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Brandelli di vita di un pilota di aereo

Spesso mi sento dire dagli amici al campo di volo, “beato te, che fai il pilota di linea”…

Certo sono felice di volare è il coronamento del mio sogno di bambino, ma ci sono anche momenti particolari, ho pensato di condividerne uno – lungo- con i lettori di A.S.

Novembre, un tranquillo turno di quattro giorni, un paio di voli quotidiani con persino il tempo di “mettere le gambe sotto il tavolo” (sempre meno frequente) invece del solito panino. Si inizia con uno spostamento pomeridiano da passeggero a Malpensa (un giorno vi racconterò perché è così “particolare” questo aeroporto). Il primo volo è fissato alle 20:40, destinazione Monaco. Partiamo ed arriviamo esattamente come previsto, il parcheggio avviene in orario alle 21:50. Si va in hotel, lo spostamento dura circa un’ora, il mattino dopo il decollo è fissato alle 07:45, in campo un’ora prima. Il pulmino parte alle 06:20. Nella hall si fanno i conti della sveglia un rapido saluto e si va a nanna. La mattina dopo a seguito di una restrizione all’orario di partenza, ci muoviamo alle 08:00. Il resto è routine, arriviamo al parcheggio alle 09:15. La tratta successiva è Malpensa Sarajevo, per fermarsi lì. Decollo previsto 09:50. Ma il piano di volo elaborato dal sistema informatizzato prevede di andare all’alternato Belgrado passando per la destinazione. In altre parole la destinazione non è atterrabile, il software allora programma un volo che va verso un aeroporto aperto passando sulla destinazione “vera”, se nel frattempo essa è diventata atterrabile, bene, altrimenti… si va all’alternato come da piano di volo. Il bollettino meteorologico di Sarajevo, LQSA xxxxxxZ VRB02KT 0300 R12/0500N FZFG OVC001 M00/M00 Q1027 BECMG 0800 (vento variabile 2 nodi, 300 metri di visibilità, 500 metri sulla pista senza variazioni, nebbia congelante, copertura nuvolosa totale a 100 piedi temperatura e temperatura di rugiada zero gradi, QNH 1027, visibilità diventerà 800 mt) anticipa che l’atterraggio sarà improbabile.

Con il collega guardiamo attentamente la situazione, un paio d’ore di ritardo potrebbero favorire l’innalzamento della nebbia e delle nubi che al momento sono “appiccicate” a terra. Le minime obbligatorie per iniziare l’avvicinamento sono 800mt di visibilità di pista e 600 piedi di altezza della copertura dal suolo. E’ a questo punto inizio a “metterci del mio”.

Parlo con l’ente operativo chiedo conferma dell’alternato. Mi viene risposto di caricare abbastanza combustibile da poter riportare i passeggeri a Malpensa, nel caso l’atterraggio non riuscisse. Da un punto di vista oggettivo Sarajevo è in Bosnia e tutti i problemi politici ancora non sono risolti fra le varie etnie, un atterraggio in un altro aeroporto fuori dal territorio potrebbe addirittura comportare che a qualche passeggero non sia consentito scendere dall’aeroplano e dovrebbe comunque ritornare indietro (già successo!!). Inoltre da Malpensa il passeggero potrebbe essere protetto con un volo successivo.

Comunque l’idea di tornare non mi alletta, continuo a “metterci del mio” e provo ad estendere le mie riflessioni ad altri enti che possono contribuire alla decisione, ma senza successo. Il volo deve partire puntuale. Così combustibile, passeggeri e bagagli, lasciamo il parcheggio alle 09:50, come previsto. Volo molto tranquillo, una volta lasciata l’area di Milano e la padana le condizioni meteo migliorano, dall’alto dei nostri 37000 piedi sotto di noi scorre un territorio colorato di marrone, ambra, verde, rossastro, poi il mare, le isole della Croazia e di nuovo colline e monti. Dalle parti di Spalato ascoltiamo una delle stazioni che emettono i bollettini. Sarajevo ha esattamente le stesse condizioni meteorologiche della partenza per quello che riguarda la copertura, è invece migliorata la visibilità orizzontale di pista (800 metri), questo parametro ci consente di poter effettuare l’avvicinamento, anche se la copertura è rimasta a 100 piedi.

Sarajevo ha un’orografia particolare, è dentro una conca, circondata da alture e montagne, l’altezza dell’aeroporto è 1700 piedi. Quando arriviamo in vista della valle mi sale un po’ di sconforto. Intorno è tutto bellissimo. I colori sono quelli dell’autunno, il sole splende, ma la valle, la valle non c’è: è totalmente coperta da una spessa e bassa coltre di nubi.

Ci predisponiamo all’avvicinamento, nel briefing consideriamo la riattaccata e rivediamo la procedura. Configuriamo il velivolo e a 4200 piedi (2500 piedi sul terreno) siamo stabilizzati sul sentiero di discesa e pronti per l’atterraggio.

Avere la minima a 600 piedi, significa essere a 3.2 km dal punto di contatto (solo un po’ di trigonometria con un angolo di avvicinamento di 3,2 gradi). E’ inoltre evidente come con una copertura riportata a 100 piedi ed una visibilità al suolo di 800mt, la pista difficilmente potrà essere vista.

Scendiamo lungo il sentiero… Silenzio e concentrazione aumentano, 1000 piedi dal terreno, voliamo in un’aria tersa e pulita, sotto di noi la coltre compatta, verifico la posizione un paio di volte in più, intorno a noi colline e montagne, è come entrare in un mare ovattato e bianco. Siamo incollati agli strumenti, noi due e l’autopilota. Avvicinandosi alle minime la concentrazione in cabina è altissima. Noi vogliamo atterrare, ma non vogliamo andare fuori sicurezza, con la coda dell’occhio guardo di lato, nulla, siamo immersi in denso latte bianco, nessuna interruzione, è come un fluido. Arriviamo alle minime barometriche, non ho mai visto nemmeno un briciolo di terreno sotto di me.

Quando alzo gli occhi per guardar avanti sono ancora immerso in una panna densa (penso che mancano le fragoline, ma non ho il tempo per richiamare alla mente il loro sapore), gli occhi ritornano sugli strumenti, pochi comandi precisi, per una sequenza memorizzata e riveduta prima di iniziare l’avvicinamento: inizia la riattaccata; è inutile anche riprovare, su Sarajevo c’è un vero e proprio “tappo” naturale.

Dirigiamo verso Milano.

Informo i passeggeri, ma a bordo uno di loro fa da fomentatore, il malumore serpeggia immediato: scoppia una piccola rivoluzione. Il passeggero enumera tutte le ragioni per cui noi dobbiamo atterrare, enumera tutti gli aeroporti in zona, insomma mentre noi siamo blindati nella nostra cabina di pilotaggio (in accordo alle nuove regole sulla Sicurezza delle Operazioni), la nostra Assistente di Volo, sola ed unica, se la vede con un gruppo di persone relativamente alterate.

Intervengo due volte attraverso l’altoparlante, e spiego perché non è possibile atterrare in un altro aeroporto che non sia previsto, le spiegazioni ottengono il risultato sperato, in una ventina di minuti la tensione scende, i pochi passeggeri “arrabbiati” si calmano, noi continuiamo verso Malpensa, alle 12:50 siamo al parcheggio.

L’equipaggio è abbastanza provato, la notte s’è dormito poco, il volo è stato impegnativo, il problema dei passeggeri ha alzato il livello di stress… insomma, con il pilota già stiamo assaporando il profumo delle lenzuola dell’hotel.

Ma l’ufficio impiego mi chiama e spiega che un equipaggio è fermo da due giorni a Sarajevo (ma no!!!), che non sanno come fare e che non hanno ulteriori risorse e che se noi non accettiamo di volare altri due voli, sono costretti a cancellarli.

La cosa più complicata è convincersi che lo possiamo fare… siamo stanchi, le ore di riposo notturno non sono state tante e … sapete com’è quando fai la bocca a qualcosa (il letto) vorresti veramente averla… ma poi vince l’identificazione: la Compagnia è nella ben nota situazione e noi non vogliamo che i nostri passeggeri rimangano a terra: accettiamo di volare. Decolliamo alle

15:20 per Trieste, “anda e rianda” ci fermiamo di nuovo al parcheggio a Malpensa alle 18:00.

Andiamo in albergo, arriviamo alle 19:30, ceniamo in divisa e sprofondiamo a letto alle 20:40, un riposo meritato.

Il mattino dopo andiamo … indovinate un po’??? A Sarajevo!!!!!!!!!!!!!!

Il pulmino ci viene a prendere in hotel alle 08:05.

Arriviamo in campo, il bollettino è come quello del giorno prima, ma stavolta abbiamo troppi passeggeri per andare e tornare, non si può imbarcare il combustibile per andare avanti ed indietro, poiché verrebbe superato il limite di peso massimo permesso.

Ci “metto del mio” di nuovo. Abbandonata la frequenza radio a favore del cellulare, valuto assieme all’addetto alle operazioni l’aeroporto alternato. In Bosnia c’è poca roba, Mostar e poi un aeroporto militare che era stato già aperto alle nostre operazioni: Tuzla. Possiamo usarlo come alternato? Il tempo scorre, il bollettino migliora un po’, ma ancora non è sufficiente per atterrare. Tuzla viene accettato come alternato, lì le condizioni meteorologiche lì sono eccellenti, temperatura 18 gradi, sole e cielo sereno.

Propongo di spostare sin d’ora con un pulman passeggeri ed equipaggio da Sarajevo a Tuzla (è il primo volo da tre giorni), noi si atterra lì, salgono tutti e si torna a Milano.

L’opzione viene rifiutata. Propongo di ritardare il volo di 40m: opzione rifiutata. Partiamo per Sarajevo alle 12:50, alternato Tuzla.

Vi risparmio la storia che si svolge più o meno come il giorno precedente, però stavolta ci siamo quasi, intravedo la pista mentre la sorvolo durante la riattaccata, peccato, un’altra mezz’ora e saremmo riusciti a farcela.

Mentre riattacchiamo l’equipaggio che aspettava l’aeroplano parte in macchina per Tuzla, loro devono rientrare!

Noi atterriamo 10 minuti dopo, alle 13:50: in un paradiso terrestre.

Vengono in mente le poesie dedicate alla natura. A Tuzla regna il silenzio, quasi innaturale, non ci siamo più abituati, gli aeroporti sono luoghi rumorosi, dopo aver spento il generatore elettrico mi tornano in mente le immagini dell’Intervallo con le pecorelle … flashback infantili!

Nel frattempo a Sarajevo le condizioni meteorologiche sono finalmente migliorate, il centro di coordinamento decide di fare il volo Tuzla-Sarajevo e prendere i passeggeri.

Questo è quello che viene fatto, chiedo al collega a bordo con me di essere io ad atterrare a Sarajevo (sapete com’è dopo tanti tentativi infruttuosi), alle 15:35 finalmente parcheggiamo.

L’altro equipaggio prende i comandi di volo e ci predisponiamo a tornare a Milano, in qualità di passeggeri, come da precedenti accordi con il nostro ufficio impiego.

Ma nel frattempo son cambiate le teste ed il nuovo capo turno si meraviglia perché noi non si rimanga lì.

Continuo a “metterci del mio”, gli sottolineo che se ci fermassimo faremmo la fine del precedente equipaggio bloccato a Sarajevo, ma l’esigenza di questo istante è coprire il volo della mattina dopo. Chi lo effettuerà?

Ma le connessioni telefoniche sono scadenti, la chiamata si interrompe, la necessità di partire il prima possibile, la visibilità minima di decollo è di 400 metri e ci dobbiam sbrigare… insomma partiamo alle 16:00.

Arrivati a Malpensa mi viene riproposto il problema… chi farà il volo domattina? (Sospiro di sconforto)

Invece di andare in albergo propongo di partire da passeggeri sul volo per Sarajevo, così la mattina dopo potremmo fare questo volo. …. Sono le 18:40… e non aggiungo altro, il decollo è previsto alle 20:05.

Da parte mia c’è una unica certezza: in questo modo siamo legati all’aeroplano.

Se l’aereo atterrasse a destinazione il mattino dopo avremmo il mezzo per tornare, se atterrasse altrove noi comunque saremmo in grado di volare, invece di rimanere bloccati in una località irraggiungibile… e sperduta.

Alle 18:50 la visibilità è già 150 metri, alle 1900 sono 50 metri, il volo viene cancellato e noi finalmente andiamo in albergo, non ceniamo nemmeno… l’urlo banzai viene sostituito dal sussurro… letto!!!

Il resto è rientro nella normalità.

Non è ovviamente sempre così, ma son tasselli, storie quotidiane che spesso rimangono nella nostra penna perché non si ha il tempo di scrivere o di comunicare, al rientro a casa il quotidiano ti assale come un cane arrabbiato e puoi solo cercare di difenderti o di ammansirlo… e a volte è più facile ammansire la nostra realtà, d’altronde come è scritto? Sono un aviatore, vivo freneticamente!


# proprietà letteraria riservata #

Hangar con Biplano e Honda - Nate Stevens
Paolo Vittozzi
Foto in copertina di Andrea Denzler

Paolo Vittozzi





Nasce nel 1954 a Roma sotto il segno della Vergine.

Già a 4 anni dice alla mamma sulla spiaggia che da grande sarebbe andato “laggiù”, indicando l’orizzonte sul mare.

Dopo gli studi presso l’Accademia Aeronautica a Pozzuoli, il volo ha costituito la struttura di una vita, passando, oltre che per i velivoli dell’Aeronautica Militare, anche per l’aliante il deltaplano ed il parapendio, completando il ciclo professionale sui Canadair della Protezione Civile ed effettuando trasporto passeggeri con Alitalia Express.

Con la fine del volo professionale continuando a fare l’istruttore di volo, ha frequentato un Master in counseling e formazione relazionale presso l’Università di Siena e ora svolge attività di formatore, ampliando alla psiche le conoscenze maturate nel mondo aeronautico dello Human Factor. Svolge anche attività di coach-counselor relazionale.

Dal 2011 ricopre il ruolo di Direttore Esecutivo del Club di Budapest Italia.

È appassionato di sviluppo del potenziale umano, ama e pratica il tango, la meditazione, la ricerca interiore e le tecniche di creatività, incluse le mappe mentali.

Scrive da sempre, soprattutto a se stesso, senza uno scopo se non quello di raccontare qualcosa al lettore.

Per inviare impressioni, minacce ed improperie all’autore:

paolo.vittozzi (chiocciola) gmail.com





Elenco Racconti


Ali sull'acqua

Buon anniversario a me

Pilota e marinaio per salvare l'ambiente

Raid dei due mari, ci saremo!

Roma-Venezia da passeggero

16 maggio 2008 - Dismissione KC707A
Foto in copertina di Nate Stevens

Il primo Volo

Triplano Barone RossoC’è stato almeno una volta nella vita di un pilota in cui sono passati per la mente questi pensieri:

“L’incontro con le nubi temporalesche, l’interminabile acrobazia inebriante, la lenta discesa sulla spiaggia (in vite rovescia col motore in fiamme). E finalmente lo schianto. La morte trionfale!”.

Naturalmente il pilota di cui parliamo è quello protagonista di questo splendido racconto che, per vostra tranquillità, ve lo anticipiamo … avrà un esito insperato.

Perché anche se temerario, l’egoismo e la sete di gloria nulla possono se egli ha “Nel cuore … la fata”.

Breve quanto intenso.

Racconto / Breve Pubblicato nella: mailing list dell’Aviazione leggera.

Foto in copertina di Andy Leonard

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Qualora dubbi ed incertezze vi cogliessero prima dell’invio del vostro testo, beh … date uno sguardo ai:

“40 consigli per scrivere bene”.

Non sappiamo chi l’abbia scritti, ma sono scritti bene. L’importante che non producano in voi il blocco creativo.

40 consigli per scrivere bene

Jet con cartello limite velocitaEcco i 40 preziosissimi consigli per scrivere bene, anzi benissimo.

Vi sembreranno poco seri … non vi preoccupate: è il nostro modo per spiegarvi con leggerezza e farvi ricordare ciò che, diversamente, sembrerebbero inutili nozioni e che dimentichereste appena chiusa  questa pagina.



1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

4. Esprimiti siccome ti nutri.

5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.

8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.

9. Non generalizzare mai.

10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.

11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”

12. I paragoni sono come le frasi fatte.

13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa;ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

14. Solo gli stronzi usano parole volgari.

15. Sii sempre più o meno specifico.

16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.

17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

19. Metti, le virgole, al posto giusto.

20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.

22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.

23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?

24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe – o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento – affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.

25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.

27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.

30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.

31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.

33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

34. Non andare troppo sovente a capo. Almeno, non quando non serve.

35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.

37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competente cognitive del destinatario.

39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

40. Una frase compiuta deve avere.