Archivi categoria: Manuali di Volo

Recensione dei Libri aeronautici

Elisa Deroche alias Raymonde De la Roche

elisa deroche copertinatitolo: Elisa Deroche alias Raymonde De la Roche

autore: Enrico Grassani

editore: Editoriale Delfino

collana: Le edizioni tascabili

anno di pubblicazione: 2015

ISBN: 978-88597323-46-4

pagine: 369






Elisa Deroche alias Raymonde de Laroche – La presenza femminile negli anni pioneristici dell’aviazione” edito da Editoriale Delfino nel 2015, è un saggio di Storia dell’Aviazione nel quale l’autore Enrico Grassani ripercorre i primi anni 1900 – 1920 con l’intento di dare onore, nome e storia all’altra metà del cielo che, sin dagli inizi, fu presente sui campi di volo.

La storia della prima donna, appunto Elisa Deroche, a conseguire il brevetto di pilota l’8 marzo 1910 con il n. 36, morta in un incidente aereo il 18 luglio 1919, si intreccia con gli avvenimenti di quegli anni: la Belle Epoque, le prime Olimpiadi dell’era moderna, la I Guerra Mondiale. Ma sono anche gli anni in cui le donne in tutto il mondo cominciano a rivendicare in maniera sempre più pressante i loro diritti di eguaglianza nel campo sportivo così come anche in quello politico.

elisa deroche sottocopertina
La copertina rigida riporta l’immagine puntiforme della protagonista del volume. Anche da questo piccolo particolare si nota la sua elevatissima qualità tipografica.

L’Aero Club di Francia sarà il primo a istituire il brevetto di pilota di aeroplano e, sempre in Francia, nasce il primo Aero Club Femminile “Stella”:

“[…] Pur non sposando una logica femminista radicale, le aderenti all’Aero Club Stella seppero dare alla loro azione un’impronta che andò oltre la semplice appartenenza di genere, senza però negarla, bensì rivendicandone l’ottica del tutto particolare […]”.

I primi 12 capitoli del libro ci descrivono quegli anni di intenso fervore e gioia di vivere, di radicali cambiamenti nella società.

“[…] L’Aero Club Femminile Stella vedeva nella donna pilota il senso dei tempi, caratterizzati da sfrontatezza, elevazione e fermezza. Una donna sicura di non vacillare e di non restare senza fiato […]”.

Dal capitolo 13 iniziano le vicende di Raymonde de Laroche con il suo esordio nel campo dell’aviazione. Contemporaneamente sia in Francia che in altri paesi europei e in America le donne si stavano affacciando al mondo dell’aviazione conseguendo il brevetto di pilota, e ben presto si sarebbero sfidate nelle competizioni e nei tentativi di records.

“[…] La nascente industria aeronautica sfruttò a suo beneficio l’estensione alle donne della possibilità di alzarsi in volo, sottolineando commercialmente come il fatto dimostrasse la sicurezza e l’affidabilità delle macchine volanti […]”.

Nei successivi capitoli l’autore riporta le imprese di queste prime donne, dei loro successi ed insuccessi e del tributo di vite che anche loro dovettero pagare, al pari dei piloti uomini.

Il libro non può considerarsi una biografia, come il titolo potrebbe indurre a pensare, ma un attraversare gli anni pioneristici dell’aviazione. L’Autore purtroppo si limita, spesso, a riportare date, nomi ed eventi in maniera distaccata ed in molti casi didascalica, senza dare mai voce alle protagoniste, alle loro emozioni e sentimenti, al loro essere donne.

Si parla molto delle prime macchine volanti e degli uomini che le idearono e le volarono. Se si pensa di leggere del volo al femminile, si rimane molto delusi.

L’Autore, pur avendo operato una grande ricerca di materiali dell’epoca, non riesce a far rivivere l’emozioni e il sentire di queste donne che per prime si sono avventurate nel fantastico mondo del volo. Che non solo hanno sfidato la legge di gravità, ma anche le convenzioni sociali e le relazioni uomini-donne:

“[…] Ciò che l’uomo giunge a conquistare grazie alla sua forza muscolare e alla sua resistenza fisica, la donna lo conquista grazie alla sua volontà, alla sua tenacia e al suo coraggio […]”.

Per quanto concerne l’aspetto editoriale, il libro si presenta in un edizione di pregio su carta patinata in formato medio-grande con copertina rigida. Inoltre è ricco di immagini fotografiche dell’epoca corredate da didascalie esplicative.

In appendice al volume si trovano le sintesi cronologiche, ben curate, degli eventi che hanno visto per protagoniste le donne

La bibliografia ricca, e anch’essa ben curata, risulterà sicuramente interessante per chi voglia approfondire l’argomento.

In copertina viene riportata un foto d’epoca di Elisa Deroche ai comandi di un Biplano Voisin. Il retro copertina risulta scarno di informazioni. La seconda e la terza di copertina rimangono vuote, quando invece potevano essere utilizzate per riportare informazioni biografiche sull’Autore. Informazioni che sono praticamente inesistenti per quanto esigue. Da una ricerca sul web troviamo che Enrico Grassani è consulente industriale in materia di sicurezza sul lavoro e ha scritto diversi manuali tecnici. Non abbiamo informazioni riguardo i suoi interessi ed hobby, che possano aiutarci a capire il perché di questo testo. E’ un appassionato di aviazione? Nulla ci è dato di sapere. Questa possiamo considerarla anche una mancanza dell’Editore, che avrebbe dovuto pretendere maggiori informazioni dall’Autore stesso.

elisa deroche retrocopertina
La IV di copertina che riporta una brevissima autobiografia dell’autore nonchè la consueta sinossi del volume. Originale la presenza della firma autografa della protagonista di questa biografia

La lettura è fluida, salvo alcuni paragrafi come ad esempio: Il pesante tributo di vite umane (cap. 15); le altre vittime dell’anno (cap. 16); gli incidenti mortali (cap. 18), nei quali l’Autore si dilunga in un elenco di nomi di vittime di incidenti aerei.

Il libro, sia pur lodevole nell’intento, non fa nascere alcun sentimento nel lettore. Non è una biografia, non è un romanzo. Possiamo posizionarlo tra la saggistica/manualistica, per quelli appassionati del volo: che se ne parli bene o se ne parli male, purché se ne parli.







Recensione a cura di Franca Vorano

La mia parte di cielo

la mia parte di cielo - copertinatitolo: La mia parte di cielo

autore: Claudio di Blasio

editore: Lettere Animate editore (www.lettereanimate.com)

anno di pubblicazione: 2016

ISBN: 978-88-68826-24-6

pagine: 312




“La penna è, per il pensare, quel che il bastone è per il camminare; ma l’incedere più agile è quello senza l’aiuto del bastone e il pensare più perfetto si compie senza penna. Soltanto quando incominciamo ad invecchiare, ci serviamo volentieri del bastone e della penna”.

Era il 1851 quando Arthur Schopenhauer, eminente filosofo tedesco, sintetizzò in questa perla di saggezza un fenomeno che ha contraddistinto la letteratura mondiale sin dai suoi primordi: la narrativa della memoria, la letteratura per ricordare.

Molte sono le motivazioni che stanno alla base del cimentarsi nell’arte dello scrivere e, tra queste, il voler fissare su carta (oggi diremmo: nel disco rigido di un pc) le proprie esperienze, vicissitudini, momenti piacevoli ed episodi travagliati che hanno costellato il nostro vivere.

Ed è proprio questo desiderio, forse addirittura una vera e propria necessità che, immaginiamo, abbia spinto Claudio di Blasio a sedersi un giorno davanti a una tastiera e a un monitor per riversare le sue innumerevoli esperienze professionali (e non solo), vissute in quella che – inutile nasconderlo – è la dimensione a lui più congeniale: il cielo.

la mia parte di cielo - copertina interna
La copertina interna del libro. Semplice e funzionale come nella migliore tradizione editoriale

Da questo impegno di ricostruzione dei ricordi è nato: “La mia parte di cielo”, uno scrigno ove egli ha raccolto le gioie e le paure, le soddisfazioni come pure le delusioni che hanno contraddistinto i suoi molteplici voli.

Non fraintendiamoci: non stiamo dando del “matusa” al povero Claudio di Blasio, egli non è bisognoso del bastone – giammai – invece stiamo giusto affermando che un pilota e un tecnico di volo come lui non poteva non confidarci una parte della propria esistenza trascorsa a bordo di aeroplani (per diletto) e di elicotteri (per professione).

E’ pur vero che, nel suo aforisma assolutamente condivisibile, Schopenhauer non accenna affatto ad un aspetto altrettanto fondamentale: chi si serve della penna perché attraversa l’età della piena maturità dopo aver accumulato tanta esperienza, consente a noi lettori giovincelli (magari!?) di vivere le medesime esperienze che furono dell’autore … questo grazie a quella grande magia che va sotto il nome di: narrativa.

D’altra parte lo stesso autore confessa nella prefazione:

“Questo lavoro vuol essere la testimonianza della mia passione per il volo […]” e aggiunge: “[…] Anche se non ho avuto la fortuna di volare con jet militari, la mia esperienza aeronautica è stata senza dubbio positiva […]”.

In effetti la prefazione sembra più che altro un manifesto di programma dell’intero libro giacché, spiegando meglio di quanto potremmo fare noi, l’autore candidamente dichiara:

“ […] In queste pagine ho cercato di trasmettere al lettore cosa significhi il volo: felicità, passione ma anche dura preparazione, in altre parole disciplina e impegno […]”

C’è da aggiungere dell’altro? Ebbene sì.

Ad esempio riteniamo importante riportare la premessa che si trova alla base della narrativa aeronautica e che Claudio di Blasio così riassume:

“[…] Ogni volo è una storia a sé, come lo è la vita: un’esperienza unica e irripetibile … per questo vale la pena di essere vissuto completamente […] ”

… e raccontato, aggiungiamo noi.

Ovviamente non vi sveleremo le storie che troverete nel volume – ce ne sono decine – né degli spaccati di varia umanità che emergono da queste pagine, ma possiamo accennarvi alla storia di un ragazzino che vive sulle sponde del lago Trasimeno, non lontano da un ex aeroporto militare; possiamo anticiparvi di un operatore al verricello che, a mo’ di direttore di orchestra, coordina i piloti in una rischiosa missione di recupero in montagna; che dire poi dello stupore infantile di tutto un equipaggio di fronte alla maestosità del Cervino? O del volo di rientro al cardiopalma dopo l’inseguimento in mare aperto di una nave e la sua scia oleosa? Tutto questo e molto altro lo troverete in quella perla di ricordi che è proprio “La mia parte di cielo”.

La prosa del libro è estremamente scorrevole benché l’uso pressoché continuo della narrazione in prima persona, alla lunga, faccia calare sul testo una certa monotonia. In effetti, se non fosse stato diviso abilmente in capitoli/episodi, il libro sarebbe risultato un lungo monologo. A questo si aggiunga poi che il lungo fiume di vicissitudini è inframezzato solo da brevi scambi di battute tra i vari personaggi e il protagonista o dalle riflessioni a voce alta sempre dell’autore.

la mia parte di cielo locandina
La locandina che pubblicizza il libro. Assieme al segnalibro “Remove before flight” sono un’intuizione geniale di Claudio di Blasio.

E’ pur vero che questi sono i limiti dell’autobiografia che, per quanto esaltante e variegata, non potrà mai essere pirotecnica al pari di un romanzo ove una buona dose di realtà si mescola alla fantasia dell’autore.

Il testo, che si concretizza in 312 pagine stampate con interlinea ampia e con caratteri di buona dimensione, non è particolarmente tecnico. Ci sono diversi vocaboli tipici del mondo aeronautico ma l’autore ne spiega il significato nel corso della narrazione o – soluzione assai gradita dai neofiti – rimanda alle note a piè di pagina facendo sì che la lettura possa riprendere senza alcuna interruzione.

In un certo senso, “La mia parte di cielo” può facilmente diventare anche la “nostra parte di cielo” in quanto si tratta di un libro dal contenuto anche divulgativo. Con il pretesto del racconto delle esperienze del protagonista, viviamo assieme a lui il mondo dell’aviazione da Aeroclub, siamo con lui a bordo dell’elicottero in missione di ricerca e soccorso o del velivolo da turismo che egli stesso pilota. Insomma è un libro che si presta bene ad instillare la passione per il volo a chi è solamente curioso mentre, in chi mostra appena i primi sintomi, nutre e fa radicare in profondità il morbo incurabile che è l’amore per tutto ciò che di meccanico si libri nell’aria.

Lo stile dell’autore è asciutto, diretto. Non si lascia facilmente andare a elucubrazioni di carattere estetico o filosofico seppure le occasioni, volendo, non mancherebbero. La sua natura di persona concreta e di tecnico manutentore si manifestano chiaramente nella narrazione giacché le avarie e gli imprevisti frequenti che costellano la quotidianità dell’autore, vengono vissute con un approccio che lascia poco spazio al destino avverso o alla fatalità.

Intendiamoci, quello che emerge dal libro non è un personaggio freddo e distaccato, un Claudio imperturbabile e indifferente a tutto e a tutti, questo no … di sicuro è un professionista che svolge il proprio incarico adottando metodica e logica e che, all’occorrenza, al fine di risolvere situazioni impreviste, sa anche inventare.

Insomma, per essere il libro di esordio, non possiamo che essere benigni nei confronti dell’autore e pertanto gli perdoneremo alcune sbavature di gioventù (letteraria, s’intende) come l’elicottero definito “velivolo” o alcuni accenti e virgole mancanti. Forse il sacro fuoco di dare alle stampe il manoscritto ha impedito all’editore Lettere Animate di eseguire le opportune riletture tuttavia, confidiamo che, nelle prossime ristampe, si ovvierà a questi piccoli nei che, lo sottolineiamo, non compromettono assolutamente il valore complessivo del volume.

Geniale l’idea di accludere al libro un segnalibro che riproduce il classico nastro rosso con su scritto “Remove before flight”: i lettori che riceveranno la copia del volume direttamente dall’autore lo apprezzeranno di sicuro tanto quanto un suo autografo. Buona la qualità della carta e del progetto grafico che abbiamo trovato semplice ma funzionale; bella e pertinente la copertina, sicuramente utile la retrocopertina che contiene la canonica biografia dell’autore e una brevissima sinossi del libro; forse un tantino eccessivo il costo del volume cartaceo mentre decisamente abbordabile è quello dell’e-book .

la mia parte di cielo - retrocopertina
La retrocopertina del volume. Da notare la foto dell’autore che lo ritrae pressochè in incognito, “mascherato” com’è dal casco di volo.

In ultima analisi, occorre precisare che l’autobiografia risolve quasi completamente la questione “contenuti” perché trama e personaggi non devono essere inventati mentre lo stile non si delinea in modo così chiaro.

D’altra parte è risaputo che la stragrande maggioranza dei libri di esordio è un’autobiografia o ha un preponderante taglio autobiografico. Dunque, poiché anche Claudio di Blasio non è venuto a questa sacra regola, ci auguriamo che egli raccolga la nostra piccola provocazione e che, per la sua seconda fatica letteraria, adotti un’altra formula narrativa diversa dall’autobiografia.

Che poi questo novello autore abbia una giusta dose di talento unita ad un minimo di dimestichezza con l’arte scrittoria, beh, ce l’ha già dimostrato … come? Semplice: partecipando alla III edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” 2015 con il racconto intitolato: “Verso lo spazio”. Ebbene in quel racconto, con il quale si è classificato in VI posizione, egli è già riuscito ad affrancarsi dalle proprie esperienze professionali e a creare un’ambientazione lontana dal mondo elicotteristico. Soprattutto ha avuto il merito di dare vita al personaggio del pilota-astronauta collaudatore, quel pilota che Claudio ha sognato di diventare ma che non è mai stato nella realtà.

Quando i sogni diventano scrittura creativa.







Recensione a cura della Redazione





Ali di fantasia

Emozioni in volo

Nuvole

Fuoco dal cielo

fuoco dal cielo copertina

titolo: Fuoco dal cielo

autore: Pierre Clostermann

editore: Longanesi & C.

collana: Le edizioni tascabili

anno di pubblicazione: 1971

ISBN: non presente






Ho ripreso dalla libreria un vecchio libro. Un’ antica conoscenza. Avevo cominciato a leggere questo libro qualche decennio fa, ma lo avevo abbandonato quasi subito.

Dopo aver letto “La grande giostra”, dello stesso autore, questo mi era sembrato scialbo, indefinibile, quasi incomprensibile. Inoltre, la guerra di cui vi si narrava era ambientata in Algeria, un paese di cui avevo appena sentito parlare, i nomi dei luoghi e delle città erano troppo strani, il “nemico” non aveva una connotazione inconfondibile come “i tedeschi” o “i giapponesi”. I nemici, qui, erano “i Fellagha”, insorti o ribelli che dovevano essere scovati e poi attaccati con modalità sconosciute. Niente di paragonabile alle tipiche operazioni militari così consolidate durante la Seconda Guerra Mondiale.

hawker tempest
L’Hawker Tempest, il modello di aeroplano pilotato da Clostermann nel corso del II conflitto mondiale. Si noti la tipica architettura di aeroplano da caccia con un possente motore e armamento pesante per attacchi al suolo

Clostermann era un veterano delle F.A.F.L. ovvero le Forze Aeree Francesi Libere, che combattevano a fianco dei piloti della R.A.F (Royal Air Force britannica) e delle Forze Aeree Americane di stanza in Inghilterra. Volava inizialmente con uno Spitfire, mitico caccia inglese che tante vittorie aveva conquistato nei cieli europei e non solo. Poi aveva volato sul Typhoon e infine sul Tempest, uno dei più micidiali aerei della Seconda Guerra Mondiale, sia per potenza del motore che per potenza di fuoco.

Broussard Max Holste MH.1521C
Il Max Holste MH.1521C Broussard dell’Esercito Francese fotografato sull’aeroporto di Toussus-le-Noble nel 1965 (foto di Wikipedia, https://en.wikipedia.org/wiki/Max_Holste_Broussard)

In Algeria l’autore si ritrova a volare su un aereo sconosciuto, piccolo, di scarsa potenza, lento, quasi un aereo da turismo. Una delusione anche il nome: Broussard. Mai sentito prima. Era anche piuttosto bruttino nella forma.

E che cosa faceva con questo aeroplanetto? Volava raso terra per vedere con i propri occhi gli insorti e riconoscerli dai comuni civili, per poi segnalarli ai caccia a reazione che volavano in alto, affinché scendessero ad attaccarli. Lui si doveva occupare di sganciare una bombetta fumogena per segnalare la posizione dei ribelli. Intanto, però, questi “Fellagha”, che stavano ben nascosti, sparavano a lui mentre li sorvolava.

Dalle stelle alle stalle. Che brutta fine aveva fatto! Lui che aveva abbattuto decine di aerei e distrutto treni, navi, ponti, mitragliato aeroporti, truppe, carri armati etc.!

Ma perché un asso come lui si ritrovava in quella parte di mondo a svolgere un lavoro tanto pericoloso e di così basso profilo?

fuoco dal cielo retrocopertina
La retrocopertina del volume “Fuoco dal cielo”di cui è impossibile non notare lo stato di usura, segno evidente che è stato letto e riletto più volte

La risposta è lui stesso a darcela nelle prime pagine del libro. In estrema sintesi, dopo la fine della guerra, dopo aver corso mille pericoli in azione, non poteva smettere subito, di colpo, per tornare ad una vita normale. Così si era cercato e trovato un altro teatro di guerra. La Francia aveva le colonie, dove i fermenti per conquistare l’indipendenza andavano sedati. Dove si combatteva per questo. Molti veterani, nel mondo, si erano cercati un’altra guerra. Ne avevano bisogno perché non potevano smettere di colpo, per motivi psicologici e anche fisici. Avevano forse un estremo bisogno di quelle scariche di adrenalina che erano diventate la loro droga. Una sorta di dipendenza che aveva portato tanti americani ad andare a combattere in Corea, o in Israele, o in Africa.

Clostermann, francese, era andato in Algeria. E lì aveva incontrato altri francesi, anche piloti, che avevano combattuto con lui in Europa.

Il libro non è scritto in prima persona. Ha preferito raccontare le avventure di guerra aerea attraverso un altro personaggio: Dorval. Chi è Dorval? E’ un pilota, ex combattente con le FAFL durante la Seconda Guerra Mondiale etc. etc.

Dice Clostermann:

“[…] non si tratta di un’autobiografia né di un’opera letteraria di fantasia. Sotto forma di racconto storico, è piuttosto un reportage fotografico nel quale le parole tentano di sostituirsi alla pellicola. I principali episodi delle missioni ivi narrati sono autentici e io li ho vissuti. I paesaggi li ho sorvolati e i personaggi, per immaginari che siano, li ho veramente conosciuti: ho incontrato in Algeria diversi Dorval, che pensavano ed agivano come lui […]”.

I francesi leggerebbero un libro come questo con un altro spirito e probabilmente, alla fine, direbbero che è loro molto piaciuto. Noi italiani non sappiamo un granché dell’Algeria e delle sue guerre interne. A noi queste avventure sembrano strane, aliene, perfino incomprensibili. Ma devo dire che, alla fine, dopo aver terminato la lettura, ho scoperto un altro mondo, ampliato la mia conoscenza, scoperto un altro pezzo di storia.

Il libro si trova sulle bancarelle, ma è piuttosto comune. Ancora meglio si può acquistare su Internet.

Queste vecchie edizioni della Longanesi, che risalgono agli anni settanta, sono volumi usati e riusati. E’ bene non attendersi copertine pulite e senza segni di usura. Spesso anche le pagine interne sono ingiallite e le rilegature possono presentare segni di cedimento dovuti al peso del tempo e delle riletture. Ma tutto ciò costituisce semmai un valore aggiunto e nulla toglie alla qualità del contenuto.

Consiglio di comprarlo e di leggerlo. Dopo potrà prendere il suo posto nella libreria in attesa di essere riletto, prima o poi. E anche quegli strani nomi, quelle località, quelle città, pian piano durante la lettura, diventano meno aliene, anzi, quasi familiari. Nella nostra era, volendo, possiamo sempre aprire Google Maps o meglio Earth e andarle a cercare, per vederle a volo di uccello come le ha viste Clostermann, senza neanche il timore che ci sparino addosso.







Recensione a cura di Evandro A. Detti







La grande giostra

La guerra nell'aria

Ali di travertino

Ali di travertino copertinatitolo: Ali di travertino – Un cacciabombardiere allo Stato Maggiore

autore: Bruno Servadei

editore: SBC edizioni

collana: I luoghi & i giorni

anno di pubblicazione:  febbraio 2012

ISBN: 978-88-6347-254-7

 

A Roma, a ridosso della zona universitaria e della centralissima Stazione Termini, ha sede lo Stato Maggiore dell’Aeronautica (per brevità SMA).

L’edificio che lo ospita, realizzato durante l’epoca fascista, è talmente monumentale che non può non essere notato. Anche il passante più distratto o il turista interessato alle antiche vestigia romane piuttosto che all’architettura moderna, non può non notare l’enormità e la particolarità di quel palazzo: una gigantesca aquila con le lunghe ali adorna il tetto della facciata principale come a proteggere coloro che si trovano sotto di essa.

Come buona parte dei rivestimenti esterni dell’edificio, la colorazione bianco-grigiastra dell’animale lascia supporre che sia realizzato in travertino.

Stato maggiore Aeronautica frontale
La facciata principale del Ministero dell’Aeronautica, sede dello SMA, dominata dal motivo decorativo dell’aquila con le ali dell’idrovolante S 55, ossia le famose ali di travertino. L’immagine è stata tratta dallo splendido volume “Il palazzo dell’Aeronautica”, Editalia, ISBN: 88-7060-220-6

Che siano dunque queste le ali di cui parla Bruno Servadei nel suo libro intitolato appunto: “Ali di travertino – Un cacciabombardiere allo stato maggiore”? … ebbene sì, in parte … anche, ma non solo. Sveliamo dunque l’enigma.

La carriera di un pilota militare, salvo imprevisti, è quasi predeterminata sin dalle selezioni di accesso all’Accademia Aeronautica e, dopo aver svolto il servizio presso un reparto di volo ed essere transitati per la Scuola di Guerra Aerea di Firenze, prevede di approdare appunto allo SMA.

Anche Bruno Servadei, ha svolto questo percorso. Così, se nel suo primo libro: “Vita da cacciabombardiere” egli racconta le sue esperienze di pilota militare vissute durante la prima parte della sua carriera, era pressoché inevitabile, considerato il buon successo di critica e di lettori, che anche la seconda parte della sua vita professionale ci fosse svelata in forma più o meno narrativa. Tuttavia, se ci aspettiamo un volume monotono o un elenco asettico delle attività praticate all’interno del palazzone romano, rischiamo di cadere in un terribile errore.

Il racconto di Servadei invece, mette in luce una realtà sconosciuta al generico cittadino, al cosiddetto “uomo della strada” giacché gli svela una sorta di cronaca di “vita ignorata” all’interno del complesso monumentale.

In effetti lo SMA è quello che chiameremmo “la stanza dei bottoni” dell’Aeronautica Militare Italiana e le variegate attività che una parte del personale militare svolge al suo interno, sono spesso frenetiche. O perlomeno lo sono state quelle dell’autore.

Egli, nei tre anni di prevista permanenza, ha avuto modo di approfondire alcuni aspetti, ha svolto incarichi e instaurato contatti a tutti i livelli così intensi e frequenti da doversi portare il lavoro a casa e non avere il tempo di occuparsi dei problemi che aveva vissuto in prima persona durante il suo servizio come caccia-bombardiere. Problemi che – ce lo confida non senza malcelata amarezza – si era ripromesso di sanare una volto giunto proprio allo SMA.

Purtroppo ne esce fuori la descrizione di un luogo che è lo specchio, se vogliamo ancor più negativo, di una nazione – la nostra -, minata dal clientelismo, l’affarismo, e l’interesse personale. Per non parlare di una burocrazia ottusa e inutile.

Benché frequentato da molte persone di valore animate da sani principi morali, ecco che, a seguito dei vari episodi svelatici da Servadei, scopriamo uno SMA quale ricettacolo di cialtroni, di profittatori, di arrivisti ormai dimentichi del significato della divisa che indossano, di affaristi che si piegano alle proposte allettanti dell’industria bellica (aeronautica in particolare) invece di porle i requisiti stringenti cui ottemperare per conseguire commesse e forniture varie.

Insomma, al termine della lettura di questo libro, verrà spontaneo domandarsi come l’Aeronautica Militare che, istituzionalmente, “dovrebbe” difendere i cieli patri, possa farlo davvero con i mezzi (volanti e non) e soprattutto le risorse umane che ha sua disposizione. Questo in prima battuta … l’istante successivo sarà invece un moto di stupore misto a disgusto a salirvi dal profondo dell’animo perché la lettura di alcune vicende al limite del grottesco – non c’è che dire – vissute in prima persona dall’autore e non riportate “per sentito dire”, vi faranno apparire Bruno Servadei quale un testimone oculare impotente ma equo come solo potrebbe essere il famoso “uomo delle strada” il cui buon senso e non già una lunga e profonda preparazione tecnica – come nel caso dell’autore -, gli farà letteralmente urlare a pieni polmoni: scandaloso!

Ad ogni modo, è risaputo che noi abitanti del suolo italico riusciamo a intravvedere il sereno pure attraverso il cielo più cupo … cosicché, anche il nostro ex ufficiale, non venendo meno a questa proverbiale dote, dopo aver dipinto lo sfacelo e il malaffare più torbido, alla fine vi strapperà un sorriso riportando quella battuta ricorrente che i suoi colleghi gli rivolgono stupiti negli uffici e nei corridoi dello SMA: “Mica vorrai fare la guerra sul serio?”

Ali di travertino retrocopertina
La retrocopertina di “Ali di travertino” che contiene una breve biografia dell’autore, una brevissima sinossi e fotografia in biano e nero che lo ritrae accanto ad uno dei jet che pilotò prima di approdare allo Stato Maggiore

Maurizio de Rinaldis, autore della prefazione, tenta di fornirci una sua personale chiave di lettura a questo libro e, nel tentativo di stemperare i contenuti delle pagine a seguire, dichiara:

“[…] Ali di travertino non è una critica, non esprime il pensiero di chi non condivide alcune scelte indotte da una politica di difesa troppo condizionata da quella industriale, non vuole essere una macchia di inchiostro caduta da una penna difettosa o peggio ancora un evidenziatore giallo di problemi o malfunzionamenti di un sistema. Questo è il libro del vecchio saggio guerriero che ha speso gran parte della vita combattendo sui campi di battaglia. Combattendo dapprima in situazioni operative con vere bombe e cannoni ed un po’ più tardi con appunti e riunioni. Il tutto con un solo fine: quello di onorare, proteggere e migliorare l’Aeronautica Militare e la propria Patria.[…]”

Onestamente, a noi, questo libro è apparso ben di più: un libro di denuncia a tutti gli effetti. Uno di quelli che, se fosse stato pubblicato negli Stati Uniti, avrebbe sicuramente provocato un terremoto nelle stanze del palazzo e – non stenteremmo a crederlo – finanche l’eliminazione fisica dell’autore.

E in Italia? Figuriamoci! … in Italia, sorniona e indifferente a tutto e a tutti, al contrario, questo volume costituisce un titolo di genere; ad oggi, può essere considerato come il classico testo scritto da un militare rinnegato da dare in pasto ai pacifisti inveterati o agli anarchici, insomma a quei simpatizzanti che sono contro le istituzioni dello stato, specie se militari. Qualcuno potrebbe interpretarlo addirittura come un resoconto velenoso di un ex Aeronautica Militare che, ormai in pensione, si è voluto togliere qualche sassolino dalla scarpa. Che, per inciso, a nostro parere, poi tanto “ino” non è.

Per questo motivo non ci siamo stupiti affatto quando, cercando delle spigolature in rete, ci siamo imbattuti in alcune interviste dell’ex gen Servadei interpellato ad arte a proposito del tanto “chiacchierato” programma di acquisto degli F35.

Ali di travertino copertina interna
La copertina interna del volume

Ebbene il professionista ha risposto da par suo spiazzando completamente chi si aspettava una risposta scontata … ma questa è un’altra vicenda che esula dal libro in oggetto.

Di sicuro dobbiamo riconoscere al sanguigno Servadei di aver avuto il coraggio di scrivere un libro verità e dunque di aver reso noto un malcostume manifesto eppure tollerato in un ambiente dove, per antonomasia, dovrebbe vigere sovrano il rigore e la lealtà. Perché il malcostume deve essere condannato e non già la schiettezza di un ufficiale che, suo malgrado, non è riuscito a cambiare il sistema agendo dal suo interno.

Tornando al libro, anche lo stesso autore, consapevole della bontà ma anche dei limiti del suo volume, nella postfazione dichiara che:

“[…] di certo queste pagine non potranno attirare l’attenzione degli appassionati di volo come le precedenti”

intendendo quelle del suo primo libro “Vita da cacciabombardiere”. Poi, riferendosi sempre a questa sua ultima fatica letteraria e lasciandosi ad una riflessione amara, ammette che:

“[…] è la visione un po’ delusa e amareggiata di un giovane tenete colonnello, pieno di belle speranze e la voglia di risolvere i problemi rilevati al reparto […]”.

Infine conclude con un messaggio dal quale traspare tutta l’italica fiducia in un futuro migliore:

“[…] Mi fa piacere sperare che chi mi ha sostituito nelle mansioni che ho svolto nello SMA alla fine degli anni ’70 oggi possa godere di maggiore credito di quello che mi è stato riservato […]”

E a quest’augurio ci uniamo compatti in qualità di semplici cittadini contribuenti, di appassionati di aviazione e di ammiratori silenziosi del personale tutto dell’Arma Azzurra, soprattutto dei piloti.

Dal punto di vista della lettura, sotto gli occhi di un generico lettore, il testo scivola che è un piacere, fatto salvo per alcuni rari passaggi ove la prosa si fa un po’ meno scorrevole del solito, tuttavia ci teniamo a precisare che non si tratta di un libro riservato ai tecnici del settore, semmai ad appassionati di volo  o di aviazione e, non ultimi, a coloro che osteggiano le Forze Armate, altrimenti chiamati “pacifisti”…

La veste grafica è curata e assai gradite sono le foto che, a mo’ di piccoli francobolli, adornano qua e là il testo. Esse consentono al lettore meno navigato in questioni aeronautiche di vedere il velivolo oggetto o citato nel corso della narrazione.

A piè di pagina, forse sarebbero risultate utili delle note esplicative di alcuni termini tecnici ma l’autore, senza farcene rendere conto, ce ne spiega già il significato nel corso della narrazione e dunque risultano quasi superflue.

Azzeccata la copertina e assolutamente esplicativa la retrocopertina; strepitoso il titolo; forse un po’ lenta la prefazione nella sua parte iniziale, decisamente necessaria la postfazione.

Un libro da leggere e rileggere, da tenere in libreria e prestare agli amici in attesa di affiancargli gli altri volumi che, nel frattempo,  ci ha regalato Bruno Servadei.

In verità, proprio perché – nonostante tutto – abbiamo letto con piacere questo libro e dunque abbiamo apprezzato lo scrivere leggero sebbene tecnico dell’ex generale, non possiamo fare a meno di augurargli di aumentare la propria autonomia (di volo, s’intende) e di superare i confini del genere letterario in cui – fino ad ora – ha “volato”, quello dell’autobiografia, appunto.

Per esempio saremmo davvero lieti di apprendere che, finalmente impostata senza indugio alcuno una virata stretta in direzione del cielo sconfinato della narrativa aeronautica, il l’ex generale abbia finalmente intrapreso il sorvolo di un terreno per lui inesplorato in cui esperienze vissute, una buona dose di fantasia e un talento verace trovano la coniugazione perfetta: il romanzo a carattere aeronautico.

Buon vento, generale, e a presto rileggerci.




Recensione a cura della Redazione



NOTA della Redazione:

dello stesso autore è presente in hangar il racconto: “Coppia” che ha partecipato alla I edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” .




Un pilota a palazzo

Un mondo ultraleggero

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

Ali in valigia

La grande giostra

la grande gostra copertina edizioni tascabilititolo: La grande giostra

autore: Pierre Clostermann

editore: Longanesi & C.

collana: Edizioni tascabili / I libri pocket (nr 8)

anno di pubblicazione: 1965

ISBN: non presente






“[…] and in the narrow cockpit I wept, as I shall never weep again, when I felt the concrete brush agains his wheels and, with a great sweep of the wrist, dropped him on the ground like a cut flower […]”

[…] Ed ho pianto, nella stretta cabina, come non piangerò più in vita mia, quando ho sentito il cemento della piasta sfiorare le sue ruote e con una pressione della mano l’ho costretto al suolo come un fiore reciso […].

Ho deciso di cominciare questa recensione con alcune delle ultime parole del libro di Clostermann, versione inglese, perché … per tanti motivi. Ma uno fra tutti, perché sono la naturale chiusura di un capitolo della vita di una persona, un pilota da caccia, che ha vissuto avvenimenti talmente intensi e concentrati in un periodo relativamente troppo breve per essere realmente assimilati o perfino compresi, da rimanere impressi nella memoria di chi ne è stato protagonista e di chi oggi li legge soltanto, per sempre.

Clostermann ha scritto questo libro riferendosi alle sue registrazioni giornaliere che aveva conservato per suo padre e sua madre. Si era impegnato fermamente ad annotare su un quaderno tutti i fatti importanti della sua vita di pilota da caccia. Alla fine i quaderni erano diventati tre. Pensava che, se non fosse arrivato vivo al termine del conflitto, quei diari avrebbero comunque permesso ai suoi genitori di conoscere come era stata la vita del loro figlio fino all’ultimo giorno. Ma non fu necessario. Poté raccontare lui stesso tutto quanto. Allora decise di scrivere un libro, per condividere con tutti la sua guerra.

la grande gostra copertina longanesi
Una delle copertine delle varie edizioni pubblicate da Longanesi & C. Da notare lo strappo nella parte bassa a dimostrazione che si tratta di un volume veramente vissuto

Le Grande Circle”, questo era il titolo originale in francese, è stato scritto nel 1948, quando la guerra era da poco terminata. Pierre Henry Clostermann era nato a Curitiba, Brasile, il 28 febbraio 1921, ed è morto a Montesquieu-des-Albères, un paesino sui Pirenei, il 22 marzo 2006.

Era figlio di un diplomatico francese. Studiò dapprima a Parigi, ma poi proseguì gli studi negli Stati Uniti, dove si laureò in Ingegneria. A diciassette anni aveva già conseguito il brevetto di pilota di aeroplano.

Nel 1942 rispose all’appello del generale Charles de Gaulle arruolandosi nelle Forces aériennes françaises libres, la componente aerea della Francia libera.

Il libro comincia con il suo arrivo in Inghilterra, dove frequenta la scuola caccia e vola sul famoso Spitfire sin dall’inizio.

Chiunque abbia anche solo un minimo interesse per la storia della guerra aerea nella Seconda Guerra Mondiale non riuscirà a smettere di leggere questo libro. E lo stesso vale per chiunque abbia la passione per il volo.

Dall’inizio alla fine il libro contiene la descrizione magistrale di tutto ciò che riguarda le vicende di un pilota di guerra, compresi i fatti collaterali della vita di tutti i giorni, i criteri con i quali si effettuavano tutte le operazioni militari e non, la radiotelefonia dell’epoca, i rapporti tra i commilitoni, i trasferimenti, gli incidenti, l’esaltazione e la disperazione dovute all’alternarsi delle sorti della guerra etc.

Non c’è neanche una sola frase nella quale l’interesse venga meno un istante.

Questo libro è destinato ad essere, non solo letto, ma riletto diverse volte. E alla fine si ha l’impressione di aver vissuto la guerra insieme a Clostermann.

La descrizione dei combattimenti aerei, degli abbattimenti, degli immancabili incidenti (l’aeroplano ha ucciso più piloti di quanto abbiano fatto gli avversari), della tempesta di emozioni che travolge l’autore ogni istante, è talmente vivida che ci si trova coinvolti come se si fosse lì in quel momento.

Un pilota di oggi difficilmente riesce ad immaginare fino in fondo una simile realtà che però era quella di ogni giorno. Per questo è tanto interessante questo libro. Perché ce la racconta.

Clostermann ha volato dapprima sullo Spitfire, che era un mito già allora. Poi è passato sul Thypoon e infine sul Tempest. Tutti aerei potenti, ben armati e difficili da pilotare.

Di estremo interesse sono anche le impressioni di pilotaggio di questi famosi aerei, che oggi possiamo vedere solo sulle foto dell’epoca oppure nei musei.

la grande gostra copertina super pocket
Quando un libro riscuote successo, le edizioni si sussegguono. Longanesi & C. ebbero il buon senso di non stravolgere la copertina iniziale e anzi la riproposero inserendola in miniatura nelle collane pubblicate successivamente. Da notare il prezzo di vendita

Durante la lettura del libro sono incappato in un punto nel quale Clostermann descrive un combattimento aereo tra le nuvole. Arrivato all’apice di una risalita, in condizioni di visibilità marginali, si attarda un po’ troppo nella rimessa in volo normale. Il Tempest stalla ed accenna ad entrare in vite. Così Clostermann descrive il momento:

Il Tempest risale a tremila metri veloce come un razzo e mi ritrovo, madido per la paura e l’angoscia, rovesciato sul dorso. Il motore dà una scossa violenta, poi pianta e mi arriva in faccia una pioggia di terriccio, di ferraglia, d’olio; l’apparecchio cade in vite. La vite del Tempest è la cosa più pericolosa che vi sia: un giro, due giri e si è come un cencio, sbattuti con forza contro le pareti della cabina nonostante le cinghie che tengono legato al seggiolino”.

Un aereo del genere non dovrebbe entrare in vite accidentale per tanti motivi. Il lettore troverà tutte queste informazioni durante la lettura. Ma un aereo che arriva a sfiorare velocità soniche, dell’ordine dei milleduecento chilometri orari, pesante e con inerzie notevoli, se entra in vite non esce certo dopo mezzo giro e neanche dopo un giro. Se questo avviene a quota troppo bassa è finita.

Personalmente, ma su mezzi moderni, ho eseguito la vite intenzionale con parecchi aerei e alianti e so cosa significa.

Mentre Clostermann descriveva il momento in cui il suo Tempest stallava e cominciava ad avvitarsi ho provato una specie di capogiro, come se avessi già vissuto quel momento, esattamente nello stesso modo, ma in una vita precedente.

Non credo a queste suggestioni, ne ho solo sentite parlare, ma è ciò che ho provato. Probabilmente, sulla mia reazione hanno influito sia l’esperienza personale che la capacità descrittiva dell’autore, insieme alla tragicità di quegli eventi.

Un altro punto interessantissimo del libro riguarda il racconto della morte di un pilota tedesco, quindi un avversario, ma ben conosciuto dagli alleati per il suo indiscutibile valore, onorato anche al di qua delle linee. Si tratta di Walter Novotny del quale, chi vuole, può cercare informazioni su Internet.

Le notizie sulla morte di questo asso sono un po’ contrastanti. Di sicuro si sa che pilotava un bireattore di modernissima concezione che aveva fatto la sua comparsa nei cieli di Normandia in quel periodo finale della guerra. Si tratta del Messerschmitt Me 262. Era talmente veloce che riusciva a colpire e ad allontanarsi sottraendosi così alla caccia avversaria. Gli alleati potevano riuscire a prenderlo soltanto quando rallentava per atterrare. E infatti ne avevano abbattuti alcuni in questo modo. Ma i tedeschi avevano predisposto le loro difese. Avevano piazzato file di affusti di cannone di contraerea lungo il sentiero di avvicinamento all’aeroporto, su entrambi i lati. Un corridoio di fuoco nel quale il Me 262 entrava e rallentava in relativa sicurezza, mentre l’inseguitore doveva rimanere lontano per non essere colpito.

Novotny aveva abbattuto più di una sessantina di aerei nemici. Era veramente un valoroso.

Scrive Clostermann:

Stasera il suo nome ricorre spesso nelle conversazioni alla mensa. Ne parliamo senza rancore e senza odio… Oggi è una rivincita per noi, salutare un nemico appena morto, proclamare che Novotny ci appartiene, ch’egli fa parte del nostro mondo nel quale non ammettiamo né ideologie, né odi, né frontiere.”

hawker tempest
Il modello di velivolo, un Hawker Tempest, che Pierre Clostermann pilotò durante il conflitto mondiale. Da: http://www.world-war-2-planes.com/hawker_tempest.html

Un pilota del gruppo, poco dopo, dirà:

“Il primo che ha osato dipingere una coccarda sull’ala di un velivolo era un porco”.

Dicevo che le notizie sulla morte di Novotny sono incerte. Esistono testimonianze contrastanti e sarebbe davvero interessante sapere la verità.

Clostermann scrive sul suo libro:

“Il quindici marzo scorso, io conducevo una sezione di quattro Tempest in una caccia al topo su Rheine-Hopsten, a duemila e cinquecento metri di quota. Improvvisamente vedemmo apparire a volo radente un Messerschitt 262 senza mimetizzazione, con le ali lucide, brillanti al sole. Era già nel corridoio della contraerea e si apprestava ad atterrare. Lo sbarramento di traccianti si alzava per proteggere il suo avvicinamento. Io avevo deciso, conformandomi alle nuove disposizioni, di non attaccare in quelle condizioni, allorché senza preavvertirmi, il numero quattro della mia pattuglia si lanciò in candela verso il piccolo punto lucente che si avvicinava alla lunga pista in cemento. Bob Clark, lanciato come un bolide, attraversò per miracolo, senza essere colpito, il baluardo di fuoco e sparò una lunga raffica sull’Me 262 argenteo che era nella fase finale del suo atterraggio. Il Me 262 si fracassò in fiamme proprio al limite del campo”.

La notizia che quel Me 262 era di Novotny arrivò dopo due settimane. Un tempo sufficiente a deformarla e renderla imprecisa, specie in giorni tanto difficili.

Dopo che per anni la guerra aveva causato tanta distruzione e innumerevoli vittime, dopo tanti combattimenti aerei molto cruenti, mitragliamenti di aeroporti, treni, truppe, paesi, Clostermann era stanchissimo, come tutti i piloti della sua squadriglia. Il medico della base lo voleva mettere a terra, ma c’era bisogno di tutti e ognuno doveva continuare a volare, aiutato da dosi sempre maggiori di farmaci. I piloti cadevano come mosche, di giorno e di notte, in una palla di fuoco, in cielo come a terra.

Lo sforzo finale della guerra è descritto da Clostermann in una maniera inedita e altamente espressiva. Sono gli ultimi giorni, i peggiori, ma la vittoria arriva inesorabile e improvvisa.

Dice Clostermann:

“Poi venne l’armistizio e fu come una porta che si chiudesse”.

E inevitabilmente, tutto quel volare non è più necessario. Gli aerei, come i piloti, sono a pezzi. Viene il momento di consegnare le armi, che nel caso di un pilota, significa consegnare l’aereo. E qui, Clostermann scrive qualcosa che, a parer mio, è pura poesia. Parla del suo aereo come se fosse un compagno di avventure umano, vivente. Perché tale è, dopo aver combattuto con lui per tante ore, giorni, anni.

“[…] E nel ritorno sono salito con lui molto alto nel cielo d’estate senza nubi, perché solo là potevo dirgli addio. Per l’ultima volta, insieme io e lui, abbiamo puntato dritto incontro al sole. Abbiamo fatto un looping, forse due, alcuni tonneaux molto lenti, accurati, amorevoli, per poter portare via nelle mie dita la vibrazione delle sue ali obbedienti e agili. Ed ho pianto, nella stretta cabina, come non piangerò più in vita mia, quando ho sentito il cemento della pista sfiorare le sue ruote e con una pressione della mano l’ho costretto al suolo come un fiore reciso …

E quando i piloti e i meccanici che mi attendevano mi hanno visto con la testa bassa e le spalle scosse dai singhiozzi, hanno compreso e si sono avviati in silenzio verso il dispersal […]”.

la grande gostra copertina copertina odoya
Dopo tanti anni era utile nonchè doveroso riproporre “La grande giostra” al giovane pubblico del nuovo millennio … e a questo nobile scopo ha provveduto la casa editrice Odoya con un volume dalla nuova copertina, un nuovo sottotitolo e, secondo quanto riporta il catalogo dell’editore, illustrato internamente.

Non è difficile trovare “La Grande Giostra” nei mercatini o su Internet. Compratelo subito, se vi capita. Leggetelo, questo libro. E dopo che lo avrete letto lo collocherete in un posto comodo della vostra libreria, dove lo potrete riprendere con facilità, per leggerlo ancora.







Recensione a cura di Evandro A. Detti




Nota della Redazione

Nel 2014, per iniziativa della casa editrice Odoya, il libro di Pierre Clostermann è stato ripubblicato. In basso le coordinate editoriali:

Titolo: La grande giostra. Nei cieli della seconda guerra mondiale Traduttore: Santarone P. Editore: Odoya Collana: Odoya library Data di Pubblicazione: Aprile 2014 ISBN: 8862882335 ISBN-13: 9788862882330 Pagine: 284 Formato: brossura





Fuoco dal cielo

La guerra nell'aria