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Album in corso di allestimento
titolo: Cesare carra – Una vita troppo breve dedicata al volo
Aautore: Evandro Detti
editore: IBN
anno di pubblicazione: 2013
ISBN: 8875651523 e 9788875651527
27 luglio 1936, golfo della Sirte, Libia.
Si consumava quel giorno e in quello specchio di mare antistante il porto di Bengasi, un’immane tragedia che vedeva coinvolti, loro malgrado, equipaggio e passeggeri di un idrovolante trimotore italiano con matricole civili. Il pilota in comando era il capitano Cesare Carra.
Non sono trascorsi neanche 80 anni da quella data nefasta eppure, nonostante la nostra sia indiscutibilmente l’era dell’informazione globalizzata, quel terribile episodio sarebbe caduto per sempre nell’oblio della memoria di un recente passato se il lodevole Evandro Detti non lo avesse ricostruito con pazienza certosina e dovizia di particolari. E con esso, più in generale, l’intera esistenza del comandante Carra, fin troppo breve e dedicata interamente al volo, parafrasando il titolo di copertina.
Questa iniziativa encomiabile si è concretizzata in un volume di sole 127 pagine (seppure arricchito da numerose foto e documenti originalissimi) di tutta sostanza che è contraddistinto da una narrazione fluida e rigorosa ove non traspaiono banali evocazioni nostalgiche o un’esaltazione gratuita di un epoca di grandissimo sviluppo dell’aviazione italiana dovuto, anche e soprattutto, alla notevole spinta impressa dall’allora regime fascista. Perciò, se vi attendete una squallida ricostruzione storica o addirittura un dossier dai contenuti sensazionalistici (come potrebbe ingenuamente lasciare ad intendere il timido bollino che l’editore ha inserito in un angolo della copertina), beh … dovrete rassegnarvi all’idea di scegliere un altro volume e soprattutto un altro autore. E’ invece un libro che, al di là delle vicende personali del comandante Carra, tratteggia a tinte leggere un periodo della storia italiana nel corso del quale, almeno nel settore aeronautico, si respirava ancora forte l’odore del pionierismo e dell’avventura.
Ciò che infatti esce fuori dalla questa lettura è la figura di un pilota che, pur indossando la divisa dell’Aeronautica Militare, deve essere considerato a tutti gli effetti l’antesignano degli attuali lavoratori “precari” e al contempo dei comandanti di velivoli commerciali; un uomo schivo, modesto, che svolge i suoi compiti con passione e professionalità, minimizzando meriti e rischi; un Lindbergh all’italiana che, tra le mille difficoltà dell’epoca, si adopera nel trasportare posta, merci e passeggeri su quelle tratte commerciali oggi solcate da centinaia di velivoli delle compagnie aeree più disparate; e non basta: complici alcune vicende grottesche di mala-burocrazia (militare), il comandante Carra ci apparirà addirittura un ribelle tanto da essere recluso nelle patrie galere per motivi disciplinari benché s’intuisca quanto profondo fosse il suo senso del dovere; non ultimo, comprenderemo quanto fosse apprezzato (come pilota, s’intende) dai gerarchi fascisti, compreso l’energico Italo Balbo, ministro dell’Aviazione, e dal regale Amedeo di Savoia duca d’Aosta.
Purtroppo di Cesare Carra oggi rimane solo una via a lui intitolata all’interno dell’aeroporto dell’Urbe di Roma e … questo libro. Un libro dunque molto prezioso ma che, girata l’ultima pagina, vi lascerà senz’altro un senso di rammarico nell’aver avuto sotto gli occhi un volumetto che si fa leggere tutto d’un fiato e che diventa fin troppo stringato. Allo stesso modo, le immagini che lo impreziosiscono, vi appariranno in un formato inspiegabilmente minuto che rende quasi impossibile apprezzare la grafia o i ciclostilati dell’epoca; tuttavia, rimarrà il piacere di aver letto una prosa tipica di un saggista o di uno storico navigato, intramezzata da considerazioni mai retoriche o prevedibili. E si farà largo in voi la speranza che il buon Detti abbandoni di nuovo cieli aperti e aeroporti animati da una moltitudine di aeroplani e alianti al traino per rituffarsi nei meandri dell’Archivio di Stato o dell’Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare Italiana e, infine, per reintensificare i contatti con i figli o i nipoti di coloro che furono spettatori (se non protagonisti) delle vicissitudini già dipanate nella prima edizione. Perché il ritrovamento di altri preziosi documenti e/o testimonianze orali saranno utili per ampliare questo volume e farne una seconda edizione ben più corposa in termini di formato e di lunghezza.
Sarebbe assai sfizioso, per esempio, svelarci il modo in cui replicò la signora Carra al messaggio inviatole dal consorte che recitava così: “Sii gaia ma non folle, sensibile ma non malinconica, ragionevole ma non pedante, mantieni l’anima pura e colma di tenerezza. Domani come oggi, oggi come ieri, il mio grande affetto non mancherà. Cesare”.
Un semplice: “Vi amo”? No, certo che no. A Evandro Detti scoprirlo!
Recensione e didascalie a cura dela Redazione
Zingari del Cielo
Avventure in punta di ali
FRANZ STIGLER E CHARLIE BROWN
Franz Stigler e Charlie Brown
Spesso mi sento dire dagli amici al campo di volo, “beato te, che fai il pilota di linea”…
Certo sono felice di volare è il coronamento del mio sogno di bambino, ma ci sono anche momenti particolari, ho pensato di condividerne uno – lungo- con i lettori di A.S.
Novembre, un tranquillo turno di quattro giorni, un paio di voli quotidiani con persino il tempo di “mettere le gambe sotto il tavolo” (sempre meno frequente) invece del solito panino. Si inizia con uno spostamento pomeridiano da passeggero a Malpensa (un giorno vi racconterò perché è così “particolare” questo aeroporto). Il primo volo è fissato alle 20:40, destinazione Monaco. Partiamo ed arriviamo esattamente come previsto, il parcheggio avviene in orario alle 21:50. Si va in hotel, lo spostamento dura circa un’ora, il mattino dopo il decollo è fissato alle 07:45, in campo un’ora prima. Il pulmino parte alle 06:20. Nella hall si fanno i conti della sveglia un rapido saluto e si va a nanna. La mattina dopo a seguito di una restrizione all’orario di partenza, ci muoviamo alle 08:00. Il resto è routine, arriviamo al parcheggio alle 09:15. La tratta successiva è Malpensa Sarajevo, per fermarsi lì. Decollo previsto 09:50. Ma il piano di volo elaborato dal sistema informatizzato prevede di andare all’alternato Belgrado passando per la destinazione. In altre parole la destinazione non è atterrabile, il software allora programma un volo che va verso un aeroporto aperto passando sulla destinazione “vera”, se nel frattempo essa è diventata atterrabile, bene, altrimenti… si va all’alternato come da piano di volo. Il bollettino meteorologico di Sarajevo, LQSA xxxxxxZ VRB02KT 0300 R12/0500N FZFG OVC001 M00/M00 Q1027 BECMG 0800 (vento variabile 2 nodi, 300 metri di visibilità, 500 metri sulla pista senza variazioni, nebbia congelante, copertura nuvolosa totale a 100 piedi temperatura e temperatura di rugiada zero gradi, QNH 1027, visibilità diventerà 800 mt) anticipa che l’atterraggio sarà improbabile.
Con il collega guardiamo attentamente la situazione, un paio d’ore di ritardo potrebbero favorire l’innalzamento della nebbia e delle nubi che al momento sono “appiccicate” a terra. Le minime obbligatorie per iniziare l’avvicinamento sono 800mt di visibilità di pista e 600 piedi di altezza della copertura dal suolo. E’ a questo punto inizio a “metterci del mio”.
Parlo con l’ente operativo chiedo conferma dell’alternato. Mi viene risposto di caricare abbastanza combustibile da poter riportare i passeggeri a Malpensa, nel caso l’atterraggio non riuscisse. Da un punto di vista oggettivo Sarajevo è in Bosnia e tutti i problemi politici ancora non sono risolti fra le varie etnie, un atterraggio in un altro aeroporto fuori dal territorio potrebbe addirittura comportare che a qualche passeggero non sia consentito scendere dall’aeroplano e dovrebbe comunque ritornare indietro (già successo!!). Inoltre da Malpensa il passeggero potrebbe essere protetto con un volo successivo.
Comunque l’idea di tornare non mi alletta, continuo a “metterci del mio” e provo ad estendere le mie riflessioni ad altri enti che possono contribuire alla decisione, ma senza successo. Il volo deve partire puntuale. Così combustibile, passeggeri e bagagli, lasciamo il parcheggio alle 09:50, come previsto. Volo molto tranquillo, una volta lasciata l’area di Milano e la padana le condizioni meteo migliorano, dall’alto dei nostri 37000 piedi sotto di noi scorre un territorio colorato di marrone, ambra, verde, rossastro, poi il mare, le isole della Croazia e di nuovo colline e monti. Dalle parti di Spalato ascoltiamo una delle stazioni che emettono i bollettini. Sarajevo ha esattamente le stesse condizioni meteorologiche della partenza per quello che riguarda la copertura, è invece migliorata la visibilità orizzontale di pista (800 metri), questo parametro ci consente di poter effettuare l’avvicinamento, anche se la copertura è rimasta a 100 piedi.
Sarajevo ha un’orografia particolare, è dentro una conca, circondata da alture e montagne, l’altezza dell’aeroporto è 1700 piedi. Quando arriviamo in vista della valle mi sale un po’ di sconforto. Intorno è tutto bellissimo. I colori sono quelli dell’autunno, il sole splende, ma la valle, la valle non c’è: è totalmente coperta da una spessa e bassa coltre di nubi.
Ci predisponiamo all’avvicinamento, nel briefing consideriamo la riattaccata e rivediamo la procedura. Configuriamo il velivolo e a 4200 piedi (2500 piedi sul terreno) siamo stabilizzati sul sentiero di discesa e pronti per l’atterraggio.
Avere la minima a 600 piedi, significa essere a 3.2 km dal punto di contatto (solo un po’ di trigonometria con un angolo di avvicinamento di 3,2 gradi). E’ inoltre evidente come con una copertura riportata a 100 piedi ed una visibilità al suolo di 800mt, la pista difficilmente potrà essere vista.
Scendiamo lungo il sentiero… Silenzio e concentrazione aumentano, 1000 piedi dal terreno, voliamo in un’aria tersa e pulita, sotto di noi la coltre compatta, verifico la posizione un paio di volte in più, intorno a noi colline e montagne, è come entrare in un mare ovattato e bianco. Siamo incollati agli strumenti, noi due e l’autopilota. Avvicinandosi alle minime la concentrazione in cabina è altissima. Noi vogliamo atterrare, ma non vogliamo andare fuori sicurezza, con la coda dell’occhio guardo di lato, nulla, siamo immersi in denso latte bianco, nessuna interruzione, è come un fluido. Arriviamo alle minime barometriche, non ho mai visto nemmeno un briciolo di terreno sotto di me.
Quando alzo gli occhi per guardar avanti sono ancora immerso in una panna densa (penso che mancano le fragoline, ma non ho il tempo per richiamare alla mente il loro sapore), gli occhi ritornano sugli strumenti, pochi comandi precisi, per una sequenza memorizzata e riveduta prima di iniziare l’avvicinamento: inizia la riattaccata; è inutile anche riprovare, su Sarajevo c’è un vero e proprio “tappo” naturale.
Dirigiamo verso Milano.
Informo i passeggeri, ma a bordo uno di loro fa da fomentatore, il malumore serpeggia immediato: scoppia una piccola rivoluzione. Il passeggero enumera tutte le ragioni per cui noi dobbiamo atterrare, enumera tutti gli aeroporti in zona, insomma mentre noi siamo blindati nella nostra cabina di pilotaggio (in accordo alle nuove regole sulla Sicurezza delle Operazioni), la nostra Assistente di Volo, sola ed unica, se la vede con un gruppo di persone relativamente alterate.
Intervengo due volte attraverso l’altoparlante, e spiego perché non è possibile atterrare in un altro aeroporto che non sia previsto, le spiegazioni ottengono il risultato sperato, in una ventina di minuti la tensione scende, i pochi passeggeri “arrabbiati” si calmano, noi continuiamo verso Malpensa, alle 12:50 siamo al parcheggio.
L’equipaggio è abbastanza provato, la notte s’è dormito poco, il volo è stato impegnativo, il problema dei passeggeri ha alzato il livello di stress… insomma, con il pilota già stiamo assaporando il profumo delle lenzuola dell’hotel.
Ma l’ufficio impiego mi chiama e spiega che un equipaggio è fermo da due giorni a Sarajevo (ma no!!!), che non sanno come fare e che non hanno ulteriori risorse e che se noi non accettiamo di volare altri due voli, sono costretti a cancellarli.
La cosa più complicata è convincersi che lo possiamo fare… siamo stanchi, le ore di riposo notturno non sono state tante e … sapete com’è quando fai la bocca a qualcosa (il letto) vorresti veramente averla… ma poi vince l’identificazione: la Compagnia è nella ben nota situazione e noi non vogliamo che i nostri passeggeri rimangano a terra: accettiamo di volare. Decolliamo alle
15:20 per Trieste, “anda e rianda” ci fermiamo di nuovo al parcheggio a Malpensa alle 18:00.
Andiamo in albergo, arriviamo alle 19:30, ceniamo in divisa e sprofondiamo a letto alle 20:40, un riposo meritato.
Il mattino dopo andiamo … indovinate un po’??? A Sarajevo!!!!!!!!!!!!!!
Il pulmino ci viene a prendere in hotel alle 08:05.
Arriviamo in campo, il bollettino è come quello del giorno prima, ma stavolta abbiamo troppi passeggeri per andare e tornare, non si può imbarcare il combustibile per andare avanti ed indietro, poiché verrebbe superato il limite di peso massimo permesso.
Ci “metto del mio” di nuovo. Abbandonata la frequenza radio a favore del cellulare, valuto assieme all’addetto alle operazioni l’aeroporto alternato. In Bosnia c’è poca roba, Mostar e poi un aeroporto militare che era stato già aperto alle nostre operazioni: Tuzla. Possiamo usarlo come alternato? Il tempo scorre, il bollettino migliora un po’, ma ancora non è sufficiente per atterrare. Tuzla viene accettato come alternato, lì le condizioni meteorologiche lì sono eccellenti, temperatura 18 gradi, sole e cielo sereno.
Propongo di spostare sin d’ora con un pulman passeggeri ed equipaggio da Sarajevo a Tuzla (è il primo volo da tre giorni), noi si atterra lì, salgono tutti e si torna a Milano.
L’opzione viene rifiutata. Propongo di ritardare il volo di 40m: opzione rifiutata. Partiamo per Sarajevo alle 12:50, alternato Tuzla.
Vi risparmio la storia che si svolge più o meno come il giorno precedente, però stavolta ci siamo quasi, intravedo la pista mentre la sorvolo durante la riattaccata, peccato, un’altra mezz’ora e saremmo riusciti a farcela.
Mentre riattacchiamo l’equipaggio che aspettava l’aeroplano parte in macchina per Tuzla, loro devono rientrare!
Noi atterriamo 10 minuti dopo, alle 13:50: in un paradiso terrestre.
Vengono in mente le poesie dedicate alla natura. A Tuzla regna il silenzio, quasi innaturale, non ci siamo più abituati, gli aeroporti sono luoghi rumorosi, dopo aver spento il generatore elettrico mi tornano in mente le immagini dell’Intervallo con le pecorelle … flashback infantili!
Nel frattempo a Sarajevo le condizioni meteorologiche sono finalmente migliorate, il centro di coordinamento decide di fare il volo Tuzla-Sarajevo e prendere i passeggeri.
Questo è quello che viene fatto, chiedo al collega a bordo con me di essere io ad atterrare a Sarajevo (sapete com’è dopo tanti tentativi infruttuosi), alle 15:35 finalmente parcheggiamo.
L’altro equipaggio prende i comandi di volo e ci predisponiamo a tornare a Milano, in qualità di passeggeri, come da precedenti accordi con il nostro ufficio impiego.
Ma nel frattempo son cambiate le teste ed il nuovo capo turno si meraviglia perché noi non si rimanga lì.
Continuo a “metterci del mio”, gli sottolineo che se ci fermassimo faremmo la fine del precedente equipaggio bloccato a Sarajevo, ma l’esigenza di questo istante è coprire il volo della mattina dopo. Chi lo effettuerà?
Ma le connessioni telefoniche sono scadenti, la chiamata si interrompe, la necessità di partire il prima possibile, la visibilità minima di decollo è di 400 metri e ci dobbiam sbrigare… insomma partiamo alle 16:00.
Arrivati a Malpensa mi viene riproposto il problema… chi farà il volo domattina? (Sospiro di sconforto)
Invece di andare in albergo propongo di partire da passeggeri sul volo per Sarajevo, così la mattina dopo potremmo fare questo volo. …. Sono le 18:40… e non aggiungo altro, il decollo è previsto alle 20:05.
Da parte mia c’è una unica certezza: in questo modo siamo legati all’aeroplano.
Se l’aereo atterrasse a destinazione il mattino dopo avremmo il mezzo per tornare, se atterrasse altrove noi comunque saremmo in grado di volare, invece di rimanere bloccati in una località irraggiungibile… e sperduta.
Alle 18:50 la visibilità è già 150 metri, alle 1900 sono 50 metri, il volo viene cancellato e noi finalmente andiamo in albergo, non ceniamo nemmeno… l’urlo banzai viene sostituito dal sussurro… letto!!!
Il resto è rientro nella normalità.
Non è ovviamente sempre così, ma son tasselli, storie quotidiane che spesso rimangono nella nostra penna perché non si ha il tempo di scrivere o di comunicare, al rientro a casa il quotidiano ti assale come un cane arrabbiato e puoi solo cercare di difenderti o di ammansirlo… e a volte è più facile ammansire la nostra realtà, d’altronde come è scritto? Sono un aviatore, vivo freneticamente!
# proprietà letteraria riservata #
Paolo Vittozzi |
Nasce nel 1954 a Roma sotto il segno della Vergine.
Già a 4 anni dice alla mamma sulla spiaggia che da grande sarebbe andato “laggiù”, indicando l’orizzonte sul mare.
Dopo gli studi presso l’Accademia Aeronautica a Pozzuoli, il volo ha costituito la struttura di una vita, passando, oltre che per i velivoli dell’Aeronautica Militare, anche per l’aliante il deltaplano ed il parapendio, completando il ciclo professionale sui Canadair della Protezione Civile ed effettuando trasporto passeggeri con Alitalia Express.
Con la fine del volo professionale continuando a fare l’istruttore di volo, ha frequentato un Master in counseling e formazione relazionale presso l’Università di Siena e ora svolge attività di formatore, ampliando alla psiche le conoscenze maturate nel mondo aeronautico dello Human Factor. Svolge anche attività di coach-counselor relazionale.
Dal 2011 ricopre il ruolo di Direttore Esecutivo del Club di Budapest Italia.
È appassionato di sviluppo del potenziale umano, ama e pratica il tango, la meditazione, la ricerca interiore e le tecniche di creatività, incluse le mappe mentali.
Scrive da sempre, soprattutto a se stesso, senza uno scopo se non quello di raccontare qualcosa al lettore.
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