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In un cielo di guai – bis

titolo: In un cielo di guai

autore: Alessandro Soldati 

editore: Amazon

pagine: 192)

anno di pubblicazione: 2022 (tascabile e e-book)

ISBN: 979-8849987729




Questo libro è dedicato:

“Ai sognatori, agli irriducibili e ai ribelli poiché, da adesso in poi, siamo nelle loro mani”.

Praticamente Alessandro Soldati lo dedica a quelli come me. Chi, più di un maremmano quale sono, potrebbe essere sognatore, irriducibile e ribelle? Ho iniziato la lettura con una certa impazienza per vedere chi e perché, da oggi in poi, sarebbe nelle nostre mani.

La dedica si trova già alla seconda pagina del libro. E a pagina tre Soldati sente il bisogno di informarci subito: “del perché ho scritto questa vicenda“.

Nelle prime righe di spiegazione l’autore, Alessandro Soldati, fa riferimento a come aveva concluso il suo libro precedente (“Andrà bene di sicuro“), alla fine che aveva fatto fare al personaggio della storia e al motivo per cui, nel libro successivo, questo, di lui non si trovi più traccia. Anzi precisa che qui non siamo affatto nel seguito della precedente vicenda, ma in una tutta diversa.

Ok, non ho letto quel libro e non ne so nulla. Una carenza che durerà poco, perché ho tutta l’intenzione di procurarmelo e di leggerlo. Forse ne riparleremo.

A bordo di un velivolo commerciale – e Alessandro Soldati ce lo ricorda – ci dovrebbero essere due individui pensanti altamente qualificati per pilotare una macchina volante estremamente sofisticata. Non dovrebbero essere degli Operatori di Sistema ma dei piloti con tutti i limiti umani – è vero – eppure dotati delle enormi potenzialità di soluzione di avarie e situazioni di emergenza imprevedibili. Purtroppo, in nome del profitto, la politica condotta da anni da sempre più Compagnie aeree è quello di preferire gli Operatori di Sistema ai piloti, tuttavia rimane insoluta la domanda: i passeggeri salirebbero a bordo di un aeroplano commerciale consapevoli che a bordo non ci sono dei piloti bensì degli esperti informatici? Di fatto, già oggi, le macchina volanti in servizio consentono a malapena di essere pilotate senza l’ausilio dell’elettronica, viceversa è sempre più assillante il dubbio che i piloti, disabituati al pilotaggio manuale, siano ancora reattivi e allenati per “domare” i loro velivoli in caso di necessità … (foto proveniente da www.flickr.com)

La spiegazione è lunga una decina di pagine del Kindle, abbastanza da capire che l’argomento del libro, sviluppato attraverso la narrazione di una vicenda ambientata nel mondo dell’Aviazione Commerciale, riguarda la degenerazione del mondo del lavoro e della vita in generale di questi ultimi decenni. Un argomento al quale sono ormai parecchio sensibile, da molto tempo. Lo so che è tutto il mondo del lavoro a risentire dello sfacelo generale, si vede in ogni ambito e in ogni momento, ma per quanto mi riguarda ne soffro ancora di più, perché tutto ciò non risparmia neppure il mondo degli Aeroclub, che frequento con crescente disappunto e con una  vaga, ma non troppo, idea di darci un taglio definitivo.

La storia comincia con una ragazza e suo zio che vanno ad un centro commerciale a comprare qualcosa. Ma subito si scopre che la ragazza non è una comune cliente. E’ una pilota Comandante e mostra di avere una certa fretta, infatti sta per partire per un volo di linea e teme di arrivare in ritardo.

Deliziose le prime pagine, e simpatico il personaggio dello zio, ma non crediate che non c’entri niente nel resto della vicenda. C’entra eccome. Tenetelo a mente, memorizzate quello che dice, anche se d’ora in poi non lo ritroverete più e sarete catapultati, invece in mezzo alle difficoltà inerenti alla preparazione della partenza di un volo di linea, che rispetto al centro commerciale si rivela tutta un’altra storia.

Si può industrializzare il trasporto aereo fabbricando piloti “in batteria” alla stregua del pollame? Certamente il traffico aereo mondiale, pandemia e crisi economica permettendo, è destinato a crescere … ma mentre ridurre i costi sulle macchine volanti è ragionevolmente giustificato (più parche nei consumi di carburante, più capienti, più longeve e, non ultimo più semplici costruttivamente) ci domandiamo: è igienico risicare sul componente umano?  (foto proveniente da www.flickr,com)

Una storia di piloti, insomma. E di come si ritrovano, al giorno d’oggi, ad operare secondo criteri, regole e ritmi di lavoro assolutamente incredibili.

Avevo appena scritto le recensioni di tre libri di un altro pilota, Ivan Anzellotti, che diceva le stesse cose. Perciò mi sono impegnato nella lettura con la convinzione e l’aspettativa che avrei trovato qui altre conferme di questo insano modo di progredire della società umana.

Infatti è stato proprio così.

Dice Soldati:

“Mi capita spesso di dire che una persona decente, quando si accorge di essere entrata in un ambiente marcio, dovrebbe cercare di comportarsi come un tumore a rovescio, cioè deve trovare il modo di raccogliere intorno a sé persone, idee e situazioni sane, e deve propagarsi nel marciume, cercando di risanarlo, per quanto possibile”.

Certamente. Giustissimo.

Poi prosegue:

“Le scuole di volo, partendo proprio dall’inizio, qui da noi non si curano più di dare una solida base di Cultura Aeronautica ai loro allievi. A pochissimi importa oggi di formare Aviatori, perché non sono Aviatori quelli che le Aziende cercano, ma appunto Operatori di Sistemi. Persone capaci di imparare rapidamente a memoria tutta una serie di azioni che, se svolte correttamente, diligentemente e nella giusta sequenza, permetteranno ad un tubo di metallo di andare praticamente da solo e per aria da un luogo all’altro con un ragionevole margine di sicurezza”.

Infatti. Verissimo. Ma anche molto inquietante. E questo spiega chiaramente il sottotitolo.

Ma perché siamo arrivati a questo punto? Davvero le cose devono andare proprio così? Tanto da suggerire perfino l’opportunità di impiegare addirittura un solo pilota a bordo? E di fargli sostenere lo stress di ore ed ore di servizio, anche dodici o più? E quale sarebbe il vantaggio?

Purtroppo il vantaggio di maggior rilievo sarebbe quello economico. Pagare un pilota soltanto invece di due costerebbe la metà.

E’ talmente assurdo che temo di vedere applicato questo criterio in tempi brevi. Ormai si persegue proprio il massimo risultato al minor costo. A ogni costo…

Ma nelle restanti pagine l’autore spiega minuziosamente quali sono i motivi di una tale rivoluzione, che coinvolge il mondo dei piloti, ma che coinvolge anche, purtroppo tutti gli altri ambienti, di lavoro e non.

Dopo questa parte, prima che inizi il libro vero e proprio, la storia narrata, c’è una pagina che riporta una citazione di un certo A. Block e che fornisce un ulteriore indizio di quale sarà l’elemento portante della narrazione:

“In ogni organizzazione c’è sempre un individuo che ha capito esattamente come stanno andando le cose. Questa persona deve essere licenziata”.

E poi siamo al primo capitolo.

Oggi sarebbe impensabile utilizzare – come fece la Lufthansa – questo Junker Ju-52 per uso commerciale, eppure il trasporto di passeggeri negli anni ’30 era affidato a questo tipo di velivolo. Con 3 persone di equipaggio e ben 18 passeggerei a bordo, era in grado di volare alla fantasmagorica velocità di crociera di 200 km/h percorrendo in un tempo immane di circa 8 ore la ragguardevole distanza esistente tra Berlino a Roma sorvolando ovviamene le Alpi. Chissà se all’epoca avevano problemi di circuiti di attesa, di aeroporti alternati, di procedure strumentali, slot e Direttori aeroportuali?! (foto proveniente da www.flickr.com)

La vera storia incomincia a snocciolarsi da qui. Pagina dopo pagina entriamo in un intreccio di avvenimenti che mi riportano alla mente ricordi, diversi certamente, ma equivalenti, vissuti in questo ultimo mezzo secolo, non nel mondo del volo di linea, ma in quello degli Aeroclub, o in quello del controllo del traffico aereo. Ma anche in altri ambienti diversi. Perché certe dinamiche, certi personaggi, certi atteggiamenti, sono gli stessi. Nelle piccole come nelle grandi realtà. Sempre la stessa storia.

Ho scritto in altre recensioni che l’umanità è sempre quella, ovunque si trovi. Qualunque essere umano porta in sé le caratteristiche tipiche degli esseri umani. Nel bene e nel male. Anche se l’ho già detto e ridetto, vale la pena ripetere che un essere umano è capace di compiere le azioni più atroci, come pure quelle più elevate e nobili. Può spaziare dal peggio del peggio al meglio del meglio, con tutte le gradazioni intermedie. Ma dove si ritrova collocato in questa escursione dipende da un’infinità di fattori che è veramente difficile predire. Difficilissimo sapere chi è il soggetto che hai davanti e come potrà interagire con te e con le tue intenzioni. Se ti aiuterà o ti ostacolerà. Se ci sarà una possibilità di collaborazione o troverai soltanto ostruzionismo. Perché non si può stabilire a priori in quale parte di quella famosa possibilità di escursione tra il bene e il male si colloca il soggetto. E questo vale per tutte le persone che ci troviamo intorno.

La retrocopertina dell’ottimo libro di Alessandro Soldati che, a causa della indubbia bontà dei contenuti e della piacevolissima prosa, ha scatenato nella nostra Redazione il desiderio di analizzarlo, smontarlo e radiografarlo affinché fossero evidenziati alcuni dei suoi apprezzabili aspetti nonché i controversi spunti di riflessione a uso e consumo di piloti e passeggeri.

Dunque dipende da chi incontri.

E nel primo capitolo, infatti, troviamo subito alcuni personaggi che, come faremmo nella vita reale, possiamo già delineare. Si intuisce con chi abbiamo a che fare. Ma non troppo.

Complimenti all’autore per come ha caratterizzato i suoi personaggi. Pare di vederli.

Tutto questo prosegue nel secondo capitolo dove le situazioni si snocciolano meglio e i personaggi cominciano a rivelarsi sempre di più.

In realtà, nel continuare la lettura, seppure calamitato dallo sviluppo della vicenda tanto da non riuscire a finire un capitolo senza attaccare subito il successivo per vedere cosa sarebbe successo in seguito, mi sembrava che l’autore avesse calcato un po’ troppo la mano in certe situazioni. Troppa “cattiveria”, quasi perfidia, atteggiamenti di ripicca e di minaccia. Tutto questo si trovava ad affrontare la protagonista, praticamente ad ogni azione che cercava di compiere per raggiungere la linea di volo e poi addirittura durante il volo stesso. Sembrava che tutti, ma specialmente uno, cercassero il pelo nell’uovo per ostacolarla in ogni maniera.

La storia riguarda una serie di voli tra diversi aeroporti. Alla fine della prima tratta, durante l’avvicinamento finale alla pista, si verificano una serie di problemi che a tutta prima mi sono apparsi addirittura inverosimili. Nella mia vita di controllore del traffico aereo, avendo prestato servizio proprio sulle Torri di Controllo, non ho mai visto chiudere un aeroporto per i motivi descritti nel libro, né ho mai sentito comunicazioni tra controllore e pilota così pressanti, con richieste di conferma tanto asfissianti e continue, specie durante un avvicinamento finale. Troppo inverosimile. Sembravano richieste fatte per dispetto.

Nessun controllore metterebbe fretta ad un pilota, come descritto nel libro. E se lo fa, certamente si assume una bella responsabilità, nel caso dovesse succedere qualcosa. Inverosimile anche questo.

Inoltre mi sembrava che la protagonista del racconto, una pilota Comandante di nome Marina, fosse troppo succube nei confronti dell’altro protagonista, il suo copilota. La figura di un Comandante è di solito diversa.

Non sappiamo se, nell’immaginario dell’autore il viso del Comandante Marina, la protagonista principale del suo romanzo-parabola, somigliasse a quello di Shannon Hutchinson, certo è che quello del primo ufficiale che vola sui Boeing 737-800 della Caribbean Airlines è davvero molto molto affascinante. Possiamo comprendere come sia difficile per l’altro membro dell’equipaggio volare con lei senza distrarsi, tuttavia Shannon minimizza e, intervistata sull’argomento ha dichiarato: “Fortunatamente nel nostro settore, abbiamo procedure operative standard e corsi di gestione delle risorse dell’equipaggio che dobbiamo seguire. Questo ci consente di imparare a interagire tra di noi… non per essere gentili ma per la sicurezza operativa e per connetterci in modo interpersonale. Quindi, operativamente, non è diverso perché sappiamo tutti le stesse cose, quindi non c’è bisogno che nessuno si faccia intimidire”. Ad ogni modo – occorre ammetterlo, Shannon,  ha i lineamenti, le curve e le misure antropometriche che nulla hanno da invidiare alle modelle più famose.  Nata a Trinidad, ha unito il suo amore per il volo con quello per la pittura ed è sposata con un palestratissimo Comandante pilota (foto proveniente da www.flickr.com)

Questa Marina appare anche troppo indecisa, sia nelle decisioni tipiche della condotta di un aereo, sia nei confronti di tutti gli altri personaggi della vicenda.

Superata questa fase, nel progredire del racconto, quindi nelle altre tratte che i due piloti percorrono, ho iniziato a capire perché l’autore aveva calcato la mano su certi elementi. Voleva mettere in evidenza qualcosa.

E ci è riuscito alla grande, a mio giudizio.

Infatti mette in evidenza tutta una struttura di regole e procedure, automatismi e criteri che sono diventati talmente vincolanti da paralizzare addirittura l’unico elemento che dovrebbe invece rimanere al di sopra di tutto: il cervello umano.

Ormai gli automatismi hanno quasi annientato la figura umana e umiliato a tal punto la sua capacità di giudizio fino a farla apparire addirittura pericolosa. E così hanno reso la figura di un pilota più simile ad un Operatore di Sistema, uno che sappia spingere il bottone giusto al momento giusto e seguire pedissequamente le procedure scritte su una check list, lasciando che il resto lo faccia l’aeroplano.

Se in passato il pilota commerciale, specie se Comandante, era pressoché una divinità in terra (e soprattutto in volo), oggi è stato quasi equiparato a un semplice lavoratore, altamente qualificato – certo – ma pur sempre un lavoratore con tutto quanto di spiacevole il suo status comporta. Anche i compensi economici, seppure superiori alla media di un lavoratore dei trasporti, si sono enormemente abbassati rispetto a quando il lavoro del pilota di Compagnia aerea era uno dei meglio retribuiti nel panorama del mondo lavorativo; favolose le liquidazioni e le pensioni dei piloti di vecchia generazione. Forse rimane il mito secondo il pilota commerciale ha un’intensa vita sessuale … viceversa la stragrande maggioranza dei piloti ha difficilmente rapporti coniugali stabili, moltissimi sono i divorziati/separati o comunque vivono con molta difficoltà la gestione familiare. Un po’ come in questa foto, il pilota commerciale è spesso solo con il suo lavoro e le sue responsabilità (foto proveniente da www.flickr.com)

Ok, va tutto bene, ma insieme a questo, quel pilota dovrebbe avere anche capacità di pilotaggio manuale, capacità di reazione nelle situazioni anomale che le procedure standard non contemplano, dove ci vuole qualcosa di più, dove serve capacità di giudizio che consenta di risolvere un problema anche quando sia necessario andare addirittura contro le regole. E questa si chiama formazione. Forse oggi la formazione è stata lasciata un po’ indietro, a favore di addestramento e allenamento.

“… abbiamo messo l’Umanità al servizio delle regole e non viceversa”,

dice ad un certo punto uno dei personaggi durante una conversazione.

Niente di più vero. E questo ha consentito a personaggi dal forte ego, afflitti da motivazioni perverse, di appropriarsi degli ambienti e, sfruttando le regole, diventare una specie di dittatore, un accentratore di potere che detta legge con una crescente autorità e maniere sempre più arroganti. Una specie di Kapò, come dice l’autore.

A questi personaggi è difficile opporsi, difficile arginarli. Difficile combatterli. A loro si uniscono altri personaggi più deboli, ma altrettanto desiderosi di potere, che si alleano per avere di riflesso la loro parte di potere. Sono i leccapiedi, gente inetta e servile, subdola e falsa. Ma rafforzano i kapò.

Dato che le modalità sono le stesse nel piccolo ambiente come nel grande, non serve andare in una Compagnia Aerea per vedere queste cose. Ci sono in tutti gli ambienti. Anche negli Aeroclub.

Di solito sono personaggi che arrivano silenziosamente. Magari sono istruttori, presidenti o rappresentanti di specialità. E altrettanto silenziosamente crescono e costruiscono intorno a loro una coalizione che li sostiene. Ne ho visti un’infinità, sia nell’Aeronautica Militare che negli ambienti civili. E non mi meraviglia che ce ne siano un’infinità anche nelle Compagnie Aeree. O negli Aeroclub. Basta avvicinarsi ad una scuola di volo per adocchiare qualcuno che somigli al tipo di kapò di cui parla Soldati. Tra gli istruttori, infatti … anche se per fortuna non sono tutti così.

Come sottolineato dal recensore, le dinamiche additate da Alessandro Soldati nel suo romanzo sono facilmente estendibili al mondo del volo sportivo (quello degli Aeroclub, per intenderci) e, universalizzandole, a quelle dell’intera società in cui viviamo. Nella prefazione del libro – che per inciso, già da sola vale metà del valore del libro – il buon Alessandro Soldati scrive: “[…] Questi giovani, una volta giunti nel mondo del lavoro, saranno tutti uguali, tutti scontenti, tutti sostituibili, tutti ricattabili, tutti sottopagati, tutti precari. Tutti servi. I nuovi servi della gleba”. Come biasimarlo? In foto il tipico velivolo dell’Aviazione Generale come quelli che spesso utilizzano gli Aeroclub del nostro Paese (foto proveniente da www.flickr.com) 

Un istruttore ha il vantaggio di gestire il destino degli allievi. Per un allievo è facile mitizzare un istruttore, al quale, sin da subito affidano la loro vita, specialmente nelle prime missioni di volo. E un allievo non può capire da subito con chi ha a che fare. Passa del tempo. Ma la storia è sempre la stessa. L’istruttore, magari un incapace, subisce la presenza di altri istruttori più bravi di lui, perché gli fanno ombra. Così istiga gli allievi a volare solo con lui. Non con altri. Lasciando intendere che altrimenti se ne offenderebbe. In genere accentra su di sé un sacco di incarichi, si occupa di tutto. Diventa, per così dire, indispensabile, perché uno che libera gli altri di tante incombenze fa comodo.  Inizialmente si mostra gentile e disponibile, ma poi diventa sempre più autoritario e minaccioso. Con il risultato che molti, per timore di rappresaglie, gli si stringono di più intorno. Gli altri, quelli bravi che subiscono questo stato di cose, si tappano il naso e si allontanano. Molti se ne vanno, lasciando campo libero al kapò.

Qualcuno, magari un sognatore, irriducibile e ribelle, prova a risolvere il problema. Parla con qualcuno, un presidente o un direttore di scuola.

Alla domanda: “ma perché lo tenete?”, si sente rispondere: “perché fa comodo“.

Certo, fa comodo. Ma fa anche danni, che si paleseranno nel tempo. Quando ormai sarà difficile ricollegare la causa con il suo effetto.

Ho visto chiudere Aeroclub, ho visto succedere incidenti, per via di queste dinamiche. Ma ho visto che la strada per interrompere questo percorso, che avrebbe portato alle tristi conclusioni suddette, era chiusa.

Anche nel lavoro ho avuto modo di combattere contro personaggi e comportamenti del genere. Ho sempre affrontato tutto, ogni volta che ce ne è stato bisogno, ma nessuno mi ha mai seguito. Tutti se ne stavano in disparte, sindacati compresi. Ma soprattutto colleghi, che subivano come me lo strapotere di qualcuno, indispensabile e che faceva comodo, che però metteva tutti gli altri a rischio di qualche spiacevole conseguenza. Tutti muti. Silenzio.

La foto è stata scattata al Chicago O’Hare International Airport dopo che la torre di controllo ha comunicato ai piloti che il loro velivolo era il numero 42 autorizzato al decollo: un filino congestionato! E’ vero che l’aeroporto – il secondo al mondo per traffico di aeroplani e passeggeri – è dotato di ben 7 piste ma è pur vero che per smaltire tanto traffico occorrerà presumibilmente almeno un’ora e mezza di attesa con l’immancabile ritardo. In questo senso si comprende quanto scrive l’autore del volume nella sua mirabile prefazione: “[…] Così si affacciano nella vita degli aviatori turni di servizio perfettamente in linea con le normative ma che non sarebbero ritenuti idonei neanche per i camionisti che hanno il vantaggio enorme di potersi fermare a dormire in qualunque momento […]”

Una volta, dopo una di queste battaglie, una collega mi si avvicinò e, con voce suadente mi disse di lasciar correre. Di stare tranquillo. Le dissi che sarebbe stato anche interesse loro risolvere alla radice certi problemi. E le chiesi perché non facessero nulla.

Mi sentii rispondere, sempre con quella voce suadente: “Tu metti tensione. Noi vogliamo stare tranquilli”.

Ecco. Ho sempre saputo che il miglior alleato del guerrafondaio è il pacifista.

In questo libro però …

Pensavo che l’autore avesse esagerato le cose, avesse enfatizzato troppo gli avvenimenti, caratterizzato oltre misura i personaggi. Ma mi sbagliavo. Nella vita reale si trova anche di molto peggio. E l’intreccio della storia rende perfettamente l’idea.

Il mondo sta davvero andando in una direzione inquietante. Si cerca di automatizzare tutto, di controllare minuziosamente tutto, di risparmiare su tutto. Sacrificando però l’essenza della natura umana, trasformando le persone in automi, in una sorta di schiavi dipendenti da kapò che, in ultima analisi, sono schiavi pure loro.

Occorre comunque dire che questo libro riesce anche a portare una notevole dose di fiducia e di speranza nei nostri cuori. E’ fatto bene. La storia è strutturata in maniera magistrale e riesce davvero a comunicare ciò che stava a cuore all’autore. E indica addirittura il modo di riconoscere certi personaggi e come vanno combattuti.

Inoltre, fino alle ultime pagine, riesce a celare qualcosa che poi verrà fuori in tutta la sua evidenza, colpendo il lettore come un pugno. Bello davvero. E’ una sonora lezione di vita.

E anche se il cielo può essere pieno di guai – parafrasando il titolo del volume – ci piace immaginare che questo aeroplano voli tra i mille colori dell’arcobaleno (foto proveniente da www.flickr,com)

E con le ultime parole si ricongiunge all’appello iniziale, alla dedica:

“Ai sognatori, agli irriducibili e ai ribelli poiché, da adesso in poi, siamo nelle loro mani”. 

Eh, sì. Solo loro possono raddrizzare la brutta piega che ha preso il mondo. Anzi, diciamolo meglio: solo noi.

Speriamo, perché alla luce della mia esperienza personale e alle vicende attuali, guerre, mutamenti climatici, migrazioni di massa, delinquenza dilagante e altri malanni, ci credo poco.





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 

Andrà Bene Di Sicuro - Alessandro Soldati - Copertina in evidenza
Andrà bene di sicuro

In un cielo di Guai - ter

Storia di un pilota. Dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar” e “Storia di un pilota 2 – Dalle low cost alla conquista dell’Est

titolo:  Storia di un pilota – Dal funerale di Alitalia alla fuga in Qatar

autore: Ivan Anzellotti 

editore: Cartabianca

anno di pubblicazione: 2014 (I edizione con Phasar edizioni ), 2020 (II edizione con Cartabianca)

ISBN: 978-88-8880-536-8 



titolo:  Storia di un pilota 2 – Dalle low cost alla conquista dell’Est

autore: Ivan Anzellotti

editore: Cartabianca

anno di pubblicazione:  2020 

ISBN: 978-88-8880-534-4 



Se non fosse stato per Facebook non avrei scoperto questi due libri di Ivan Anzellotti. Me li sarei persi. Ma forse no. Fatto sta che una mia collega, moglie di un pilota di linea, aveva messo la copertina di uno dei libri sulla sua pagina Facebook, che in qualche modo me la aveva mostrata. Incuriosito, ho voluto vedere di cosa si trattasse e… immediatamente sono andato a cercare il titolo del libro su Rakuten Kobo, l’applicazione per gli ebook dei tablet Android.

Trovato. Comprato. Scaricato. Iniziato a leggerlo.

E qui … sorpresa: questo era un altro di quei libri dai quali non si riesce più a staccare gli occhi.

L’autore in due configurazioni di abbigliamento: diurna e notturna. La prima è la modalità di appassionato pilota nostalgico del McDonnel Douglas MD-80 e l’altra di astronauta di riserva della NASA, pronto a sostituire i titolari nel caso venisse loro un raffreddore. In realtà lo scatto in basso risale alla serata dell’ultimo dell’anno di qualche anno fa quando l’autore, in attesa della mezzanotte, si è messo comodo nel suo pigiamone astronautico corredato di calice e spumante per il brindisi. Quanto alla maglietta del club ufficioso degli ex piloti di MD-80, beh … non stupisce affatto che anche l’autore sia rimasto affascinato dal “mad dog” (vezzeggiativo affettuoso attribuito al MD-80) e che dunque indossi con orgoglio il logo e la sagoma del velivolo. In effetti quel modello di velivolo è stato per anni la spina dorsale dell’Alitalia nel corto e medio raggio e non c’è pilota Alitalia che non ci abbia volato. Il velivolo era robusto, facile da pilotare e da manutenere, inoltre era completamente autonomo, ossia poteva atterrare, sbarcare e imbarcare i passeggeri, sostare, avviare i motori e muoversi sul piazzale senza l’ausilio di supporto a terra. A detta del nostro consulente segreto (ex collega dell’autore): “Un aeroplano perfetto!” (foto provenienti dalla pagina Facebook dell’autore) 

Non solo per lo stile dell’autore, sempre lineare, scorrevole, senza concetti astrusi, facile da capire, nonostante l’argomento aeronautico e l’inevitabile impiego di terminologia specifica, anche tecnica. Tuttavia non mancano opportune note esplicative laddove necessario, quando i termini usati non sono di immediata comprensione. Dunque un libro per tutti, che non presenta difficoltà nemmeno per un pubblico digiuno di cose di volo.

Questo vale per tutti, come ho detto. Ma soprattutto per me, pilota con mezzo secolo di attività volativa ininterrotta, l’interesse era dovuto al fatto che mi sono trovato a leggere di cose che conoscevo molto bene, per esserci passato attraverso nei decenni scorsi. Conoscevo tutto, luoghi, fatti, persone (anche se nel libro non ci sono nomi, ovviamente), dinamiche degli avvenimenti e conseguenze delle stesse. Non conoscevo tutto solo come pilota, ma anche come controllore del traffico aereo. Incredibile.

Finito il primo libro ho subito acquistato anche il secondo, che altro non è se non il naturale seguito del precedente. ma, lo dico subito, Anzellotti ha scritto anche un terzo libro. E’ un romanzo, bellissimo, scritto bene con il suo solito stile, intitolato “Il destino degli altri. Un giallo nell’aviazione civile“. E anche qui l’interesse costringe a leggere fin quando gli occhi non ce la fanno più. Ma torniamo al primo.

Il libro comincia con l’autore che è divenuto pilota, prima nei reparti volo della Guardia di Finanza appena terminata la relativa Accademia, poi di Alitalia, per la quale vola con l’MD80 (evoluzione del DC9) ed è soddisfattissimo del proprio lavoro, dell’aereo e tutto il resto.

Ma il mondo è in continua evoluzione. E spesso l’evoluzione non va necessariamente verso il meglio. I miglioramenti, tecnologici e logistici, si portano dietro peggioramenti in altri ambiti, in altri aspetti del quadro generale. Ad esempio: l’aspetto umano.

Chiunque può osservare come le cose cambiano. E anche rapidamente.

Nessuno si sarebbe mai aspettato che la nostra compagnia di bandiera, la nostra amata Alitalia, licenziasse di punto in bianco un ragguardevole numero di piloti. Invece, in occasione della radiazione dei bireattori MD-80, si incomincia ad intravedere qualche segnale poco rassicurante. Alcuni equipaggi, invece di essere reimpiegati in altre linee e su altri aerei, vengono lasciati a casa. Non solo i piloti, ma anche il personale di cabina.

Quelli che non vengono interessati da alcun cambiamento continuano a sperare. Sono sicuri che a loro non arriverà nessuna lettera di licenziamento e che comunque la compagnia li reimpiegherebbe quanto prima. Ma già così comincia a delinearsi una certa spaccatura. Chi non ha problemi non protesta, per timore di mettersi in cattiva luce e gli altri non lo fanno per non precludersi la possibilità di essere ripescati.

Non capita tutti i giorni di trovarsi una mongolfiera nel bel mezzo del quartiere romano in cui si abita. Beh, al giovane Anzellotti e capitato anche questo … e le testimonianze fotografiche qui presenti non ammettono dubbi. (foto provenienti dalla pagina Facebook dell’autore)

I sindacati, manco a dirlo, cercano di tenere tutti tranquilli, dichiarando di avere una strategia a lungo termine che risolverà ogni problema. Pazienza, bisogna avere pazienza. E soprattutto bisogna evitare di agitarsi e protestare.

Ma alla lunga si palesa l’evidenza che le cose stanno in un’altra maniera. E’ in corso una vera e propria ristrutturazione della Compagnia. Meno personale e turni più lunghi, sempre più lunghi e più gravosi, sono la nuova realtà. Alla fine la lettera di licenziamento arriva a tutti. Anche a Ivan Anzellotti.

E qui comincia la storia del nostro autore. Quella che ci narra nel libro. Anzi, nei libri, dato che il secondo, appunto, è la continuazione del primo.

Un pilota non può restare a terra, senza volare, troppo a lungo. Per motivi che Anzellotti descrive bene nel libro, deve trovare al più presto un’altra compagnia che lo impieghi, in modo da limitare al minimo il tempo di inattività di volo.

Incomincia a mandare il suo curriculum ad altre società di trasporto aereo, anche se questo significa dover andare lontano dall’Italia, fosse pure nel bel mezzo di un deserto.

Infatti, la prima compagnia che gli risponde positivamente è il Qatar.

L’autore sul posto di lavoro. C’è chi va in ufficio, chi in negozio, chi in laboratorio, chi in officina … e in buon Anzellotti lavora in cabina di pilotaggio. Così scrive a proposito del suo lavoro assai peculiare; “Ogni volo un equipaggio nuovo. L’Alitalia è grande, siamo tanti ed è difficile volare due volte con le stesse persone. Non è come un lavoro normale, come avere colleghi di ufficio che vedi solo dalle nove alle diciassette […]. L’equipaggio è la tua famiglia […] una professione che è prima di tutto passione, poi lavoro, perché non FACCIO il pilota … SONO un pilota. O almeno lo credevo” (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Anzellotti dice che a quel tempo non sapeva neppure troppo bene dove fosse il Qatar. E devo dire che anch’io non l’ho mai saputo con precisione fino a poco tempo fa. Ma ricordo di averlo sentito nominare da qualcuno che ci era stato e che lo chiamava “il sabbione“. Praticamente un’oasi artificiale circondata dal deserto.

Non devo certo, nella mia recensione, rivelare tutti i passaggi dell’avventura di Anzellotti nel mondo. Meglio lasciarli al piacere della lettura. Basterà dire che il Qatar è solo la prima tappa di un lungo cammino. Un percorso denso di soddisfazioni, almeno professionali, ma anche irto di ostacoli dovuti alla differente mentalità, agli usi e al modus vivendi, al cibo, al clima, dei paesi nei quali si sposta cambiando compagnia aerea.

I due libri coprono tutta la carriera di Ivan Anzellotti fino ai giorni nostri. Dall’Oriente all’Europa e di nuovo in Oriente, volerà ovunque, trasportando passeggeri in un gran numero di paesi, compresa la Cina, l’India, l’Alaska e l’America. Piloterà i nuovi Airbus A320, ma anche il vecchio e meraviglioso Boeing 747, che resterà nel suo cuore (come è rimasto nel cuore di tutti coloro che lo hanno pilotato).

Ci sono eventi naturali che ancora lasciano letteralmente basiti l’uomo del XI secolo … e questo è uno di quelli! Specie se poi, a riprenderlo, si ha la fortuna di essere a bordo di un aeroplano commerciale in volo notturno (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

In mezzo alla lunga storia c’è anche il suo matrimonio. Ed è proprio per salvare il suo matrimonio che dovrà rinunciare al 747, che lo portava ad essere sempre lontano da casa per lunghi periodi.

Di nuovo un cambiamento. E il ritorno all’Airbus A-320.

Nel frattempo, però, tutti questi cambiamenti avevano un motivo importante, tra gli altri: nonostante le promesse e le rassicurazioni di essere promosso a Comandante, dopo aver frequentato il relativo corso, passava il tempo, gli anni, ma del corso non si sapeva mai nulla di concreto.

Il primo libro termina con gli ultimi tre capitoli che ben descrivono la situazione del momento e offrono un chiaro indizio su cosa leggeremo nel secondo. Continua il racconto degli avvenimenti e continua anche un costante riferimento a qualcosa che accompagna sempre tutti i mutamenti di scena, le vicende, i fatti e la vita giornaliera. Qualcosa che regola perfino i rapporti interpersonali tra i colleghi, a terra come in volo.

Perché c’è un elemento che è andato delineandosi nel corso di tutta la narrazione, crescendo pagina dopo pagina, fino a costituire ormai il soggetto principale dei due libri e perfino, anzi soprattutto del terzo, che è un romanzo e del quale parleremo tra breve in un’altra recensione. Non esiste una sola parola, un termine univoco che definisca l’elemento di cui sto parlando. Ma è qualcosa che prima non c’era. Silenziosamente è entrato in ogni realtà, in ogni ambiente di lavoro, in ogni ambito sociale. Non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo.

L’autore quando, giovanissimo, militava tra le file della Guardia di Finanza. Dietro di lui è facilmente riconoscibile il Piaggio P-166 DL3 (affettuosamente chiamato “Piaggione”) che all’epoca costituiva una componente ad ala fissa del Servizio Aereo dell’arma (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

E’ una sorta di disumanizzazione, un cambiamento sottile, costante e inesorabile che ha costretto tutti a cambiare mentalità, a vedere le cose in modo diverso, a modificare nella nostra visione del mondo la vecchia scala dei valori che ci aveva accompagnato per decenni. E a modificare la scala delle nostre priorità. Se dovessi proprio individuare un termine per definire questo processo, lo chiamerei degenerazione.

Il terzultimo capitolo si intitola “I nuovi schiavi“. Un titolo rivelatore…

Anzellotti fa riferimento a quelle popolazioni che:

“vivono in Paesi poverissimi, che vengono deportate in massa nelle nazioni del Golfo Persico a lavorare per due soldi come schiavi, nell’indifferenza del resto del mondo che non sa o non vuole sapere”.

Non è storia del passato. Stiamo parlando della realtà di oggi. Non ci vuole molto per scoprirla, anche se a volte è celata a regola d’arte, proprio perché sembri qualcosa di diverso.

Dice Anzellotti:

“La schiavitù c’è ancora ma si trasforma, si ammoderna, sta al passo con i tempi, così si può nascondere tra le definizioni che non la identificano più, ma se guardi bene è sempre presente, perché senza gli schiavi i ricchi non esisterebbero”.

Davvero? E’ realmente cosi? Il lettore si può porre queste domande. Potrebbe essere sorpreso, impreparato, di fronte ad una rivelazione del genere. Possibile che al giorno d’oggi esista ancora la schiavitù? Quella vera? Forse in certi paesi arretrati, di sicuro non in quelli moderni. Non nel nostro.

“Una delle tante vergogne italiane: MD-80 Alitalia buttati a marcire sul prato all’aeroporto di Fiumicino”. Cos’ì commenta il buon Ivan Anzellotti lo scempio ritratto in questo scatto. Un colpo al cuore di chi ha tanto volato (nel ruolo di pilota) con queste macchine volanti e che intristisce qualunque appassionato di aviazione, militare o commerciale che sia. E dire che l’MD-80 fu una scelta felice, sebbene scaturita da considerazioni politico-diplomatiche anziché solo logistiche-strategiche. La leggenda narra infatti che all’inizio degli anni ’80, la McDonnell Douglas non se la passasse proprio bene e, di contro, l’Alitalia aveva la necessità di rinnovare/rimpolpare la propria flotta. All’epoca era Presidente del Consiglio dei Ministri Giovanni Spadolini mentre negli Stati Uniti era presidente l’ex attore Ronald Reagan. Non si sa come, fatto è che l’Alitalia si ritrovò una flotta di 90 esemplari di MD-80 fiammanti con cui coprire il corto e il medio raggio. Fortunatamente le macchine si rivelarono davvero valide e relativamente familiari a piloti e tecnici in quanto tecnologicamente nascevano dalla costola del Douglas DC-9, di cui la flotta Alitalia era in larga parte già formata. In effetti – caso strano – la politica fece una scelta assennata o comunque fortunata tanto che nel libro di Anzellotti si può leggere: “Noi piloti di MD-80 siamo la colonna portante  della compagnia; novanta aerei una volta […], ma accidenti, solo in America ne hanno più di noi.” Una volta, appunto. (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Eh! L’elemento di cui parlavo è proprio questo. Ed è il vero soggetto dei te libri di Anzellotti.

“Ci sono schiavi di serie A, di serie B e poi più giù a scendere fino alla posizione più bassa, dove trovi quelli veri e propri, quelli di una volta, delle piramidi d’Egitto o dei campi di cotone americani. Cosa li differenzia? Il livello di privazione della libertà personale, ovviamente, e piccoli trucchi su come assicurare un regolare contratto di lavoro e un salario, così tutto è a norma di legge, senza che nessuno possa dire che ti sta schiavizzando!”.

Ecco spiegato il concetto in poche e chiare parole, quelle di Anzellotti. Riporto solo queste, per far capire di cosa si sta parlando, ma nel terzultimo capitolo ci sono pagine e pagine, con esempi concreti. Con esempi di libertà personali negate, compresa quella di lasciare il Qatar e andare in vacanza senza prima aver chiesto il permesso e averlo ottenuto.

Anche ad un pilota di linea? Certamente! Infatti Anzellotti era in procinto di sposare una ragazza con la quale aveva una relazione da tempo, ma non era libero neanche di andarla a trovare quando voleva, senza dover mettere in atto stratagemmi complicati e addirittura pericolosi, per lui e per lei.

Il capitolo successivo si intitola: Questo matrimonio non s’ha da fare. E’ il penultimo.

Ma l’ultimo è ancora più eloquente: La fuga.

Qui finisce il primo libro. Abbiamo già intuito che l’elemento costante, vero soggetto dei libri, è il subdolo, lento, costante mutamento della condizioni di lavoro dell’epoca moderna, che schiavizzano i lavoratori di ogni tipo, senza riguardo per la loro professionalità, le loro necessità, come il riposo, la vita privata etc. E perfino senza riguardo per la loro sicurezza. E nemmeno, a volte, per la sicurezza dei passeggeri di un aereo di linea.

Questo fotogramma, presumibilmente a colori, proviene dall’angolo più remoto della fototeca di casa Anzellotti; lo ritrae in tenerissima età mentre, con il viso che rivela la più sincera incredulità mescolata con giocosa soddisfazione, sembra guardare il suo fotografo per dirgli: “Un dirigibile!!!!”. Era il famoso dirigibile della Goodyear che all’epoca svolazzava nell’area romana (avendo come base un’area adiacente all’autostrada Roma-Firenze, all’altezza di Capena – Roma) e svolgeva attività pubblicitaria e turistica. A distanza di tanti anni il bambino cresciuto di nome Ivan Anzellotti ha così commentato la sua esperienza: “Ebbene sì, ho volato anche sul dirigibile, ma non lo pilotavo io… non arrivavo ai comandi!” Fortuna che l’era dei dirigibili era già bella che finita … altrimenti siamo certi che sarebbe stato un ottimo pilota dei dirigibili. Di Nobile. Magari nella vita precedente lo è stato davvero. (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Il secondo libro comincia con la citazione di un anonimo,la prima pagina:

“Un cattivo manager prende del personale eccezionale e lo distrugge, fa fuggire i migliori e demotiva i pochi rimasti”.

Il geniale Ivan Anzellotti ha scelto questa frase che da sola varrebbe un’intera recensione del libro, condensata in pochissime parole.

E ha anche definito l’altro aspetto di quell’elemento costante che è il vero soggetto del libro: la mancanza di professionalità, il pressapochismo, l’improvvisazione, la mentalità del ruba galline, elementi di quella degenerazione che ha invaso ogni realtà, ogni ambiente. Nel mondo intero.

Certamente non mancano elementi positivi, come l’esperienza, la conoscenza di paesi, popoli, realtà di ogni tipo. Nel libro accompagneremo l’autore in tutti questi avvenimenti. Con il suo modo di scrivere ci farà sentire come se fossimo lì insieme a lui, perfino in cabina di pilotaggio.

Sono libri preziosi, questi. Offrono la possibilità a chi non è un pilota di linea, a chi non ha girato il mondo, di chiudere il libro e sentirsi come se avesse vissuto proprio quel ruolo. Questi libri arricchiscono. Aprono la mente. Aiutano a comprendere le nuove realtà. A capire in che direzione stiamo andando.

Avevo detto, all’inizio, di conoscere tanti aspetti della narrazione di Anzellotti.

Il primo aspetto riguarda il suo luogo di nascita: Roma. Ma non Roma in generale. E’ nato a cinquanta metri dal portone di casa mia. E’ vissuto nel mio quartiere.

Ha volato all’aeroporto dell’Urbe, dove anch’io volo dall’inizio del lontano 1973.

Un enorme cumulo minaccia di degenerare e diventare dunque un temibile cumulonembo; sembra avvicinarsi lento e inesorabile ai velivoli Alitalia in sosta nel piazzale di un qualche aeroporto italiano. Sembra l’evocazione di quanto accadrà alla Compagnia di bandiera del nostro paese che, dopo una serie infinita di cumulonembi ha avuto la peggio ed è stata alfine annientata, personale navigante compreso. (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Volava con il vecchio MD-80. Lo stesso tipo di aereo con il quale andavo e tornavo dagli aeroporti dove lavoravo come controllore del traffico aereo. Forse ho perfino volato con lui e magari, qualche volta, gli avrò dettato la clearance, o  lo avrò autorizzato al decollo. Chissà.

Le vicende relative alla radiazione dell’MD-80, alle varie ristrutturazioni dell’Alitalia, seppure avvenute in un altro ambito del Traffico Aereo, hanno interessato anche il nostro, quello del Controllo. Conosco tanti piloti E le loro storie.

E poi c’è il mondo del volo. Quello degli Aeroclubs. Aviazione Generale invece che Aviazione Commerciale. O Aviazione Militare.

Ma sempre di Aviazione si tratta.

E anche l’Aviazione generale ha visto mutare gli ambienti sotto la spinta della modernizzazione, accompagnata, purtroppo, da quella degenerazione di cui ho parlato sopra. Hanno fatto la loro comparsa personaggi inadeguati che hanno preso le redini di Aeroclubs, istruttori pieni di sé, che non conoscono le regole ufficiali e che impongono le proprie in quella che considerano la LORO linea di volo, che non seguono una progressione didattica ufficiale, ma solo la propria. Ho visto Aeroclubs chiudere per questi motivi, nei decenni scorsi.

Una volta si chiedeva di non calpestare le aiuole per non danneggiare il prato o i giovani virgulti appena messi a dimora, oggi lo stesso cartello può essere utilizzato a proposito di tutti i lavoratori o comunque di talune categorie di lavoratori dipendenti, non ultimi i piloti commerciali che – occorre ricordarlo – hanno sempre svolto la loro professione in una condizione privilegiata; forse proprio per questo hanno accusato maggiormente il colpo quando le impietose leggi di mercato e gli squallidi accordi contrattuali li hanno riportati alla terribile realtà – quella del mondo del lavoro – in cui già da anni gli altri lavoratori annaspavano impotenti (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Nella piccola realtà degli Aeroclubs troviamo le stesse dinamiche che Anzellotti descrive nei suoi libri e che riguardano grandi compagnie aeree. Un cattivo Comandante, che domanda al suo secondo la differenza di lunghezza tra l’aereo sul quale stanno volando e un altro modello, o che annaspa alla ricerca di un comando sul cruscotto, non è tanto diverso da un istruttore che, invece di spiegare e formare gli allievi secondo la normativa ufficiale, impone metodi propri alla luce del “si fa così perché lo dico io…“.

Poi, quando avvengono incidenti, difficilmente si arriva alla ricostruzione precisa, quella che spiegherebbe l’interazione tra causa ed effetto. Ho visto anche accadere brutti incidenti per questi motivi.

Spesso si seguono criteri di risparmio a tutti i costi, si risparmia sulle manutenzioni, sulla formazione del personale, sul benessere del personale, sul riposo necessario fra un turno e l’altro, sul costo di un corso comando per permettere la carriera dei piloti che da troppo tempo siedono a destra in cabina di pilotaggio. Si preferisce prendere comandanti già fatti da altre compagnie. E si costringono gli eterni secondi a lasciare la Compagnia per cercarne una migliore. Ricominciando da capo, però.

Siamo arrivati all’assurdo: ho sentito dire che ora si pensa addirittura ad un solo pilota a bordo. Sarebbe un bel risparmio, pagarne uno invece di due…

Piloti e controllori sono due parti diverse dello stesso mondo. Quando ho detto che conoscevo ogni cosa descritta da Anzellotti nei suoi libri intendevo che ci sono passato attraverso anche dalla mia parte ed ho osservato i tempi mutare insieme a lui.

Un ultimo fatto, stavolta decisamente simpatico. Sulla pagina Facebook di Ivan Anzellotti ho visto le foto di una mongolfiera atterrata in piena città, in un incrocio tra tre strade, proprio dietro casa mia, negli anni ottanta. Aveva avuto un’avaria in volo ed era finita lì. Nelle foto Anzellotti aveva circa 14 anni e compare in due immagini.

Capita, a volte capita, e a Ivan Anzellotti è capitato e questo scatto lo testimonia … cosa? Il regalo speciale di un giovanissimo passeggero che, oltremodo riconoscente per l’ottimo servizio prestato, ha omaggiato il suo pilota con un suo personalissimo disegno. Da notare l’assetto del velivolo che non minaccia nulla di buono! E’ comunque con questa dimostrazione di affetto che preferiamo chiudere la recensione, giacché testimonia il grande affetto che tutti noi passeggeri nutriamo nei confronti dei piloti, specie quelli come Ivan Anzellotti che, nonostante tutte le vicissitudini vissute e subite, continuano a volare con passione. Grazie a nome di tutti. (foto proveniente dalla pagina Facebook dell’autore)

Una rivelazione. Ecco, di questo fatto non avevo mai saputo nulla.

Questi libri costituiscono una eccellente divulgazione di cose aeronautiche senza la quale molti non saprebbero mai nulla di tutto ciò. Ma non ci sono solo i libri. Anzellotti ha anche un canale YouTube attraverso il quale la sua opera divulgativa continua.

Non è rivolto solo a chi già fa parte del mondo del volo. I suoi video sono di straordinario interesse e sono rivolti a tutti.

Proprio a tutti.

Con malcelata soddisfazione concludiamo questa recensione informando i visitatori del nostro hangar che, a partire dal novembre 2023, i due volumi sono disponibili anche in lingua inglese. Una nota di merito va espressa a favore all’editore che si è reso disponibile nell’effettuare un’operazione inusuale nel panorama editoriale italiano ma che è anche il giusto riconoscimento a un autore meritevole di credito illimitato.





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 


Storia di un pilota. Dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar" e "Storia di un pilota 2 - Dalle low cost alla conquista dell'Est

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell'aviazione civile

Roald Dahl. Come da pilota da caccia divenni scrittore

Un’intenso primo piano del protagonista di questa biografia … giusto per dare un volto al suo nome e cognome. Dahl è recentemente assurto all’attenzione delle cronache giornalistiche giacché la sua casa editrice, in virtù di una profonda esigenza di “revisionismo” e sull’onda di quanto fece qualche anno fece per prima la Disney a proposito dei personaggi dei suoi films, si è presa la briga di provvedere a una radicale rielaborazione dei numerosi testi per bambini dell’autore con l’eliminazione di quelle frasi, caratterizzazioni e uso di aggettivi poco inclusivi, potenzialmente offensivi o comunque spiacevoli nei confronti di razze, colore, peso e caratteristiche fisiche in genere. Insomma, a detta dell’editore, i testi di Dahl erano troppo razzisti, sessisti, insensibili nei confronti dei grassi, dei brutti, delle streghe e dei cattivi in genere e dunque andavano addolciti, resi più educativi più inclini al clima di tolleranza civile contemporaneo. La notizia ha riempito i media britannici e, fortunatamente, è a malapena apparsa in quelli nostrani. In effetti mettere mano a testi scritti da una persona geniale nata nel 1916 e vissuta in un mondo completamente diverso da quello attuale (benché guerre e miseria siano perduranti) lascia molto perplessi e semmai è questo aspetto che scandalizza davvero. Che poi i britannici siano sempre stati dei sciovinisti egocentrici con la puzzetta sotto il naso non è una novità e che cadano talvolta nel ridicolo non stupisce affatto; dunque riallinearsi al resto del continente non è del tutto fuori luogo … anzi, era ora! … è pur vero che val bene addolcire certe espressioni del linguaggio corrente per attribuire una maggiore dignità alle persone (lo spazzino che diventa collaboratore ecologico, ad esempio) ma sostenere che il salvifico bacio dato dal principe azzurro alla signorina Biancaneve non è consensuale e dunque si tratta di una forma di abuso sessuale, beh … ce ne corre! D’altra parte cosa dovremmo fare noi italiani? Revisionare secoli di letteratura per non indispettire la sensibilità altrui? E, nel caso specifico, dovremmo censurare le favole di Gianni Rodari o quelle di Italo Calvino o il Pinocchio di Collodi, tanto per citarne alcuni? Stendiamo un velo pietoso e leggiamo la narrativa per l’infanzia con gli stessi occhi innocenti dei bambini per i quali gli orchi non sono mai affascinanti e Cappuccetto Rosso è semplicemente una bambina indifesa. La malizia di vedere nel Gatto e la Volpe due omosessuali inveterati ce l’hanno solo gli adulti. Allo stesso modo prendiamo Roald Dahl quello che fu, nel bene e nel male; noi lo ricordiamo  specie come il pilota che divenne scrittore (foto proveniente da www.flickr.com)

Era il classico gentleman inglese, somigliava un po’ a Lawrence d’Arabia, il volto lungo e i capelli con una perfetta riga a lato. Per tutta la sua vita Roald Dahl rappresentò la quintessenza del suddito devoto e orgoglioso della grandezza dell’impero Britannico, pronto a sacrificarsi affinché sua maestà potesse regnare ancora per secoli sui suoi vasti possedimenti. Solo quando prese servizio nella RAF, in volo sul suo aereo da caccia, in Grecia e in Medio Oriente, si rese conto che l’epoca d’oro dell’impero stava finendo, travolto dall’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale:

“Ora, quindi, ci erano rimasti in Grecia sette Hurricane in grado di volare, e con questi avremmo dovuto fornire copertura aerea all’intero corpo di spedizione britannico che stava per essere evacuato lungo la costa. Tutta la faccenda era una ridicola farsa”,

 scrisse.

Risale a quel periodo, infatti, uno dei primi racconti di Dahl, Un gioco da ragazzi, poi pubblicato sulla rivista americana Saturday Evening Post con il titolo più eroico e bellicista di “Abbattuto in Libia”.

Ma come c’era finito lì, lui che solo un anno e mezzo prima non era mai salito su un aeroplano e non aveva mai manifestato alcuna passione per il volo? Spirito di servizio, dedizione alla causa e forse la voglia di avventura che da sempre aveva guidato le sue scelte di vita.

Scrive alla madre, il 4 dicembre 1939, in un telegramma inviato da Nairobi:

“Cara mamma, sto passando un periodo bellissimo, non mi sono mai divertito tanto. Ho prestato giuramento alla RAF e adesso ci resterò fino alla fine della guerra. Il mio grado è di Leading Aircraftman (aviere scelto) con buone possibilità di diventare sottotenente in pochi mesi, se non mi dimostro una schiappa”.

Roald Dahl ha ventitré anni e da poco ha chiesto alla compagnia per cui lavora in Africa, la Shell Oil Company, un periodo di congedo pagato, per andare a servire la patria combattendo “e dare una mano contro bwana Hitler”, come ricorda nella sua autobiografia, In solitario. Diario di volo. Manca dall’Inghilterra da un anno esatto e vende benzina e gasolio in Africa per conto della compagnia petrolifera con la conchiglia.

“Troppo alto per volare?” E’ questa la domanda che pone ai visitatori la figura cartonata di Roal Dahl ritratto a misura reale quando, giovanissimo, militava tra le file della RAF. E in effetti, a giudicare dal confronto con il bambino alla sua sinistra, il pilota Roald Dahl era effettivamente altissimo … ma all’epoca occorrevano tutti i piloti disponibili per difendere i cieli patri e, benché curvo sui comandi o rannicchiato nella cabina, purché potesse pilotare e sparare al nemico, anche un fuori misura andava bene! Evidentemente l’ergonomia e in comfort di pilotaggio all’epoca erano dettagli davvero insignificanti. La foto riporta un angolo molto frequentato del museo dedicato allo scrittore; si trova in terra britannica presso la località di Great Missenden, nella contea del Buckinghamshire, non lontano da Londra. Lì visse fino all’ultimo dei suoi giorni e lì è sepolto nel cimitero dove una semplice lastra di marmo scuro riporta il suo nome, la sua data di nascita e quella della sua dipartita. Tornando all’immagine, sono da notare le numerose targhette che indicano le misure antropometriche degli svariati personaggi ideati dalla mente visionaria di Dahl (foto proveniente da www.flickr.com)

Chi si fosse imbattuto in lui, nelle strade di Londra o sulla metropolitana, lo avrebbe certo notato: un giovane alto quasi due metri – troppo per un aspirante pilota; alla prima visita medica a Nairobi lo volevano scartare – con bombetta e ombrello di ordinanza, come conveniva allora a tutti i gentleman della city. Tempo prima ha inoltrato domanda alla Shell, perché il suo desiderio più grande è viaggiare in terre esotiche, al contatto con la natura primitiva.

Inaspettatamente, molti sono i candidati, Roald Dahl ottiene un posto; ne è orgoglioso ma un po’ stupefatto. Dopo un lungo periodo di tirocinio, prima nella City poi in giro per l’Inghilterra come venditore di carburante, la Shell gli propone di rappresentare gli interessi della compagnia in Africa Orientale.

Per il futuro scrittore, andare a osservare da vicino i grandi animali della savana è l’avverarsi di un sogno, che ha colmato di affascinanti immagini le sue notti fin da bambino, di un desiderio che si realizza.

I genitori di Roald sono entrambi di origine norvegese, di Oslo. Il padre, Harald, e suo fratello sono due tipi molto intraprendenti. Capiscono che la Norvegia offre poche prospettive e opportunità di lavoro, così emigrano prima in Francia poi in Inghilterra, dove fanno fortuna nel commercio.

Roald ha due anni quando la famiglia Dahl si trasferisce in una lussuosa villa di campagna, poco lontano da Cardiff: è il 1918 e Roald ha due anni. Nei tre anni successivi la cattiva sorte piove sui Dahl come una grandinata: muoiono la piccola Astri e, pochi mesi dopo, il capofamiglia che non regge al dolore e si lascia morire.

Il Gloster Gladiator fu il velivolo con cui Roald Dahl compì un rocambolesco quanto rovinoso atterraggio nel deserto. E’ ricordato anche come l’ultimo caccia biplano in forza alla RAF e alla Royal Navy ma, a differenza del famoso Fiat CR-42 Falco italiano che rimase in servizio durante tutta la II Guerra Mondiale, il Gladiator fu ritirato rapidamente dalle prime linee per lasciare posto a ben più moderni Hawker Hurricane. (foto proveniente da www.flickr.com)

La madre di Roald, incinta, si ritrova così sola con cinque figli da sfamare. Ma Sofie Magdalene, è una donna forte e si appresta ad affrontare questa nuova fase della vita con determinazione e coraggio. Vende la grande casa, che non sarebbe riuscita più a gestire da sola, e lei e i bambini si trasferiscono in una più piccola. Dentro un baule porta con sé parecchie decine di taccuini che il marito aveva riempito, ogni singolo giorno, durante la Prima Guerra Mondiale. Roald, che disse di averne conservato uno, considerava il padre “uno straordinario scrittore di diari”.

Dopo aver frequentato la Scuola della Cattedrale dl Llandaff, da dove si fa quasi cacciare, la vedova Dahl iscrive il figlio alla St Peter’s School: considera le scuole inglesi – loro vivono poco distanti però nel Galles – come le migliori al mondo e mai avrebbe rinunciato ad assicurare al giovane Roald un’istruzione di alto livello, degna della loro famiglia.

Boy, così in famiglia l’hanno sopranominato, inizia una fitta corrispondenza con la madre, una lettera la settimana, che continuerà fino alla sua morte, nel 1957; le scriverà da scuola, dai luoghi di lavoro in Gran Bretagna e in Africa, e durante la guerra in Medio Oriente, mentre sul suo Hurricane cerca di contrastare i caccia della Luftwaffe: seicento lettere, che lei aveva scrupolosamente conservato, all’insaputa di tutti, e che lui ritroverà in seguito.

Sulla pagella di Boy, del III trimestre del 4° anno, figurano un “ottimo” in lingua inglese e voti poco più che sufficienti o discreti nelle altre materie, con un “molto buono” in condotta. Per far fronte ai lunghi mesi invernali di reclusione dentro i muri della St Peter’s School – “il manicomio” – lo chiama Roald, Boy ripensa alle sue vacanze estive che trascorre in una piccola e sperduta isola norvegese.

Roald Dahl è stato un prolifico autore di romanzi, racconti, sceneggiature, poesie e addirittura un’opera teatrale. Quelli ritratti in questo scatto sono solo una minima parte dei suoi volumi, molti di grandissimo successo editoriale e quasi tutti tradotti in innumerevoli lingue a testimonianza della bontà delle notevoli capacità letterarie di Dahl.

Puntualmente con l’arrivo della bella stagione, per dodici anni consecutivi, parte, assieme alla madre e ai fratelli, per raggiungere, dopo un avventuroso viaggio per mare e per terra di quattro giorni, la terra dei suoi avi. Per lui è una gioia immensa immergersi nella natura di “quell’isola magica” in un paese cui si sente profondamente legato, pur non essendovi mai vissuto se non per i brevi periodi di quelle “idilliache vacanze”. 

Vestito di tutto punto, indossando la divisa d’ordinanza, camicia bianca con colletto rigido, calzoni neri solcati da sottili righe grigie, bretelle, panciotto e infine una marsina, anch’essa di color nero, a coda di rondine, Roald entra a Repton: – Mi sentivo come “un apprendista di un impresario di pompe funebri” – scrisse nella sua autobiografia.

Il famoso collegio privato si trova nelle Midlands, a circa tre ore di treno da casa: è la fine estate del 1929 e Boy ha compiuto tredici anni. Nel primo trimestre, quasi schiavizzato dagli studenti più grandi, è obbligato da questi a scaldargli, durante i rigidi inverni inglesi, la ciambella del water, prima che questi ci si siedano. Per passare il tempo, seduto sulla tazza del cesso, in quei primi freddi mesi a Repton, legge l’opera completa di Dickens, l’autore che influenzerà molto i libri per bambini di Roald Dahl.

Il giovane Dahl però matura, durante quegli anni di collegio, due passioni che saranno per lui una sorta di riscatto: la fotografia ma, soprattutto lo sport: il gioco della pelota; è promosso, grazie alla sua abilità di calciatore a capitano, il che significa, nelle rigide istituzioni scolastiche private inglesi, essere degno del massimo rispetto e oggetto di ammirazione.

Con la pelota, la sua noiosa vita a Repton cambiò di punto in bianco e la prospettiva di trascorrere ancora altri anni in quella polverosa scuola divenne più tollerabile, anche perché il suo professore d’arte gli aveva fatto nel frattempo scoprire la fotografia e la pittura. Diventa così abile con la macchina fotografica che inizia a vincere premi; diverse illustri e blasonate organizzazioni, come la Royal Photographic Society o la Photographic Society of Holland lo premiano.

Al momento di scegliere l’Università, era destinato a Oxford o Cambridge, Roald però rinuncia e confessa alla madre di voler:

“andare dritto a lavorare per qualche compagnia che mi mandi in meravigliosi paesi lontani, come l’Africa o la Cina”.

E la Shell, dove è assunto nel 1933, qualche anno dopo lo accontenterà.

Il cognome Dahl è divenuto famoso anche per un’invenzione che nulla ha a che fare con la letteratura o l’aviazione: è la valvola Wade-Dahl-Till. Andò così: uno dei figli di Roald, Theo, era affetto da idrocefalia a causa di un disastroso incidente automobilistico. Per risolvere il suo grave problema di salute gli fu impiantata una speciale valvola che però tendeva ad incepparsi in quanto incapace di funzionare a causa dei detriti del liquido cerebrale, specialmente in pazienti in cui era presente sanguinamento e danno cerebrale come in Theo. Quando avveniva i disturbi provocati erano terribili (dolore, cecità e rischio di danni cerebrali permanenti) e talvolta richiedevano un intervento chirurgico d’urgenza. Dahl catalizzò le capacità del neurochirurgo infantile Till dell’ospedale pediatrico presso cui era in cura Theo e dell’ingegner Wade, ingegnere specializzato in idraulica di precisione con il quale condivideva la passione per l’aeromodellismo dinamico. Assieme misero a punto una nuova rivoluzionaria valvola che porta il loro nome: Wade-Dahl-Till, appunto. (foto proveniente da www.flickr.com)

Agli inizi degli anni trenta l’Europa è in preda ad una grave crisi economica e sociale, dopo il crollo di Wall Street del ’29. Mussolini è al potere da ormai un decennio e Hitler si appresta a edificare il Terzo Reich e a occupare e soggiogare quasi l’intero continente, mentre in Unione Sovietica Stalin è saldamente al potere. È l’inizio della fine per l’Impero Britannico.

Un’altra bella immagine di Roald Dahl che deve il suo nome di battesimo alla scelta operata dei suoi genitori in onore dell’esploratore norvegese Roald Amundsen, considerato in Norvegia un vero e proprio eroe nazionale e tragicamente scomparso tra i ghiacci nel vano tentativo di prestare soccorso al suo amico-nemico italiano Umberto Nobile, precipitato sul pack nel 1928 con una parte del suo equipaggio del dirigibile Italia … ma questa è un’altra storia. (foto proveniente da www.flickr.com)

Al momento dello scoppio della guerra, Roald si trova a Dar es Salaam, ed è in partenza per Nairobi, dove ha sede un centro di addestramento della RAF, l’aviazione inglese.

Dedicherà a questo periodo della sua vita africana il libro autobiografico In solitaria, che uscirà, con il titolo originale Going solo, nel 1986. Preso il brevetto di volo, con ottimi voti, è pronto ad andare a combattere. Durante però uno dei primi voli di trasferimento, a causa di errate indicazioni di rotta avute da un comandante di una base aerea, sorpreso dal buio, deve atterrare a bordo del suo biplano da guerra Gloster Gladiator in pieno deserto, in una zona accidentata: sceglie un tratto di terreno meno sassoso degli altri e posa le ruote a terra sobbalzando, incrociando le dita; non ha fortuna. A più di cento chilometri l’ora il muso del biplano si conficca nel terreno e la testa di Roald urta violentemente contro l’abitacolo. Il colpo gli causa un trauma cranico, la perdita della vista e denti rotti, e solo il suo istinto di sopravvivenza gli consente di uscire dal posto di pilotaggio già avvolto dalle fiamme. Una pattuglia di soldati inglesi lo recuperano in fin di vita.

l giovane pilota e futuro scrittore passa molti mesi in ospedale, con le bende sugli occhi e il volto attraversato da cicatrici, i segni degli interventi chirurgici, che gli avevano restituito la parvenza di un viso normale, cui i medici dell’ospedale anglo-svizzero di Alessandria d’Egitto lo avevano sottoposto.

Il 20 novembre del 1940 scrive alla madre dall’ospedale:

“Sono arrivato qui otto settimane e mezzo fa, e sono rimasto steso sulla schiena per sette settimane senza far niente. (…) Quando sono entrato ero conciato un po’ male (…) ma quaggiù hanno i più portentosi specialisti di Harley Street che sono entrati in servizio con la guerra. (…) Mi dolgono ancora gli occhi se leggo o scrivo molto, ma dicono che torneranno normali, e che sarò di nuovo pronto a volare più o meno fra tre mesi”.

Nel marzo del 1941, dopo cinque mesi di ospedale e uno di convalescenza che passa in un lussuoso hotel del Cairo, una commissione medica della RAF lo giudica di nuovo idoneo a pilotare, in zona di guerra, un caccia. Roald stenta a crederci quando gli restituiscono il suo libretto di volo: solo pochi mesi prima i medici gli avevano prospettato la possibilità di dichiararlo invalido e di rispedirlo in patria. Così si ritrova a bordo pista, pronto a decollare per il fronte greco, su di un aereo mai visto prima:

La splendida linea dell’Hawker Hurricane che, assieme ai Supermarine Spitfire, arginarono gli attacchi della Luftwaffe nel corso della Battaglia d’Inghilterra. Ancora oggi ne volano diversi esemplari, specie in Gran Bretagna. Chissà che questo possa indispettire i tedeschi del XI secolo?! (foto proveniente da www.flickr.com)

“Ero sbalordito quando mi allacciai per la prima volta le cinture nell’abitacolo dell’Hurricane. Era la prima volta che volavo su un monoplano. Era senza dubbio il primo aereo moderno su cui volavo. Era infinitamente più potente e veloce e complicato di tutti quelli che avevo visto. (…) Non avevo mai pilotato niente di simile. (…) L’idea di tuffarmi nel Mediterraneo mi preoccupava infinitamente meno del pensiero di rimanere per quattro ore e mezzo in quella minuscola cabina di pilotaggio. Ero alto un metro e novantotto centimetri, e quando ero seduto in un Hurricane assumevo la posizione di un feto nel grembo materno”.

Arrivò a destinazione, la base aerea di Eleusi, a pochi chilometri da Atene, dopo quattro ore e mezzo di volo. Le gambe erano così rattrappite che gli avieri, a terra, dovettero estrarlo a peso morto dall’abitacolo. 

Forse è durante quel volo che partorì l’idea della storia dei Gremlin, una sorta di spiritelli dispettosi che, secondo i piloti, si intrufolavano negli aeroplani della RAF smontando pezzi e causando danni: gnomi dispettosi e pericolosi.

Dahl proporrà il racconto qualche anno dopo alla Disney che affidò ai Gremlin un ruolo in un fumetto, pubblicato dalla Random House da titolo, The Gremlins. Una storia ambientata nella RAF, del tenente pilota Roald Dahl, dove, durante la Battaglia d’Inghilterra, un pilota da caccia incontra un gremlin:

Come testimonia la copertina di questo consunto libro, il romanzo “The Gremlins” ha come protagonista un Hawker Hurrican e le piccole creature dispettose divenute poi celeberrime grazie allo stravolgimento cinematografico operato dallo sceneggiatore Chris Columbus e realizzato visivamente dal regista Joe Dante, tuttavia l’idea di base – originalissima, non c’è che dire – è e rimane del pilota Roald Dahl (foto proveniente da www.flickr.com) 

“Un pilota di nome Gus, pattugliando con il suo Hurricane a 18.000 piedi (600 metri, N.d.T.) sopra Dover, stava inseguendo uno Junkers 88 e lo stava innaffiando con le sue mitragliatrici con corte e precise raffiche. Poteva vedere un sacco di piccoli sbuffi che si alzavano dal muso dello Junkers mentre il mitragliere di coda tedesco rispondeva al fuoco. Gus diede un’occhiata a dritta, e là, in piedi sull’ala del suo Hurricane vide un piccolo uomo, non più alto di sei pollici ( 15 cm. N.d.T.), con una grande faccia rotonda e un paio di piccole corna che spuntavano dalla testa. Indossava un paio di stivali neri a ventosa che gli permettevano di rimanere in piedi sull’ala a 300 miglia (480 km, N.d.T.) all’ora.”

Il soggetto di The Gremlins fu poi ripreso e stravolto, nel 1984, trasformato in un film horror, commedia tinta di nero di grande di successo diretto da Joe Dante, e che ebbe con numerosi seguiti.

Il giovane pilota Roald si accorge subito che dovrà affrontare l’aviazione tedesca, che schiera molti più aerei e meglio armati: la Luftwaffe ha il pieno controllo dei cieli greci; non passa giorno che il capopattuglia, al ritorno dalle missioni di caccia, segnali delle perdite. Solo la spregiudicatezza e lo sprezzo del pericolo, tipico dei giovani, irrora coraggio nelle vene a piloti come Dahl e la determinatezza di alzarsi ogni volta in volo, sapendo di andare incontro alla morte.

In occasione del centenario delle sua nascita e dopo aver dedicato la deriva dei propri velivoli a grandi personaggi del mondo scandinavo come Christian Andersen e Edvard Munch, nel 2016 la compagnia aera low cost Norwegian ha ritenuto opportuno e doveroso riservare la deriva di questo suo Boeing 737-800 al suo celebre connazionale Roald Dahl. Considerato uno dei più grandi scrittori per l’infanzia del mondo anglosassone e, ovviamente norvegese, Dahl ha vissuto buona parte della sua esistenza in Gran Bretagna divenendo britannico per antonomasia ma il suo viso che pare osservare il muso del jet commerciale sta a testimoniare le sue chiare origini norvegesi. (foto proveniente da www.flickr.com)

Tra il 17 e il 20 aprile del ‘41, Roald affronta i caccia nemici in dodici missioni: tre al giorno. I suoi compagni di squadriglia continuano a morire sotto i suoi occhi. Lui se la cava solo per fortuna: al rientro dalle sortite contro i Messerschmitt e gli Junker 88 tedeschi, il suo Hurricane è spesso sforacchiato come un colabrodo, ma integro e meccanici e avieri riescono sempre a rattoppare in qualche modo i fori dei proiettili nemici.

Poi nel maggio successivo la RAF collassa. Roald e la sua squadriglia sono costretti a rifugiarsi prima in Egitto poi in Palestina; da Haifa invia una lettera alla famiglia e non sa ancora che quella sarà l’ultima dal fronte di guerra:

“Cara mamma, ultimamente abbiamo volato piuttosto intensamente. (…) A volte ho fatto anche sette ore il giorno, che un bel po’ su un caccia. Però la mia testa non l’ha presa affatto bene e gli ultimi tre giorni sono rimasto a terra. (…) Ho cinque abbattimenti confermati, quattro tedeschi e uno francese (dell’aviazione del governo collaborazionista di Vichy, N.d.R.). Il gruppo ha perso quattro piloti nelle ultime due settimane. (…) Per il resto questo paese è una bellezza, e indubbiamente vi scorre il latte e il miele…”

Il telegramma successivo annuncia ai familiari il suo ritorno in patria, congedato, per non essere più idoneo al volo. E lui in fondo ne è contento, anche se è un po’ rammaricato perché solo ora, dopo quei lunghi mesi di guerra aerea, si sente un vero pilota. La vecchia ferita alla testa si è rifatta viva e il cervello sottoposto alle forti sollecitazioni causate dalle acrobazie del volo, risponde provocandogli pericolosi capogiri e annebbiamento della vista. Il responso medico della commissione è impietoso e insindacabile: riformato e non più in grado di pilotare un aereo.

Per Roald Dahl è l’inizio di una nuova vita: da giovane pilota a scrittore. Sette mesi più tardi, dopo l’attacco giapponese alla base navale americana del Pacifico di Pearl Harbour, gli Stati Uniti d’America, escono dall’isolazionismo correndo in aiuto delle democrazie occidentali ed entrano in guerra a fianco dell’Inghilterra.

Il governo guidato da Winston Churchill affida a Roald Dahl l’incarico di consulente aeronautico, come comandante di stormo, presso l’ambasciata inglese negli Stati Uniti. Così Boy, dopo un periodo di riposo trascorso in patria, fa le valige e si trasferisce a Washington.

Forte è il sospetto che, come altri intellettuali inglesi dell’epoca, il suo compito fosse procacciarsi informazioni e dati sensibili per conto del suo governo e svolgere azioni di propaganda: è il 1942.

Nella capitale degli USA fa la conoscenza dello scrittore Cecil Scott Forester: inglese come Dahl, era un romanziere diventato famoso per la saga letteraria incentrata sull’eroe dei mari il capitano Hornblower.

Ancora una bella immagine di un Gloster Gladiator scattata ai giorni nostri sebbene il velivolo sia chiaramente originale della fine degli anni ’30. Su una questione occorre riconoscere che i britannici sono davvero encomiabili: conservano egregiamente la loro storia, specie quella aviatoria, tenendo in vita e mostrando in volo – anziché solo nei musei – macchine davvero storiche come questa. In Italia se non ci fosse l’HAG – Historical Aircraft group, a restaurare e a mantenere in attività volativa gli aeromobili d’epoca, a malapena ci rimarrebbero i musei – pochi – a ricordarci la nostra storia in termini di Aviazione (foto proveniente da www.flickr.com)

Forester, intravede in Dahl la stoffa del narratore ed è grazie proprio a lui che l’ex pilota di Hurricane scrive e pubblica Shot Down Over LibyaAbbattuto in Libia, cui seguirà, nel 1946, Over to you: Ten stories of flyers and flying, una raccolta dei suoi primissimi racconti, ispirate alla sua esperienza di guerra, che segnano l’inizio della sua brillante carriera di scrittore di libri per l’infanzia: James e la pesca gigante, Gli Sporcelli, Il GGG, Matilde, La fabbrica di cioccolato, quest’ultimo divenne anche un grande film di successo e tanti altri. Ma Boy trova anche il tempo per scrivere sceneggiature, come, per esempio, quelle di Chitty Chitty Bang Bang e Agente 007- Si vive solo due volte.  

Roald Dahl si dedica alla scrittura con lo stesso impegno e dedizione che aveva profuso per ottenere il brevetto di pilota, ed è molto severo verso sé stesso e critico verso quello che scrive, fino a rivedere un suo testo anche 150 volte. Prima di vergare anche una sola parola, seduto al tavolo rinchiuso nel suo nido, una casetta di legno zeppa di oggetti e ninnoli, segue un preciso rituale, finché si butta a capofitto sulle pagine bianche scrivendo, in modo disciplinato, però non più di due ore. Ma il lavoro più impegnativo per lui è la riscrittura del testo che deve essere fatta “a freddo”, per lasciare che le parole e le frasi trovino il loro posto esatto all’interno della trama, sedimentandosi e imprimendo la loro indelebile impronta sulla carta.

Ormai anziano e malato, dopo aver divorziato dalla prima moglie Patricia Neal, colpita da un ictus, aver perduto due figlie, Olivia di soli sette anni, e con il loro fratello Theo affetto da idrocefalia, Roald Dahl, in un’intervista a un giornale inglese si scaglia contro Israele e gli ebrei, accusandoli:

“di  mancanza di generosità verso i non ebrei. Voglio dire che c’è sempre un motivo se un sentimento contro qualcosa spunta ovunque”

e, ancor più grave, rilascia, sempre in quell’occasione, una dichiarazione che suona quanto meno fuori luogo:

“Anche una carogna come Hitler non se l’è presa con loro senza alcun motivo”.

Ancora una bellissima immagine che ritrae un Gloster Gladiatore e un Sea Hurricane in volo in formazione. Sembra quasi che il biplano ceda idealmente il testimone al moderno monoplano come peraltro storicamente avvenne. La presente nota biografica, a cura di Massimo Conti, è una gradita quanto inedita anticipazione dell’immane lavoro che sta svolgendo in termini giornalistici: 50 biografie dedicate agli scrittori-aviatori di tutte le nazionalità e di tutti i tempi. Lodevole iniziativa! Auguriamo a Massimo di concludere al più presto la sua opera, certi che divoreremo il suo volume per darvene conto in una doverosa recensione. Buon lavoro, Massimo! (foto proveniente da www.flickr.com)

Ciò sorprende in un uno come lui che si è sempre circondato d’intellettuali di origine ebraica, come Amelia Foster, direttrice del Roald Dahl Museum and Story Centre a Great Missenden.

Ed è proprio nel cimitero del piccolo villaggio nella contea del Buckinghamshire, a un’ora e mezza di strada a nord di Londra, che lo scrittore pilota inglese è sepolto, dal 1990, nell’amata Inghilterra tanto stimata dai suoi adorati genitori norvegesi.

Trent’anni dopo la sua morte, la famiglia di Dahl si è dovuta scusare pubblicamente per le esternazioni fatte a suo tempo da chi da pilota volle diventare uno scrittore.


Testo a cura di Massimo Conti, didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR



Articolo giornalistico / Medio – lungo

Inedito

§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Massimo Conti

RACCONTI TRA LE NUVOLE – Il Sostegno di ADA



Logo Racconti Tra Le Nuvole

XI edizione Premio letterario “Racconti tra le nuvole”

COMUNICATO STAMPA

nr 2 del 08 marzo 2023

         In virtù del:

  • comune fine di divulgare la cultura aeronautica nel nostro Paese
  • “tema suggerito” della XI edizione del Premio (le donne nel mondo aero/astro nautico)

è con viva soddisfazione ma anche con malcelata euforia che l’HAG (Historical Aircraft Group) e VOCI DI HANGAR – organizzatori del Premio – sono lieti di annunciare che:

l’ADA – Associazione Donne dell’Aria,

si è unita alla FISA (Fondazione Internazionale per lo sviluppo aeronautico), alla rivista VFR AVIATION e all’azienda farmaceutica VR MEDICAL, tra i preziosi e autorevoli sostenitori della prossima edizione del Premio.

         Siamo certi che l’ADA, attraverso il sostegno del suo Presidente, del Direttivo e delle associate tutte, fornirà rinnovate energie a RACCONTI TRA LE NUVOLE, a  testimonianza della bontà di un’iniziativa unica nel suo genere nel panorama italiano.

         In concreto l’ADA istituirà per l’occasione il “Premio speciale ADA” che, a insindacabile giudizio dell’associazione, verrà conferito a uno dei racconti  partecipanti secondo una valutazione del tutto autonoma rispetto a quella operata dalla Giuria del Premio.

         Il “Premio speciale ADA” verrà altresì consegnato nel corso della premiazione a cura del Presidente dell’associazione o, nel caso ne fosse impossibilitata, da una sua delegata.

          Un rinnovato benvenuto alle associate ADA e al suo direttivo che ringraziamo per ver voluto sostenere fattivamente RACCONTI TRA LE NUVOLE.

        

Gli organizzatori




Per qualsiasi informazione:                         www.raccontitralenuvole.it                                              

Donne con le ali

titolo: Donne con le ali

autore: Luca De Antonis 

editore: MEF – Maremmi Editore Firenze

pagine: 381

anno di pubblicazione: 2012 (prima edizione)

ISBN: 978-88-7255-401-2




“Il 17 dicembre del 1903 una macchina volante ad ali rigide, mossa da un motore a scoppio, avrebbe compiuto il suo primo volo …

Miss Harriet Quimby, inviata del Leslie’s Illustrated Weekly da New York, prendeva nota su un taccuino di tutte le operazioni che si stavano svolgendo.”

Quel 17 dicembre 1903 pietra miliare per l’aviazione, le donne sono già presenti pronte ad affrontare e condividere questa meravigliosa avventura chiamata “Volo”.

Luca De Antonis, autore di “Donne con le ali”, racconterà i primi 30 anni della storia dell’aviazione al femminile.

Non dettagliate biografie, ma un romanzo dove le storie di queste donne, pioniere del volo al femminile, si intrecciano e si soprappongono all’interno dell’ambiente storico-culturale del loro tempo, e con abile maestria narrativa si fondono con gli avvenimenti sociali.

La IV di copertina del corposo libro “Donne con le ali”

Si spazierà dall’America del Nord con gli Stati Uniti e le leggi razziali che affliggevano le persone di colore, all’Europa con la Francia e la sua vita cosmopolita che alle leggi razziali in vigore negli Stati Uniti opponeva il suo motto “Uguaglianza-Fratellanza-Libertà”, al Sud America.

Il 16 agosto 1911 sul giornale Leslie’s Weekly, Harriet Quimby scriveva:

“Ci vogliono quattro anni di studio al College per conseguire un diploma, ma basta molto meno tempo per ottenere un brevetto di volo. A due condizioni però: un fato che non vi sia particolarmente avverso, e un valido istruttore … che vi insegni ad avere fiducia in voi stessi e in voi stesse.

Mi rivolgo particolarmente al pubblico femminile, perché volare è possibile per una donna quanto per un uomo!”

Benché avesse conseguito la licenza di aviatore dall’Aero Club of America da meno di un anno, Harriet Quimby tentò un’impresa assai ardita per l’epoca e soprattutto per una donna: attraversare lo stretto della Manica. Oggi comporta pochi minuti di volo ma nel 1911 quel braccio di Mare del Nord (che nel suo punto più stretto è largo solo 34 km), era una distanza notevolissima. Occorre infatti ricordare che il velivolo utilizzato da miss Harriet volava alla ragguardevole velocità massima di circa 80 km/h, vento permettendo, e a una quota relativamente bassa (qualche centinaio di metri sopra le onde). In effetti, priva di una qualsiasi forma di strumento di navigazione (non è chiaro se disponesse di una bussola magnetica rimediata alla meglio) o di una rudimentale cartina geografica, Harriet decollò all’alba in condizioni meteo avverse e infatti percorse la tratta in diagonale, da Dover (Gran Bretagna) a Hardelot (Francia) anziché la più vicina Calais (come aveva preventivato). La sua impresa durò ben un’ora e nove minuti. Una donna entrava così nella storia, alla pari con il suo diretto collega di sesso maschile Louis Blèriot che aveva compiuto lo stesso volo il 25 luglio 1909. Harriet Quimby morì purtroppo ancora giovanissima nel corso del Third Annual Boston Aviation Meet Squantum, nel Massachusetts  quando per motivi mai definiti, il velivolo Bleriot  con cui volava con passeggero a bordo (lo stesso organizzatore dell’evento) precipitò rovinosamente. Entrambe furono sbalzati fuori dal precario velivolo (all’epoca le cinture di sicurezza non erano contemplate) e per loro non ci fu scampo alcuno. Alla tenera età di 37 anni spiccò il suo ultimo volo lasciando però un segno indelebile nella storia dell’aviazione. (foto proveniente da www.flickr.com)

Harriet Quimby è la prima donna americana a conseguire il brevetto di volo, 1 agosto 1911.

Ma già nel 1910 in Francia l’Aero Club de France aveva rilasciato il primo brevetto di volo al mondo ad una donna: Elise Raymonde de Laroche. A lei è dedicato un volume di cui è possibile leggere la recensione nel nostro hangar.

Ancora una bella immagine di Harriet Quimby che posa davanti al suo velivolo Bleriot XI. Probabilmente risale al periodo in cui frequentò il corso di pilotaggio presso la scuola di volo di John e Mathilde Moisant (quella dei fratelli Wright a Dayton non accettava donne pilota) o immediatamente dopo giacché, una volta brevettata entrò nel team Moisant International Aviators e si esibì in giro per gli Stati Uniti. Sulla semiala nello sfondo si legge distintamente “MSANT”, da qui la nostra congettura  (foto proveniente da www.flickr.com)

(ndr: Francesco Baracca, asso dell’aviazione della I guerra mondiale, effettuerà il suo primo volo in Francia soltanto a maggio del 1912 e conseguirà il brevetto di pilota il 9 luglio)

Come chiaramente indicato dalla didascalia  in corsivo, in questo scatto Harriet Quimby è ritratta a bordo del suo monoplano Bleriot. Per l’epoca si trattava di un velivolo rivoluzionario; sebbene privo di alettoni (il rollio avveniva svergolando l’estremità alare) così come il Flyer dei fratelli Wrigh, il Bleriot XI era dotato di un geniale sistema a pedali che comandava il timone di direzione, divenuto poi lo standard per tutte le macchine volanti a venire, praticamente a tutt’oggi. Ma il suo pezzo forte era il motore; un tricilindrico radiale a W appositamente progettato e costruito dall’italiano Alessandro Anzani in grado di erogare la spaventevole potenza di ben 25 cv. Di chiara derivazione motociclistica, oggi equipaggerebbe un tagliaerba anziché un aeroplano! (foto proveniente da www.flickr.com)

Sono gli anni della “Belle Epoque”, il progresso della tecnica e della scienza non conosceva eguali nel passato: l’illuminazione elettrica, la radio, l’automobile, il cinematografo … l’aeroplano.

Le donne rivendicano i loro diritti, nasce il movimento delle suffragette.

Il mondo vive un periodo di grande ottimismo per il futuro, ancora ignaro della catastrofe che nel 1914 porterà all’orrore della I Guerra Mondiale.

Il 16 aprile 1912, mentre Harriet Quimby a bordo di un Bleriot Type XI si appresta ad effettuare con successo la traversata del Canale della Manica da Dover a Calais, in Europa arriva la drammatica notizia: nella notte tra il 14 e il 15 aprile il Titanic è naufragato nell’Oceano Atlantico a seguito dell’impatto contro un iceberg.

Quella che per tutti doveva essere un’impresa dal grandissimo impatto pubblicitario e commerciale, Monsieur Louis Bleriot già prefigurava una gran richiesta dei suoi velivoli, la prima donna a sorvolare la Manica, passò inosservata.

Il 17 aprile i giornali titolavano la terribile disgrazia avvenuta in mare. Non c’è posto per l’impresa di Harriet Quimby.

 “Cara Bessie, …. Se essere negra costituisce per il tuo obbiettivo, volare, un ostacolo insormontabile qui in America … ricordati che fino a poco tempo fa era un ostacolo insormontabile anche l’essere donna.

A te toccherà un compito ancora più difficile: vincere sul razzismo e sul segregazionismo …

Dopo l’inverno sarò impegnata in Europa per alcuni mesi. Ma l’estate prossima, se potrai venire qui a New York, sarò ben lieta di offrirti tutto il mio aiuto…”

Così scriveva Harriet Quimby nel settembre del 1911, in risposta a Bessie Coleman.

Purtroppo non potrà mantenere le sue promesse, il 1 luglio del 1912 Harriet Quimby perirà in un drammatico incidente di volo.

Dal 1914 al 1918 l’Europa è sconvolta dalla guerra, l’aeroplano verrà impiegato per la prima volta in campo militare, ciò porterà anche ad uno sviluppo delle sue potenzialità.

Il termine della guerra, vede nascere l’interesse verso l’utilizzo dell’aeroplano in campo civile. Per le donne, alle quali fu precluso di partecipare come pilota al conflitto mondiale, si aprivano ora, anche se con difficoltà, le porte dell’aviazione civile e del volo come professione.

Katherine Stinson volerà per il Canada Post, primo servizio di posta aerea, nelle remote e poco accessibili aree del Canada.

Il documento non mente: Elizabeth “Bessie” Coleman, soprannominata “Brave Bessieo” o “Queen Bess” fu la prima donna pilota di origine afroamericana e la prima nativa statunitense (a prescindere da sesso ed etnia), a conseguire una licenza di pilota internazionale in quanto emessa dalla FAI, Fédération Aéronautique Internationale.
Bessie imparò a volare in Francia su un biplano Nieuport tipo 82 giacchè nessuna scuola di volo statunitense ammetteva ai suoi corsi donne e soprattutto nere. Naturalmente non conosceva una sola parola in lingua francese ma quando seppe la scuola di volo Société des avions Caudron di Le Crotoy l’avrebbe ammessa, a dimostrazione della sua determinazione, frequentò un corso di lingua alla scuola Berlitz di Chicago dopodiché si imbarcò sul transatlantico Imperator nel novembre 1920 con destinazione Francia.

Bessie Coleman il 15 giugno 1921 sarà la prima donna afroamericana a conseguire il brevetto di volo. Ma per arrivare a coronare il suo sogno dovrà lavorare duro per riuscire a mettere i soldi da parte e poi con grande coraggio lasciare l’America, che con le sue leggi razziali non permetteva ai negri di accedere alle scuole di volo, per andare in Francia, alla scuola dei fratelli Caudron dove non si facevano distinzioni di sesso né di razza.

Come diversi aviatori dell’epoca, anche Bessie Coleman perse la vita prematuramente a causa di un incidente aereo: a bordo di un Curtiss JN-4 Jenny, a Jacksonville, Bessie fu sbalzata fuori dall’aereo a circa 610 m di quota e morì sul colpo quando precipitò al suolo. Il velivolo era dotato di cinture di sicurezza ma lei non le aveva indossate affinché potesse sporgersi agevolmente dalla cabina di pilotaggio e osservare il terreno in vista di un lancio con il paracadute che avrebbe effettuato durante una imminente manifestazione aerea, (foto proveniente da www.flickr.com)

Il 30 aprile 1926 Bessie Coleman muore in un incidente di volo.

In seguito la città di Chicago le renderà omaggio intitolandole una strada nei pressi dell’aeroporto O’-Hare.

L’inizio del 1929 vede un’altra grande conquista per le aviatrici: finalmente alle donne viene riconosciuto il diritto a partecipare alle manifestazioni sportive aeronautiche, fino ad allora precluse.

Il 18 agosto viene organizzato il primo “Women’s Air Derby”.

Il 2 novembre 1929 presso l’aeroporto di Curtiss Field, viene fondata “l’Organizzazione Internazionale delle Donne Pilota”, il gruppo prende il nome “Ninety-Nines” e viene eletta come prima presidente Amelia Earhart.

Ecco il manifesto dell’organizzazione: 

The Ninety-Nines Mission Statement:

The Ninety-Nines® is the International Organization of Women Pilots that promotes advancement of aviation through education, scholarships and mutual support while honouring our unique history and sharing our passion for flight.

che tradotto in italiano significa: 

Le 99 è l’Organizzazione internazionale delle donne pilota che promuove il progresso dell’aviazione attraverso l’istruzione, le borse di studio e il sostegno reciproco, onorando la nostra storia unica e condividendo la nostra passione per il volo.

https://www.ninety-nines.org/who-we-are.htm

“Donne con le ali”, un romanzo appassionante dall’inizio alla fine.

La copertina della II edizione del bel libro di Luca de Antonis. Nella prefazione l’autore così spiega il suo volume: “… qui si narrano tante diverse storie di donne coraggiose che con con passione hanno saputo compiere imprese grandi e ancora più grandi se rapportate all’epoca in cui si svolti i fatti e a quella condizione gregaria dell’universo femminile alla quale non si sono volute adattare.”

La storia delle prime donne che, sfidando i pregiudizi del loro tempo, hanno dimostrato che ciò che era possibile per un uomo lo era anche per una donna.

Un omaggio a quelle donne i cui nomi e le cui imprese sono quasi sconosciute, o comunque poco raccontate.

La IV di copertina della II edizione di “Donne con le ali” pubblicato in regime di autopubblicazione a mezzo di Amazon. Anche in formato e-book.

Donne che non si sono perse d’animo di fronte alle avversità, che hanno creduto nelle loro capacità.

E’ il 1 aprile del 1921 quando, a bordo di un Caudron C3, Adrienne Bolland atterra a Santiago del Cile, dopo essere decollata da Mendoza. Un’impresa epica: l’attraversamento delle Ande.

Una catena di montagne che Adrienne non aveva mai visto; senza l’ausilio di carte ma solo di indicazioni di cosa avrebbe dovuto vedere e quale vetta prendere come riferimento.

Donne che non hanno sfidato gli uomini, ma che hanno voluto vivere la storia al pari degli uomini ma con la loro sensibilità femminile; che non hanno rinunciato ad amare e a essere amate.

Emozionante il racconto della traversata da Buenos Aires a Rio de Janeiro in idrovolante, a bordo di un Caudron al quale erano stati semplicemente montati dei pattini galleggianti, compiuta da Adrienne Bolland insieme al suo meccanico André Duperrier.

“… Non occorre essere marito e moglie, non occorre essere amanti per essere necessari l’uno all’altro. I nostri comuni interessi, il nostro rispetto, la nostra stima… è il sentimento che ci unisce, che ci lega, che ci fa andare avanti… contro le tempeste della vita, ma anche nel vento delle nostre più belle imprese…”

Adrienne Bolland, assurta alla cronache storiche per essere stata la prima donna ad attraversare la manica decollando dalla Francia e soprattutto per aver sorvolato le Ande (con un volo di 4 ore e 17 minuti). E’ una delle poche donne pioniere dall’Aviazione che, a differenza delle sue colleghe si spense in tarda età (ben 80 anni) e nel suo letto. Praticamente un’eccezione! (foto proveniente da www.flickr.com)

Una pilota e un meccanico, una donna e un uomo, che hanno affrontato e condiviso i successi, i rischi e le disavventure, in un continente lontano dalla loro Francia. Una storia di amicizia, cameratismo, fiducia l’uno nell’altra, ma anche … una forma di amore.

E’ lo stesso autore, nella postfazione, a indicarci le poche situazioni che sono frutto di fantasia, mentre tutti gli altri avvenimenti, sia pure adeguati alle necessità narrative, sono rispettati nella sostanza.

Tutto il romanzo è intriso da un grande rispetto, stima e amore, da parte dell’autore, verso le donne.

Le singole storie scorrono intrecciate tra di loro, in maniera molto fluida, mai noiosa, tenendo incollato il lettore alla lettura.

Bellissima la foto di copertina, che ritrae una sorridente Ruth Elder appoggiata al suo biplano, mentre non vi è alcuna foto all’interno.

Un libro dedicato a tutte le donne che ancora oggi, come nel passato, lottano per vedere riconosciuti i propri diritti, e avere pari opportunità.

Un libro che sia ispirazione per tutte le donne a credere nelle proprie capacità, e un esortazione a non rinunciare alle proprie aspirazioni.

Harriet Quimby a bordo del suo velivolo Bleriot XI (foto proveniente da www.flickr.com)

Concludiamo questa breve recensione riportando un pensiero che costituisce l’essenza del volo al femminile:

“Volare è uno sport raffinato e dignitoso per le donne… e non c’è ragione di aver paura finché si fa attenzione.”  

Harriet Quimby





Recensione di Franca Vorano e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR