Ero entrato in una libreria di Orbetello, in provincia di Grosseto. Di solito vado in quella libreria a vedere se è uscito qualche nuovo libro sulle trasvolate atlantiche che proprio da Orbetello sono partite. Ogni tanto trovo qualche novità e ne aspettavo una anche in quei giorni. Ormai i gestori mi conoscono e mi tengono informato su eventuali nuove edizioni.
Uno degli addetti alla vendita mi stava parlando con notevole entusiasmo di un piccolo libro che aveva letto tempo prima e che gli era piaciuto moltissimo, ma non riusciva a ricordarsi il nome dell’autore. Ricordava invece il titolo perché era semplicissimo: “La virata”.
Con l’aiuto del computer si mise a cercare nel loro database, ma non lo trovò. Deluso, continuò a parlarmi di questo semplice libro tanto piacevole e interessante. Alla fine mi disse che il libro costava pochissimo e valeva veramente molto e che, se lo avessi voluto leggere, me lo avrebbe ordinato per quando fossi ripassato da lì. Naturalmente accettai.
Nella visita successiva, appena entrato, ecco arrivare l’addetto con in mano il librettino. Mi dice, tutto soddisfatto, che sarei stato felice di leggerlo. Infatti, ora che l’ho letto, sono anche più entusiasta di lui.
Il libro è piccolo davvero, costa 5,50 euro e conta in tutto una settantina di pagine. Ma sono pagine di vera delizia.
Ho letto tanti libri sull’argomento aviatorio: storia aeronautica, racconti di volo di guerra e di pace, biografie di piloti e non, manuali vari. Perfino libri di filosofia aeronautica. Ma questo è stato una sorpresa davvero.
In verità, non parla solo della virata in senso stretto, ma affronta e sviscera aspetti particolari della virata, con un gran numero di riferimenti storici, medici e tecnici. Qualunque pilota, per esperto che sia, pur sapendo di cosa l’autore sta parlando, rimarrà inevitabilmente sorpreso.
Il nome di questo autore, William Langwiesche, non mi diceva assolutamente nulla, all’inizio. Ma poi, verso la fine della lettura, dalle pagine scritte ha cominciato a venir fuori un vago ricordo di qualcosa che già avevo letto altrove …
Il padre di William aveva scritto un libro intitolato “Stick and rudder”. E questo titolo evocherà lo stesso vago ricordo anche a parecchi altri piloti.
Sembra impensabile di poter scrivere tanto su una sola manovra come la virata. Oltretutto senza neanche affrontare direttamente la spiegazione di come si esegua questa manovra. Senza formule matematiche o di fisica.
Nessuno si aspetta l’esistenza di così tante implicazioni che della virata fanno parte. E che sono passate attraverso la storia di oltre un secolo, senza che ce ne accorgessimo, sebbene in questi decenni, tutti noi piloti abbiamo effettuato innumerevoli virate, in tutte le condizioni possibili.
Occorre dirlo chiaramente: in Italia, l’aviazione generale, sportiva e non, annovera una sparuta schiera di praticanti e/o sostenitori … figuriamoci il settore della letteratura aeronautica. Dunque come catalizzare l’attenzione dei potenziali autori e, soprattutto, di lettori acquirenti di volumi? … ma certo! … un concorso letterario.
Deve essere stata questa la lungimirante intuizione che ha indotto Valeria Napoleone nel voler organizzare nel 2009, sotto la bandiera della casa editrice di famiglia, l’IBN (Istituto Bibliografico Napoleone), la I edizione del concorso letterario Penna alata.
Ebbene, il volumetto oggetto della presente recensione contiene appunto i vincitori di quel lodevole concorso.
Valeria Napoleone, curatrice anche del volume, nella prefazione al libro confessa che:
“L’idea del concorso “Penna alata” è nata così per caso, in libreria, la nostra Aviolibri, divenuta un ritrovo di appassionati” e aggiunge: “[…] A questo punto, ho sentito quasi il dovere di trasformare questo salotto virtuale in qualcosa di cartaceo […]”.
Beh – replichiamo noi – l’intento è stato ampiamente raggiunto giacché i testi contenuti nel volume non lasciano adito a dubbi circa l’aspetto qualitativo nonché meritocratico. In “Bomba a bordo e altri racconti …” troverete 11 modi diversi di fare narrativa aeronautica, 11 storie diversissime per stile, ritmo e inventiva, oltre che per contenuti. Semmai l’unico obiettivo che non è stato centrato sono le dimensioni di questo libricino fin troppo “ino”. Possibile che non ci fossero altri testi degni di essere premiati e dunque pubblicati? Possibile che l’editore potesse concedersi un investimento economico pari a solo 106 pagine? E sia! … d’accordo, meglio di niente. Per stavolta la perdoniamo, anche in virtù delle belle foto presenti a commento dei testi che ritraggono i soggetti protagonisti dei testi medesimi.
Sempre nella prefazione, la visionaria Valeria Napoleone dichiara: “[…] tra i molti partecipanti, sia autori noti che alle prime armi, sono stati selezionati dalla Giuria quei racconti che, per vari motivi, sono sembrati più significativi” […].
Premesso che non ci è dato sapere da chi fosse composta la Giuria, né quali siano stati i nomi/testi dei molti partecipanti, certo è che, scorrendo i nomi degli autori premiati, non stupisce la presenza di penne alate assai note come quella di:
– Evandro Detti (autore di “Zingari del cielo” e del tuttora validissimo “Manuale di pilotaggio dell’aliante veleggiatore”),
o di:
– Gian Piero Milanetti (che ha firmato l’ottimo volume “Le Streghe della Notte”, dedicato alle vicende storiche delle aviatrici russe),
oppure di:
– Nicola Malizia (prolifico scrittore di monografie e di volumi dal notevolissimo valore storico),
e ancora del poliedrico:
– Michele Raffaele Gagliani (autore di innumerevoli pubblicazioni a carattere aeronautico) fino a giungere a quella di:
– Eugenio Vecchione (impagabile divulgatore delle sicurezza del volo e del fattore umano in aviazione).
A conferma della totale bontà dell’idea alla base del concorso, invece, viene da chiedersi se un autore perfettamente sconosciuto, tale Marco Forcina, avrebbe mai goduto dell’opportunità, al di fuori del concorso letterario Penna alata, di partecipare, vincere e vedersi pubblicati, ben tre racconti. Siamo di fronte ad un nuovo exploit letterario? Finalmente un nuovo virgulto della narrativa italiana si è svelato a noi? … vedremo!
Completano lo stormo degli autori: Marco Zuccadelli, pilota in erba a soli 17 anni (ma che poi le vicissitudini della vita hanno allontanato dall’aviazione) e l’unica gentildonna, Agnese Roda che scrive per diletto poesie e racconti (molto più vicina al mondo della musica e dell’arte in generale che all’aviazione).
Elencati gli autori non ci resta che passare in esame i racconti.
Ebbene il primo racconto è quello dal quale ha preso il titolo l’intera raccolta “Bomba a bordo”, proprio di quel Marco Forcina di cui sopra. La scelta è stata assai felice – aggiungiamo noi – perché si tratta di un racconto leggero, piacevole quasi confidenziale. Fin dall’inizio si avverte un alone sottilmente ironico che poi deflagra in un finale a sorpresa strappa sorriso – fenomeno assai raro per un racconto di aviazione -.
L’antefatto vede il comandante di un aereo di linea della compagnia di bandiera italiana che è intento nei controlli pre-volo sul piazzale dell’aeroporto di Amburgo. La collocazione temporale non è meglio definita ma, a naso, siamo all’incirca intorno alla fine degli anni ’70.
La noia della routine pervade la cabina pilotaggio finché il secondo pilota irrompe dichiarando che c’è un emergenza: una bomba a bordo!
Ovviamente non vi sveleremo il prosieguo della vicenda … possiamo solo aggiungere che il pragmatico pilota, più che altro preoccupato di aver speso inutilmente del tempo a recitare l’odiosa check list, disinnescherà la “bomba non bomba” mostrando quel genuino disincanto e pragmatismo tipico di noi italiani.
Per inciso, secondo la nota in calce al racconto, pare che si sia trattato di un episodio realmente accaduto. Mah … ci crediamo sulla fiducia.
Il secondo racconto, sempre a firma di Marco Forcina, ha per titolo: “Lasciami lassù” e, al contrario del primo, vi procurerà un senso di tristezza e, ai più sensibili, addirittura un moto di pianto – e non stiamo esagerando: a noi è accaduto -.
Il testo prende spunto da un episodio realmente verificatosi, in quanto documentato dal diretto protagonista, Charles Lindbergh (il primo trasvolatore oceanico in solitaria), nel suo libro autobiografico “We”, pubblicato nel 1928.
Attorno ad un semplice flash di Lindergh, l’autore ha creato una vicenda verosimile che vede quali protagonisti un’anziana balia asciutta di colore e il futuro trasvolatore. Al termine di una delle sue esibizioni in una sperduta località del Mississipi, l’Aquila solitaria (questo uno dei soprannomi di Lindbergh) verrà avvicinato dalla donna, provata da anni di fatiche e di soprusi, minata nel corpo e nell’anima, beh … cosa pensate che possa aver chiesto la vegliarda al bel pilota biondo, a colui che può salire in cielo a suo piacimento tra gli angeli bianchi? … a voi svelarlo.
“Là dove volano i cetrioli” è invece una fiaba mascherata da racconto. Una fiaba che, come tutte le quelle che si rispettino, si contraddistingue per il tipico testo destinato ai bambini, apparentemente, ma che in realtà, con la dovuta chiave di lettura, è diretto invece agli adulti, specie quegli adulti – come recita la nota finale dell’autore – che rivestono incarichi istituzionali in quegli enti locali desiderosi di dotare il proprio territorio di un aeroporto, possibilmente internazionale.
Anche in questo caso non vi vogliamo svelare il contenuto della fiaba bensì la sua morale. Proprio ad assessori comunali, consiglieri provinciali, amministratori regionali e politici non meglio identificati l’autore lancia il seguente monito: meglio avere un campo di cetrioli succosi e saporiti che un aeroporto deserto e inutile alla collettività.
E non aggiungiamo altro … se non l’autore del racconto che, qualora non l’abbiate intuito, è sempre quel Marco Forcina – ancora lui – che, con la sua terza composizione, dimostra di saper scrivere di tutto e con qualsiasi formula narrativa, dai contenuti strappalacrime a quelli giocosi ma sempre sorprendendo piacevolmente il lettore per originalità mista a buoni sentimenti.
Nell’antologia del concorso “Penna alata”, Evandro Detti è presente invece con due racconti: “I simboli perduti” e un “Merlo da marciapiede”.
Nel primo, il cronografo, la spilla con l’aquiletta dorata e tanti altri simboli tipici del mondo dell’aviazione, costituiscono il pretesto per l’autore per raccontare un po’ di sé e soprattutto di quel mondo che ha frequentato, attraversato in lungo e largo e che, nel corso degli anni, è mutato anche nei suoi simboli. Alcuni sono stati ormai tralasciati, altri ne sono stati acquisiti ma ciò che risulta invariato, pur con l’avvicendarsi delle generazioni di piloti, è il piacere puro ed unico del volo. Ebbene – senza possibilità di essere smentiti – questo piacere è rimasto inalterato e traspare nell’autore che, con tono fraterno ed una prosa semplice, ce ne rende partecipi.
Questo del buon Evandro non è dunque un vero e proprio racconto quanto piuttosto un rimuginare ricordi misti a considerazioni personali amalgamati in un testo molto scorrevole e piacevole che, per taluni aspetti, ha il sapore divulgativo del saggio. Osando un paragone … il nostro Detti potrebbe essere il Piero Angela del cielo, ossia un fine divulgatore di un mondo che rimane, nonostante tutto, assai distante dalla grande massa.
E’ più o meno sulla stessa lunghezza d’onda anche il secondo racconto di Detti che, pur essendo incentrato su un personaggio animale (un merlo che vive nell’albero di fronte all’abitazione dell’autore), è un ottimo testo divulgativo circa la fauna aerea che popola e spesso condivide il cielo con i piloti. Con la differenza – e questo l’autore ben lo sottolinea – che gli uccelli si trovano nel loro habit naturale mentre noi umani siamo solo ospiti.
Molti gli spunti di riflessione che scaturiscono da questo testo che, beninteso, non deve essere considerato un trattato di ornitologia … certo non stonerebbe affatto all’interno di riviste blasonate come l’illustre National Geographic o l’italianissimo Airone. Di sicuro la sua lettura colma quelle lacune di conoscenza che minano indifferentemente l’uomo della strada quanto i piloti più navigati. E di questo siamo riconoscenti al Detti.
Il sesto raccontonell’antologia del concorso “Penna alata” è: “L’aviere” di Marco Zuccadelli e ammettiamo che Valeria Napoleone non avrebbe potuto trovargli migliore collocazione giacché si tratta di un racconto di fantasia allo stato puro.
Il pretesto narrativo è costituito dal ritrovamento in un casolare del Monferrato del diario di un certo Marco Arcuri alla fine dell’agosto 2008 e dunque la vicenda si dipana secondo la cadenza delle registrazioni quotidiane tipiche di un diario.
Chiunque viva o abbia vissuto nella pianura Padana sa bene quanto possa essere torrida l’estate e dunque non si stupirà di leggere di “sudore che esce da tutti i pori” o di “pareti che grondano sudore” oppure di “aria che frigge”. Ciò che invece vi stupirà – e non poco – sarà la visione in cui incapperà il protagonista, prologo di un’allucinazione ben più articolata quanto sorprendente dall’esito già preannunciato.
Il testo si legge tutto d’un fiato perché la prosa ha un ritmo incalzante che ben si addice alla dinamica della trama … insomma un ottimo racconto tanto che quella di Marco Zuccadelli riteniamo essere una delle “penne” più promettenti del concorso Penna alata.
E bravo Zuccadelli!
Che il mondo del volo fosse contraddistinto da persone alquanto eccentriche … beh, non avevamo dubbio alcuno ma che il racconto di Michele Gagliani ce ne fornisca la conferma, non lo avremmo mai creduto.
“Un eremita alato” ci introduce già il suo protagonista: un ex allievo dell’autore soprannominato: “Mani d’oro” che ha scelto di vivere un esistenza fatta di un camper, un aeroplano e il volo.
La “penna alata” di Gagliani – qualora fosse necessario – si conferma validissima, basata su una prosa schietta, non incline ad alcuna forma retorica e che trae dalla realtà le fonti d’ispirazione, quasi fosse un reportage giornalistico.
Un racconto fin troppo breve, purtroppo.
Ha invece il taglio tipico del racconto storico la composizione di Nicola Malizia dal titolo: “Estate 1943” e sottotitolo: “Un atto di umana pietà per un pilota tedesco”.
Sulle capacità narrative dell’autore non avevamo dubbi e questo racconto sembra far parte di un libro di storia. Rimane il dubbio se la vicenda narrata sia realmente accaduta: se lo è stata, Malizia dà prova di grande narratore e se non lo è stata … pure, giacché, oltre a dare dimostrazione di essere un sapiente narratore, egli denota una notevole dose di fantasia.
La vicenda si snoda sulle montagne del casentino, nell’estate del ’43, in pieno conflitto mondiale. Nel corso di un combattimento aereo, in condizioni di forte inferiorità numerico, un giovanissimo pilota tedesco viene abbattuto e, seppure ferito, riesce a portare a terra il suo caccia crivellato di colpi. A quel punto non esistono più colori e nazionalità, c’è solo un uomo in pericolo di vita ed ecco da qui l’atto di grande umanità compiuto dai pastori italiani, intere famiglie di sfollati che lottano per la propria sopravvivenza e che pure hanno ancora la forza di un grande gesto.
E’ ambientato più o meno nello stesso periodo ma a migliaia di chilometri di distanza, ovverosia nei desolati e grigi cieli del fronte russo, il nono racconto di questa antologia. E’ intitolato: “La steppa” e l’autore è Gian Piero Milanetti.
Di questo racconto adrenalinico è davvero difficile fare un sunto … vi diremo solamente che è la videocronaca di un duello aereo tra un Macchi MC200 Saetta italiano e uno Yakovlev Yak-1 russo. Dunque isolatevi dal resto del mondo e prendetevi tre minuti tutti per voi … perché salirete a bordo del Macchi e vivrete questa esperienza indimenticabile in cui da cacciatore diverrete cacciato e di lì fino al finale a sorpresa.
Un racconto palpitante scritto in modo magistrale in cui Milanetti dà prova di grande capacità descrittiva, oltre che di storico. Davvero splendido.
Il racconto che qualunque appassionato di storia dell’ Aviazione militare vorrebbe leggere. Un mirabile esempio di narrativa aeronautica.
Molto più pacato nello svolgimento, seppure attraversato da una sottile e crescente tensione emotiva, è invece il racconto di Eugenio Vecchione dal titolo “L’Allocchio Bacchini” che ha per protagonista, appunto, il famigerato apparato radio frutto dell’italico ingegno e che è stato il mezzo di comunicazione di un’intera generazione di piloti da diporto i quali, per alcuni versi, hanno inaugurato una nuova categoria di velivoli dell’Aviazione Generale dotata – fa quasi tenerezza a dirlo – di apparati radio VHF per le comunicazioni bordo-bordo e bordo-terra. Una vera rivoluzione.
In realtà la composizione del buon Vecchione scivola tranquilla e quasi serena perché siamo in volo, assieme all’autore, a bordo di un bel Aermacchi MB308, confidenzialmente chiamato “Macchino”, per svolgere un raid, ossia un volo di trasferimento in solitaria dall’aeroporto del’Urbe di Roma fino a quello di Napoli – Capodichino che consentirà al pilota in erba di accedere all’esame del brevetto di secondo grado .
Un racconto piacevole, cronaca di un’esperienza importante per l’autore, all’epoca all’incirca diciottenne.
Ultimo, ma solo in ordine di impaginazione, il racconto di Agnese Roda intitolato: “Baracca”.
Un racconto blandamente aeronautico che vuol essere più che altro un’occasione di riflessione partendo da elementi legati al mondo aeronautico come il cavallino rampante, Lugo di Romagna e lo stesso “Asso degli Assi”.
Tutto nasce dall’incontro infantile con la statua di Baracca appunto, che adorna la piazza principale della cittadina di Lugo di Romagna e da qui partono le diversioni verso argomentazioni che, apparentemente, nulla hanno di aeronautico e che invece hanno contenuti autobiografici.
Un racconto breve, talvolta criptico, se vogliamo psicologico.
In definitiva si tratta di un’antologia che copre diversi gusti e generi dell’ambito narrativo e dunque lascia ben sperare in una II edizione cui – ci auguriamo – ai cinque autori della scuderia IBN – in quanto abitualmente editi da quell’editore -, vadano ad aggiungersene molti altri ugualmente talentuosi. Ciò affinché venga scongiurato il rischio che la prossima edizione del concorso rimanga pressoché “in famiglia” o quasi.
L‘incidente nel quale ha perso la vita Angelo D’Arrigo ha lasciato tutti senza respiro. A distanza di anni, era il 26 marzo 2006, il vuoto incolmabile è ancora presente nei cuori di chi lo aveva conosciuto ed anche in quello di chi, come me, non lo aveva neanche conosciuto.
All’epoca, ricordo, avevo subito rivolto il pensiero verso la sua famiglia. Soprattutto pensavo a sua moglie, Laura Mancuso. Una donna che non conosco, ma della quale avevo conosciuto, attraverso la storia di Angelo, il coraggio senza fine con il quale si era opposta al destino ed era riuscita, lavorando senza sosta, a salvarlo dalla prigionia in Libia, dove ogni giorno poteva essere quello della sua esecuzione.
Lei aveva subito reagito, aveva sollevato il mondo, coinvolto gente importante, personaggi potenti. Attraverso di loro, idealmente, aveva esteso le sue mani oltremare, raggiunto suo marito nella squallida prigione dove era recluso, lo aveva afferrato, sollevato e riportato a casa.
Lei. Era stata lei a salvarlo.
Poi l’incidente. Una cosa assurda e irreversibile.
Un giorno mi è capitato tra le mani il suo libro. “In volo senza confini” sembrava la continuazione dell’altro: “In volo sopra il mondo”.
Ho comprato il libro.
Le prime parole sono: Questo è il libro che non avrei mai voluto scrivere.
Né io avrei mai voluto recensire.
Ma anche questo libro va letto. Ed è un dovere morale averlo. Fa parte di una storia che deve vivere per l’eternità. Ricordare è l’unica cosa che possiamo fare, visto che indietro non si torna.
Ovviamente Laura comincia con il ricordo dell’incidente e di quello che è accaduto dopo.
Ma poi parla della sua storia, ovvero della stessa storia che conosciamo già, ma vista attraverso i suoi occhi. Parla dei falchi, dei voli, dell’imprinting degli uccelli con i quali Angelo compiva le sue imprese. Racconta i voli, quello sull’Everest del 24 maggio 2004.
Poi riprende anche il discorso dei progetti che si erano interrotti e di come potrebbero essere continuati …
Laura parla della vita quotidiana, della vita familiare e di tante altre cose.
Ho letto questo libro. Quasi tutto. Anzi tutto, fino alla fine.
Però, devo ammettere che in parecchi punti ho dovuto, diciamo così … guardarlo.Ho dovuto scorrere con gli occhi, velocemente il testo, allo stesso modo di chi, a piedi nudi, dovesse camminare sulle braci. Veloce, per non scottarsi troppo.
Troppe volte viene fuori dalle pagine scritte la profonda ingiustizia che ha colpito questa straordinaria famiglia, questa donna eccezionale.
Ormai volo da più di quarant’anni. Gli episodi di cui sono stato protagonista o testimone sono già innumerevoli e tante sono le persone straordinarie che ho conosciuto. Qualcuno non l’ho conosciuto, ma in qualche modo i nostri sentieri si sono incrociati e comunque ho saputo di loro.
Ero venuto in possesso di una videocassetta da lui prodotta tanti anni fa, era una specie di video corso di pilotaggio del delta a motore.
Negli anni ’80 facevo l’istruttore sugli ultraleggeri tubi e tela e, parallelamente, prendevo lezioni di deltaplano a motore, una macchina molto interessante per l’epoca. Il video-corso mi fu molto utile.
Considero questo il primo contatto con la generosità di Angelo D’Arrigo, che aveva voluto diffondere e condividere una parte del suo sapere con altri appassionati della materia.
Quando decollavo dalla nostra pista di erba per i voli scuola, sorvolavo spesso una querciola dove stavano appollaiate alcune cornacchie. A volte volavano via per il rumore del motore e per qualche istante mi trovavo a volare insieme a loro, cosa questa che mi riempiva di gioia.
Ma poi seppi che qualcuno volava con un gruppo di uccelli nati in cattività, sottoposti all’imprinting studiato dall’etologo Konrad Lorenz e condotti lungo un percorso di migrazione da un ragazzo a bordo di un deltaplano a motore e questa vicenda mi interessò molto.
Era Angelo D’Arrigo.
Altro che qualche attimo di volo con un paio di cornacchie.
Premesso che ho letto quasi tutti i libri di Konrad Lorenz, cercai con ogni mezzo di sapere tutto su questo pilota straordinario. Internet non c’era, ma a volte leggevo qualcosa sulle riviste di settore. Comunque seppi del volo sopra l’Everest, anzi, su questo episodio trovai perfino un DVD con i filmati effettuati in quell’occasione.
Avrei voluto incontrare Angelo, ma non ne ebbi mai occasione, sebbene in una almeno ci andai molto vicino.
Al lavoro, al controllo del traffico aereo, avevo notato un notam che chiudeva lo spazio aereo sopra Guidonia e il monte Terminillo fino ad un livello altissimo, a semplice richiesta di un pilota di deltaplano che si trovava nell’aeroporto di Guidonia, in attesa che le condizioni meteo fossero favorevoli ad un tentativo di record o qualcosa del genere.
Come controllore la cosa mi riguardava fino ad un certo punto, ma come istruttore di aliante, proprio della sezione di volo a vela di Guidonia, ne ero coinvolto appieno. Infatti passai un pomeriggio a fare scuola a Guidonia, pronto a smettere di volare e a richiamare a terra i miei allievi e gli altri piloti non appena il notam fosse stato attivato. Ad ogni decollo vedevo un delta con ala rigida allungata, parcheggiato di fronte ad un piccolo hangar quasi al centro del campo. Mi dissero che si trattava di Angelo D’Arrigo.
Purtroppo quel giorno non ebbi tempo di andare a conoscerlo. Pensavo di farlo in seguito. Ma il giorno dopo il notam fu attivato ed Angelo fece il suo volo.
Il racconto è contenuto nel libro.
Il libro racconta tante altre cose e consiglio vivamente ogni appassionato di volo di leggerlo. Molte vi sorprenderanno, vi sembreranno incredibili, ma ci sono le documentazioni inconfutabili ed i filmati a confermarvi che è tutto vero. Perfino l’Aeronautica Militare effettuava studi insieme ad Angelo su un argomento che leggerete. Non ne parlo qui. Non mi credereste. Leggete il libro.
Angelo progettava di sorvolare le Ande insieme ad un condor, il più grande veleggiatore del mondo. Il pulcino era stato imprintato secondo gli insegnamenti di Konrad Lorenz e cresceva in attesa del grande giorno.
Insieme sarebbero saliti nelle correnti ascendenti della catena delle Ande fin sulla cima dell’ Aconcagua, senza ossigeno, utilizzando tecniche speciali messe a punto per l’occasione.
Nell’ultima pagina del libro Angelo scrive:
“Molti mi chiedono che cosa mi spinga ad andare sempre oltre. Non è agonismo: con le sfide ho smesso da anni. Non è nemmeno il bisogno di misurarmi con i miei limiti, come a volte ho creduto. No, è qualcosa di più semplice ed intimo: l’istinto di essere nella natura a modo mio. Un istinto che mi domina, che mi tiene sveglio la notte, che mi illumina e mi entusiasma. Non seguirlo sarebbe tradire me stesso”.
Purtroppo qualcosa è riuscito a tradire lui. Un piccolo aereo, pilotato da un generale dell’Aeronautica in pensione, durante una manifestazione aerea, esegue un basso passaggio e una virata sfogata. All’apice della manovra si avvita e cade al suolo, mettendo fine alla vita del generale e a quella del suo passeggero: Angelo D’Arrigo.
Ora potrei scrivere tante parole inutili su questo fatto e sul grande dolore che ha provocato. Due sole sono sufficienti: stupore ed incredulità.
Angelo aveva un progetto, anzi, più di uno. Progetti rimasti incompiuti. E come tutte le cose incompiute restano nella mente umana molto a lungo, fino a quando, in qualche modo, qualcuno non le riprende e non le porta a termine.
Nel libro è anche contenuto il racconto di un volo dell’inizio anni novanta, in deltaplano a motore, dalla Sicilia all’Egitto. Per un disguido Angelo finisce nelle mani dei libici. Viene fatto prigioniero e per oltre un mese subisce ogni genere di privazione e violenza. Ma qui compare un’altra persona, degna di un grande come lui: sua moglie Laura Mancuso. Lei non si dà pace e lavora instancabilmente attraverso tutti i canali diplomatici. Riesce a dimostrare che suo marito non è una spia come creduto dai soldati di Gheddafi, ma soltanto uno sportivo impegnato in un’impresa pianificata e pubblicata. Ci vuole tempo e il tempo manca.
Da un momento all’altro Angelo potrebbe essere giustiziato insieme ad altri prigionieri come lui. Laura arriva in tempo. Un diplomatico riesce a parlare con Gheddafi, a convincerlo a rilasciarlo e poi a prendere Angelo per i capelli e a tirarlo fuori dall’orlo dell’abisso. E’ libero e può tornare a casa da sua moglie e dai suoi figli.
Ora non occorre spiegare quanto sia ingiusto che dopo un salvataggio così magistrale, possa bastare un banale voletto locale a mettere fine alla vita di un personaggio così grande.
Questo libro deve essere presente nella libreria di ogni appassionato di volo. E’ moralmente obbligatorio conoscere Angelo D’Arrigo. Conoscere le sue gesta.
Perchè fra tutti i futuri lettori del suo libro potrebbe essercene un altro simile a lui, che riprenda il filo dove lui, suo malgrado, ha dovuto lasciarlo cadere.
Tanti anni fa, ma proprio tanti, comprai un libro su una bancarella. Il titolo era: “Alta quota” e per questo aveva attratto la mia attenzione. Ad una prima occhiata avevo visto che si trattava di un libro sulla I Guerra Mondiale, scritto da un pilota vero, che vi aveva combattuto veramente come pilota di un biplano inglese Sopwith Camel.
Lessi quel libro più di una volta, ma questa è una prassi normale per me. Se un libro mi piace lo rileggo, ogni tanto.
Forse fu per questo motivo che un giorno, parlandone con un amico pilota, ebbi un momento di debolezza e glielo regalai. Un errore che commetto difficilmente. Di solito, se regalo un libro a qualcuno, glielo compro, non gli regalo un libro mio. Forse pensai che lo avrei potuto ricomprare, prima o poi.
Invece, nel corso degli anni seguenti, per quanto cercassi sulle bancarelle, non l’ho più ritrovato. Oltretutto quell’amico, dopo poco tempo lo regalò a un altro pilota. Non so se prima lo abbia letto o no, ma almeno l’altro pilota disse che gli era piaciuto moltissimo.
Non ho mai dimenticato quel titolo e neanche la copertina. Ero pronto a comprarlo a vista se lo avessi trovato, ma niente.
L’era di internet ha reso possibili anche questo genere di cose. Un giorno scrissi il nome dell’autore, Yeates, su Google e … paf! Trovai un libro diverso, ma che ricordava tanto quello che avevo avuto. Lessi la descrizione e ritrovai la storia intera. Il titolo, ora, era cambiato. Si intitolava: “Vittoria tra le nuvole”.
Lo ordinai online e mi arrivò a stretto giro di posta.
Sempre su Google ho trovato la storia dell’autore, nato a Dulwich, Inghilterra, nel 1897 e morto nel 1934. Era un amante della poesia e della natura. Nel 1917 entrò nel Royal Flying Corps, come pilota e andò in Francia a combattere contro i tedeschi. Volò per 248 ore su un biplano Sopwith Camel. Ebbe quattro incidenti, fu ferito due volte, conseguì cinque vittorie, il numero minimo per diventare un asso.
Alla fine della guerra tornò in Inghilterra, profondamente provato e distrutto, sia dal punto di vista psicologico che fisico. Infatti di lì a poco si ammalò di tubercolosi. Provò a curarsi per uscirne, ma all’epoca era difficile salvarsi da quella malattia. Tuttavia, per racimolare i soldi necessari alle cure, scrisse con fatica le sue memorie di guerra, un libro, questo libro, che fu pubblicato, ma non ebbe subito il successo sperato.
Yeates morì di tubercolosi prima che i proventi del libro gli consentissero di curarsi.
Il titolo originale era “Winged Victory”. In qualche manifesto ho trovato anche “Winged Victor”, una leggera deviazione per giocare con il suo nome, Victor.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, questo libro fu recuperato dall’oblio nel quale era caduto. I piloti della Royal Air Force lo riscoprirono e ne decretarono un enorme successo, perché era uno dei rarissimi racconti che riportava fedelmente i fatti e la quotidianità della vita del pilota di guerra. Yeates infatti non aveva inventato nulla. Aveva descritto le azioni militari come pure la vita di tutti i giorni e i discorsi, le feste, gli scherzi, le paure, le ansie e i momenti di relax nelle lunghe giornate in cui il maltempo li costringeva a terra. Li costringeva, cioè, a vivere senza rischiare di morire.
Yeates non aveva cambiato i fatti, ma neanche i nomi dei protagonisti con i quali aveva condiviso il periodo di guerra in Francia. I loro nomi sono tutti nel racconto, semmai, in qualche caso, aveva omesso il nome di battesimo o il cognome, designandoli semplicemente con uno dei due.
Il teatro di guerra è quello della Somme. Amiens, Arras, Vignancourt, Morlancourt, etc, nomi famosi di un teatro tragico. La Francia rievoca spesso quella zona, anche durante il Tour de France, quando vediamo i ciclisti scorrere su un paesaggio bellissimo, ma segnato qua e là da mausolei, monumenti, cippi e cimiteri che rievocano la guerra mondiale, sia la prima che la seconda.
“Vittoria tra le nuvole” si trova online anche con il vecchio titolo di: “Alta quota”. Basta ordinarlo per avere tra le mani uno dei migliori libri scritto da un pilota per un pubblico che non deve essere necessariamente costituito da piloti. Ma questi ultimi troveranno interessantissimo leggere anche le impressioni di pilotaggio del Camel, un aereo scorbutico, che entrava in vite all’improvviso, volava storto e scappava di mano alla prima minima distrazione. Ma, come dice Yeates, ci si abitua a tutto e alla fine questo carattere del Camel, non solo diventa familiare e non costituisce più un problema, ma aiuta il pilota a sottrarsi di colpo ai proiettili delle mitragliatrici dei caccia avversari. Una cosa non da poco.
Leggendo il libro si resta sorpresi di quanto, a quei giorni, i piloti fossero consapevoli degli interessi internazionali che avevano portato loro a dover combattere e morire. Nelle conversazioni compaiono spesso analisi ben precise della situazione politica del momento.
Recensione a cura di Evandro Detti
L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.
Aforismi
Navigare nell\'iperspazio non è come spargere fertilizzante da una aeroplano
(Harrison Ford)
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Q.T.B.
PILOTA: Ridotta efficienza del freno. MECCANICO: Esequito provvedimenti adottati
(Suggerita da Big Mark)
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PASSEGGERO: Signorina, ma non è che quando vi lasciamo le valigie le buttate sul piazzale?? … mMca per altro … è perchè dentro ho i tortellini e sotto il sole vanno a male!!