autore: Alessandro Soldati
editore: Amazon
pagine: 192)
anno di pubblicazione: 2022 (tascabile e e-book)
ISBN: 979-8849987729
Questo libro è dedicato:
“Ai sognatori, agli irriducibili e ai ribelli poiché, da adesso in poi, siamo nelle loro mani”.
Praticamente Alessandro Soldati lo dedica a quelli come me. Chi, più di un maremmano quale sono, potrebbe essere sognatore, irriducibile e ribelle? Ho iniziato la lettura con una certa impazienza per vedere chi e perché, da oggi in poi, sarebbe nelle nostre mani.
La dedica si trova già alla seconda pagina del libro. E a pagina tre Soldati sente il bisogno di informarci subito: “del perché ho scritto questa vicenda“.
Nelle prime righe di spiegazione l’autore, Alessandro Soldati, fa riferimento a come aveva concluso il suo libro precedente (“Andrà bene di sicuro“), alla fine che aveva fatto fare al personaggio della storia e al motivo per cui, nel libro successivo, questo, di lui non si trovi più traccia. Anzi precisa che qui non siamo affatto nel seguito della precedente vicenda, ma in una tutta diversa.
Ok, non ho letto quel libro e non ne so nulla. Una carenza che durerà poco, perché ho tutta l’intenzione di procurarmelo e di leggerlo. Forse ne riparleremo.
La spiegazione è lunga una decina di pagine del Kindle, abbastanza da capire che l’argomento del libro, sviluppato attraverso la narrazione di una vicenda ambientata nel mondo dell’Aviazione Commerciale, riguarda la degenerazione del mondo del lavoro e della vita in generale di questi ultimi decenni. Un argomento al quale sono ormai parecchio sensibile, da molto tempo. Lo so che è tutto il mondo del lavoro a risentire dello sfacelo generale, si vede in ogni ambito e in ogni momento, ma per quanto mi riguarda ne soffro ancora di più, perché tutto ciò non risparmia neppure il mondo degli Aeroclub, che frequento con crescente disappunto e con una vaga, ma non troppo, idea di darci un taglio definitivo.
La storia comincia con una ragazza e suo zio che vanno ad un centro commerciale a comprare qualcosa. Ma subito si scopre che la ragazza non è una comune cliente. E’ una pilota Comandante e mostra di avere una certa fretta, infatti sta per partire per un volo di linea e teme di arrivare in ritardo.
Deliziose le prime pagine, e simpatico il personaggio dello zio, ma non crediate che non c’entri niente nel resto della vicenda. C’entra eccome. Tenetelo a mente, memorizzate quello che dice, anche se d’ora in poi non lo ritroverete più e sarete catapultati, invece in mezzo alle difficoltà inerenti alla preparazione della partenza di un volo di linea, che rispetto al centro commerciale si rivela tutta un’altra storia.
Una storia di piloti, insomma. E di come si ritrovano, al giorno d’oggi, ad operare secondo criteri, regole e ritmi di lavoro assolutamente incredibili.
Avevo appena scritto le recensioni di tre libri di un altro pilota, Ivan Anzellotti, che diceva le stesse cose. Perciò mi sono impegnato nella lettura con la convinzione e l’aspettativa che avrei trovato qui altre conferme di questo insano modo di progredire della società umana.
Infatti è stato proprio così.
Dice Soldati:
“Mi capita spesso di dire che una persona decente, quando si accorge di essere entrata in un ambiente marcio, dovrebbe cercare di comportarsi come un tumore a rovescio, cioè deve trovare il modo di raccogliere intorno a sé persone, idee e situazioni sane, e deve propagarsi nel marciume, cercando di risanarlo, per quanto possibile”.
Certamente. Giustissimo.
Poi prosegue:
“Le scuole di volo, partendo proprio dall’inizio, qui da noi non si curano più di dare una solida base di Cultura Aeronautica ai loro allievi. A pochissimi importa oggi di formare Aviatori, perché non sono Aviatori quelli che le Aziende cercano, ma appunto Operatori di Sistemi. Persone capaci di imparare rapidamente a memoria tutta una serie di azioni che, se svolte correttamente, diligentemente e nella giusta sequenza, permetteranno ad un tubo di metallo di andare praticamente da solo e per aria da un luogo all’altro con un ragionevole margine di sicurezza”.
Infatti. Verissimo. Ma anche molto inquietante. E questo spiega chiaramente il sottotitolo.
Ma perché siamo arrivati a questo punto? Davvero le cose devono andare proprio così? Tanto da suggerire perfino l’opportunità di impiegare addirittura un solo pilota a bordo? E di fargli sostenere lo stress di ore ed ore di servizio, anche dodici o più? E quale sarebbe il vantaggio?
Purtroppo il vantaggio di maggior rilievo sarebbe quello economico. Pagare un pilota soltanto invece di due costerebbe la metà.
E’ talmente assurdo che temo di vedere applicato questo criterio in tempi brevi. Ormai si persegue proprio il massimo risultato al minor costo. A ogni costo…
Ma nelle restanti pagine l’autore spiega minuziosamente quali sono i motivi di una tale rivoluzione, che coinvolge il mondo dei piloti, ma che coinvolge anche, purtroppo tutti gli altri ambienti, di lavoro e non.
Dopo questa parte, prima che inizi il libro vero e proprio, la storia narrata, c’è una pagina che riporta una citazione di un certo A. Block e che fornisce un ulteriore indizio di quale sarà l’elemento portante della narrazione:
“In ogni organizzazione c’è sempre un individuo che ha capito esattamente come stanno andando le cose. Questa persona deve essere licenziata”.
E poi siamo al primo capitolo.
La vera storia incomincia a snocciolarsi da qui. Pagina dopo pagina entriamo in un intreccio di avvenimenti che mi riportano alla mente ricordi, diversi certamente, ma equivalenti, vissuti in questo ultimo mezzo secolo, non nel mondo del volo di linea, ma in quello degli Aeroclub, o in quello del controllo del traffico aereo. Ma anche in altri ambienti diversi. Perché certe dinamiche, certi personaggi, certi atteggiamenti, sono gli stessi. Nelle piccole come nelle grandi realtà. Sempre la stessa storia.
Ho scritto in altre recensioni che l’umanità è sempre quella, ovunque si trovi. Qualunque essere umano porta in sé le caratteristiche tipiche degli esseri umani. Nel bene e nel male. Anche se l’ho già detto e ridetto, vale la pena ripetere che un essere umano è capace di compiere le azioni più atroci, come pure quelle più elevate e nobili. Può spaziare dal peggio del peggio al meglio del meglio, con tutte le gradazioni intermedie. Ma dove si ritrova collocato in questa escursione dipende da un’infinità di fattori che è veramente difficile predire. Difficilissimo sapere chi è il soggetto che hai davanti e come potrà interagire con te e con le tue intenzioni. Se ti aiuterà o ti ostacolerà. Se ci sarà una possibilità di collaborazione o troverai soltanto ostruzionismo. Perché non si può stabilire a priori in quale parte di quella famosa possibilità di escursione tra il bene e il male si colloca il soggetto. E questo vale per tutte le persone che ci troviamo intorno.
Dunque dipende da chi incontri.
E nel primo capitolo, infatti, troviamo subito alcuni personaggi che, come faremmo nella vita reale, possiamo già delineare. Si intuisce con chi abbiamo a che fare. Ma non troppo.
Complimenti all’autore per come ha caratterizzato i suoi personaggi. Pare di vederli.
Tutto questo prosegue nel secondo capitolo dove le situazioni si snocciolano meglio e i personaggi cominciano a rivelarsi sempre di più.
In realtà, nel continuare la lettura, seppure calamitato dallo sviluppo della vicenda tanto da non riuscire a finire un capitolo senza attaccare subito il successivo per vedere cosa sarebbe successo in seguito, mi sembrava che l’autore avesse calcato un po’ troppo la mano in certe situazioni. Troppa “cattiveria”, quasi perfidia, atteggiamenti di ripicca e di minaccia. Tutto questo si trovava ad affrontare la protagonista, praticamente ad ogni azione che cercava di compiere per raggiungere la linea di volo e poi addirittura durante il volo stesso. Sembrava che tutti, ma specialmente uno, cercassero il pelo nell’uovo per ostacolarla in ogni maniera.
La storia riguarda una serie di voli tra diversi aeroporti. Alla fine della prima tratta, durante l’avvicinamento finale alla pista, si verificano una serie di problemi che a tutta prima mi sono apparsi addirittura inverosimili. Nella mia vita di controllore del traffico aereo, avendo prestato servizio proprio sulle Torri di Controllo, non ho mai visto chiudere un aeroporto per i motivi descritti nel libro, né ho mai sentito comunicazioni tra controllore e pilota così pressanti, con richieste di conferma tanto asfissianti e continue, specie durante un avvicinamento finale. Troppo inverosimile. Sembravano richieste fatte per dispetto.
Nessun controllore metterebbe fretta ad un pilota, come descritto nel libro. E se lo fa, certamente si assume una bella responsabilità, nel caso dovesse succedere qualcosa. Inverosimile anche questo.
Inoltre mi sembrava che la protagonista del racconto, una pilota Comandante di nome Marina, fosse troppo succube nei confronti dell’altro protagonista, il suo copilota. La figura di un Comandante è di solito diversa.
Questa Marina appare anche troppo indecisa, sia nelle decisioni tipiche della condotta di un aereo, sia nei confronti di tutti gli altri personaggi della vicenda.
Superata questa fase, nel progredire del racconto, quindi nelle altre tratte che i due piloti percorrono, ho iniziato a capire perché l’autore aveva calcato la mano su certi elementi. Voleva mettere in evidenza qualcosa.
E ci è riuscito alla grande, a mio giudizio.
Infatti mette in evidenza tutta una struttura di regole e procedure, automatismi e criteri che sono diventati talmente vincolanti da paralizzare addirittura l’unico elemento che dovrebbe invece rimanere al di sopra di tutto: il cervello umano.
Ormai gli automatismi hanno quasi annientato la figura umana e umiliato a tal punto la sua capacità di giudizio fino a farla apparire addirittura pericolosa. E così hanno reso la figura di un pilota più simile ad un Operatore di Sistema, uno che sappia spingere il bottone giusto al momento giusto e seguire pedissequamente le procedure scritte su una check list, lasciando che il resto lo faccia l’aeroplano.
Ok, va tutto bene, ma insieme a questo, quel pilota dovrebbe avere anche capacità di pilotaggio manuale, capacità di reazione nelle situazioni anomale che le procedure standard non contemplano, dove ci vuole qualcosa di più, dove serve capacità di giudizio che consenta di risolvere un problema anche quando sia necessario andare addirittura contro le regole. E questa si chiama formazione. Forse oggi la formazione è stata lasciata un po’ indietro, a favore di addestramento e allenamento.
“… abbiamo messo l’Umanità al servizio delle regole e non viceversa”,
dice ad un certo punto uno dei personaggi durante una conversazione.
Niente di più vero. E questo ha consentito a personaggi dal forte ego, afflitti da motivazioni perverse, di appropriarsi degli ambienti e, sfruttando le regole, diventare una specie di dittatore, un accentratore di potere che detta legge con una crescente autorità e maniere sempre più arroganti. Una specie di Kapò, come dice l’autore.
A questi personaggi è difficile opporsi, difficile arginarli. Difficile combatterli. A loro si uniscono altri personaggi più deboli, ma altrettanto desiderosi di potere, che si alleano per avere di riflesso la loro parte di potere. Sono i leccapiedi, gente inetta e servile, subdola e falsa. Ma rafforzano i kapò.
Dato che le modalità sono le stesse nel piccolo ambiente come nel grande, non serve andare in una Compagnia Aerea per vedere queste cose. Ci sono in tutti gli ambienti. Anche negli Aeroclub.
Di solito sono personaggi che arrivano silenziosamente. Magari sono istruttori, presidenti o rappresentanti di specialità. E altrettanto silenziosamente crescono e costruiscono intorno a loro una coalizione che li sostiene. Ne ho visti un’infinità, sia nell’Aeronautica Militare che negli ambienti civili. E non mi meraviglia che ce ne siano un’infinità anche nelle Compagnie Aeree. O negli Aeroclub. Basta avvicinarsi ad una scuola di volo per adocchiare qualcuno che somigli al tipo di kapò di cui parla Soldati. Tra gli istruttori, infatti … anche se per fortuna non sono tutti così.
Un istruttore ha il vantaggio di gestire il destino degli allievi. Per un allievo è facile mitizzare un istruttore, al quale, sin da subito affidano la loro vita, specialmente nelle prime missioni di volo. E un allievo non può capire da subito con chi ha a che fare. Passa del tempo. Ma la storia è sempre la stessa. L’istruttore, magari un incapace, subisce la presenza di altri istruttori più bravi di lui, perché gli fanno ombra. Così istiga gli allievi a volare solo con lui. Non con altri. Lasciando intendere che altrimenti se ne offenderebbe. In genere accentra su di sé un sacco di incarichi, si occupa di tutto. Diventa, per così dire, indispensabile, perché uno che libera gli altri di tante incombenze fa comodo. Inizialmente si mostra gentile e disponibile, ma poi diventa sempre più autoritario e minaccioso. Con il risultato che molti, per timore di rappresaglie, gli si stringono di più intorno. Gli altri, quelli bravi che subiscono questo stato di cose, si tappano il naso e si allontanano. Molti se ne vanno, lasciando campo libero al kapò.
Qualcuno, magari un sognatore, irriducibile e ribelle, prova a risolvere il problema. Parla con qualcuno, un presidente o un direttore di scuola.
Alla domanda: “ma perché lo tenete?”, si sente rispondere: “perché fa comodo“.
Certo, fa comodo. Ma fa anche danni, che si paleseranno nel tempo. Quando ormai sarà difficile ricollegare la causa con il suo effetto.
Ho visto chiudere Aeroclub, ho visto succedere incidenti, per via di queste dinamiche. Ma ho visto che la strada per interrompere questo percorso, che avrebbe portato alle tristi conclusioni suddette, era chiusa.
Anche nel lavoro ho avuto modo di combattere contro personaggi e comportamenti del genere. Ho sempre affrontato tutto, ogni volta che ce ne è stato bisogno, ma nessuno mi ha mai seguito. Tutti se ne stavano in disparte, sindacati compresi. Ma soprattutto colleghi, che subivano come me lo strapotere di qualcuno, indispensabile e che faceva comodo, che però metteva tutti gli altri a rischio di qualche spiacevole conseguenza. Tutti muti. Silenzio.
Una volta, dopo una di queste battaglie, una collega mi si avvicinò e, con voce suadente mi disse di lasciar correre. Di stare tranquillo. Le dissi che sarebbe stato anche interesse loro risolvere alla radice certi problemi. E le chiesi perché non facessero nulla.
Mi sentii rispondere, sempre con quella voce suadente: “Tu metti tensione. Noi vogliamo stare tranquilli”.
Ecco. Ho sempre saputo che il miglior alleato del guerrafondaio è il pacifista.
In questo libro però …
Pensavo che l’autore avesse esagerato le cose, avesse enfatizzato troppo gli avvenimenti, caratterizzato oltre misura i personaggi. Ma mi sbagliavo. Nella vita reale si trova anche di molto peggio. E l’intreccio della storia rende perfettamente l’idea.
Il mondo sta davvero andando in una direzione inquietante. Si cerca di automatizzare tutto, di controllare minuziosamente tutto, di risparmiare su tutto. Sacrificando però l’essenza della natura umana, trasformando le persone in automi, in una sorta di schiavi dipendenti da kapò che, in ultima analisi, sono schiavi pure loro.
Occorre comunque dire che questo libro riesce anche a portare una notevole dose di fiducia e di speranza nei nostri cuori. E’ fatto bene. La storia è strutturata in maniera magistrale e riesce davvero a comunicare ciò che stava a cuore all’autore. E indica addirittura il modo di riconoscere certi personaggi e come vanno combattuti.
Inoltre, fino alle ultime pagine, riesce a celare qualcosa che poi verrà fuori in tutta la sua evidenza, colpendo il lettore come un pugno. Bello davvero. E’ una sonora lezione di vita.
E con le ultime parole si ricongiunge all’appello iniziale, alla dedica:
“Ai sognatori, agli irriducibili e ai ribelli poiché, da adesso in poi, siamo nelle loro mani”.
Eh, sì. Solo loro possono raddrizzare la brutta piega che ha preso il mondo. Anzi, diciamolo meglio: solo noi.
Speriamo, perché alla luce della mia esperienza personale e alle vicende attuali, guerre, mutamenti climatici, migrazioni di massa, delinquenza dilagante e altri malanni, ci credo poco.
Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
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