titolo: Le ali sotto la giacca – Diario di vita e di volo di un pilota di Aeroclub
autore: Franco Angelotti
editore: Cartabianca Publishing
pagine: 232
anno di pubblicazione: 2024 (tascabile ed e-book)
ISBN: 13 978-888885559
Scrivere è un viaggio, e dai viaggi si torna quasi sempre cambiati.
È l’autore il primo a uscire cambiato dalla sua storia, soprattutto se la sua storia è la sua autobiografia, cioè il luogo in cui ci si espone senza filtri e ci si mette la faccia mentre si racconta al mondo la propria vita.
Non sappiamo se e come è uscito cambiato dalla sua autobiografia Franco Angelotti, ma sappiamo, perché l’abbiamo letta con vero piacere e partecipazione, che la sua storia è qualcosa che va oltre la sua persona e racconta a noi lettori come esperienze assolutamente singolari e private si possano trasformare in regole generali, paradigmi ai quali ciascuno può fare riferimento per la propria vita, insomma la sua storia è qualcosa che riesce a centrare l’obiettivo più difficile: universalizzare ciò che si racconta rendendolo fruibile a tutti.
Una delle bestie nere che un allievo pilota incontra a bordo di un aeroplano, sin dalle prime missioni di addestramento, è costituito da questo strumento: il famoso virosbandometro. Tecnicamente è composto dall’indicatore di virata (volgarmente chiamata “paletta”, la lancettta bianca in alto) e dallo sbandometro (più semplicemente “pallina”, la bolla da muratore con la pallina nera in basso) da cui il termine abbreviato “palin-paletta”. Apparentemente si tratta di uno strumento innocuo … in realtà è l’incubo di qualunque allievo pilota giacchè la difficoltà maggiore che incontrerà lo sventurato sarà proprio quello di riuscire a mantenere la cosiddetta “pallina al centro”. Quando si è in volo è relativamente facile procedere diritti, tutta un’altra storia è eseguire “virate corrette”, ossia effettuare una traiettoria curva (la virata, appunto) con l’ala inclinata senza cadere all’interno o uscire all’esterno da quella traiettoria ideale. E aggiungiamo pure: a quota costante! Raccontata così sembra quasi una banalità ma salite a bordo di un aeroplano e vedrete che sudata! E soprattutto le urla dell’istruttore che vi trapanerà le cervella fino alla fine dei vostri giornoi con: “pallina al centro”, “pallina al centro”, “pallina al centro” (foto proveniente da www.flickr.com)
Chi non ha amato e poi si è perso, chi non si è trovato a dipendere dalle scelte altrui. Amore e perdita, libertà e oppressione, potere e corruzione, verità e menzogna, in altre parole aggiungere alla cronologia personale un valore universale che incrocia la nostra vita, associare la propria storia a valori con cui la gente si confronta nel quotidiano, ecco cosa ha costruito Angelotti capitolo dopo capitolo.
Una piccola variante migliorata del virosbandometro è il coordinatore di virata ma tranquilli: rimane sempre lo strumento infernale di cui sopra. Oltre alla presenza più discreta della “paletta”, visibile solo nella parte alta dello strumento, potrete infatti notare il simulacro di un aeroplano visto di fronte che visualizza meglio l’assetto trasversale del velivolo.Insomma cambia la veste ma le difficoltà di mantenere l’aeroplano con la pallina al centro in virata non cambiano affatto. Anche l’autore, in tutta la sua onestà, dedica una buona frazione del capitolo “La pratica: mettere in linea quell’aereo” a questo ostacolo quasi insormontabile del suo percorso addestrativo. Inoltre, pungolato da Rossana Cilli, anche nella notevolissima intervista rilasciata ad Ameriaradio, ha dedicato una lunga riflessione circa il senso del “vivere con la pallina al centro”. Perchè se a bordo di un aeroplano è necessario saper coordinare perfettamente i comandi di volo per volare diritti, ebbene allo stesso modo nella vita quotidiana occorre saper dosare le proprie risorse e capacità … e tutto per andare diritti o, se preferite, per non uscire di traiettoria. Un simbolismo che merita da solo la lettura del libro di Franco Angelotti! (foto proveniente da www.flickr.com)
Noi, che pure scriviamo e pubblichiamo, non abbiamo mai percorso gli insidiosi sentieri dell’autobiografia, perché sappiamo bene che rielaborare la propria storia permetterebbe di leggerla diversamente e magari di scoprire altre verità, su di noi, su gli altri. Senza dimenticare un’altra paura bloccante, quella del giudizio. Chi di noi non ha mai pensato: e se questo passaggio lo leggesse mia madre, mio padre, il mio capo, mio fratello? Come qualcuno ha detto, la scrittura è farsi mettere le mani addosso. Si è nudi, a carne viva, quando si scrive. E questo fa paura. Ma Franco non ha avuto paura.
Anzi, ce ne parla disinvoltamente e apertamente della paura. Della sana paura.
Magari a 17 anni, l’età in cui lui si avvicina al mondo del volo, la paura ancora non appartiene al bagaglio di un ragazzo che piuttosto se la gode a fare cabrate e picchiate sull’hangar del suo aeroclub, e persino qualche puntata sul giardino di casa propria, ma… Ma sa già che non si vola sulla testa della gente, che affrontare le cose, tutte, non solo quelle del volo, con studio, attenzione e un rigoroso briefing di ogni dettaglio, è l’indispensabile disciplina che porta a condurre bene indifferentemente un aeroplano e una vita degna, e darà le chiavi per aprire tante porte, anche quelle del cielo, come si dice in gergo quando si consegna a una persona la licenza di volare da sola per la prima volta. E allora la paura arriva davvero, ma a suggerire una cosa straordinariamente vera perché – lo diciamo con le parole dell’autore:
“Quello che traggo è una maggiore consapevolezza di quanto si possa andare vicini al pericolo e quanto in quelle condizioni diventa determinante decidere, magari per eccesso di prudenza piuttosto che solo sulla base dell’esperienza, superando quel timore di apparire deboli, in primo luogo con sé stessi”.
E vi pare poco?
La scrittura è sottrazione. Non si può raccontare tutta una vita, bisogna selezionare gli episodi più significativi, quelli che ci hanno ‘segnato’ di più, trovando un equilibrio tra intimità e riservatezza. Angelotti sceglie qui di raccontare la parte di vita che riguarda il suo tempo libero. Non racconta quasi nulla della sua vita lavorativa o della sua famiglia, se non laddove strettamente necessario per contestualizzare il suo racconto, ci porta infatti solo, si fa per dire, in un percorso all’interno di quella che è stata la sua passione sin da bambino: il volo sportivo, amatoriale, che, diciamolo, solo per un dettaglio non è diventata la ragione anche professionale della sua vita quando la allora compagnia di bandiera Alitalia lo considerò candidabile per il suo staff di piloti.
Nelle Valli di Comacchio, nella Salina di Cervia e nell’area del delta del Po, dunque non lontano da Fano, aeroporto presso il quale al buon Franco Angelotti spuntarono le ali, è insediata la colonia più numerosa d’Italia di fenicotteri rosa. Questo scatto al tramonto, a nostro modo di vedere, costituisce metaforicamente il saluto che l’autore offre ai suoi lettori: al tramonto della sua carriera di pilota sportivo ma rimanendo comunque un gran volatile, nella mente e nell’animo. Grazie, Franco, ringraziamo commossi per il regalo che ci hai concesso. In realtà lo scatto ritrae delle gru canadesi che, all’imbrunire si raccolgono casualmente in grandi assembramenti tali per cui si fanno sicurezza gli uni con gli altri … che poi è esattamente quanto praticano i piloti negli aeroporti, non vi pare? E ora vorrei sapere se c’è ancora qualcuno che si ostina a sostenere che i piloti non siano uccelli mancati!? (foto proveniente da www.flickr.com)
Ma quando si fa una scelta di questo genere, cioè quando si sceglie cosa raccontare, quale parte, quali dettagli, ecco è in quel momento che le cose si fanno davvero difficili. Perché, come si fa a scegliere fra i ricordi?
Sono molte le cose a cui attingere, un oggetto, una vecchia fotografia in cui molte persone non le riconosciamo più, come spesso succede per esempio nei vecchi ritratti di gruppo di matrimonio; ma è proprio davanti a queste cose che si mettono in moto all’improvviso le sinapsi, si mette in moto un meccanismo interiore che va a pescare nelle suggestioni che tutto ciò suscita, e lì si trova il materiale che ci sembra più adatto.
Noi crediamo che Angelotti abbia corredato il suo libro di bellissime fotografie proprio perché quelle immagini gli hanno rievocato le cose che poi racconta, suscitato, dato stimoli per la scrittura, anche se lui stesso in verità dichiara di avere avuto da sempre in mente l’idea di scrivere un libro così, a prescindere.
Comunque sia, l’autobiografia è quasi un atto dovuto per sé stessi e anche quando parliamo di altri parliamo di noi, i serbatoi dell’autobiografia dopotutto sono la nostra vita e la vita degli altri, e anche la distanza che c’è tra i noi di ieri e i noi di oggi.
Qui però sembra che il percorso dell’autore accorci sensibilmente quella distanza, come se fosse sempre stato così tanto consapevole della propria passione per il volo da saperne trarre tutte le gioie, le fatiche, i patemi, le speranze e le sfide allo stesso modo ieri come oggi, e questo tanto più è ammirevole perché ci mette davanti un autore solido, strutturato, sicuro, sicché alla fine questa sua autobiografia, proprio in virtù dell’accorciamento delle distanze temporali, si fa anche qualcosa d’altro, si fa – sappiamo che lui non approverebbe ma ci perdonerà – manuale.
Un pilota e il suo aeroplano. Si può sintetizzare così il contenuto dell’ottimo volume di Franco Angelotti che, raccontando di sè e delle sue vicende legate al mondo del volo, lancia ai suoi lettori dei messaggi dal contenuto universale giacchè ogni esperienza narrata, piacevole o spiacevole che sia, avventurosa o anche no, ha un profondo significato ed è un’occasione di riflessione (se non d’insegnamento) nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Ed è proprio questo il pregio e il valore aggiunto di “Le ali sotto la giacca” perchè è molto di più di un semplice testo autobiografico, per quanto piacevole e, in taluni passi, addiruttura avvincente ma pur sempre di nicchia.(foto proveniente da Flickr.com)
Sì certo ha ragione lui quando dice che il suo libro non è e non voleva essere tale, e infatti probabilmente non si impara a volare leggendolo, ma, come gli stessi piloti che l’hanno letto hanno detto, è talmente pieno di materiale e spunti che se ne potrebbe trarre una buona base per farne davvero uno, di manuale.
Questo lo diciamo soprattutto per un aspetto: qui il futuro pilota (ma anche il pilota compiuto) trova tanti richiami al comportamento, agli atteggiamenti che deve tenere per esempio l’allievo nei confronti del maestro, o istruttore che dir si voglia: di rispetto, ascolto, ma anche interazione, sinergia, collaborazione, e trova anche sottinteso quanto il fattore umano conti oltre la tecnica. E anche questo non ci sembra poco. Tanto più in tempi in cui l’intelligenza artificiale (che, ricordiamolo, si avvale però di ciò che gli insegna l’uomo) sembra insidiare l’intelligenza naturale, nonché artigianale, che tanto sa risolvere nella pratica a fronte degli inceppamenti e défaillance dell’imprevedibile e sofisticata sapienza robotica. La missione spaziale Apollo 13 docet.
Una bella immagine di un Macchi MB 308 in volo, l’aeroplano cui l’autore è inevitabilmente più legato. Se ne conservano alcuni esemplari nei musei italiani e alcuni sono addirittura volanti per merito dei soci dell’HAG (Historical Aircraft Group) che li hanno sapientemente restaurati e così facendo mantengono viva la memoria storica di una macchina volante gloriosa per i piloti italiani e per l’industria aeronautica nazionale. (foto proveniente da www.flickr.com)
Detto questo, proviamo ora a ripercorre le pagine appena lette e offrire quindi una carrellata che, ben attenta a non raccontare troppo dei contenuti – che sarà piuttosto un piacere scoprire da sé leggendo – possa dare un’idea di quella ricchezza di cui si diceva poc’anzi.
Immaginate allora un nonno affettuoso e un nipotino che lo guarda ammirato. Chi di noi non si riconoscerebbe in questa immagine riandando al proprio passato? Chiunque. Ma quanti di noi possono vantare un nonno aviatore?
Ecco, questo era il nonno dell’autore, nonno Nazareno, una figura che sarà più che un riferimento per il piccolo Franco. È in quel rapporto che, scopriamo subito, affondano le radici della sua passione. Ma ovviamente è presto per concretizzarla in aeroporto.
E allora un bambino che fa? Gioca.
Con i modellini.
E quanto impara con l’aeromodellismo! Anche in termini di manualità.
Cosa che in futuro tornerà utile, eccome.
Ma un giorno, quando ancora non può guidare una macchina, questo bambino divenuto intanto diciassettenne comincia a concretizzare il suo sogno.
È il 1975, i coetanei di Franco probabilmente nel tempo libero guardano Goldrake appena sbarcato in televisione, o si cimentano con il primo videogioco di sempre, pong, ascoltano i Queen che in quell’anno escono con il loro quarto album, o vanno a provare il brivido del “volo” all’appena inaugurato parco giochi di Gardaland, su iperboliche montagne russe e perigliosi antesignani del futuro Tornado blu. Franco pure sperimenta il brivido del volo, ma lui lo fa all’aeroporto di Fano, dove impara a mettere in linea l’aeroplano, vero, e se la deve vedere con uno strumentino chiamato virosbandometro e la sua “maledetta pallina che deve stare sempre al centro”.
La semplicissima eppure evocativa IV di copertina de: “Le ali sotto la giacca” mostra il classico “Libretto di volo” di Civilavia (da diversi anni incorporata nell’ENAC) di qualunque pilota italiano e una penna di uccello sintetizzando così in modo mirabile il contenuto del libro. Il primo era (ed è tutt’ora nella versione moderna europea dell’EASA con la denominazione anglofona di “log-book”) il documento fondamentale che accompagna la vita volativa di qualsiasi pilota dell’Aviazione generale italiana. Esso elenca minuziosamente la sua attività di volo svolta con l’indicazione del quando, dove, con cosa e quanto si è volato (una sorta di diario di bordo del pilota); la seconda proviene probabilmente dalle ali dell’autore. Che si sia spennato? Dopo aver deciso di attaccare le ali al chiodo? Non lo sapremo mai! Viceversa sappiamo per certo che il libretto di volo presente nello scatto è proprio quello dell’autore di cinquanta anni orsono con copertina in pelle: un vero cimelio! Inoltre – fateci caso – è aperto in una pagina relativa a una data e a un volo che ha marchiato in modo indelebile (come fosse un marchio a fuoco) la vita del pilota e dell’uomo Franco Angelotti: il primo volo solista. Non è a caso è sottolineato e scritto con la penna rossa. Toglici una curiosità, caro Franco: dopo tutti questi anni … è vero che ancora senti l’odore di carne bruciata? Come di chi ? … la tua!
Gli addetti ai lavori sanno ovviamente di cosa parliamo, per gli altri diremo che è uno strumento semplice, che, grazie al movimento di una pallina nera, indica al pilota se sta volando correttamente. Franco però nel suo libro, nel mentre racconta questo, riesce anche a farne una metafora della vita, una livella che ci dice se stiamo facendo della nostra vita una costruzione diritta o piuttosto mal deviata. Perché
“l’approccio mentale che si acquisisce con il pilotaggio per me è diventato utile non solo per affrontare altre situazioni, ma anche una parte rilevante del mio essere. La consapevolezza che il risultato che vogliamo raggiungere deriva da più azioni contemporanee e coordinate porta a ragionare in maniera più complessa”.
In aeroporto Franco incontra ovviamente diversi istruttori e compagni, persone fondamentali per la sua vita e la sua crescita, ma incontra anche una persona speciale, che porta il nome di una città, Lodi.
Non ci è dato sapere se la “ragazzina” con la quale l’autore visse la folgorante esperienza del primo volo a bordo di un velivolo fosse proprio quella stangona ritratta in questo scatto … ma ci piace pensarlo! In realtà, dalla viva voce di Franco Angelotti (nel corso dell’intervista ad Ameriaradio), siamo venuti a sapere che la ragazzina di cui sopra è stata la genitrice di un eccellente pilota da poco inserito nell’organico delle Frecce Tricolori. Buon volo non mente! In realtà vi dobbiamo una piccola confessione: quella ritratta è l’ autrice della recensione che, dovendo andare in aeroporto per incontrare Franco Angelotti, ha indossato il primo vestitino che aveva nell’ armadio e … poi cosa volete? Quel falco di Franco l’ ha subito immortalata. Cosa non si farebbe per avere una buona recensione di Rossana!? (foto proveniente da www.flickr.com)
Lodi è un tuttofare; custode, manutentore, meccanico, accudisce gli aeroplani come fossero figli suoi, quasi li nutre quando li rifornisce di benzina, ed è quello che, non senza rischi, fa letteralmente volare i piloti, perché è lui che mette in moto il motore azionandone a mano le pale mentre lui e il pilota comunicano gridando a voce viva attraverso lo sportello aperto dell’aeroplano!
Colpisce molto questo punto, perché in fondo non sono passati secoli, eppure questo gesto ci precipita nel romanticismo del pionierismo aeronautico d’inizio Novecento. Quello degli occhialoni, la cuffia di cuoio, i guanti col bottone e la sciarpa bianca svolazzante. Un aspetto del volo che oggi sembra perduto, tanto l’aeroplano anche piccolo si è tecnologicamente evoluto rispetto a quelli che ha usato via via Franco nella sua vita di pilota, e tuttavia, ne siamo sicuri, il giovane che dovesse oggi ripercorrere i suoi passi riuscirebbe ancora a riavvertire sulla sua pelle quell’aura romantica che da sempre circonda l’azione meno consona all’essere umano che si possa immaginare qual è librarsi nell’elemento creato invece per gli uccelli. L’aria.
Ma, non dimentichiamolo, anche per la nostra respirazione, e quindi vita.
Sarà per questo che i piloti si sentono vivi solo lassù? Non sappiamo, ma certo alcune righe di questo libro lo fanno sospettare, sentite questo:
https://www.ameriaradio.com/diretta-autori-autori-franco-angelotti-le-ali-sotto-la-giacca/ è questo il link che vi porterà direttamente al podcast della trasmissione radiofonica dedicata a “Le ali sotto la giacca” e al suo autore. Padrona di casa, pardon, di microfono la gradevolissima Rossana Cilli che con grande garbo ma sana curiosità ha posto una sequela di domande cui Franco non si è sottratto … tranne per alcune particolarmente scabrose per la cui soluzione rimandiamo alla lettura del volume
“Non riesco a spiegare a parole cosa capitò in quel momento, il maestro che si allontanava, il vuoto sul sedile dell’aereo, io da solo che mi dicevo: adesso sei in mano tua Franco, vediamo come te la cavi… Stop ai pensieri, concentrazione sui comandi e gli strumenti… Il salire di giri dell’elica scandiva la via di non ritorno, ormai ero partito, guardai avanti e appena ebbi velocità mi alzai da terra…il piccolo aereo gioì e si levò veloce in cielo. Staccai le ruote e vissi quel bellissimo momento di transizione tra l’essere terrestre e l’uccello che si prova tutte le volte che si decolla, ma quel giorno fu una sensazione ancora più forte: adesso sì che non posso più tornare indietro…”.
A parte la bellissima sineddoche grazie alla quale è l’aereo e non il pilota a gioire di quel momento, si avverte già qui il senso di sfida e di gara. Le gare vere arriveranno davvero e con esse anche qualche meritata soddisfazione. Ma anche qui il nostro autore va oltre e ci spiega che volare da solo è più di questo.
“Ritengo di aver appreso molto da queste procedure [il briefing], di aver fatto un po’ mio questo metodo che mi ha aiutato moltissimo non solo alla guida di altri mezzi, ma anche nell’affrontare attività di studio o di lavoro oppure di relazione con gli altri. Si acquisisce quella razionalità necessaria per affrontare al meglio le situazioni, con conseguente maggiore sicurezza di sé stessi”.
Ecco, la sicurezza in sé stesso acquisita attraverso la pratica e la ripetizione di azioni fondamentali perché il volo avvenga in sicurezza, e che inevitabilmente ha maturato Franco come pilota e come uomo e lo ha reso affidabile anche agli occhi degli altri, sicuramente deve essere stato l’elemento che ha indotto appunto gli altri a fidarsi di lui, al punto da vincere limiti naturali, paure ataviche, o al contrario fondate su elementi inconfutabilmente oggettivi, e a decidere di salire a bordo con lui.
Scrive l’autore in una delle ultime righe del suo volume: “L’età giusta per il volo è quella in cui ci si sente di volerlo fare […] perché volare arricchisce sempre, in qualsiasi momento della vita, e ci migliora”. Come non sottoscrivere con doppia firma queste parole? Perché la disciplina, la capacità di analisi e di autocontrollo, la valutazione del rischio e la necessità di considerare scenari futuri che induce l’attività di volo è difficilmente richiesta in altre attività sportive. Lo scatto al tramonto che abbiamo scelto a beneficio dei nostri visitatori ritrae dei vecchi velivoli al parcheggio di un aeroporto qualsiasi e volge con una certa nostalgia uno sguardo al passato, lo stesso che Franco Angelotti ha rivolto alla sua esperienza di volo cominciata giovanissimo e terminata attorno ai sessant’anni di età, proprio l’età in cui suo nonno Nazzareno aveva conseguito il brevetto di volo. Una sorta di passaggio del testimone al contrario. Perché se esiste l’età giusta per cominciare a volare ce n’è anche una per decidere di smettere.(foto proveniente da www.flickr.com)
Tenerissimo il passaggio in cui Franco rievoca il momento in cui portò in volo suo padre, sofferente di vertigini, e la mamma indelebilmente segnata dalla morte di suo padre, ovvero quel nonno Nazareno di cui si diceva, caduto col suo aeroplano a pochi metri dal giardino di casa sua e quindi praticamente sotto gli occhi di lei e del nipote. Donna invero coraggiosa nel non tarpare le ali al figlio, già precocemente avviato sulla strada del nonno, dopo e nonostante cotanta tragedia.
C’è forse tra le righe del libro qualche sottile rimpianto nel non aver portato in volo più amici e più spesso, ma credo che questi due “successi” valgano di più di tutto.
Ma ora corre l’obbligo di spendere qualche parola in più sulla tragedia familiare cui si è fatto cenno. La morte in volo di nonno Nazareno. Solo perché la benzina era finita!
Si fa cenno anche ad altre tragedie nel libro, perché volare, benché sia il modo di spostarsi con mezzi meccanici più sicuro di tutti, non è esente dai luttuosi incidenti, ma questa tragedia la vogliamo ricordare perché la più vicina a Franco, il quale perdendo il nonno così, si troverà davanti due sole possibili vie: seguire le sue orme e quindi volare a sua volta, oppure no. Sappiamo quale ha scelto. Del resto,
“Le vibrazioni del motore e l’estasi di vedere il nonno che si esibiva nel cielo fecero nascere in me il profondo desiderio di imitarlo, di voler fare come lui, da grande”.
Chissà se in questa decisione non abbia giocato un ruolo anche una cosa speciale che faceva suo nonno volando.
“Allora passava con l’aereo sopra casa nostra, volava basso sulla spiaggia e spesso lanciava un sacchetto di caramelle da lassù, che però noi non siamo mai riusciti a prendere, perché i ragazzi più grandi arrivavano sempre prima di noi”.
Bè, siamo su Voci di Hangar, ovvero una costola, se così si può dire, di Racconti tra le Nuvole… non vi ricorda niente questo?
Ma certo, il bellissimo racconto di Massimo Conti Scende uva passa dal cielo, dove lui raccontava di un pilota della Seconda Guerra Mondiale che gettava dal suo aereo, ancorché purtroppo bombe, anche piccoli fazzoletti-paracadute pieni di dolci e uva passa per i bambini di Berlino sofferenti per la guerra e la fame.
Massimo con quel racconto vinse il premio speciale nel 2022, poi, con un suggestivo “passaggio di testimone”, l’anno dopo lo stesso premio lo vinse Franco!
Ma, a parte questo, ecco che attraverso l’episodio delle caramelle del nonno ancora una volta Franco va oltre sé stesso e consente al lettore rievocazioni e rimandi più generali, come è capitato a me. E le suggestioni e i passaggi di testimone non finiscono qui.
Un rarissimo fermo immagine di Franco Angelotti a bordo del suo primo velivolo scuola immortalato in modo estemporaneo con un dagherrotipo, congegno fotografico antesignano delle moderne fotocamere digitali. Correva l’anno ’77 dopo Cristo. Mille e novecento, beninteso. A parte gli scherzi, l’autore conseguì l’allora brevetto di I grado davvero giovanissimo (oggi licenza di volo privato PPL- private pilot licence) e, come scrive, conseguì la facoltà di volare con un aeroplano prim’ancora di poter guidare un’automobile. Di sicuro la sua vocazione fu innescata dalla giocosa presenza del nonno Nazzareno nella sua vita infantile e, purtroppo, anche dalla sua prematura dipartita a causa di un terribile incidente aeronautico. Di certo quell’evento luttuoso pose all’autore due scelte completamente opposte: osteggiare in modo feroce il volo (come inizialmente fece la mamma di Franco, figlia del nonno Nazzareno) oppure entrare in quel mondo magico che già il nonno aveva praticato con grande soddisfazione. Sappiamo quale fu la scelta di Franco e questo libro lo testimonia ampiamente. (foto proveniente da www.flickr. Per onestà storica siamo tenuti a riportare la vera origine dello scatto che riporta la seguente dicitura: “Robinson, marzo 1911”
Nella pur blindatissima vita privata di Franco, riusciamo a sapere infatti di una certa ragazzina di 11 anni che forse fece battere il cuore al giovanissimo Franco.
Vi state chiedendo cosa c’entra adesso questo?
Ebbene, quella ragazzina, apprendiamo con una certa meraviglia, è oggi la mamma di uno degli ultimi “acquisti” di quelle gloriose italiche Frecce Tricolori che tanto hanno affascinato e ancora affascinano Franco e certo non solo lui. E che lui però ha da poco conosciuto di persona!
Che dirvi di più? Ci sarebbe tanto ancora da dire, ma a questo punto non vi è venuta voglia di andare a leggere tutto intero questo bellissimo libro? Sì?
Ma certo, come potrebbe essere altrimenti. Allora tutti a bordo, magari di un Macchino, e, come faceva Franco, decolliamo attraverso le sue pagine in un fine settimana di buon tempo per:
“Scoprire la costa, addentrarsi sulle vicine montagne. Il Monte Nerone o il Catria erano le destinazioni classiche. In estate si godevano panorami bellissimi, in inverno la curiosità di andare a vedere la linea dove iniziava la neve. In giro sulle campagne cercavo di riconoscere i paesi: Mondavio al quale facevo spesso una virata bassa intorno al castello; Orciano, che si riconosceva per i due campanili che svettavano sopra il costone lungo il quale si estende il paese; Urbino con la meravigliosa vista del palazzo Ducale dall’alto…”.
Però magari stavolta il carcere schivatelo, sorvolarlo può essere pericoloso. Fidatevi.
Se è vero che il primo amore non si scorda mai, men che meno un pilota può scordare l’aeroplano con il quale ha solcato il cielo per la prima volta nel ruolo di pilota al comando. A questo sacro dogma non viene meno neanche il nostro Franco Angelotti che dedica al Macchino (il mitico Macchi MB 308) addirittura un capitolo del suo volume autobiografico, non fosse altro perchè suo nonno, già prima di lui, mise le ali proprio su quel modello di aeroplano … e quale sarebbe potuto essere il destino di Franco se non ripercorrere le orme del nonno? Le marche (la targa per intenderci) di questo esemplare di Macchino che faceva bella mostra di sè in occasione di un salone dell’aria tenutosi a Forlì tanti orsono non sono tra quelle elencate nel capitoletto “Le date e gli aerei della mia storia di volo” presente in coda al volume ma siamo certi che oggi sarebbero un ottimo veicolo pubblicitario per qualsiasi azienda casearia, Centrale del Latte o allevamento bovino … chissà che fine avrà mai fatto questo aeroplano? Che sia diventato una mozzarella? Una caciottella?(foto proveniente da www.flickr.com)
Starei qui ancora tanto, ma ora vi lascio alla lettura.
Anzi no, solo ancora un paio di cose, prima.
Qualche meritata parola sulla casa editrice del libro di Angelotti, un nome noto in questo sito, si tratta infatti di Cartabianca, piccola nobile casa editrice specializzata in testi che trattano di aeronautica e astronautica, alcuni dei quali recensiti su Voci di Hangar, come per esempio la bellissima autobiografia dell’astronauta Michael Collins (oggetto del prezioso contributo di Evandro Detti). Ma con Franco, per la prima volta, questa casa editrice si è cimentata con un libro tecnico e biografico assieme, insomma una novità anche per lei che probabilmente aprirà una nuova collana sulla sua scia.
Volume piacevole da tenere in mano, carta avorio, carattere corpo 12, non grandissimo ma leggibile, copertina flessibile e immagine davvero potente ed evocativa.
Qualche meritata parola anche sulla qualità di scrittura di Franco Angelotti (siamo pur sempre su un sito di narrativa, non dimentichiamolo).
In narrativa, come certamente sapete, esiste una regola che non si può infrangere mai: il viaggio dell’eroe. Tutte le storie sono storie di cambiamento, in meglio o in peggio. Il nostro protagonista deve sempre compiere un viaggio per ottenere ciò che desidera davvero, o per liberarsene. Deve resistere a una chiamata, farsi degli alleati con cui stringere patti e sconfiggere i nemici, magari quelli che sono solo nella sua mente, come la paura o il timore di non riuscire. Solo così sarà diverso, alla fine di una storia.
Da questa struttura narrativa non si sfugge.
E non sfugge neanche Franco che ovviamente è l’eroe del suo libro, l’eroe che appunto compie il suo viaggio e raggiunge ciò che desidera, dimostrando a noi tutti che “si può fare”. Lo fa peraltro padroneggiando la penna allo stesso tempo con rigore e libertà.Ci viene in mente che in “On writing”, il suo manuale di scrittura, Stephen King dice che ci sono due tipi di autori: i pianificatori e gli improvvisatori.
Lui è un improvvisatore, non ha un piano generale. C’è invece chi non inizia proprio a scrivere se non conosce persino il colore dei calzini del suo protagonista. Sono punti di partenza diversi e nessuno dei due è giusto o sbagliato.
L’unica cosa certa, è che una scaletta ci può aiutare nell’immaginare una storia, vera o di fantasia che sia. Franco ha avuto una scaletta d’eccezione, la sua stessa vita… meglio di così! Del resto non per niente vince premi letterari. Ah, l’ho già detto?
E va bene, repetita iuvant.
Infine l’ultima cosa: se volete sentire l’autore stesso parlare del suo libro, ho avuto l’onore e il piacere di intervistarlo per conto di Ameriaradio (la radio che non c’era) giusto qualche giorno fa nel corso di una scoppiettante intervista dedicata proprio a “Le ali sotto la giacca”. La trasmissione radiofonica “Autori&Autori” che ho l’onere e il privilegio di condurre, tra domande impertinenti, considerazioni esistenziali e curiosità aeronautiche ad ampio raggio, ci ha permesso di conoscere meglio il libro e il suo autore. Che poi sono lo stesso viaggio, non vi pare? Ed è stato un breve quanto piacevolissimo viaggio …
Stilare la recensione dell’ultima fatica letteraria di Claudio Di Blasio è stato quanto di più piacevole e anche rapido ci potesse capitare. Semplice: ci è stato sufficiente sbirciare l’indice in coda al volume!
Non scandalizzatevi: non si tratta di un’affermazione presuntuosa e neanche di una battuta infelice; non è merito del canale diretto (modello Kremlino-Casa Bianca) che ci vantiamo di avere immeritatamente con l’autore, e neppure delle capacità strabilianti del servizio di intelligence di cui è dotato il nostro hangar … niente di tutto questo. Semplicemente in “Nuvole” sono fondamentalmente racchiusi i racconti – eccellenti, neanche a dirlo – con i quali, nel corso degli ultimi dieci anni, il buon Claudio ha partecipato al Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE di cui VOCI DI HANGAR si fregia di essere l’ideatore e l’organizzatore assieme agli amici di HAG (Historical Aircraft Group). Svelato il piccolo mistero.
Chi sarà “La signora del cielo?”. La risposta ce la svela Claudio Di Blasio nel testo del racconto omonimo. Noi possiamo anticiparvi solamente il velivolo co-protagonista di questa impeccabile ricostruzione storica: il famoso Caproni Ca-113AQ conservato presso il fantasmagorico museo dell’aria “Volandia” di Milano Malpensa. La scheda presente nel sito web della gigantesca area espositiva aerospaziale (e non solo) riporta la seguente descrizione: “L’esemplare esposto è l’unico esistente al mondo. Sopravvissuto alla guerra, fu ripristinato da Mario De Bernardi come I-MARY e partecipò a numerose manifestazioni aeree. Dopo essere stato impiegato per traino alianti a Rieti, l’I-MARY fu donato al Museo Caproni”. Il suffisso AQ – Alta Quota dovrebbe però aiutarvi nell’individuare l’uso recordistico che ne fece nel lontano 1935 una donna audace e a dir poco volitiva … ma non intendiamo aggiungere di più! (foto proveniente da: https://volandia.it/velivolo/ca-113/)
In altre parole questo volume costituisce idealmente un grande regalo che l’editore prima e l’autore dopo ci hanno voluto concedere a ridosso delle feste natalizie dell’anno 2024 e che, indipendentemente dall’evento pseudo commerciale, ci consente di godere dei numerosi racconti aeronautici di Claudio altrimenti disseminati in diverse antologie del Premio. Lode dunque all’editore e lode all’autore per averci concesso uno scrigno così prezioso.
Ovviamente noi conosciamo a menadito i racconti della raccolta per averli già letti nel corso degli anni in anteprima nelle vesti della Segreteria del Premio … che poi è l’unico privilegio che, nostro malgrado, ci è concesso … sicché è per noi altresì facile e spontaneo spendere parole benigne a favore di Claudio Di Blasio e di ALI RIBELLI. E questo a prescindere dal gusto personale o dei piazzamenti che le giurie, nel corso delle varie edizioni, hanno attribuito ai vari racconti. Piazzamenti che – ve lo anticipiamo – sono stati talvolta letteralmente strepitosi, talvolta “solo” eccellenti e che vi suggeriamo di apprendere leggendoli uno a uno. Giusto per creare un po’ di suspance.
E’ una ricostruzione grafica di pure fantasia … ma il fantascientifico velivolo su cui salirà Francesco, il protagonista dell’adrenalico raccontoi “Verso lo spazio”, potrebbe essere proprio questo. Leggere per credere! (foto proveniente da www.flickr.com)
Ad ogni modo – lo confessiamo – per noi è stato ugualmente piacevole rileggerli come se fossero ancora inediti. Perché in fondo questo è il grande merito di Claudio Di Blasio: aver elaborato una formula narrativa pressoché perfetta che coinvolge il lettore, lo lascia stupito per l’originalità del tema e della trama, che è inattaccabile dal punto di vista storico, che mostra pennellate di poesia dalle quali le lettrici o i lettori più sensibili non riusciranno a non rimanerne ammaliate/i, che fa dialogare con grande verosimiglianza i vari personaggi rendendoli vivi, che è snello (come la lunghezza limitata tipica del racconto impone) tuttavia non è ma mai affrettato giacché si dipana in un intreccio intrigante che non annoia.
Certo, i racconti sono tutti in chiave aeronautica … d’altra parte la raccolta non prenderebbe il titolo, (per inciso: azzeccatissimo) di “Nuvole” e la collana di cui fanno parte – immaginiamo del tutto nuova, vero editore? – non poteva chiamarsi che “Ventus”. Sono infatti racconti multiformi e mutevoli come solo le piccole-grandi nuvole possono essere, a volte spostate dal vento ma pur sempre vaporose e quasi impenetrabili che riservano al loro interno sorprese inimmaginabili …
Certo l’editore non ha trascorso notti insonni nel scegliere questo titolo né Claudio ha dovuto faticare granché nello scrivere i racconti perché li aveva già belli e pronti, fatto salvo per la prefazione che – così vorrebbe la tradizione – qualcuno/a di sua fiducia avrebbe dovuto stilare … altrimenti te la suoni e te la balli, caro Claudio! Invece l’autore ha sacrificato la prefazione per anticipare i temi toccati oltre a una doverosa spiegazione della provenienza dei racconti: il Premio letterario, per l’appunto. Ed è anche l’occasione per additare gli enti e le organizzazioni che generosamente supportano RACCONTI TRA LE NUVOLE ormai da anni. Grazie a nome loro.
“Nobili virtù” è il racconto in cui Claudio narra con mirabile verosimiglianza un episodio della II Guerra Mondiale. Il SIAI-Marchetti S.M.79, famoso trimotore soprannominato confidenzialmenrte “Gobbo maledetto”, e il temibile caccia tedesco Messerschmitt Bf 109 sono – loro malgrado – i due velivoli militari protagonisti. La vicenda troverà poi il suo lieto fine in tempi più recenti e con una profonda morale che ancora oggi risulta universale e che, parafrasando il testo a chiusura del racconto, si può sintetizzare in questi termini: i sentimenti di amore della vita e di fratellanza tra esseri umani, nonostante le divise indossate dai piloti di diverse nazioni, sono inossidabili nel tempo e costituscono indiscutibilmente delle nobili virtù. Parola di Claudio Di Blasio
Certo un editore che si chiama ALI RIBELLI “dovrebbe” disporre necessariamente di un catalogo a forte componente aeronautica … in effetti non è proprio così: ci auguriamo che Claudio costituisca l’apripista per tanti altri autori e autrici che si uniranno a lui in un prossimo futuro rendendo questo editore uno dei pochi che si vanno ad aggiungere ai pochissimi che già si cimentano nella pubblicazione di volumi dalla forte componente aero/astronautica.
Certo l’idea di dare alle stampe una raccolta di racconti che hanno partecipato a RACCONTI TRA LE NUVOLE non è del tutto originale … e in questo senso ricordiamo una certa Rossana Cilli, altra vincitrice di RACCONTI TRA LE NUVOLE, altra scrittrice con l’insano vizietto della narrativa, che più di un anno orsono ha pubblicato: “Avevo tredici anni … e altri racconti” … ma questo non può che inorgoglirci. Un po’ di vana gloria concedetecela, e che diamine!? Significa che RACCONTI TRA LE NUVOLE giova gravemente alla salute della narrativa aeronautica italiana così trascurata dagli editori, così ignorata dai lettori e lettrici del nostro paese.
Dunque giusto merito anche a Claudio che, in piacevole compagnia di Rossana, costituisce la sparuta schiera dei nostri paladini, difensori e divulgatori della cultura aeronautica attraverso la narrativa.
A proposito dei racconti contenuti in questa antologia sappiate però che non vi anticiperemo granché … fatto salvo che sono assai variegati e collocati in diverse stagioni temporali: incontrerete grandi personaggi assurti alle pagine più prestigiose della storia dell’aviazione come pure anonimi piloti e pilote di aeroclub, piloti collaudatori che sfidano il cielo toccando lo spazio o diventano imprenditori di successo; leggerete storie strazianti che vorremmo non fossero mai accadute nella realtà oppure di donne speciali che costituiscono il simbolo vivente cui le giovani ragazze di oggi dovrebbero ispirarsi come esempio di caparbietà e di incommensurabile valore coniugato al femminile, altro che attricette improbabili, cantantucole sinuose o influenzer meteoriche. E questo solo per fornirvi una breve anticipazione.
L’immagine simbolo dell’eccidio che ha segnato in modo indelebile la storia centenaria della nostra Aeronautica Militare. Claudio Di Blasio ci narra nel toccante racconto “Eroi di pace” quella pagina terribile e lo fa a suo modo affinché venga conservata la memoria di quei martiri in divisa azzurra che furono barbaramente assassinati a Kindu durante una missione di pace, appunto, sotto l’egida dell’ONU (foto e ulteriori informazioni in https://www.vocidihangar.it/w/leccidio-di-kindu/)
Viceversa non possiamo fare a meno di accennarvi brevemente al racconto di apertura che troviamo il più romantico in assoluto, il più toccante e intimo.
Il protagonista? Semplice: un Cessnino (come affettuosamente viene chiamato dai piloti il velivolo Cessna 150, compagno di scuola di moltissimi allievi piloti) che, in hangar, nel corso di una lunga notte, confessa i suoi sentimenti a un veterano dell’aria come il buon vecchio Stinson L5Sentinel (altro velivolo storico che ha trainato i piloti di aliante italiani negli ultimi sessant’anni). Ebbene, udite udite, l’oggetto di questa confessione in punta d’ala è … una pilota! Si chiama Laura ed è un’allieva pilota dal fascino straripante sebbene non ostentato che, proprio a bordo di quel velivolo, intende compiere il suo lungo e accidentato percorso addestrativo … ma lo farà con la grazia, con la delicatezza che è prerogativa solo delle donne. Ed ecco allora che, a seguito delle parole confidenziali che la donna rivolge ogni volta alla sua macchina volante, il Cessnino si scioglierà in un brodo di giuggiole (e noi con lui) tanto da accompagnarla amorevolmente prima al volo solista, poi all’esame per la licenza di volo e dopo nei suoi voli di allenamento periodici. Insomma un grande amore!
Della serie: chi l’ha detto che gli aeroplani non hanno un’anima e soprattutto un cuore? Chi l’ha detto che la sensualità femminile non sia capace di scuotere anche le lamiere e allentare i rivetti di un aeroplano navigato, anzi, volato come il nostro Cessnino?
Claudio Di Blasio, da noi interrogato sull’argomento, ha confessato che Laura non è mai esistita nella sua vita di pilota sportivo tuttavia, da vero gentiluomo qual è, non ci stupiremmo se ci avesse raccontato una piccolissima bugia, pur consapevole che forse gli sarà negato il Paradiso dei Carabinieri. Ne prendiamo atto e ciò nonostante auguriamo a qualunque aeroplano di poter volare a lungo con la propria Laura …
Un’anticipazione a parte merita invece lo splendido racconto collocato a mo’ di epilogo dell’antologia e che vede come protagonista una vera e propria icona vivente tutta italiana delle donne pilote: Fiorenza De Bernardi. E’ infatti costei “La donna con le ali” di cui parla Claudio accennando ad alcuni episodi della sua lunga esistenza che – lo ricordiamo – è stata la prima donna pilota commerciale nel nostro paese ed è giustamente Presidente onorario dell’ADA, Associazione Donne dell’Aria, organizzazione rigorosamente tutta al femminile con la quale ci fregiamo di collaborare nell’organizzazione di RACCONTI TRA LE NUVOLE da alcune edizioni. Ebbene, proprio in occasione della cerimonia di premiazione della XII edizione del Premio letterario, il buon Claudio Di Blasio ha fatto dono alla Comandante Fiorenza di un’edizione speciale del suo racconto per il tramite della Presidente dell’ADA, l’adorabile Donatella Ricci.
Ecco lo scatto memorabile che testimonia la consegna da parte di Claudio a Donatella dell’esclusivissimo volume in carta pergamena, stampato in carattere generosi, con i loghi di ADA, VOCI DI HANGAR e HAG in chiaroscuro e rilegato in brossura con lettere dorate, esemplare unico da consegnare, a prezzo della sua stessa vita, alla Comandantissima Fiorenza De Bernardi. Incarico che dopo qualche mese la Presidente dell’ADA ha puntualmente ottemperato conferendo il prezioso plico (corredato da nastrino rosso con stampate delle candide nuvolette) nelle mani rugose ma ancora vigorose della Presidentissima onoraria dell’ADA, donna Fiorenza.(dalla pagina Facebook https://www.facebook.com/photo?fbid=1079231510657935&set=pcb.1079237473990672 del Premio letterario ove troverete la videocronaca semiseria della premiazione della XII edizione tenutasi il 6 ottobre 2024 in quel di Trento, Museo Caproni)
Enorme è stato lo stupore dell’autore nonché dei presenti quando nella sala convegni del Museo Caproni di Trento (ove si è tenuta l’iniziativa) si è diffusa la flebile eppure vigorosa voce di donna Fiorenza che ringraziava Claudio del singolare omaggio e nel mentre apparivano le immagine della sua casa-museo in cui vive, ormai inabile nel corpo a causa della sua veneranda età ma lucidissima nella mente e soprattutto nei ricordi.
Una commozione indicibile che – ne siamo certi – immaginiamo vi attanaglierà durante la lettura di questo racconto che rende onore, seppure nella limitatezza di poche pagine, a una donna con la “D” maiuscola. Grazie, Claudio. Grazie, Donatella. Soprattutto grazie, Fiorenza.
In tema di donne e a proposito della copertina non possiamo invece che apprezzare il sapore vintage e il “profilo egizio” della protagonista ritratta in posa davanti al muso di aeroplano; per quanto riguarda la IV di copertina è ineccepibile, segno tangibile di professionalità da parte del curatore/editore del volume.
In verità avremmo qualche riserva a proposito della dimensione del carattere di stampa che preferiremmo un po’ più generoso, a prova di vista da sessantenni … ma sarà per il prossimo volume della collana! O per la prossima ristampa di “Nuvole”. Che ne pensa signor ALI RIBELLI? Ci possiamo sperare?
La IV di copertina di “Nuvole” che, come nella migliore tradizione editoriale, riporta una illuminante sinossi del volume nonchè una breve biografia dellautore corredata da foto del medesimo con indosso il casco – è vero – ma con la visiera sollevata. Con grande gioia delle ammiratrici di Claudio Di Blasio
Di buona qualità la carta opaca non bianchissima utilizzata per le pagine nonché la consistenza della copertina (rigida ma non troppo); onestissimo il prezzo di copertina che nulla ha da invidiare ai volumi offerti da sedicenti piattaforme commerciali o di autopubblicazione, anzi … costituisce la chiara dimostrazione che un editore davvero onesto possa riuscire a pubblicare ottimi volumi (tipograficamente parlando) con un minimo di ritorno economico – si spera – per l’autore oltre che per sé senza nulla pretendere dall’autore, per l’appunto, diversamente da come molti editori “minori” hanno ormai l’abitudine vergognosa di praticare come politica aziendale.
In definitiva: una strenna natalizia che non può mancare sotto l’albero di chi, appassionato di aviazione, non ha avuto la costanza di acquistare le dodici antologie di RACCONTI TRA LE NUVOLE finora pubblicate, ovverosia un volume che non può mancare nella libreria di chi – come noi di VOCI DI HANGAR – ha spesso la testa tra le nuvole e, da oggi, anche dentro a “Nuvole”, l’ultimo libro di Claudio Di Blasio.
Buona lettura!
Ah, dimenticavo: comunicazione di servizio per Claudio. Attendo fiducioso l’identikit di Laura! O devo chiedere al Cessnino?
Recensione e didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR
Ci sono autrici/autori che sarebbero capaci di rendere avvincente le istruzioni per la preparazione dei cotechini precotti, oppure sarebbero capaci di costruire un romanzo attorno alle varigate vicicissitudini di un cespo di lattuga … ebbene Rossana Cilli appartiene alla schiera di quel genere di autrici/autori. Beninteso, non che la scrittrice romana si sia mai cimentata con quel tipo di istruzioni o abbia mai dedicato troppe attenzioni a quel tipo di vegetale … tuttavia le sue indiscutibili capacità narrative sono tante e tali che sarebbe certo difficile sottolinearle tutte.
Dopo aver letto le prime righe di “Verso Nord” di Rossana Cilli, siamo certi che si delinerà nella vostra mente la stessa visione paradisiaca che si potrebbe avere abitualmente dall’oblò di un velivolo commerciale (come in questo bellissimo scatto) … ma attenzione: è solo un subdolo artificio narrativo perchè all’interno della cabina passeggeri si sta per scatenare letteralmente l’inferno. Leggere per credere! (foto proveniente da www.flickr.com)
Ma chi è costei? Ebbene avete presente la X edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE? La vincitrice! Proprio lei … che, celata dietro l’anonimato garantito dal regolamento, ha partecipato per la prima volta al Premio e … lo ha vinto con un racconto assolutamente avvincente – perdonate il gioco di parole – sebbene ambientato a bordo di un velivolo commerciale con passeggeri apparentemente normali e con ai comandi un pilota pure lui apparentemente normale.
A questo punto perché – vi starete domandando – citare “Verso Nord”, il racconto che apre inevitabilmente l’antologia della X edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE? Semplice: perché sull’onda dei successi mietuti nel corso di questi ultimi anni e di diverse partecipazione a diversi premi letterari che prevedevano la formula del racconto, l’autrice si è decisa – finalmente, diciamo noi – a raccogliere questi cammei del suo genio letterario e a regalarceli sotto forma di antologia personale.
E si tratta di un regalo nel vero senso della parola perché la pubblicazione è avvenuta a ridosso delle festività natalizie del 2023 tanto che ci siamo trovati letteralmente sotto l’albero di Natale il volume oggetto di questa recensione. E se non era la prima copia stampate, beh … probabilmente la seconda.
La IV di copertina dell’ottima raccolta di racconti di Rossana Cilli che, a causa della sua partecipazione a premi letterari aventi come formula narrativa ammessa il racconto, si è cimentata suo malgrado in questa soluzione letteraria … e il risultato è decisamente all’altezza dei suoi migliori romanzi. La speranza è che perseveri in questa scelta. I premi letterari ringraziano, primo fra tutti il nostro RACCONTI TRA LE NUVOLE.
Dicevamo: un regalo che, da lettori, abbiamo apprezzato moltissimo perché ci conferma – se mai ce ne fosse stato motivo – che Rossana Cilli è davvero capacissima di scrivere le istruzioni di cui sopra e il romanzo sull’insalata sempre di cui sopra.
Ma se grande è stata la gioia di leggere nuovamente il racconto vincitore (a distanza di due anni il testo ha assunto un sapore stagionato come nella migliore tradizione casearia), ci ha recato ancor più grande soddisfazione leggere il racconto partecipante alla XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE intitolato: “Le perle risaltano sul nero” (classificatosi in XV posizione) e infine l’inedito “Un favore per Giulietta”.
Il resto del volume – ahinoi – contiene altri racconti ugualmente ottimi, alcuni più brevi, taluni più lunghi ma aventi i temi più disparati e purtroppo non aeronautici … ecco spiegato perchè non ne parleremo granchè sebbene non possiamo fare a meno di citare, ad esempio, lo splendido: “Buongiorno buona gente” con il suo sapore natalizio e francescano che apre strategicamente l’antologia oppure il racconto dichiaramente autobiografico “Avevo tredici anni” che chiude l’antologia oltre che darle il titolo.
Anche se il titolo del racconto “Verso Nord” lascia presagire il sorvolo delle desolate lande polari, ci piace pensare che il decollo (qui ottimamente immortalato) sia avvenuto da uno di quei paesi caldi come il nostro in cui chi ci vive è sempre all’affannosa ricerca di qualcosa di completamente diverso (come le regioni polari, appunto) e magari raggiungibile a titolo gratuito … che poi è proprio l’aspetto vieppiù allettante su cui si basa l’invenzione di questo volo/viaggio. E’ la trappola perfetta in cui vengono incastrati inesorabilmente uno ad uno i protagonisti del racconto (foto proveniente da www.flickr.com)
A proposito di Rossana Cilli, come detto, non occorre aggiungere altro se non quanto già presente nel nostro hangar, ossia una spassosissima intervista che ci ha rilasciato nel settembre 2022. Viceversa, a prosposito del racconto “Verso Nord“, non aggiungeremo niente di più di quanto riassunto brevemente dalla stessa autrice:
Racconto dalla struttura narrativa drammatica, narra la lotta interiore di un comandante, che stanco di sopportare e vedere quanta indifferenza, quanto egoismo e quanto opportunismo pervadono la vita umana, decide di esternare in modo tanto doloroso quanto risolutivo, tutta la sua amarezza a dei particolari passeggeri durante il volo che li staconducendo verso le terre del Nord.
Il suo operato, sia pure in un modo del tutto imprevisto da lui, sarà di monito e insegnamento per questo eterogeneo gruppo di persone senza nulla in comune se non il proprio egoismo.E alla fine una luce apparirà in fondo al tunnel.
Un testo che – ci permettiamo di aggiungere – farà storcere qualche pelo del naso di alcuni piloti commerciali per l’inattendibilità di talune situazioni o la scarsa verosimiglianza di altre invenzioni narrative tuttavia, alla luce di quanto accaduto relativamente alla vicenda che vide il suicidio di un giovane pilota della German Wings con il conseguente omicidio di tutti i suoi passeggeri, la trama assume assoluta attendibilità e, ad ogni modo, riteniamo che non venga compromessa la famosa “sospensione d’incredulità”, ossia il tacito patto di complicità che s’instaura tra il lettore e la scrittrice. Salvo che il lettore non sia un addetto ai lavori, anzi alla cabina di pilotaggio.
Dunque un racconto questo che, al di là dell’ambientazione squisitamente aeronautica, appartiene alla gloriosa schiera di racconti/romanzi thriller/gialli di cui Agatha Christie è sicuramente la “regina del crimine” o “regina del mistero” e alla quale l’italianissima Rossana Cilli fa di certo l’occhiolino senza per questo emularla.
Di ben altro tenore è invece il racconto “Le perle risaltano sul nero” targato 2023 che – come già ricordato – ha partecipato alla XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE. Anche in questo caso ci rimettiamo alla sinossi che l’autrice ha fornito alla Segreteria del Premio come requisito di partecipazione. Ebbene:
Un giorno lontano del secolo scorso, il Presidente Kennedy decise che un uomo (non una donna) presto sarebbe stato mandato sulla Luna. Da quel momento migliaia di uomini si dedicarono a quel progetto ambizioso, sì, migliaia di uomini … e tre donne. Questa è la loro storia, ed è anche la storia di un percorso che arriva fino alla nostra Samantha (Cristoforetti, NdR).
Un percorso di ingiustizie e riscatti, ancora incompleto, ma avviato. E che forse, tra poco, la porterà davvero una donna sulla Luna. Anche se a noi basterebbe che la portasse a essere semplicemente una “persona capace di” tra persone capaci di: eroi ed eroine di domani (dell’ordinario e dello straordinario) mossi solo dal desiderio di essere considerati non un genere ma un complemento essenziale nel genere, qualsiasi esso sia.
Uno dei fotogrammi emblematici della pellicola cinematografica “Il diritto di contare” in cui la protagonista principale Elisabeth sale sulla scala per calcolare con disinvoltura la traiettoria di rientro della navicella della Missione Gemini su un’immensa lavagna. La scena rende l’idea della rusticità della tecnoclogia dell’epoca e anche le sorprendenti capacità della protagonista per nulla impaurita dall’altezza e men che meno dalla complessità dei calcoli. Ovviamente con grande stupore degli ingegneri presenti (foto proveniente da www.flickr,com)
In effetti in questo racconto la fanno da protagoniste la corsa allo spazio e le donne che hanno contribuito alla sua conquista, ma anche e soprattutto la segregazione razziale che ancora imperversava nel corso degli anni ’60 negli Stati Uniti e, non ultimo, l’ottusità maschilista che riservava alle donne ruoli marginali nella società statunitense, ivi compresa, in un ente all’avanguardia tecnologica come la NASA. Questo in un paese che – lo ricordiamo – faceva della democrazia uno dei suoi vessilli da sbandierare di fronte alla comunità internazionale e che oggi, dimentico del suo recentissimo passato, ostenta e anzi si vanta di aver conseguito la parità di genere.
Il primo piano dell’autrice affiancata dalla copertina del volume nella versione in lingua inglese. Anche in questo caso dobbiamo rendere merito all’editore che, per l’edizione italiana, ha operato una scelta assai più felice sebbene prevedibile, evitandoci di avere tra le mani (e poi in biblioteca) un volume che nella sua veste originale, troviamo onestamente piuttosto anonimo se non addirittura squallido (foto proveniente da www.flickr.com)
Dunque un racconto che ha colto in pieno il tema dell’astronautica al femminile (era appunto il tema suggerito di quella edizione) sebbene a una prima lettura la Segreteria del Premio ha letteralmente tremato tanto da meditare – ma solo per un istante – di non accettare il testo in quanto non originale. Perché? Semplice: il contenuto riprende molto molto (forse anche troppo) da vicino il film hollywooddiano e, prima ancora, il romanzo-inchiesta “Hidden figures” della scrittrice statunitense afro-americana Margot Lee Shetterly di cui la pellicola è l’adattamento cinematografico. Le protagoniste?
Anzitutto Katherine Johnson, matematica fenomenale della NASA, che calcolò le traiettorie delle navicelle spaziali per il Programma Mercury e la missione Apollo 11; poi Dorothy Vaughan, la prima supervisore afroamericana capace di programmare (e far funzionare davvero) il primo enorme computer IBM installato alla NASA; infine Mary Jackson, aspirante ingegnere che diverrà la prima ingegnere donna statunitense afroamericana. Tutte e tre lavoravano alla West Area Computers del Langley Research Center di Hampton dove svolgevano inizialmente il compito di “donne calcolatrici” e a partire dal quale segneranno in modo indelebile, ciascuna a proprio modo, la storia della NASA e delle missioni spaziali statunitensi.
In definitiva un film che merita sicuramente di essere visionato mentre, per quanto riguarda il volume, saremo crudelmente sinceri: un mattone ripetitivo, dispersivo e in molti punti addirittura noioso che – a seguito di minacce inenarrabili – la stessa Rossana Cilli ha recensito spontaneamente a beneficio dei visitatori del nostro hangar … non fosse altro per dare lustro alle tre protagoniste piuttosto che all’autrice statunitense la quale ha verosimilmente ammucchiato in modo discutibile una serie infinita di vicende collaterali, informazioni e dettagli inutili rispetto al flusso narrativo principale. Dunque appuntamento all’angolo del nostro hangar per la mirabile recensione di “Hidden figures – Il diritto di contare“.
Le “donne calcolatrici” furono fondamentali per le prime missioni spaziali statunitensi e questo scatto ha consegnato alla storia dell’astronautica il loro preziosissimo contributo. Il racconto di Rossana Cilli pone l’attenzione su di loro svolgendo una lodevole opera divulgativa a beneficio di chi, come noi, era del tutto ignaro della loro esistenza. Della serie: quando la narrativa si trasforma davvero in un’operazione dall’alto contenuto culturale (foto proveniente da www.flickr.com)
Dicevamo perciò che il racconto “Le perle risaltano sul nero” ha il merito di divulgare un episodio della storia aerospaziale sicuramente degno di nota e che anche noi – nostra colpa – ignoravamo clamorosamente. Lode dunque a Rossana Cilli che ha sanato questa grave carenza veicolando con il suo testo una vicenda dai molti risvolti e dalle numerose chiavi di lettura sacrificandone però l’originalità. Lode comunque alla divulgazione storica. Sempre.
E veniamo al terzo racconto a tema aeronautico intitolato “Un favore per Giulietta” che la giuria ha valutato appena meno meritevole del precedente di accedere alla finale del Premio e quindi alla stampa nell’ambito dell’antologia 2023.
Si tratta di un racconto molto al femminile in cui si tocca con la delicatezza (tipica dell’autrice) il tema dell’aviazione missionaria, ossia di tutta quella serie di iniziative a carattere umanitario che, a mezzo delle macchine volanti, consentono a medici/infermieri di raggiungere gli angoli più remoti e irraggiungibili del nostro pianeta, nello specifico l’Africa Centrale, per prestare cure sanitarie a chi non potrebbe mai ottenerle e che, purtroppo, può confidare al massimo nelle capacità pseudo mediche di qualche stregone locale, o magari di qualche donna-medicina che pratica l’arte delle terapie naturali e conosce le capacità fitoterapeutiche miracolose delle piante selvatiche autoctone.
Il panorama che – immaginiamo – avrebbero potuto osservare i due protagonisti del racconto “Un favore per Giulietta” e che, grazie alla mirabile narrazione dell’autrice si concretizzerà come per magia anche nella nostra mente (foto proveniente da www.flickr,com)
Così l’autrice sintetizza la sua fatica letteraria:
L’etoile di uno dei più grandi teatri al mondo, un bravo impresario, un chirurgo dal cuore grande e con la passione per il volo, un piccolo aeroplano che sembra “fatto di carta”, la dedizione a problematiche lontane e quasi sconosciute, e l’amore, sono gli ingredienti di questo racconto. Ma cosa c’entra un’eterea creatura, che a suo modo vola nell’aria fra passi di danza lievi e senza peso, con un mondo di motori e con un luogo del tutto diverso dal suo? Ce lo spiega la storia di Giulietta: la danzatrice che aveva paura di volare.
Dopo una sinossi d’autore come questa, anzi, d’autrice come questa, non ci permettiamo di aggiungere altro a proposito dei testi aeronautici che ci ha regalato la “nostra” scrittrice appassionata anche di aero/astro-nautica … semmai rimane il rammarico che questa raccolta non sia composta di soli racconti a tema aeronautico … ma è risaputo: nessuna è perfetta, neanche l’eccellente Rossana Cilli … semplicemente perchè non si è cimentata unicamente con la narrativa aeronautica ma si è concessa anche degli sconfinamenti in altri cieli limitrofi, anzi, a dirla seriamente, purtroppo solo di recente la gentildonna ha scritto di aviazione e di spazio … ma in futuro avrà modo di redimersi – ne siamo certi – per imboccare la retta via.
A parte gli scherzi, la poliedricità dei temi toccati dall’autrice nell’ambito della sua prima raccolta di racconti conferma inequivocabilmente la tesi da noi sostenuta all’inizio della presente recensione e la rende una di quelle autrici da seguire da presso perchè in futuro ci regalerà sicuramente romanzi/racconti di notevole caratura. Insomma, della serie: minaccia bene!
La copertina della versione italiana del volume “Hidden figures” mostra le tre protagoniste mentre si muovono con passo sicuro su un pavimento ove è riprodotto il logo della NASA con lo sfondo di un colossale razzo vettore (forse il Titan utilizzato per le Missioni Gemini o il glorioso Saturno 5 delle Missioni Apollo). Ovviamente si tratta delle tre attrici che nel fim impersonano le tre eroine afroamericane del volume di Margot Lee Shetterly. E’ singolare come il titolo in italiano del romanzo sia ben superiore per originalità e pertinenza a quello in lingua inglese ed è ugualmente singolare che l’adattamento cinematografico operato dagli sceneggiatori di Hollywood sia decisamente migliore del romanzo da cui è tratto giacchè usualmente accade il contrario, ossia che che la sceneggiatura stravolga in peggio il testo letterario. Per “Il diritto di contare” è più che mai verosimile (foto proveniente da www.flickr.com).
Avremmo voluto ospitare nel nostro hangar il racconto “Un favore per Giulietta” giacchè, a norma di regolamento di RACCONTI TRA LE NUVOLE, potremmo renderlo fruibile ai nostri visitatori, tuttavia ci sembrerebbe un torto nei confronti dell’autrice e del racconto medesimo giacchè ha avuto la fortuna – a differenza degli altri racconti nostri ospiti – di godere di pubblicazione … dunque non possiamo che rimandarvi all’acquisto della raccolta “Avevo tredici anni … e altri racconti”, certi che sarà per voi un’ottima lettura, davanti al camino come pure sotto l’ombrellone giacchè capace di fornirvi indifferentemente il calore o la freschezza utili allo scopo.
Giunti a questo punto, una recensione che si rispetti dovrebbe fornire le inevitabili informazioni riguardo il libro in quanto prodotto tipografico, ossia copertina, qualità di stampa, colore e consistenza della carta, cura dell’impaginazione ecc ecc … ebbene vi risparmiamo dettagli imbarazzanti che nuocerebbero inutilmente all’autostima e soprattutto all’indiscutibile talento letterario dell’autrice … ciò nostante non possiamo esimerci dallo stigmatizzare come la stampa ad opera di un colosso delle vendite on-line di libri (e non solo) come la piattaforma Amazon non costituisca automaticamente la scelta tipografica migliore. In altri termini: chi vende libri e ha nel proprio catalogo decine di migliaia di volumi non necessariamente è in grado di stamparli alla stregua di quegli editori che ne curano maniacalmente l’estetica tipografica oltre che i contenuti, la distribuzione nonchè la promozione.
Allo stesso modo affidarsi a un’associazione culturale come Amarganta in veste di editore non comporta automaticamente il supporto logistico che una scrittrice di notevole caratura come la “nostra” Rossana Cilli meriterebbe e che un editore di calibro nazionale riuscirebbe a offrire d’ufficio.
Vi risparmiamo perciò gli svarioni tipografici che hanno minato le prime copie di questo volume e ci limiteremo a sottolineare che ora il libro è sufficientemente fruibile sebbene – per contenuti e valore intrinseco – meriterebbe una seconda edizione con una nuova veste editoriale e realizzata da un editore dalle grandi potenzialità. Che poi è la sorte che è capitata già a diversi autori che abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di recensire in passato, non ultimo il talentuosissimo Alessandro Soldati con il suo “In un cielo di guai” che, nostro malgrado, abbiamo recensito due volte proprio a causa delle due edizioni in cui si è reso disponibile, la prima della quale in un discutibile regime di autopubblicazione a mezzo di Amazon mentre la seconda – assolutamente ineccepibile – a cura di Cartabianca. Ed è stato tutto un altro leggere o semplicemente sfogliare di pagine.
Ci auguriamo che ad “Avevo tredici anni … e altri racconti” accada qualcosa di simile. Editori … al vostro buon cuore!
Recensione e didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR
Non appena apparve per l’edizione 2023 di Racconti tra le Nuvole il comunicato che indicava come tema suggerito La donna nel mondo aeronautico e astronautico, mi vennero subito in mente le tre signore della matematica che negli anni ’40-’50 del secolo scorso, mentre l’IBM stava affannosamente mettendo a punto il primo calcolatore elettronico e i calcoli si facevano ancora solo con carta e penna, gesso e lavagna, furono assunte dalla NASA per eseguire, appunto con quei mezzi, calcoli matematici tanto complessi, quanto quasi al limite dell’impossibile.
Le tre signore erano Katherine Johnson, Mary Jackson e Dorothy Vaughan.
Le tre “hidden figures” o “figure nascoste” che sono indiscutibilmente le protagoniste principali del romanzo di Margot Lee Shetterly. A cominciare da sinistra: Katherine Johnson, al centro Mary Jackson, a destra Dorothy Vaughan.(foto proveniente dal web)
Tre talenti matematici (tutte laureate con il massimo dei voti prima dei 18 anni) che si sono ritrovate a lavorare in un ambiente così maschilista che di più non si può, dove già inserirsi sarebbe stato problematico per qualunque donna bianca, e dove per loro la cosa fu ancora più complessa, perché loro erano per di più afroamericane in un’America (precisamente in una Virginia) afflitta da problematiche razziali peraltro ancora lontane dall’essere risolte. Delle tre ne sapevo già qualcosa grazie ai fuggevoli cenni presenti in alcune copie dell’Europeo che tuttora conservo… Ops, che sbadata, i più giovani di voi non sanno neanche di cosa parlo e – quel che è peggio – ho appena rivelato troppo della mia età! Comunque L’Europeo, chiuso da anni, fu un glorioso settimanale (come L’Espresso, Panorama, La Domenica del Corriere) sul quale scriveva tra gli altri la grande Oriana Fallaci, autrice di molti articoli dedicati all’epopea spaziale dell’uomo che stava conquistando la Luna, con buona pace di coloro che tuttora negano che ciò sia mai avvenuto.
Dunque, dicevo, sull’Europeo trovai dei trafiletti sulle tre signore che me le resero subito simpatiche anche se la cosa finì lì proprio per il pochissimo rilievo dato loro.
Sebbene si tratti di un romanzo corale contraddistinto da una moltitudine di personaggi, Katherine Johnson è indubbiamente la protagonista principale che brilla con maggiore lucentezza sia nell’ambito del romanzo che del film dedicato alle donne calcolatrici della NASA che, come enfatizza il sottotitolo della prima edizione del volume, “volevano cambiare le loro vite e invece hanno fatto la storia” (foto proveniente dal web)
Poi però vidi anche un film che molto tempo dopo (è uscito nel 2016) raccontava la loro storia con dovizia di dettagli e grande risonanza (tre nomination all’Oscar).
Tuttavia non avevo ancora mai letto il libro da cui l’omonimo film era tratto.
Racconti tra le Nuvole mi diede finalmente l’input per colmare la grave lacuna. Così lo comprai e lo lessi, e oggi sono contenta di averlo fatto, perché leggendolo ho scoperto che il film, peraltro delizioso e consigliatissimo, tratta in realtà solo di una parte della vicenda e solo delle tre donne citate, mentre il libro racconta di più, molto di più. Lo fa però più nella forma del saggio che del romanzo, sebbene si avverta qui e là qualcosa di, diciamo, rielaborato. Ma questo ci sta, anzi, questo alleggerisce di molto la scrittura a volte un po’ freddina, ridondante e didascalica di alcune sue pagine, cosa che, sia chiaro, nulla toglie all’importanza di questo libro per le tematiche che tocca e le riflessioni che induce nel lettore.
Ancora una splendida immagine d’epoca che ritrae la matematica Katherine Johson seduta alla sua postazione di lavoro presso il Langley Research Center della NASA dove contribuì a calcolare la meccanica orbitale dei primi voli spaziali con equipaggio, in particolare la missione Friendship 7 di John Glenn del 1962. Nata il 26 agosto 1918 a White Sulphur Springs, Virginia Occidentale, la Johnson lavorò a Langley dal 1953 fino al suo pensionamento nel 1986. La presenza e l’operato di Katherine incrinò irrimediabilmente la condizione di aparthaid di genere (maschile/femminile) e di etnia (bianco/aframericano) che vigeva nell’ambito di un ente all’avanguardia tecnologica come la NASA ma ancora arretrata in fatto di diritti sociali. Insomma un paese, gli Stati Uniti, che sì, inviava degli uomini nello spazio ma poi ghettizzava in modo subdolo le donne rispetto agli uomini e, con modalità se possibile molto più becere, i bianchi dai neri (foto proveniente da www.flickr.com)
La prima di queste riflessioni, almeno per me, è stata che ancora una volta la Letteratura si dimostra essere quel racconto arcaico in cui solo è possibile passare da una vita all’altra. Di più, in cui è di nuovo possibile riconvocare ciò che è stato, riconciliare l’essere umano con l’irrimediabile provvisorietà dell’esistenza, e anche riconcigliarlo con gli errori del passato, ai quali, laddove ci fossero stati, essa sa come porre rimedio.
La locandina della pellicola cinematografica tratta dall’omonimo romanzo della scrittrice afroamericana Margot Lee Shetterly che la 20th Century Fox fece uscire nelle sale statunitensi in occasione del Natale 2016 e che invece giunse in quelle italiane solo nel marzo 2017. Il film ebbe ottimi risultati commerciali giacchè, a fronte di un investimento di circa 25 milioni di dollari da parte della produzione, incassò ben 170 milioni di dollari solo nel mercato statunitense e circa 66 milioni in quello estero a dimostrazione della bontà della felice scelta intrapresa sia in termini di sceneggiatura che di regia. Ottima la fotografia e di buon livello anche la recitazione delle tre attrici principali qui ritratte nei loro “costumi d’epoca” (foto proveniente da www.flickr.com)
Ecco infatti che, grazie alla letteratura, tre vite (e non solo quelle tre) risorgono e trovano i riconoscimenti che meritano e avrebbero meritato di ricevere ben prima. Dunque un libro, un film, e nel 2023, un modesto racconto che torna a riconvocare le tre scienziate per concorrere, pur nella piccola misura che ci compete, a rimediare all’errore di averle lasciate così a lungo nel più ingiusto ed oscuro degli oblii.
Cosa che, cogliendo l’occasione del premio, mi parve giusto fare, come una sorta di risarcimentopost mortem alle tre scienziate, e questo sebbene fossi consapevole che rischiavo l’esclusione ex officio da parte del rigorosissimo Segretario, perché in realtà più che un racconto di “scrittura creativa”, come richiesto, veniva fuori piuttosto un “saggio”, tanto che mi preoccupai subito di scrivere e inviare anche un secondo racconto, questa volta di pura invenzione e pervaso di pura poesia che però, con grande mia sorpresa, fu scartato a beneficio dell’altro per il quale speravo solo che un giorno venisse almeno ospitato sul sito appunto degli scartati, dei non pubblicabili, come omaggio alle tre… Potere della testimonianza storiografica!
Ma sembra proprio che l’anno 2023 non abbia ispirato solo me. Qualcun altro deve aver avuto sentore che era tempo di spostare i riflettori su queste donne.
E che riflettori! Stiamo parlando del set fotografico più famoso al mondo, quello del calendario Pirelli. Sì, avete letto bene.
Il calendario Pirelli 2024 (ovviamente realizzato l’anno prima) è stato interamente dedicato alle donne di colore che si sono distinte in vari campi, e più in generale, a quel Continente Africa che oggi sta richiamando a vario titolo anche l’attenzione dei Capi di Stato di mezzo mondo. Forse perché il futuro dell’Africa è in Africa?
Ecco allora che accanto a Naomi Campbell e ad altre famosissime star, sfogliandolo ci s’imbatte in lei. Come lei chi?
Ma lei Margot Lee Shetterly, proprio l’autrice de Il diritto di contare, la scrittrice americana che per prima ha tirato fuori dall’ombra Katherine, Mary, Dorothy e le loro compagne.
Perché lei? Ma perché è un modo per aprire una finestra sull’Africa e sulla diaspora nera, perché lei vuole pensare positivo per cambiare le cose, perché se invece dici che tutto è perduto, ti togli ogni responsabilità. Perché nel mondo globalizzato il battito d’ali di una farfalla dall’altra parte del mondo ha conseguenze qui.
Diverse scene del film candidato all’Oscar “Hidden Figures – Il diritto di contare” furono girate nel tunnel del vento a bassa velocità Lockheed Martin a Marietta, in Georgia, nell’aprile 2016. Alla fine del film, vengono mostrate foto reali delle persone e dei luoghi ritratti durante la riprese della pellicola. Questo scatto risale invece con ogni probabilità al 1968 o al massimo nel 1969 quando veniva verificato in galleria del vento il prototipo del mitico C-130 Hercules che assieme allo Spillone (l’F104 Starfighter) e al SR-71 Blackbird sono i velivoli iconici di quella Casa Costruttice statunitense (foto proveniente da www.flickr.com).
TRAMA: Se John Glenn ha orbitato intorno alla Terra e Neil Armstrong è stato il primo uomo a camminare sulla Luna, parte del merito va anche alle scienziate della NASA che negli anni Quaranta elaborarono i calcoli matematici che hanno permesso a razzi e astronauti di partire alla conquista dello spazio. Tra loro c’era anche un gruppo di donne afroamericane di eccezionale talento, originariamente relegate a insegnare matematica nelle scuole pubbliche “per neri” del profondo Sud degli Stati Uniti. Queste donne furono chiamate in servizio durante la Seconda guerra mondiale a causa della carenza di personale maschile, quando l’industria aeronautica americana aveva un disperato bisogno di esperti con le giuste competenze. Tutt’a un tratto a queste brillanti matematiche e fisiche si presentò l’occasione di ottenere un lavoro all’altezza della loro preparazione, una chiamata a cui risposero lasciando le proprie vite per trasferirsi a Hampton, in Virginia, ed entrare nell’affascinante mondo del Langley Memorial Aeronautical Laboratory.
Il loro contributo, benché le leggi sulla segregazione razziale imponessero loro di non mescolarsi alle colleghe bianche, si rivelò determinante per raggiungere l’obiettivo a cui l’America aspirava: battere l’Unione Sovietica nella corsa allo spazio e riportare una vittoria decisiva nella guerra fredda. Sullo sfondo della lotta per i diritti civili e della corsa allo spazio, Il Diritto di Contare segue la carriera di queste donne per quasi trent’anni, durante i quali hanno affrontato sfide, forgiato alleanze e cambiato, insieme alle proprie esistenze, anche il futuro del loro Paese. (Tratto dalla prefazione.N.d.A.)
E non poteva certo mancare la foto di rito del cast del film “Hidden figures – Il diritto di Contare” scattata sabato 10 dicembre 2016 davanti all’ingresso del SVA Theatre di New York in occasione della presentazione mondiale della pellicola. L’occhio elettronico del fotografo ufficiale della manifestazione ha dunque immortalato, partendo da sinistra verso destra: l’attrice, modella e cantante Janelle Monáe, quindi, di rosso vestita, la cantante e attrice Taraji P. Henson, il sempre affascinante Kevin Costner nel suo duplice ruolo di produttore e di attore del film, e infine la corpulenta attrice Octavia Spencer. Interpreti tutti statunitensi per un film che celebra, non senza critiche, una delle pagine più oscure della corsa allo spazio del paese a stelle e strisce (foto proveniente da www.flickr.com)
RECENSIONE.
Diceva Virginia Woolf a proposito della donna-angelo del focolare alle prese con il tentativo di affrancarsi da quell’etichetta per diventare qualcosa d’altro (nel suo caso una scrittrice che avesse diritto alla sua stanza dove scrivere, al suo nome sul suo libro e non il solito pseudonimo maschile, al suo pubblico e al denaro che tutto questo poteva procurarle):
“…le donne devono ammaliare, devono conciliare, devono, per dirla brutalmente, dire bugie se vogliono avere successo. Perciò, ogni volta che avvertivo l’ombra della sua ala sulla pagina, o la luce della sua aureola, afferravo il calamaio e glielo scagliavo contro. Ce ne volle per farla morire. La sua natura fantastica le dava un vantaggio. È molto più difficile uccidere un fantasma che una realtà. Credevo di averla liquidata e invece eccola lì di nuovo. Benché mi lusinghi di averla uccisa infine, fu una lotta durissima; che richiese del tempo che sarebbe stato più utilmente impiegato a imparare la grammatica greca; o a girare il mondo in cerca di avventure. Ma fu una vera esperienza; un’esperienza che doveva toccare a tutte le donne scrittrici a quell’epoca. Uccidere l’angelo del focolare faceva parte del mestiere di scrittrice”.
Margot Lee Shetterly non ha la forza espressiva e il vigore strutturale di una Woolf, tuttavia lei con Il Diritto di Contare ha a sua volta ucciso l’angelo del focolare, non solo quello suo personale di scrittrice che si afferma a dispetto del suo genere e del colore della sua pelle, ma anche perché ha scelto di raccontare la storia di altre donne che come lei hanno ucciso il loro angelo del focolare dimostrando che, volendo, si poteva continuare ad essere anche quello: donne delicate, sensibili, attaccate agli affetti familiari, senza per questo rinunciare ad essere ciò che si sentiva di essere e di voler essere. Sta in questo il merito di questo libro ed è per questo che va letto.
Nel 2017, chi avesse visitato il Pasadena Chalk Festival si sarebbe imbattuto in questo piccolo capolavoro di arte grafica di 8×7 piedi (circa 2,5 per 2 metri) realizzato con pastelli morbidi e gessetti. La disegnatrice, un ingegnere informatico di colore impiegata presso la NASA, decise di dedicare la sua opera a quelle tre donne straordinarie, figure del tutto nascoste e assurte agli onori del grande pubblico solo dopo la proiezione del film, dichiarando di averci messo dentro tutte quelle che erano le sue capacità artistiche superando anche i suoi limiti personali … e occorre riconoscerlo: il risultato è davvero apprezzabile (foto proveniente da www.flickr.com)
Dopo il Buio oltre la siepe (scritto però da una scrittrice bianca) e poi tutta una gamma di variazioni sul tema apparse in America nell’ultimo mezzo secolo, a opera di scrittori e scrittrici di colore e non, questo libro, attraverso le vicende di alcune scienziate della NASA, racconta dal punto di vista di una scrittrice afroamericana le lotte compiute da donne di colore come lei, per affermarsi nel mondo bianco e maschile della scienza e della tecnologia. Forse si poteva scrivere meglio, cospirando di più con le attese, le sospensioni, le dilatazioni, rubando meglio, come si dice in gergo musicale, sul tempo della narrazione, troppo spesso trascinato e perso dietro minuzie e dettagli che, se da un lato, rivelano al lettore il lungo e meticoloso, quasi maniacale e impressionante lavoro di ricerca e detection dell’autrice, dall’altro inducono a chiedersi: perché mi dice anche questo? Perché non ha mondato il superfluo?
Ardua la risposta. Chi siamo noi per fare appunti a un libro di tale clamore e successo? Che ha suscitato l’interesse di Hollywood e che porta la sua autrice sul set Pirelli?
Nessuno, certo. Allora forse dobbiamo andare oltre la prima impressione di lettori, e apprezzarlo per quello che voleva essere davvero: una testimonianza al femminile, un riconoscimento dovuto, una miniera in cui attingere storie, aneddoti, dettagli, che visti nel loro complesso raccontano una sterminata massa di difficoltà affrontate e superate. Incluse le difficoltà affrontate e superate legate ad un tipo di lavoro che, per quanto appassionante, con la sua esclusività e centralità metteva in secondo piano tutto il resto, a cominciare dalle famiglie che si dovettero a loro volta dotare di grande pazienza, comprensione e solidarietà con le rispettive mogli, madri, sorelle, figlie scienziate, per non soccombere alle ragioni dell’ufficio e della patria.
Anche Margot Lee Shetterly non poteva certo mancare alla cerimonia di presentazione mondiale del film “Hidden Figures” avvenuta nel dicembre 2016 a New York. La scrittrice afroamericana, figlia di un dipendente della NASA che svolgeva l’incarico di ricercatore presso il Langley Research Center, crebbe in un ambiente in cui chiunque (dai vicini di casa ai genitori dei suoi compagni di scuola) aveva qualche familiare occupato presso la NASA e dunque, quasi inevitabilmente, dopo un’esperienza lavorativa a New York nel settore finanziario presso JP Morgan e quindi Merrill Lynch, e poi nell’editoria in Messico, cominciò già nel 2010 a mettere assieme il materiale di ricerca che poi raccolse nel suo romanzo-saggio. La sua fortuna letteraria è dunque legata e limitata indissolubilmente al solo volume “Hidden figures” di cui nel 2018 ha curato anche la versione illustrata rivolta ai bambini dai quattro agli otto anni intitolata: “Hidden Figures: The True Story of Four Black Women and the Space Race” (foto proveniente da www.flickr.com)
L’autrice è come un direttore d’orchestra preparatissimo, tecnicamente irreprensibile, con una libertà della mano sinistra tale da essere capace di plasmare infinite intenzioni espressive in un modo che non potrebbe essere più efficace. Eppure nonostante l’esecuzione sia un paradigma di controllo e di dominio dell’orchestra, vien fuori un concerto dove a volte è molto difficile risolvere il disagio di certi momenti, per cui tanta meticolosità alla fine crea un problema anziché risolverlo.
Ma come non ammirare il coraggio della Shetterly quando assegnando quel titolo, Hidden Figures, al suo libro (Figure nascoste, è infatti quello originale) già disvela la sua intenzione di rendere visibili finalmente quelle figure trasparenti, non viste, unseen che hanno atteso con pazienza il momento opportuno per farsi avanti e piano piano dire al mondo ci sono anch’io, so fare questo, non puoi più ignorarmi?
Ancora una bella immagine della scrittrice di “Hidden Figures” ripresa mentre è intenta a leggere alcune pagine del suo lavoro letterario a beneficio di una nutrita platea di studenti delle scuole pubbliche statunitensi. L’evento, ebbe luogo nel dicembre 2016 presso la Martin Luther King Jr. Memorial Library a Washington e rende l’idea dell’improvviso interesse che suscitò la proiezione del film e, di rimbalzo, del libro da cui il film è stato tratto in modo mirabile (foto proveniente da www.flickr.com)
E forse alla fine ci persuadiamo che per non farsi più ignorare era necessario metterci dentro tante di quelle cose da poterne prendere solo un po’ per volta, come quando si deve bere a piccoli sorsi un tè perché troppo bollente. Ecco perché questo libro che, soprattutto nella prima parte, procede lento, appesantito da troppi tecnicismi, ostici a chiunque non sia del mestiere, e infarcito di citazioni e riferimenti a luoghi e istituzioni che per noi non hanno alcuna evocazione, va letto con calma, va preso a piccole dosi, finché superati i primi scogli si sarà premiati, nella parte finale, da un’atmosfera più descrittiva e godibile, dove si chiarisce il senso di tutto il lavoro precedente, si chiarisce l’insegnamento che vuole darci l’autrice, cioè che l’umanità è una sola, non ci sono colori, non ci sono differenze, ma esiste l’anima e il cuore di ciascun essere umano, e soprattutto esiste la dignità che qui è rappresentata dal silenzio di queste donne, che hanno attuato la loro rivoluzione unicamente dimostrando le loro competenze, senza urla e atti di violenza.
Contrariamente a quanto accade nel nostro paese in cui è praticamente impossibile intitolare qualsivoglia via, edificio o mezzo di trasporto a un personaggio famoso vivente, negli Stati Uniti alla matematica donna-calcolatore Katherine G. Johnson è stato dedicato il Computational Research Facility e alla cerimonia d’inaugurazione erano presenti, oltre alla festeggiata Katherine, i membri della sua famiglia, il sindaco Donnie Tuck, il senatore Warner e il governatore dello Stato McAuliffe. E questo scatto lo testimonia (foto proveniente da www.flickr.com)
La scelta dell’autrice americana di utilizzare un linguaggio semplice e delicato visto l’argomento già di per sé sconcertante, è da ammirare. E alla fine il libro si consiglia di leggerlo perché è sempre sbagliato perdere un’occasione per imparare il rispetto verso la vita altrui e verso qualsiasi essere vivente. Perché anche se non è un libro da leggere in pochi giorni, o come si dice, “da spiaggia”, e richiede una certa dose di impegno, è così colmo di storia che vale la pena affrontarlo anche per capire un periodo storico del passato, quello della Guerra Fredda, che molti, i più maturi, forse hanno bisogno di rinfrescare nella loro memoria, e molti, i più giovani, hanno bisogno di conoscere per capire meglio il presente che non sembra del tutto liberato da certi atteggiamenti mentali, e non solo mentali, di cui furono vittime queste Figure Nascoste. Non è forse tuttora in atto una specie di guerra mista, fredda e calda, in cui si decidono le sorti del pianeta, come allora proprio nel Langley si decidevano le sorti dell’America rimasta col fiato sospeso nel momento in cui lo Sputnik ha solcato il suo cielo?
A seconda dell’edizione (tascabile o brossura) sono disponibili due diverse copertine del volume in lingua inglese che, in tutta onestà, non sono graficamente esaltanti … (foto proveniente da www.flickr.com)
… fortunatamente la locandina del film è di ben altra caratura (foto proveniente da www.flickr.com)
Mentre mi accingo a chiudere il cerchio voglio però ricordare una cosa importante. Questa è una storia di donne, ma il cerchio lo chiudo parlando di un uomo: John Glenn. In un Paese in cui per bianchi e neri, la vita sociale era indirizzata su due binari legislativi rigidamente distinti per cui essi facevano la spesa in supermercati diversi, cenavano in ristoranti diversi, soggiornavano in hotel diversi, usavano bagni pubblici diversi, e ovviamente frequentavano scuole diverse, Katherine, un seme sbocciato sul terreno dell’apartheid istituzionale, della normalizzazione delrazzismo da parte dei poteri dello Stato, della cristallizzazione di una prassi gerarchica fondata sul sangue, riesce ad affermarsi alla NASA fino al punto che il primo astronauta americano ad andare in orbita attorno alla Terra, esige lei e solo lei come sua “calcolatrice umana” e dichiara che se lei avesse confermato i numeri del calcolatore elettronico appena arrivato, e di cui lui non si fida, lui sarebbe partito subito, senza pensarci due volte.
La sua vita e l’esito dell’esperimento, nonché di anni e anni di calcoli e stime, Glenn li ha messi nelle mani di una sola persona. Una donna.
Quella donna avrebbe fatto la differenza sia per lui che per l’intero genere umano.
Fu quella la vittoria di quella donna e delle sue compagne?
No. La loro vittoria fu essere fotografate accanto agli ingegneri uomini bianchi sotto la voce: le persone che hanno salvato l’America. Persone. Punto.
Dunque l’avete capito. In questo caso il libro e il film sono due cose distinte. Non si può dire, come spesso succede, il libro è meglio del film, ovvero, il film è meglio del libro, come a prima vista parrebbe questo il caso. In realtà non è così.
Il film, pur fornendo le stesse informazioni e raccontando la stessa storia, affronta la storia dal punto di vista personale delle tre donne, il libro invece è un vero e proprio saggio storico, ricchissimo di dati e corredato da una tale quantità di note bibliografiche da essere all’altezza di un testo universitario. I due strumenti affrontano la storia con due metodi assolutamente diversi, tanto da rendere inutile una comparazione.
IL FUTURO.
Tutto questo avveniva cinquant’anni fa. Dopo mezzo secolo e oltre la Luna torna alla ribalta. Messa da parte dai pensieri degli umani che contano e decidono, sembra ora essersi riacceso l’interesse verso il nostro satellite, che, ormai a lungo studiato, sembra essere definitivamente considerabile costola del nostro stesso pianeta. Materia della nostra stessa materia. Insomma sangue del nostro sangue. Ma il nostro pianeta, lo sappiamo, sta messo malino quanto a salute, e allora che si fa? Si guarda oltre. Si pensa ad una base stabile sulla Luna dalla quale un giorno magari partire verso Marte o altri mondi, visto che quello nostro ce lo stiamo bellamente giocando. Però, attenzione, in tutto questo rinnovato interesse per lei, per la pallida e mutevole Luna, spunta fuori che lassù, nella costola vergine della Terra, ci sono minerali, terre rare, acqua, allo stato solido ma in abbondanza… e tutto al polo Sud, dove di giorno fa 100 gradi e di notte – 200, dove il giorno dura 14 giorni e la notte 14 notti (terresti), un vero paradiso, non c’è che dire!
L’affascinante attrice e cantante statunitense Taraji P. Henson riveste il ruolo di Katherine Johnson nell’ottima pellicola “Hidden figures” (foto proveniente da www.flickr.com)
Ma cosa non si farebbe, a cosa non si è disposti ad adattarsi per strappare anche a lei quelle stesse materie prime, risorse, ricchezze che sono motivo di conflitti inenarrabili, visto che, va a sapere perché, quei minerali preziosi e rari qui stanno tutti ammucchiati nei posti più complicati e guerrafondai del pianeta. E lì?
Un’altra protagonista principale della pellicola “Il diritto di contare” è l’attrice statunitense Octavia Spencer alias la “donna calcolatrice” Dorothy Vaughan (foto proveniente da www.flickr.com)
Pensateci bene, soprattutto ora che la “conquista dello spazio” si va allargando ben oltre due sfidanti, ora che vede inclusi, indifferentemente, astronauti e astronaute, e persino parastronauti perché alla fine s’è capito che quello che conta è l’integrità del cuore e della testa, e non l’integrità del corpo o il suo colore, o il suo sesso, a che non si replichi questa lotta all’ultimo sangue per accaparrarsi una miniera di coltan in più, un giacimento di litio in più… La luna è un’opportunità. Sì, che sia di pace però. Sennò rischiamo che prima o poi un’altra scrittrice dovrà scrivere un domani il Diritto di Spaziare, visto che gli avvocati di tutto il mondo hanno già il loro bel da fare a definire e a riscrivere il Diritto Spaziale.
Janelle Monáe, attrice e modella, nella finzione cinematografica di “Hidden figures” è Mary Jackson, la prima ingegnere afroamericana a lavorare alla NASA dopo aver svolto l’incarico di “computer umano”. Il suo nome è stato inserito solo nel giugno 2017 nel Langley Hall of Honor (foto proveniente da www.flickr.com)
L’AUTRICE E LA SUA VOCE.
Nata e cresciuta a Hampton, in Virginia, Margot Lee Shetterly ha conosciuto di persona molte delle protagoniste di Il Diritto di Contare, e per i suoi studi sul contributo delle donne alla matematica ha ricevuto una borsa di studio dalla prestigiosa Virginia Foundation of the Humanities.
Prima di trasferirsi a Charlottesville, con il marito, è stata per molti anni a New York e in Messico. Detto questo, credo che sentire direttamente la sua voce sia il modo migliore per consegnarvi questa recensione, che spero vi sia stata di utilità.
Da Il Diritto di Contare:
[…] Eppure, pur essendo state loro al Langley a infrangere la barriera della razza, facendo da apripista per gli uomini assunti in seguito, le donne dovettero sempre combattere per qualcosa che gli uomini, anche di colore, potevano dare per scontata: la qualifica di ingegnere […] Insieme avevano dimostrato che, se gliene venivano dati l’occasione e i mezzi, la mente femminile era uguale a quella maschile.
Come nella migliore tradizione dell’industria cinematografica statunitense, la proiezione della pellicola “Hidden Figures.” ha avuto scenari e corollari di tutto rispetto come l’auditorium del Kennedy Space Center in Florida, dove il cast al completo ha partecipato a una conferenza stampa organizzata al fine di promuovere il film presso gli addetti ai lavori della NASA. A sinistra possiamo riconoscere l’attrice Octavia Spencer alias Dorothy Vaughan; Taraji P. Henson, che impersona Katherine Johnson nel film e Janelle Monáe – Mary Jackson (foto proveniente da www.flickr.com)
[…] Per molti uomini, una “calcolatrice umana” era una macchina calcolatrice che respirava, un accessorio d’ufficio che inspirava una serie di cifre e ne espirava un’altra.
[…] “Sventurata te, se ti fanno calcolatrice” scherzava un articolo dell’Air Scoop. “Sventurata, perché l’ingegnere si prende il merito di qualsiasi tuo lavoro che brilli d’intelligenza e dia gloria. Ma se lui scivola o sbaglia un conto, o incappa in un errore di qualunque tipo, una volta chiamato a rispondere scaricherà il barile con un bel: ‘Del resto, cos’altro ci si può aspettare da una calcolatrice donna?’”.
Il lavoro della maggior parte delle donne, […], era anonimo, persino se lavoravano a stretto contatto con un ingegnere sul contenuto di una relazione era raro che le matematiche vedessero apparire il proprio nome sulla pubblicazione finale. Perché mai avrebbero dovuto nutrire il loro stesso desiderio di riconoscimento? Si chiedeva la maggior parte degli ingegneri. Erano donne, dopotutto.
[…]Prima che il computer diventasse un oggetto inanimato, però, e prima che il Centro di controllo missione atterrasse a Houston; prima che lo Sputnik cambiasse il corso della storia, e prima che la NACA diventasse NASA; prima che la sentenza della Corte Suprema nel caso Brown v. Board of Education of Topeka stabilisse che di fatto separato non significava uguale, e prima che la poesia del sogno di Martin Luther King si riversasse giù dalla scalinata del Lincoln Memorial, le calcolatrici dell’Area ovest del Langley aiutarono gli Stati Uniti a dominare l’aeronautica, la ricerca spaziale e la tecnologia informatica, ritagliandosi uno spazio come matematiche donne che erano anche di colore, matematiche di colore che erano anche donne. […]
Katherine ci ha lasciato il 24 febbraio 2020 alla veneranda età di 101 anni (foto proveniente da www.flickr.com)
[…] Figurarsi se una mente femminile poteva elaborare qualcosa di tanto rigoroso e preciso come numeri ed equazioni! Solo l’idea di investire cinquecento dollari in una macchina calcolatrice per poi farla usare a una ragazza… ma per piacere! E invece le ragazze si erano dimostrate molto, molto brave con i numeri. Più brave, di fatto, di molti ingegneri, come dovettero ammettere gli stessi uomini, pur se a denti stretti.
Recensione di Rossana Cilli.
Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
Signore e signori, lasciate che vi presenti Bob Hoover.
Molti piloti lo conoscono. Una leggenda nel mondo aeronautico. E di quello degli air show statunitensi.
Qui da noi, forse, almeno dal nome, pochi saprebbero risalire al personaggio.
Del resto, noi italiani abbiamo poca inclinazione verso gli air show. E poi abbiamo una Pattuglia Acrobatica Nazionale che è, senza mezzi termini e senza dubbio alcuno, la migliore in assoluto sul pianeta Terra. Perciò tendiamo a conoscere solo quella.
Sono davvero innumerevoli i riconoscimenti conseguiti da Bob Hoover nel corso della sua lunga carriera assolutamente memorabile. Oltre a quella della FAA qui raffigurata non possiamo non ricordare: la National Air and Space Museum’s Trophy for Lifetime Achievement; la Living Legends of Aviation Award e la National Aeronautic Association Wright Brothers Memorial Trophy; l’inserimento del suo nome nella National Aviation Hall of Fame; la Living Legends of Aviation Freedom of Flight Award (successivamente rinominata Bob Hoover Freedom of Flight Award); lo Smithsonian’s National Air and Space Museum Trophy; la National Aeronautic Association Wright Brothers Memorial Trophy nell’ambito civile. In quello militare ricordiamo: la Purple Heart, l’Air Medal with Clusters, la Distinguished Flying Cross, la Soldier’s Medal for Valor, e la France’s Croix de Guerre. (foto proveniente da www.flickr.com)
Abbiamo scarsa inclinazione anche verso la lettura. Specialmente di libri in una lingua diversa dalla nostra.
Ma forse, se dico che Bob Hoover è quel pilota che vola con un bimotore, seduto ai comandi indossando un largo cappello da cow-boy (ma non lo è veramente) e poi esegue un tonneau mentre versa acqua, da una bottiglia, in un bicchiere appoggiato sul cruscotto senza che il bicchiere si sposti di un millimetro e senza che una sola goccia si perda… allora molti sapranno di chi si tratta.
Potenza di Youtube.
Questo libro non è altro che l’autobiografia di Bob Hoover.
Ma lasciamo che a presentarlo sia un altro pilota, un Generale che risponde al nome di James Doolittle. Tutti coloro che non hanno idea di chi si tratti, neanche in questo caso, possono semplicemente scriverne il nome su Google.
Al Monterey County Air Show, nel 1988, Doolittle presentò così Hoover al pubblico:
[“Ladies and gentlemen, let me introduce to you Bob Hoover, the greatest stick-and-rudder pilot alive today…
No, That’s wrong, let me introduce to you Bob Hoover, the greatest stick-and-rudder pilot who ever lived”.]
“Signore e signori, lasciate che vi presenti Bob Hoover, il più grande pilota cloche-e-pedaliera vivente …
No, è sbagliato, lasciate che vi presenti Bob Hoover, il più grande pilota cloche-e-pedaliera che sia mai esistito”.
Una delle manovre che hanno reso Bob Hoover unico nel mondo delle acrobazie aeree: a motori spenti ed eliche a bandiera eseguiva looping e rolling con il velivolo bimotore North American Rockwell “Shrike Commander” 500S dimostrando una padronanza eccellente della macchina e anche – ammettiamolo – una certa audacia che andava ben oltre le capacità tipiche di un pilota collaudatore (foto proveniente da www.flickr.com)
Nelle primissime pagine troviamo le suddette parole, a mo’ di presentazione del contenuto del libro, che il Generale ha voluto riproporre qui, come se si trattasse di introdurre uno spettacolo tipico di Hoover.
Ed ecco l’autore di questa biografia immortalato accanto al suo velivolo a bordo del quale lasciò letteralmente a bocca aperta decine e decine di migliaia di spettatori delle manifestazioni aeree statunitensi cui partecipò nel corso degli anni. Lo scatto risale al 2010 quando Bob Hoover aveva “solo” 88 anni presso lo Steven Udvar-Hazy Center a Chantilly, VA (foto proveniente da www.flickr.com)
Dopo la lettura di questo libro saprete che Doolittle diceva la verità. Certamente di grandi piloti ce ne sono stati molti altri. Uno solo fra questi, tanto per fare un esempio, è stato Chuck Yeager. Su VOCI DI HANGAR trovate il libro autobiografico di Yeager recensito da me un po’ di tempo fa. S’intitola: Yeager: an autobiography – Una vita in cielo.
Anche lui ha scritto una propria presentazione, giusto una pagina dopo. In quella, Yeager racconta un episodio di come si sono incontrati, un giorno, nel cielo del deserto del Mohave, dove aveva sede il Reparto Sperimentale Volo dell’epoca, durante i collaudi di due aerei. Un bimotore a elica per Hoover e un caccia a reazione per Yeager. Era frequente che due piloti del loro calibro si sfidassero in qualche tipo di duello aereo, per ragioni puramente addestrative, ma nessuno avrebbe mai osato attaccare Yeager. Entrambi erano reduci dalla Seconda Guerra Mondiale e avevano combattuto e abbattuto aerei nemici. Erano, perciò, combattenti temibili. In quel cielo volavano come piloti collaudatori di nuove macchine volanti. Erano il meglio del meglio e Yeager aveva una reputazione che non lasciava spazio a scherzi del genere. Non si aspettava di essere sfidato in un duello. Men che mai da un bimotore a elica! Senza avere neppure la più pallida idea di chi ci fosse ai comandi.
Come si è svolta quella storia e come è finita … ve lo lascio scoprire leggendo il breve scritto di Yeager. Ma ne sarete sorpresi …
Bob Hoover ebbe un’esistenza lunga quanto a dir poco singolare nel corso della quale ebbe la fortuna e il privilegio di conoscere personalità iconiche della storia dell’Aviazione del calibro del suo amico e collega Chuck Yeager, il temerario colonnello Jimmy Doolittle, oppure il grande trasvolatore solitario Charles Lindbergh e addirittura il pioniere dell’Aviazione moderna Orwille Wright. Ma non solo … anche personaggi altrettanto memorabili dell’astronautica mondiale come Michael Collins e Neil Armstrong, ricordati negli annali per essere stati membri dell’equipaggio dell’Apollo 11 che toccò per primo il suolo lunare nel 1969. Bob ci ha lasciato nel 2016 alla veneranda età di 94 anni e, non a torto, è considerato uno dei migliori piloti mai vissuti nella storia dell’Aviazione mondiale. Alle spalle dell’autore uno dei velivoli con il quale volò molto intensamente: un F-86 Sabre (foto proveniente da www.flickr.com)
Segue una pagina intera di onorificenze che Hoover si è guadagnato nel corso della sua carriera. L’elenco è lungo ed è suddiviso tra quelle militari e civili.
Yeager, comunque, ha scritto una vera e propria prefazione di tre pagine, che troviamo di seguito.
E’ un libro strutturato davvero in maniera magistrale.
Dopo un capitolo che riguarda un air show in Russia, dove Hoover si esibisce alla sua maniera, sorprendendo tutti fino a superare i limiti della decenza rischiando di essere arrestato ed incarcerato, il libro vero e proprio comincia. E secondo la più comune consuetudine comincia proprio dall’inizio, dalla nascita, dalla descrizione della famiglia, dalle proprie umili origini etc.
Immancabile è anche la descrizione del suo primo approccio al mondo dell’Aviazione, che nel suo caso riguarda un vicino aeroporto e qualche attività di volo che il piccolo Bob poteva osservare da fuori dell’area aeroportuale, con le dita aggrappate alla classica rete.
Per raggiungere questo luogo di meraviglia, comunque, doveva percorrere una trentina di chilometri, di sola andata, in bicicletta.
Nelle biografie dei vari piloti, spesso vengono citati alcuni personaggi dai quali hanno tratto ispirazione. Hoover non fa eccezione. I suoi personaggi cominciano da un nome famosissimo: Charles Lindberg. La sua trasvolata oceanica, solo a bordo di un monomotore, aveva sbalordito il mondo intero.
E aveva affascinato e travolto di ammirazione il piccolo Bob Hoover.
Bob leggeva molto, da piccolo. E conosceva le gesta di altri piloti. Oltre Lindberg, conosceva Roscoe Turner, Eddie Rickenbacker e Jimmy Doolittle. Quest’ultimo era quello che più attirava il suo interesse. Ma c’era un ulteriore nome, in quei giorni, che divenne per lui particolarmente orientativo: Bernie Ley, che molti anni dopo divenne suo amico. La sua specialità era l’acrobazia aerea.
Bob Hoover era quel genere di pilota che era capace di pilotare qualunque cosa avesse una cloche e una pedaliera … compreso uno dei primi ultraleggeri mai costruiti nella storia dell’aviazione. E questo scatto lo testimonia. Della serie: quando gli ULM somigliavano più al Flyer dei fratelli Wright che a dei velivoli moderni (foto proveniente da www.flickr.com)
Hoover cominciò presto a prendere lezioni di volo, racimolando con vari mezzi i dollari necessari. Ma alla fine trovò la strada per entrare in Aviazione. La guerra stava per scoppiare anche per gli Stati Uniti, che aveva bisogno di piloti da mandare a combattere in Europa.
Un aspetto sorprendente del nostro Bob Hoover è che, insieme ad una smisurata passione per il volo e per le manovre acrobatiche, aveva la tendenza a subire il mal d’aria. Non c’era volo che terminasse senza una buona dose di air-sickness. Tuttavia, nel tempo, ogni sintomo divenne sempre più debole e, alla fine, scomparve.
L’aria e il mal d’aria vanno spesso di pari passo, ma solo per una distanza limitata.
Attraverso una serie ininterrotta di eventi, alcuni piuttosto complessi e spesso comici, finalmente il nostro pilota raggiunge l’Europa in guerra, ma anche qui sembra difficile arrivare proprio dentro il conflitto, ai reparti realmente combattenti. Piuttosto, la sua fama di pilota collaudatore, capace di mille prodezze ai comandi di qualunque tipo di aereo, gli procurano un incarico davvero speciale.
Un B-26 Martin Marauder, grosso bimotore da bombardamento, era stato abbattuto sulla costa siciliana, dalle parti di Messina e aveva fatto appena in tempo a raggiungere una spiaggia idonea ad un atterraggio sul ventre. L’aereo era stato riparato, ma la lunghezza della spiaggia non sembrava sufficiente per la ripartenza. Cercavano un pilota capace di compiere il miracolo.
E chi poteva fare una cosa simile?
Chiesero a Hoover. Lui accettò. Se ci fosse riuscito, probabilmente il merito acquisito avrebbe pesato abbastanza da far accettare la sua assegnazione a qualche reparto combattente.
Hoover andò sul posto con una squadra di tecnici militari. Fece smontare ogni cosa possibile, per alleggerire al massimo il pesante bimotore. Fece lasciare nei serbatoi la minima benzina, sufficiente appena per raggiungere il primo aeroporto disponibile, che in questo caso era Palermo. Poi mise in moto i motori e decollò, superando di pochi metri gli ostacoli.
In questo scatto mirabile sono riuniti tutti i velivoli che sono legati a doppio filo alle vicende professionali di Bob Hoover. La sua storia umana e professionale è tornata alla mente del nostro buon Evandro Detti dapprima dopo la lettura de:“La panchina”, il racconto che ha partecipato al premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE nell’edizione 2023, da poco ospite del nostro hangar (in cui il libro di Hoover è tra le mani della protagonista del racconto) ma anche e soprattutto per via della pubblicazione dell’ultimo libro della casa editrice Cartabianca Publishing avvenuto nel mese di dicembre 2023. Si tratta di Carrying the fire – Il mio viaggio verso la Luna che il lodevole editore bolognese ha regalato agli appassionati italiani di astronautica dopo cinque anni di duro lavoro traducendo in modo esemplare la sacra autobiografia dell’astronauta Michael Collins. E il nostro Evandro che ha recensito sia la versione in lingua originale che quella tradotta di Collins sarebbe potuto venir meno alla promessa di recensire un altro testo sacro della storia dell’Aviazione? Certo che no … e infatti ci ha concesso la recensione di “Forever Flying” come regalo natalizio! Grazie Evandro. Cartabianca compreso il messaggio? (foto proveniente da www-flickr.com)
Hoover aveva già pilotato il B-25. Ma mai il B-26, che sembra avesse anche una pessima reputazione, visto il notevole numero di incidenti che erano accaduti durante i voli di addestramento. E lui riuscì a portare via una macchina del genere da una simile spiaggetta piena di ostacoli, di un migliaio di piedi di lunghezza (circa 300 metri, NdR).
Descritta così, in poche righe, può anche sembrare un compito facile. Ma nel libro la descrizione dell’intera impresa prende molto più spazio, si arricchisce di particolari molto interessanti e soprattutto rivela che ci volle più di un mese di preparazione, anche della striscia di decollo, che venne pavimentata con grelle metalliche. Furono fatte prove e tentativi per verificare la fattibilità e l’efficacia dell’accelerazione per raggiungere la velocità minima di rotazione e di sostentamento.
Quando giunse il giorno fatidico, il sergente motorista, caposquadra dei vari tecnici, volle assolutamente salire a bordo e andare con Hoover. Una dimostrazione di fiducia non indifferente.
All’arrivo nel cielo di Palermo, visto che il carburante era ancora più che sufficiente, Bob cercò di dimostrare il proprio talento agli spettatori che stavano aspettando a terra. Dapprima sfidò al combattimento il pilota di un caccia P40 che si trovava in volo nei dintorni. Poi fece alcune manovre acrobatiche e infine atterrò. Da notare che solo lui aveva un sedile, dietro i comandi. Il sergente motorista non lo aveva, perché era stato smontato per alleggerire il peso.
Un’altra epoca. Un altro mondo.
In questa impresa Bob Hoover si guadagnò un alto riconoscimento militare: la Distinguished Flying Cross.
E l’assegnazione a un gruppo combattente, che operava con i famosissimi caccia Spitfire, basato in Corsica, a Calvì.
Forse non tutti sono a conoscenza di una peculiarità storica che riguarda questo scatto, ossia uno dei più famosi nella storia delle costruzioni aeronautiche e dunque dell’intera storia del mondo aeronautico: a eseguirlo fu proprio Bob Hoover che, a bordo di un jet, rincorse letteralmente il suo collega di reparto Chuck Yeager a bordo dell’aereo razzo X-1, il primo velivolo a superare la velocità del suono (foto proveniente da www.flickr.com)
E qui accadde un altro fatto, una disavventura, un grosso guaio, come è stato tipico di tutta la vita operativa di Bob Hoover.
Dopo un certo periodo di ambientamento, fu promosso flight leader, cioè capo squadriglia.
Il 9 febbraio del 1944 Hoover volava, appunto, come capo squadriglia, in una missione di pattugliamento del tratto di mare tra la costa della Corsica e la Costa Azzurra, con il compito di attaccare e possibilmente distruggere navi, treni e ogni altro obiettivo di convenienza, fino a una certa distanza all’interno della Francia del sud.
Per aumentare l’autonomia degli Spitfire si usava montare un serbatoio ausiliario sganciabile sotto la fusoliera dell’aereo. In caso di attacco nemico, prima di iniziare il combattimento, avrebbero sganciato il serbatoio ausiliario, altrimenti questo avrebbe impedito di aumentare la velocità oltre un certo limite e di manovrare agilmente.
Furono attaccati da una squadriglia di caccia tedeschi. Erano Focke-Wulf 190.
Dopo alcuni scambi di colpi di mitragliatrice, Hoover tirò la maniglia di sgancio del serbatoio, ma la maniglia rimase nella sua mano e il serbatoio al suo posto. Nonostante tutto riuscì a colpire e abbattere un caccia nemico. E pochi istanti dopo ne colpì un altro.
Era il suo primo combattimento reale, un’azione di guerra, non un addestramento con piloti amici.
Lo Spitfire, tanto limitato dalla presenza del serbatoio, aveva ancora una magnifica maneggevolezza, ma la lotta era impari. Uno Spitfire, quello del suo amico Montgomery, esplose in volo, centrato da una raffica. Gli altri, invece di difendere il loro collega, fuggirono alla massima velocità. Un attimo dopo anche l’aereo di Bob fu colpito e il motore prese fuoco. Subito lui aprì la cappottina, rovesciò l’aereo, sganciò le cinture e si lasciò cadere nel vuoto.
Il North American P-51 Mustang con la livrea gialla fu per anni il compagno di volo inseparabile di volo di Bob Hoover durante le manifestazioni aeree cui partecipava regolarmente come attrazione principale (foto proveniente da www.flickr.com)
La raffica che aveva colpito il suo aereo aveva anche provocato l’esplosione di schegge che avevano raggiunto il sedile e le parti basse del corpo di Hoover. E avevano bucato il canottino gonfiabile, sistemato sotto il paracadute, utilissimo in caso di lancio in mare.
Bob cadde in acqua con soltanto la Mae West gonfiata.
Anche dopo il suo ritiro dalla scena (delle manifestazioni aeree) il velivolo di Bob Hoover ha continuato ad appalesarsi ed è divenuto a sua volta un oggetto di culto benchè non pilotato dal suo indimenticabile proprietario (foto proveniente da www.flickr.com)
Prima di essere costretto a lanciarsi aveva fatto in tempo a trasmettere un messaggio di soccorso, con la sua posizione e la richiesta di mandare un idrovolante per il recupero.
Ma dopo tre ore di attesa in mare fu una piccola nave tedesca a prenderlo a bordo.
Era prigioniero. Lui, il miglior pilota tra migliaia di altri piloti, era stato abbattuto subito, alla prima missione. Come unica consolazione aveva quella di aver, poco prima, abbattuto un FW 190 nemico. Il suo primo abbattimento.
Il primo piano dell’autore e del suo “strumento di lavoro” dell’epoca, soprannominato Ole Yeller. (foto proveniente da www.flickr.com)
Ho sintetizzato questo episodio soltanto per renderlo noto. Ma nel libro, il racconto di Hoover è molto più particolareggiato. Nella sua tragicità, con il suo stile stringato e ironico, cattura la mente del lettore.
Da notare un particolare interessante. Anche un altro pilota famosissimo è stato abbattuto più o meno nello stesso tratto di mare, davanti alla linea di costa francese e anche lui era partito dalla Corsica: Antoine de Saint-Exupéry (l’autore del celeberrimo “Il piccolo principe”, NdR).
Il libro continua con la lunga descrizione del periodo di prigionia, fitto di episodi tragici, goliardici, comici e inimmaginabili. Hoover non lasciava mai la minima occasione per cercare di evadere. Lo riprendevano sempre, lo punivano, ma alla successiva occasione ci riprovava. Ha tentato una ventina di volte di fuggire nel tempo di un mese.
Poi, finalmente, la guerra prese una brutta piega per i tedeschi. I russi avanzavano da Est, gli alleati da Ovest e le forze germaniche si trovarono allo sbando.
Approfittando della scarsa attenzione dei suoi carcerieri, Hoover e un gruppo di americani presero il largo.
Durante la fuga attraverso il territorio martoriato dai bombardamenti, arrivarono in un aeroporto.
Sul campo erano sparsi qua e là tanti caccia tedeschi, tutti squarciati da colpi di armi da fuoco e schegge di bombe. Ma ne trovarono uno in condizione di poter volare, sebbene sforacchiato anche quello.
Che può pensare un pilota, in presenza di un aereo che potrebbe volare? Specialmente un pilota collaudatore, abituato a pilotare aerei sui quali non ha mai volato prima? Un pilota che, oltretutto, è anche uno specialista delle fughe?
Nel campo c’erano alcuni militari tedeschi, addetti alle operazioni di volo, rimasti a presidiare il sito, ma timorosi anch’essi dell’avanzata dei russi e sul punto di scappare. Ne presero uno, lo costrinsero a dare una mano nel preparare l’aereo, un FW 190, poi Hoover si mise a bordo e decollò.
Il North American T-28B Trojan è stato uno dei tanti velivoli che l’autore ha collaudato nel corso della sua attività di pilota militare. Da notare le dimensioni ragguardevoli della macchina, il suo enorme motore stellare e l’imponnete elica tripala … dimensioni impensabili rispetto agli odierni aeroplani dell’Aviazione Generale (foto proveniente da www.flickr.com)
Inizialmente pensava di andare in Inghilterra, ma temeva di essere abbattuto dagli alleati. Un caccia tedesco sembra sempre un caccia nemico, anche se pilotato da un americano. Per cui, dopo tanto riflettere, nel sorvolare l’Olanda, decise di atterrare in un campo e raggiungere un gruppo di americani, o inglesi che avanzavano da ovest. Così fece e fu poi riportato in Inghilterra.
Questo libro è talmente zeppo di episodi simili che è impensabile inserirli tutti in una recensione.
Diciamo soltanto che dopo la guerra Hoover tornò negli Stati Uniti, dove la sua vita, manco a dirlo, continuò sulla falsariga di quella vissuta fino a quel momento. Passando da una disavventura all’altra, da un guaio all’altro, ma anche da una conquista all’altra di obiettivi mirabolanti, nel campo del volo militare e successivamente di quello civile.
La terza parte del libro si intitola, appunto, “Test flying for uncle Sam” – “Volando come pilota collaudatore per lo zio Sam”.
La guerra era stata un periodo breve che aveva solamente interrotto la continuità della sua professione principale, quella di pilota sperimentatore.
Ma anche di quella di ammaliatore di pubblico negli air-show.
Le pagine del libro si succedono numerose, scritte a caratteri piccoli, zeppe di episodi. Impossibile fare menzione di tutti. Come orientamento generale, diciamo che, seppure attraverso strade tortuose ed episodi comici e a volte tragici, Hoover andò a finire in un posto sperduto in mezzo al deserto del Mohave, chiamato Muroc. Conosceva già la base di Muroc, ma non sapeva ancora cosa sarebbe diventata: il più grande e più famoso luogo di sperimentazione di tutto ciò che avrebbe volato negli anni a venire, compreso l’aereo razzo che avrebbe superato il muro del suono oppure, l’F-104 modificato che avrebbe superato i centomila piedi di quota percorrendo, in traiettoria balistica e con il motore ormai spento, un breve tratto nello Spazio, prima di rientrare nell’atmosfera. E addirittura lo Space-shuttle. Quella base avrebbe cambiato nome. Si sarebbe chiamata Edwards Air Force Base.
Qui avrebbe operato insieme a personaggi, vecchi e nuovi, che sarebbero diventati famosissime. Giusto per fare qualche nome: Chuck Yeager, Bud Anderson e Neil Armstrong. Ma ne potrei nominare molti altri.
Divenuto preda bellica, questo Heinkel He-162A-1 fu lungamene sperimentato dai piloti statunitensi e, tra questi, anche l’autore, allora giovanissimo, effettuò un volo in terra statunitense, dopodiché il velivolo fu radiato e, dopo alterne vicissitudini, finì nel museo statunitense dove è conservato ancora oggi (foto proveniente da www.flickr.com)
Dopo aver letto tutti gli episodi che Hoover racconta nel libro e che riguardano la parte militare della sua carriera, arriviamo infine a quella fatidica decisione di lasciare la divisa per intraprendere la carriera civile, ma sempre come pilota sperimentatore.
Molte compagnie civili avevano un proprio nucleo di piloti, provenienti spesso da ambienti militari, ai quali affidavano lo sviluppo e la messa a punto di macchine e sistemi.
La North American Aviation era una di queste. Bob fu chiamato e subito fece i bagagli, insieme a sua moglie Colleen per raggiungere Los Angeles, California e iniziare un altro lungo capitolo della sua vita.
Un velivolo rivoluzionario e al contempo non facilissimo come l’F-100 Super Sabre (supersonico in volo orizzontale, con ala a freccia e tutto in alluminio) fu un osso duro anche per il grande Bob Hoover perché il velivolo, a causa dell’ala di limitata apertura alare, era affetto da un particolare fenomeno detto” pitch-up” o “Sabre dance” che lo rendeva incontrollabile. Le problematiche costruttive del velivolo si manifestarono subito: le sollecitazioni meccaniche cui era sottoposta la cellula erano tali da spezzare addirittura la struttura stessa dell’aereo (come purtroppo si verificò in un incidente in cui rimase ucciso il pilota collaudatore). All’epoca, diversamente da oggi, i nuovi aeroplani non volavano per migliaia di ore nei simulatori di volo virtuali dentro i calcolatori mentre la progettazione avveniva ancora con il regolo calcolatore, sicché la verifica in volo lasciava ancora amplissimo margine di sorprese, come appunto nel Super Sabre. I piloti collaudatori erano davvero preziosissimi nell’individuare e risolvere queste “sorprese” (foto proveniente da www.flickr.com)
Anche qui il libro è pieno di episodi che lasciano il lettore senza respiro.
Farò cenno ad un solo episodio, il collaudo di un caccia F-86. Il capitolo si intitola “Forty minutes of stark terror”- “Quaranta minuti di crudo terrore”.
La vita di un pilota collaudatore è sempre appesa a un sottile filo … e l’immagine di questo F-100 Super Sabre spiattellato a terra ci dimostra quanto fossero frequenti gli incidenti (spesso mortali) che occorrevano ai piloti statunitensi. Uno di loro, capo pilota collaudatore della North American, George Welch, rimase ucciso durante uno di questi voli mentre l’altro collaudatore, sempre della North American, George Smith, ben più fortunato, fu costretto a lanciarsi da un F-100A in volo a velocità supersonica. Riuscì a salvarsi (foto proveniente da www.flickr.com)
Durante questo volo di collaudo, avvenuto proprio nello spazio aereo dell’area di Los Angeles, con partenza da un aeroporto adiacente a quello che è oggi l’aeroporto civile della metropoli, Hoover si trovava sul mare, a poca distanza dalla costa. Improvvisamente si trovò con i comandi quasi bloccati. Nel tentativo di capire cosa stesse succedendo, l’aereo andò praticamente fuori controllo. Il timone di profondità, quello che agisce sull’assetto longitudinale dell’aereo, era scollegato dalla cloche e poteva essere parzialmente controllato solo con il trim, ma a fronte di ritardi lunghissimi nella reazione. Ci sono due pagine di comunicazioni concitate che Hoover scambiò con gli enti del controllo e con il pilota di un altro caccia che gli volava a fianco. Un aereo di linea, pronto alla partenza sulla pista adiacente fu bloccato al suolo. Dopo una lunga serie di prove per avere ragione del proprio caccia in avaria e dopo tante esortazioni a lanciarsi, Hoover si diresse verso la terraferma, verso il deserto e riuscì a compiere un magistrale atterraggio, sfruttando il cuscino d’aria che si forma sempre sotto la pancia di un aereo quando si avvicina a terra. Così salvò l’aereo e rese possibile un attento esame per scoprire le cause dell’avaria. Ma, detto tra noi, solo lui poteva fare una cosa del genere.
L”autore sale a bordo di un North American F-100 Super Sabre per uno dei tanti voli di collaudo cui l’USAF sottopose il velivolo e grazie ai quali la Casa costruttrice provvide alle opportune modifiche mentre a diversi piloti dei reparti operativi evitò brutti quarti d’ora se non addirittura incidenti. E a quello i collaudatori/sperimentatori servivano e ancora oggi servono. Ad ogni modo, l’F-100 fu costruito in più di 2000 esemplari e volò fino ai primi anni ’80, a dimostrazione della bontà del progetto benché minato, almeno inizialmente, da inevitabili problemi di gioventù (foto proveniente da www.flickr.com)
Il quinto capitolo riguarda la guerra di Korea. Hoover non si fece sfuggire neanche quella.
Segue un lungo racconto che riguarda il collaudo del famoso caccia F-100, tanto bello a vedersi quanto problematico nell’uso pratico,
E ancora air-show, argomento questo, che garantisce al lettore un’infinita serie di disavventure che, come al solito, sono allo stesso tempo tragiche e comiche. Però tutte mirabolanti e al limite dell’incredibile. Ce n’è da leggere…
Nell’epilogo, Hoover sceglie un titolo che è davvero illuminante: “Dogfighting with the FAA”. Il dogfighting è il duello aereo, il combattimento tra due caccia, amici o nemici che siano. E la FAA è la Federal Aviation Administration, cioè l’ente che controlla tutti gli ambiti dell’Aviazione statunitense. Ed è proprio con quella che Hoover ha dovuto sostenere lunghe e accanite lotte, specialmente quando la sua età si faceva sempre più avanzata e, a detta della FAA, sempre meno compatibile con il tipo di volo richiesto per gli air-show.
Nel libro, la parte finale è dedicata proprio a questo argomento ed è altrettanto appassionante per chi legge, perché Hoover ha sempre vinto ogni attacco. E continuato a volare.
Poi, un giorno, il destino ha finalmente trovato un modo semplicissimo per metterlo a terra.
Non gli hanno più rinnovato la copertura assicurativa. Semplice, ma efficace. Anzi, definitivo.
Bob Hoover ci ha lasciato il 25 ottobre del 2016.
Sembra incredibile che il destino appena nominato abbia potuto veramente staccare per sempre la spina di un personaggio tanto vitale, esuberante e apparentemente immortale.
Recensione di Evandro A. Detti (Brutus Flyer), didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
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Aforismi
Grazie a Dio gli uomini non possono ancora volare e sporcare i cieli così come fanno con la terra!”
(Henry David Thorea)
Q.T.B.
PILOTA: No landing gear doors. MECCANICO: A seguito di atterraggio senza carrello riportati i seguenti danni: abrasione del ventre fusoliera, distacco dello sportello sinistro e abrasione del destro nel tratto anteriore. Eseguita verifica della struttura ventre fusoliera con esito favorevole. Pulito gancio da traino e vano carrello da sporcizia. Rimosso lo sportello destro e gli spezzoni di cerniera del sinistro. Aliante aeronavigabile anche senza sportelli. Prova funzionale del carrello: favorevole.
(Suggerita da Big Mark)
Check-In
PASSEGGERO: Buongiorno devo andare a Napoli HOSTESS: Va bene signore, ha già fatto il check-in? PASSEGGERO: E che è \'sto check-in, io ho fatto settimana scorsa gli esami del sangue ma non sapevo che dovevo fare il check-in per volare, però di salute io sto che è una meraviglia