titolo: La lunga notte delle aquile
autore: Paolo Amico
editore: Pagine
anno di pubblicazione: 2004
ISBN: 88-7557-051-5
Le grandi librerie tradizionali dispongono spesso di alcune decine di migliaia di libri nei loro ampi locali; i volumi sono talvolta impilati a formare quasi dei corridoi o disposti più o meno strategicamente in scaffali/espositori. In questo marasma di cultura cartacea è assai difficile imbattersi accidentalmente in libri dall’evidente contenuto aeronautico.
Fatta eccezione per qualche volume di Richard Bach o per i classici di Clostermann o di Saint-Exupery, l‘unica via per procurarseli è conoscerne il titolo, semmai l’autore e chiederne conto al commessa/o nella speranza che il volume sia disponibile, semidisperso in qualche meandro dimenticato della libreria, appunto.
Situazione assai diversa sono invece le librerie on-line o, ancora meglio, le ormai consolidate piattaforme elettroniche che vendono, tra gli altri, anche libri. Nuovi oppure usati, spesso sono volumi venduti a prezzi di realizzo; per non parlare di quelli ormai fuori stampa da molti anni o di edizioni pressoché introvabili in quanto numericamente insignificanti o di scarsissimo (per non dire nullo) interesse per il grande pubblico.
Il merito di questa apparente magia di archeologia editoriale va reso ai potenti motori di ricerca interni che consentono, da casa, in tutta comodità, la scoperta di libri insospettabili fornendo loro parole chiave assai generiche come: “aviazione, cielo, aeroplani” e, talvolta, addirittura termini meno pertinenti quali “aquile, nuvole” e via discorrendo.
Quest’ultimo è il caso – del tutto fortuito, s’intende – che mi ha consentito di scovare il libro di Paolo Amico intitolato: “La lunga notte delle aquile” pubblicato nel già lontano 2004 ad opera di un editore, Pagine, che non può certo definirsi specializzato nel settore aeronautico.
Il romanzo ha quale scenario mirabile l’aeroporto di Guidonia.
Guidonia.
Città dell’aria per definizione, gemellata già da diversi anni con Cape Caveral (la città delle stelle), prese il nome da uno dei pionieri dell’Aviazione italiana, certo ing Guidoni, tragicamente perito nel 1928 durante uno dei lanci prova del paracadute progettato da lui medesimo.
Minuscolo borgo laziale inizialmente abitato da pastori e contadini, Guidonia, durante l’epoca fascista, divenne sede del Centro Studi ed Esperienze (l’equivalente odierno del Reparto Sperimentale di Volo dell’Aeronautica Militare con sede a Pratica di Mare). Questo si concretizzò nella costruzione di un moderno aeroporto, in una serie di laboratori e strutture di ricerca all’avanguardia ove le menti geniali dell’epoca, assieme a ottimi tecnici civili o militari, effettuarono studi ed esperimenti su tutto quanto legato o inerente il mondo del volo. Inoltre, non venne trascurato l’aspetto abitativo sicché, secondo la proverbiale architettura fascista, fu edificato ex novo un razionale nucleo urbanizzato attiguo alla base ove trovavano alloggio i militari e i ricercatori con le rispettive famiglie.
Guidonia oggi, è un popoloso comune a ridosso della cinta urbana di Roma; è letteralmente dilagata su quella calda pianura romana tappezzata di cave di travertino romano, delimitata dai due cocuzzoli ove sono arroccati le località di Montecelio e di Sant’Angelo Romano, guardata a vista dalla blasonata Tivoli e dai monti Tiburtini, anticamera della Sabina e del rustico Abruzzo.
Delle strutture di ricerca, oggi, non rimane pressoché nulla di dignitoso, salvo ruderi alla mercé della vegetazione incipiente, l’attività di volo è ridotta ad un lumicino, il centro abitato si è dilatato a dismisura in modo indiscriminato senza un piano regolatore predeterminato.
Così, a Guidonia c’è chi c’è nato, c’è chi ci vive, chi ci lavora, chi consuma le sue vicissitudini quotidiane spesso ignorando, per lo più trascurando semplicemente l’esistenza dell’aeroporto cui la cittadina deve la sua stessa esistenza; oppure c’è chi, come il sottoscritto, ha avuto la fortuna di trascorrere l’infanzia e l’adolescenza a scrutare l’aeroporto di Guidonia. Per inciso, con un modestissimo binocolo tascabile con solo due miseri ingrandimenti, tanto che oggi mi domando se quello che vidi sulla pista o in cielo fosse per merito della mia vista aquilina oppure, più semplicemente, era frutto di allucinazioni dovute ad un genuino entusiasmo giovanile. Difficile dirlo.
Ciò che posso senz’altro confessare è invece che, in età adulta, ho avuto il privilegio di lavorare sugli alianti della Sezione di Volo a Vela dell’Aeroclub di Roma con sede a Guidonia e dunque, in altri termini, ho avuto l’opportunità di attraversare l’ingresso monumentale (di appariscente architettura fascista, neanche a dirlo) della base aerea, percorrere quei viali retrostanti la linea di volo contrassegnati dai resti semidistrutti della vasca idrodinamica e delle palazzine-laboratori, vedere la pista in discesa dal suo punto più alto.
Sottolineo il termine “privilegio” perché dubito che mi verranno concesse altre visite giacché, ahinoi, in seguito di un incidente mortale in cui perse la vita un pilota trainatore e in cui andò completamente distrutto il suo velivolo trainatore, il Volo a Vela civile a Guidonia è stato chiuso definitivamente qualche anno fa, gli alianti venduti e l’hangar (quello famoso accanto alla pista nel suo punto più alto), è stato restituito all’Aeronautica Militare.
Fortunatamente i volovelisti veramente appassionati nati e cresciuti a Guidonia, si sono trasferiti in quel di Rieti, confluiti negli AeroClub che lì hanno sede; purtroppo diversi piloti, meno motivati o meno danarosi, hanno abbandonato definitivamente. E così si è chiusa in modo tragico la storia del club di Volo a Vela geograficamente più a Sud del nostro paese.
Capirete dunque perché il sottoscritto nutra un particolare affetto per lo storico aeroporto di Guidonia e un po’ meno per il suo rumoroso, caotico e congestionato nucleo abitativo.
Ovviamente vi domanderete: perché tutta questa sicumera a proposito di Guidonia, divenuta da diversi anni la terza città più popolosa del Lazio (dopo Roma, s’intende, e Latina)?
Se avrete pazienza di continuare a leggere …
Ebbene, tornando al romanzo di Paolo Amico, divorare le sue 175 pagine, corredate da una generosa sezione iconografica e da doverose considerazioni finali, è stato come rivivere i momenti in cui osservavo da casa il sedime aeroportuale, è stato come rientrare nell’aeroporto di Guidonia ma, stavolta, non per motivi professionali. Riattraversare l’ingresso, camminare lungo i viali accanto ai ruderi delle installazioni mai ripristinate, godere della vista magnifica dal piazzale antistante l’hangar dell’Aeroclub … è stato un po’ come tornarci davvero. Ecco perché non stento a credere che, se il romanzo “La lunga notte delle aquile” cadesse nelle mani di qualche buon vecchio volovelista guidoniano, qualche occhio torbido – se non qualche lacrimuccia – lo causerebbe. Provare per credere.
Ma torniamo al libro.
Le vicende narrate nel romanzo sono lineari e geniali al contempo; si articolano a partire da un tardo pomeriggio invernale, proprio sulla pista dell’aeroporto di Guidonia. In effetti da qui si dipanano in due filoni paralleli e distinti: da un lato c’è Marco, allievo pilota di alianti alla prese con il suo volo solista, ossia il suo primo volo in assoluta solitudine (senza l’istruttore a bordo), dall’altro lato, c’è Luigi, un attempato istruttore (manutentore per necessità), che lo attende premuroso a terra come farebbe una chioccia con il suo pulcino.
Tutto sembra filare liscio quando ecco, si consuma il dramma: il tramonto è avvenuto da un bel po’ e il buio cala inesorabile, ma l’aliante non rulla fino alla testata pista sebbene il giovane pilota abbia dichiarato via radio di essere “in corto finale”. Luigi allora dispera prima in un fuori campo, poi in un atterraggio nella vicina aviosuperficie e, infine, come ultima impossibile eventualità, s’insinua in lui l’idea balsana che si sia verificato un evento di cui, a bassa voce e con circospezione, qualcuno è già stato testimone incredulo e, a sua volta, non creduto.
Nel frattempo Marco è invece atterrato perfettamente sulla pista di Guidonia sebbene l’aeroporto gli appaia insolito, diverso. Addirittura non c’è Michele ad attenderlo ed è scomparso il grande piazzale con gli aeroplani al parcheggio o la stessa Torre di controllo.
Parcheggiato l’aliante, il ragazzo sarà invece accolto da un misterioso ufficiale dell’Aeronautica che lo festeggerà con tanto di bottiglia di spumante e bicchieri. Sarà proprio costui che gradualmente, con tatto, lo inizierà al fenomeno sovrannaturale che si sta per compiere.
L’evento misterioso è appunto “la notte delle aquile”, una lunga notte invernale in cui l’aeroporto di Guidonia diventa il luogo di raduno dei grandi personaggi e degli aeroplani che hanno segnato la storia dell’Aeronautica Militare italiana. Guidonia è la loro città, la città dell’aria per definizione, il luogo deputato ove piloti, tecnici, progettisti e militari dell’Arma Azzurra possono darsi convegno, salutarsi e confidarsi l’un l’altro una volta all’anno.
Ed ecco allora che Marco si renderà conto che l’enigmatico ufficiale della Regia Aeronautica altri non è che il redivivo Umberto Maddalena, mentre Michele contemporaneamente, avrà addirittura la fortuna di volare con il Piaggio P108B e di conoscere in carne ed ossa Bruno Mussolini che con quel velivolo perse la vita durante un volo di collaudo.
E ancora: avremo modo di conoscere molto da vicino veri e propri monumenti della storia dell’aviazione italiana come: Carlo Emanuele Buscaglia e Carlo Faggioni mentre ci verranno presentati i grandi ingegneri delle costruzioni aeronautiche italiane come: Mario Castoldi, Pegna, Casiraghi, Alessandro Marchetti, e lo stesso Celestino Rosatelli.
Marco e Luigi si ritroveranno finalmente assieme durante quella magica notte e avranno modo di assistere a quella improbabile rimpatriata di personaggi del passato e delle loro macchine volanti a bordo delle quali sono periti o grazie alle quali sono diventati famosi. Nella finzione credibile del romanzo tutti atterrano ordinatamente in successione sulla pista di Guidonia in un tripudio di aeroplani e di equipaggi mentre una gelida Luna osserva stupefatta quel mirabolante convivio.
Assieme a Michele e a Marco avremo così occasione di conoscere, tra gli altri, Arturo Ferrarin, il grande Adriano Visconti, e nientepopodimenoche Italo Balbo o lo stesso Alessandro Guidoni che si concederanno dei discorsi dal palco di questa singolare cerimonia, ponte ideale tra il passato e il presente, tra l’oblio e la memoria sempre viva.
Ai due personaggi principali si aggiungerà poi il generale Guarnieri, Capo di Sato maggiore dell’Aeronautica in carica che con mente aperta e cuore sincero, sarà anch’egli testimone di quella notte e da quella notte trarrà un rinnovato vigore nel portare a termine il suo compito istituzionale.
Il messaggio lanciato dal romanzo è dunque facilmente individuato: il mantenimento della memoria storica aeronautica.
Nobile scopo – certamente – facile a dirsi, difficile a praticarsi. Specie in un paese, come il nostro, in cui i cimeli abbondano ovunque e i musei ne hanno gli scantinati pieni; ove le gesta eroiche si perdono nella notte dei tempi e non sono mai mancati – parafrasando una definizione dell’italica nazione – santi, poeti e navigatori.
E’ per questo motivo che personaggi illustri della storia della nostra aviazione – peraltro vecchi a malapena di cento anni o poco più – vengono inesorabilmente dimenticati o, nell’ipotesi migliore, semplicemente ignorati.
Ed è sempre per questo motivo che i luoghi che furono fondamentali per lo sviluppo delle attività aeronautiche nazionali (e non solo) sono state volontariamente o involontariamente lasciate cadere nell’oblio. Mi riferisco ad esempio all’idroscalo di Orbetello dove furono organizzate e presero avvio le Crociere Atlantiche e di cui ci ha dato conto in una recensione il nostro preziosissimo Evandro Detti. Oppure lo stesso aeroporto di Guidonia, crogiolo di ricerche all’avanguardia in molte discipline connesse al mondo aeronautico e al contempo luogo da dove presero avvio mirabolanti imprese come il record di quota di Pezzi o la trasvolata di Ferrarin.
A questo punto occorre una doverosa precisazione: quanto scrive il sottoscritto non è l’espressione nostalgica per un’epoca che non è la propria giacché ormai morta e sepolta dalla polvere del tempo, né intende dare voce ad una consunta dietrologia della serie: “Era meglio quando c’era lui”, giammai. In chi scrive, c’è lo stesso sentimento di rammarico – forse è più corretto definire: di amarezza – che è rinata ed è riaffiorata in tutta la sua genuinità a seguito della lettura del libro di Paolo Amico. La stessa amarezza che ha ispirato il suo autore – ne sono certo – nella stesura di questo libro.
Tornando dunque al romanzo, l’idea di base e l’invenzione narrativa escogitata dal suo autore assumono la forma di una sorta strumento di denuncia rivolto anzitutto alle istituzioni aeronautiche deputate al mantenimento della propria storia (in primis l’Aeronautica Militare italiana) e poi ai vari enti e associazioni e perché no? … anche nei confronti dell’intera comunità civile troppo spesso indifferente rispetto al nostro passato aeronautico. Una denuncia che – a ben intendere – si esplicita anche nei confronti dei lettori del libro affinché i numerosi personaggi storici che costellano la storia dell’Aviazione italiana e non solo, non diventino un pittoresco corollario ornamentale alle notti inquinate dalle luci artificiali dei falsi miti moderni o delle celebrità effimere dei nostri giorni. Viceversa essi sono veraci stelle di prima grandezza e fanno parte a pieno titolo di quella galassia aeronautica o tecnologica universale; il loro ricordo non può essere appannaggio di pochi sparuti appassionati del settore ma deve essere rinnovato e mantenuto presso le nuove generazioni. In che modo? … magari proprio grazie a dei romanzi come quello di Paolo Amico.
A proposito della minuziosa ambientazione degli accadimenti narrati, appare evidente che l’autore ben conosce quei medesimi luoghi giacché – lo rivela la breve biografia – il suo primo approccio al mondo aeronautico fu proprio l’aeroporto Guidonia ove conseguì la licenza di pilota di aliante. Ad ogni modo la realistica descrizione dei luoghi non appesantisce affatto il ritmo del romanzo che, tutto sommato, si mantiene sempre ad un buon livello.
La prosa è fluida, lineare, mai superficiale, anzi, tutt’altro.
Benché non ci sia dato conoscere i trascorsi scolastici dell’autore, si nota nel testo uno scrupoloso sviluppo della trama che – lo ricordiamo – vede operare contemporaneamente più personaggi in diversi luoghi dell’aeroporto. La narrazione non è però dispersiva e non arreca disorientamento nel lettore, forse perché, in questa opera di cesello, Paolo Amico è stato sicuramente aiutato dal “mestiere”, acquisito praticando la professione orafa, giusto appunto coniugato alla metodicità indottagli dall’essere divenuto pilota di aliante e di velivoli poi.
Ad ogni modo il suo connaturato talento letterario abbinato da – immaginiamo – proficui studi umanistici (utili a gestire al meglio la sempre ostica grammatica italiana), hanno reso il testo scorrevole, piacevole, in alcuni punti addirittura avvincente. E questo nonostante alcuni discorsi declamati da illustrissime celebrità storiche di cui sopra.
I personaggi sono tratteggiati con strategica sintesi, sia nello loro caratteristiche fisiche che in quelle caratteriali. A questo scopo risultano utilissime le note a piè di pagina che forniscono invece delle minime informazioni biografiche circa le diverse personalità “evocate” nel romanzo.
In effetti, ricorrere all’artificio tipografico del loro nome in grassetto abbinato alle note appunto, costituisce un pretesto – a mio parere ottimamente riuscito – di innescare nel lettore una certa curiosità, prologo di ulteriori ricerche e di letture specifiche.
Non che i grandi protagonisti della storia dell’Aviazione italiana vengano piegati impudentemente dalle necessità narrative dell’autore rimanendone stravolti o rendendoli ridicoli, certo che no, semmai è tangibile il contrario: si avverte tra le righe il profondo rispetto che Paolo Amico nutre nei loro confronti e per le vicende, spesso tragiche, che li resero celebri.
Intendiamoci: questo romanzo non è celebrativo delle loro gesta ma vuol essere, come peraltro sostiene nel libro un personaggio completamente inventato: “… un racconto al limite tra la storia e la fantasia” … e tant’è!
Buona lettura e buoni ricordi.
Nota di Redazione: il lettore avrà notato che i nomi dei piloti militari citati in questa recensione sono privi del loro rispettivo grado. Volutamente. Non per svilire la loro posizione nell’ambito della gerarchia militare, tutt’altro. Semplicemente perchè, al di là della loro posizione nell’ambito della Regia Aeronautica condividiamo quanto ha scritto Paolo Amico a conclusione del suo libro:
“Questi piloti li vogliamo ricordare per l’abilità nel collaudare i pericolosi prototipi sperimentali o per il coraggio di percorrere rotte inesplorate in cui nessun aereo aveva mai volato prima. Storie di uomini abili, veloci, coraggiosi, piloti dalla mentalità moderna, spesso precursori di soluzioni scontatamente attuali. Erano imbattibili. Assi della caccia, collaudatori dall’istinto formidabile, trasvolatori dall’intuito incredibile o piloti raffinati, autentici poeti del cielo.”
Non importa il loro grado militare … per noi sono semplicemente “le nostre aquile”.
Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR