bevesse un sorso dal bicchiere, lo riportasse all’altezza dello sterno, riguardasse tutti i convitati e finalmente posasse il bicchiere e si sedesse”.

La copertina del libro di Bruno Servadei nella sua prima edizione pubblicata a cura delle SBC edizioni

A questa fase iniziale segue tutta una serie di azioni rituali per il tempo dell’intera cena e anche oltre.

Questo, però, è solo l’inizio. Non esistono solo i pranzi e le cerimonie ufficiali nella routine della sua attività diplomatica.

Il libro apre lo sguardo del lettore su una moltitudine di aspetti della diplomazia. Scambi commerciali di ogni tipo, solo alcuni dei quali riguardano gli armamenti e le faccende militari, perché insieme a queste, collegate a volte a doppio filo, ci sono accordi e commesse in ogni settore industriale.

La Svezia, inoltre, specialmente prima del 1989, quando cadde il “muro di Berlino”, ma anche dopo, si trovava pericolosamente stretta tra un mare interno, il Baltico, e il mare del Nord. Da ognuno di questi mari poteva arrivare, veloce e improvvisa, qualunque azione aggressiva da parte dell’Unione Sovietica. E questo apre tutta una serie di considerazioni interessantissime, che Servadei non si risparmia nel trattare.

L’autore presenzia alla manifestazione aerea svedese cui partecipò – evento di tutto rilievo – la PAN – Pattuglia Acrobatica Nazionale italiana nel corso di una turnèe internazionale. La singolare nomina di addetto militare in Svezia – lo ammette l’autore – era stata provocata perché, nel corso del suo precedente incarico presso lo Stato Maggiore dell’Aeronautica a Roma, aveva piantato non poche grane all’industria aeronautica italiana e dunque, presumibilmente, il sistema lo aveva “premiato” sbattendolo nel luogo più remoto e più ostico tra tutte le rappresentanze diplomatiche della Repubblica Italiana: la Svezia, appunto. Bruno Servadei nel ruolo di un Checco Zalone ante litteram? Probabile! (foto fornita dall’autore)

Ciononostante non era raro che qualche sottomarino di oltre cortina sconfinasse fino a raggiungere i dintorni della città di Stoccolma che aveva il mare tutto intorno.

Negli anni di permanenza in Svezia e Norvegia Servadei ha modo di visitare la struttura difensiva e i reparti dei due paesi. Ha modo di collaudare diversi mezzi. E di conoscere i comandanti delle diverse Forze Armate.

Interessante il racconto di una competizione tra addetti e personalità varie che si svolgeva nella parte più a nord del territorio scandinavo. Quella storia, dall’inizio alla fine, viaggio compreso, lascia incollati alle pagine.

Gli addetti militari facevano anche viaggi all’estero e Servadei si trova a visitare l’Islanda, un paese che vorrei tanto visitare anch’io. E forse un giorno lo farò.

Servadei ha modo di partecipare al cinquantenario della Crociera Atlantica di Italo Balbo. Gli Atlantici vi fecero scalo prima di affrontare la difficilissima traversata dell’Oceano. Altra parte interessantissima.

Da sempre spero che si concretizzi la creazione di un museo ad Orbetello, località che fa parte della mia terra di origine e dalla quale la squadriglia di Balbo era partita.

Il celebre pilone di ormeggio che fu utilizzato in occasione delle due missioni polari effettuate a mezzo di dirigibili. Si trova nella famosa Baia del Re o Kingsbay, il fiordo situato nell’isola di Spitsbergen occidentale, la più estesa dell’arcipelago delle isole Svalbard, in Norvegia, in prossimità dell’ex città mineraria di Ny Alesund, Oggi il pilone è un monumento storico nonché un supporto prezioso per tutta una serie di sensori scientifici che vi sono collocati a diverse altezze … ma nel 1926 vi attraccò il dirigibile Norge e nel 1928 lo sfortunato dirigibile Italia (foto fornita dall’autore)

Dulcis in fundo, un’altra escursione di estremo interesse viene descritta da Servadei. Le isole Svalbard, erano state l’ultimo trampolino di lancio della spedizione di Nobile verso il Polo Nord. Parliamo del secondo viaggio di Nobile, quello dove il dirigibile Italia naufragò sui ghiacci.

La vicenda della “tenda rossa” è una delle pagine più dolorose della storia dell’aviazione italiana: una parte dell’equipaggio del dirigibile Italia (8 membri e una cagnetta) visse 48 giorni sul pack in attesa dei soccorsi avendo come riparo una tenda divenuta rossa (ma solo per qualche giorno) grazie all’anilina con la quale era stata tinta affinché fosse più facilmente avvistata. Lo scatto ritrae il monumento dedicato ai caduti della “tenda rossa”, appunto. In concreto si tratta di circa quattro metri quadrati di terreno nella Baia del Re concessi da Olaf V, allora re di Norvegia. Fu inaugurato nel 1963 ed è anche detto il “monumento delle otto croci’ in quanto caratterizzato dalla presenza di otto croci a rappresentare gli otto membri dell’equipaggio periti nella missione. Alla base vi sono racchiuse 20 formelle di marmo provenienti da tutte le regioni italiane mentre un piccolo contenitore custodisce le letterine dei bambini delle scuole italiane e le lettere di Nobile, Biagi, Viglieri e Mariano, gli unici superstiti allora ancora in vita. In realtà gli uomini periti nel corso della missione polare e quelli che perirono per portare soccorso ai sopravvissuti furono in totale 17 e tra questi, sicuramente più famoso è il celebre esploratore polare Roald Amundsen, vero e proprio mito del mondo scandinavo, eroe nazionale norvegese nonché grande amico-nemico del generale Umberto Nobile, capo della missione italiana (foto fornita dall’autore)

Servadei doveva collocare una placca che ricordasse l’episodio e il sacrificio di coloro che persero la vita nell’impresa.

Gli altri, Nobile compreso, furono protagonisti di un salvataggio che ormai tutti conoscono per via del famoso film “La tenda rossa“. A salvarli fu una nave rompighiaccio sovietica. A questo punto, però, il discorso si farebbe davvero troppo ampio; rimandiamo alla lettura di altri libri di cui sono disponibili le relative recensioni in VOCI DI HANGAR come “La coda di Minosse” o “L’ultimo volo” oppure “Ali e poltrone“. L’equipaggio della nave, dopo aver salvato i naufraghi, ebbe un trattamento inquietante da parte del loro stato. Tipicamente, sparirono non si sa dove.

La nave rompighiaccio con il quale l’autore compì la sua crociera nel profondo Nord del continente europeo. Niente di aeronautico, per carità, ma pur sempre inerente i suoi doveri di rappresentante diplomatico ben inserito nella sua realtà locale. In effetti tutto il romanzo ha una componente aeronautica abbastanza limitata (diversamente dagli altri a firma di Bruno Servadei) tuttavia l’invidiabile capacità narrativa dell’autore fa sì che il lettore rimanga incollato fino all’ultima pagina, letteralmente travolto dal vortice di vicissitudini sapientemente riportate nel romanzo autobiografico (foto fornita dall’autore).

Aggiungo solo che durante gli anni da addetto militare, Servadei ebbe modo di fare anche un viaggetto tra i ghiacci, proprio a bordo di una nave rompighiaccio.

Il libro finisce con l’ordine di rientrare, un po’ in anticipo rispetto a quello che doveva essere il termine stabilito. Gli ordinano, infatti, di tornare in Italia per andare a comandare il poligono di tiro di Decimomannu, in Sardegna.

Ma questo è l’argomento del suo libro successivo dal titolo:  – Deci 83-86. Ricordi di “tiro zero

Per concludere vorrei esprimere qui un pensiero che mi ha accompagnato lungo tutta la lettura. Questo libro, come anche “Ali di travertino” e “Un pilota a palazzo“, ma perfino “Ali in valigia“, si possono considerare dei veri e propri testi di studio universitario. Sono ideali come testi complementari in diversi esami per il conseguimento della laurea in Scienze politiche e non solo. Li vedo bene anche nel corso di laurea in Scienza della comunicazione.

E perché no? … anche per qualche materia del corso di laurea in Giurisprudenza.





Recensione di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR






Ali di travertino

Un pilota a palazzo

Un mondo ultraleggero

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

Ali in valigia





 

 

 

RACCONTI TRA LE NUVOLE – DECOLLATA LA XI EDIZIONE

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XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 3 del 01 aprile 2023



E’ appena decollata – e non è un “pesce d’aprile” – la XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE, il premio letterario organizzato dall’associazione di velivoli storici HAG, Historical Aircraft Group, e dal nostro sito con la collaborazione della rivista VFR AVIATION e della FISA, Fondazione Internazionale per lo sviluppo aeronautico.

E’ un’azienda dinamica operante nell’ambito della salute. Nata dalla scissione di un ramo di azienda della Vita Research, VR Medical è un azienda specializzata nelle terapie per il sistema muscolo-scheletrico e produce prodotti per il trattamento non chirurgico dell’artrosi, fratture ossee, tendiniti e neuropatie. VR Medical è altresì specializzata nella produzione e commercializzazione di prodotti per la salute della donna, con una linea di prodotti ginecologici per il trattamento osteopenia e osteoporosi, sindrome dell’ovaio policistico e cistite. VR Medical collabora con ricercatori universitari e centri di ricerca, e vanta un team di professionisti altamente qualificati che lavorano quotidianamente per offrire ai medici e pazienti prodotti innovativi per la salute e terapie all’avanguardia

L’edizione 2023, conferma il sostegno economico di VR MEDICAL, azienda farmaceutica che ha sviluppato dei prodotti per il trattamento non chirurgico dell’artrosi, fratture ossee, tendiniti e neuropatie, oltre alla salute della donna. Per ultimo ha anche cura della nuova letteratura aeronautica italiana.

L‘associazione, composta da soli membri di sesso femminile, è apartitica e apolitica nonché senza fini di lucro. Si prefigge, tra le altre, di divulgare la cultura aeronautica e, ovviamente, è destinata a coinvolgere le donne che fanno parte della famiglia aeronautica.

La novità memorabile della XI edizione è costituita invece dal preziosissimo sostegno offerto dall’ADA – Associazione Donne dell’Aria che, in virtù del medesimo scopo istituzionale (la diffusione della cultura aeronautica nel nostro Paese) ha aderito con entusiasmo a sostenere l’iniziativa culturale che è alla base Premio.

RACCONTI TRA LE NUVOLE rimane puramente letterario, a tema squisitamente aero/astro nautico e aperto solo e unicamente a racconti. Di volo, di cielo, di piloti, insetti, nuvole e ogni altra entità organica e inorganica purché appartenente alla dimensione aerea. Aviazione, spazio e tutto quanto voli, dentro e fuori l’atmosfera terrestre.

Già come avvenuto nella precedente edizione, gli organizzatori del Premio hanno definito un tema suggerito che in questa XI edizione è: “le donne in aero/astro nautica”. I racconti che conterranno riferimenti al tema suggerito verranno premiati dalla giuria: maggiore la qualità e l’originalità dei riferimenti al tema suggerito presenti nel testo, migliore sarà la valutazione da parte della giuria.

L’associazione italiana che promuove lo sviluppo, la diffusione e l’approfondimento di tutte quelle tematiche inerenti il patrimonio culturale e tecnologico che gli aeromobili rappresentano. Un gruppo di piloti o semplici sostenitori simpatizzanti che si prefiggono di cercare, valorizzare e restaurare in condizioni di volo aeromobili storici

Intendiamoci: il racconto che l’autore/autrice vorrà fornire alla Segreteria del Premio potrà avere un generico tema aeronautico e/o astronautico oppure può  – ma non deve necessariamente – raccogliere il suggerimento degli organizzatori.

FISA – Fondazione Internazionale per lo Sviluppo Aeronautico. E’ un’associazione che promuove la disciplina sportiva e ricreativa del volo con particolare riguardo al Volo a Vela come strumento di educazione e formazione personale e sociale

Ricordiamo inoltre che anche quest’anno il regolamento prevede la fornitura di una fotografia dell’autore/autrice. Al fine di dare un volto al loro nome e cognome, lo scatto verrà utilizzato nella pagina web del Premio e di VOCI DI HANGAR. Ovviamente dovrà essere a colori e dovrà ritrarre in primo piano l’autore/autrice benché uno “sfondo aeronautico” non verrà certo disdegnato.

Rimangono inalterate:

E’ un editore con una valida collana a carattere aeronautico nella quale vicende moderne e più lontane nel tempo si alternano. Si è occupata della stampa e della diffusione dell’antologia del Premio.

– partecipazione gratuita, – giuria prestigiosa e anonima fino alla dichiarazione dei vincitori – pubblicazione gratuita dei racconti finalisti nell’antologia del Premio edita dall’editore LOGISMA, – volo gratuito a bordo di un velivolo monomotore HAG, – pubblicazione dei racconti non vincitori nel sito VOCI di HANGAR, targhe e diplomi di partecipazione.

Ad essi si aggiunge: – il “premio speciale VR MEDICAL” che verrà attribuito al racconto più meritevole secondo il giudizio insindacabile dell’amministratore dell’azienda. E, novità assoluta di questa edizione:

– il “premio speciale ADA” che verrà attribuito al racconto più meritevole secondo il giudizio insindacabile dell’ADA.

VFR Aviation ogni mese ti porta in quota con informazioni, notizie, tecnica, curiosità su tutto ciò che vola. Che pesi pochi grammi o qualche tonnellata, voli a poche decine di metri da terra o nella stratosfera, sia costruito in catena di montaggio o in un garage, abbia volato un secolo fa o da poche ore. Aerei e piloti su VFR Aviation sono in edicola o a portata di click, perché la passione per il volo non si spegne quando le ruote toccano terra.

Ulteriori informazioni nel bando di concorso, nei comunicati nr 1 e nr 2 già pubblicati mentre altre novità verranno fornite nel prossimo comunicato.

A questo punto rompete gli indugi perché l’atterraggio della XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE è prevista per il 30 giugno mentre per il 1 agosto è fissata la divulgazione dei nomi dei 20 finalisti. Per la classifica finale e proclamazione del vincitore occorrerà invece attendere fino al 1 settembre.

E ora … scaldate i motori e … di corsa a scrivere!

Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it

                                                                  




Ecco il bando e la scheda di partecipazione:

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