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Un decollo risicato

aeroplanino turbolenzaParecchio tempo fa un distinto signore con folta barba nera (diventatagli poi bianca) venne a trovarmi in Aero Club chiedendomi se potevo accompagnarlo da Palermo a Pantelleria.

Era un commerciante di vini e, infine, acconsentii purché pagasse mio tramite il costo del volo.

Il giorno prima c’era stato forte scirocco, ma ora cal-ma piatta, e venni anche rassicurato dall’Ufficio Meteo. Feci preparare l’aeroplano che generalmente usavo per lanciare paracadutisti, imbarcai accanto a me anche un collega che oggi è pilota di linea e feci accomodare il commerciante nel sedile posteriore; rullai per portarmi in posizione attesa, pronto per il decollo, autorizzato. La manica a vento era a zero ma, appena staccato alla giusta velocità, questa di colpo si dimezzò portando l’aeroplano in stallo; poi si riprese e di nuovo stallo …! Riuscii a superare “a pelo” le case che si trovavano in fondo alla pista e qui l’aeroplano cominciò a salire come un ascensore! Il seguito nel racconto …!



Narrativa / Medio-breve Inedito; ha partecipato alla III edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2015; in esclusiva per “Voci di hangar”

Cielo senza confini

Tutti i lunedì, martedì, eccetera (che monotonia!) me ne vado al Club Albatros, dove faccio l’istruttore VDS (Volo da Diporto Sportivo) con un apparecchio tubi-e-tela capace di decollare e atterrare in metà della pista in terra battuta lunga non più di quattrocento metri. Per arrivarci mi faccio ogni giorno centoventi chilometri, fra andata e ritorno, con la nuova utilitaria che nel giro di un anno ne ha superato cinquantamila … e ancora devo finire di pagarla!

Quel memorabile sabato, 1° Giugno 2002, ero ancora solo e, guardando il cielo parzialmente nuvoloso, cominciai a sognare ad occhi aperti ripensando ad un volo speciale fatto qualche tempo prima.

Un volo fantastico, fuori dal tempo e dallo spazio: ero sopra e fra le nubi, in una bianca e sinuosa valle incassata fra picchi illuminati dal sole e dall’arcobaleno! Una strada infinita, con tunnel di bambagia in cui si entrava, per uscirne in curve iridescenti, poi giù a capofitto in burroni senza fondo che sfociavano in canyon risalenti verso la luce, vivida, abbagliante, in anfratti misteriosi con stalattiti e stalagmiti trasparenti! Quell’aereo ultraleggero, con motorino da ottanta cavalli, saliva e volteggiava come un angelo, magnifico, elegante, superbo.

Mi svegliò dal torpore in cui ero caduto un amico pilota, per chiedermi se poteva usare anche i miei bidoni per rifornire di benzina alcuni ultraleggeri diretti a Trapani: l’indomani avrebbero fatto scalo tecnico sul nostro campo.

– Verrò ad aiutarti: ma dove vanno? A Trapani? Non mi pare che ci siano campi di volo o aviosuperfici da quelle parti … evidentemente non sono aggiornato.

– Ma no, gli amici di Siracusa andranno a Trapani Birgi!

– L’aeroporto militare di Trapani? Stai scherzando? Su Trapani atterrano gli aerei di linea, ma è vietato a quelli da turismo … figuriamoci agli ultraleggeri! –

Pensavo, intanto, alle difficoltà incontrate in passato per farci qualche trasferimento da Boccadifalco, l’aeroporto minore di Palermo, sede di Aero Club: occorrevano speciali autorizzazioni rilasciate dal competente Ministero, da citare nei piani volo, e con gli aeroplani ci si poteva andare soltanto nei giorni prefestivi e festivi (ma non sempre) quando gli F.104 di stanza a Birgi, pur sempre in stato d’allarme, riposavano un tantino! Già allora era obbligatorio il trasponder, affinché gli operatori radar potessero facilmente individuarli; mentre ora una formazione di apparecchietti, neanche forse muniti di radio, poteva impunemente andarci?

– Impossibile, tu mi prendi per i fondelli …

– Non sto scherzando, te lo giuro! Anzi, sono stato invitato ad aggregarmi: vuoi venire con me? –

L’amico, che è sempre stato persona seria, possiede un ultraleggero migliore del mio, più veloce, sempre lucidato a specchio, e mai mi ha imbrogliato: devo credergli e, naturalmente, accetto con cauto entusiasmo. Mi toglierò lo sfizio di scendere su quello scalo proibito? Chissà! Sarà vero che questi altri amici sono autorizzati?

– Certo è – m’informa – che si tratta di volatili in gamba. Alcuni di loro hanno fatto un incredibile Raid fino a Capo Nord, altre volte sono andati a Malta … Ma sì, sono anche atterrati a Sigonella, l’aeroporto militare di Catania e base NATO!!! –

Ricordo d’essermi battuto come un pazzo, in quegli anni, per scendere con l’ultraleggero sul vecchio scalo di Boccadifalco e non ci sono riuscito, pur essendo allora pilota d’aeroplano e presidente del locale Aero Club.

Quest’aeroporto era proibito (ora non so) anche ai piloti di Aviazione Generale provenienti da altre sedi: aperto per loro soltanto in occasione del Giro Aereo Internazionale di Sicilia che si svolge ogni anno, fin da quando era prova valevole per il campionato mondiale di velocità.

Non c’era una logica in tale proibizione, considerato che in tempi non lontani chiunque poteva arrivarci in volo, anche in presenza di un reparto dell’Aeronautica Militare trasferitosi poi a Trapani.

A onor del vero, alcuni di noi avrebbero potuto volarci con gli ultraleggeri, in occasione di manifestazioni sportive o di protezione civile, a condizione di portarceli smontati: pura follia! E questi se ne vanno impunemente a Trapani Birgi? Cose da pazzi, non c’è più mondo!

Domenica 2 Giugno, alle sette, percorsi i soliti sessanta chilometri, sono già al campo, piazzo la manica a vento, controllo che non vi siano ostacoli in pista e sistemo i bidoni vicino alla porta dell’hangar.

Il nostro apparecchio, già pronto, morde il freno dell’attesa. Finalmente arrivano, uno dopo l’altro, e sono in DIECI! Ordinatamente atterrano per pista 24, essendoci un venticello da ovest, ed ho il mio daffare per aiutarli a parcheggiare nei modesti spazi del nostro campo.

Hanno tutti fretta di rifornire perché: “Abbiamo una finestra che occorre rispettare”.

Rapide spole, dunque, con le nostre auto stracariche di bidoni, fra campo e distributore più vicino, dove ci serviamo abitualmente.

Apprenderò che ai siracusani si sono aggiunti i catanesi; le due formazioni, riunitesi in volo e lasciato l’Etna alla loro sinistra, hanno tagliato nell’entroterra puntando su Capo D’orlando per proseguire lungo la costa tirrenica fino al nostro campo, dieci chilometri a ovest di Cefalù. A loro si uniranno adesso un palermitano ed un oriundo messinese (io): il volo affratella, non c’è dubbio!

Eseguiti i rifornimenti, ancora incredulo, decolliamo in coda al Gruppo.

Dopo cinquanta minuti di volo siamo a Birgi e posiamo dolcemente le ruote su quella pista liscia come un tavolo da bigliardo. Quindi rulliamo per alcuni chilometri raggiungendo, con i motori surriscaldati, il piazzale dell’aerostazione civile; entriamo e siamo accolti con entusiasmo dai gestori del bar (che raramente vedono tanta gente insieme) e con estrema cortesia dalla Società di Gestione, cui tuttavia, prima di ripartire, dovremo pagare l’handling normalmente richiesto ai piloti degli aeroplani: ma è da dire che, oltre a disbrigare le formalità di “rito” (modulistica, documenti, eccetera) hanno messo a nostra disposizione un pullman che, attraverso lo spettacolo delle saline, ci ha condotto in un ristorante prospiciente l’incantevole isola di Mozia e, più tardi, è tornato a riprenderci.

Rivedere gli undici apparecchi ordinatamente allineati sul grande parcheggio altrimenti vuoto, col monte Erice sullo sfondo di quell’abbacinante scenario azzurro, è stata per me (e giurerei per tutti) un’emozione fortissima.

Il decollo, poi, dell’intera formazione condotta dal leader di turno, mi rese soddisfatto e felice come un bambino impunito che aveva appena rubato la marmellata!

Grazie agli organizzatori di quel volo eccezionale, ho ritrovato la speranza di un cielo senza confini e recinzioni!

Mi resta, intanto, il bellissimo papiro regalatomi dal Presidente dell’Avioclub di Siracusa raffigurante un giallo biplano che sorvola il teatro greco di quell’antica Città: mitico dono d’ali per raid ritenuti impossibili!



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

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Michele Gagliani

Cielo senza confini

aeroplano ala alta rosaUn volo nel mondo incantato delle nuvole e poi un eccezionale raid rimasti indelebili nella mia memoria.

Del primo poche parole che fanno sognare!

Per comprendere l’altro bisogna sapere che i Piloti VDS (Volo da Diporto o Sportivo) operano, per legge, solo su aviosuperfici e campi di volo, ma non possono assolutamente farlo su aeroporti militari. E, però, in uno di questi sono potuto andarci!

Undici apparecchi ultraleggeri (pur con i divieti imposti anche agli aeroplani da turismo) sono stati eccezionalmente autorizzati ad atterrare sull’aeroporto di Trapani Birgi, base dei caccia F104 dell’Aeronautica Militare, sentinelle del Mediterraneo, accolti da tutti con squisita cortesia.



Narrativa / Medio-breve Inedito; ha partecipato alla III edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2015; in esclusiva per “Voci di hangar”

Per puro caso

Contrariamente a quanto lascia ad intendere il titolo, questo racconto è tutto fuorchè nato “per caso”.

In effetti l’autrice, alla ricerca di materiale utile con cui partecipare alla III edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”,  è stata come folgorata da un vago ricordo: il diario del nonno. Da qualche parte della sua sconfinata biblioteca casalinga doveva essere custodito il diario che il nonno aveva compilato scrupolosamente … in pratica fino all’ultimo dei suoi giorni.

Da questo cimelio è nato appunto il racconto che ci fornisce un ritratto vivido di Umberto Facoetti, ufficiale pilota della Regia Aeronautica Italiana, volontario nella campagna di Spagna e lì scomparso nel corso di una missione.

Uomo valoroso e al contempo generoso, affettuoso nonchè molto religioso. Insomma un italiano d’altri tempi (i ’30) in quanto animato profondamente da quei principi morali che oggi appaiono a dir poco sbiaditi.

Ovviamente si tratta di un pretesto, un caso appunto, ma utile per riallacciare quei legami che il tempo, inclemente come il trascorrere del tempo sa essere, aveva quasi cancellato.



Narrativa / Medio-lungo Inedito; ha partecipato alla III edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2015; in esclusiva per “Voci di hangar”

Per puro caso

Tutto ebbe inizio per puro caso, dovevo scrivere un racconto che trattasse del volo ed avendo io conoscenza pressoché nulla di aerei e quant’altro li coinvolgesse, me ne stavo parecchio pensierosa sul da farsi.

Ad un certo punto mi tornò in mente che, da qualche parte per casa, vi era ancora il libricino che trattava delle vicende di mio nonno pilota, che io non ho mai avuto la fortuna di conoscere, essendo morto anni prima che io nascessi.

C’è da dire che sono una persona disordinata, ma in questo caso sapevo che l’oggetto in questione era nella libreria, si trattava soltanto di capire dove precisamente: la osservavo e lì, in quel mare di libri vidi subito sbucare il libricino blu che cercavo; nell’aprirlo l’emozione mi colse e mi chiedevo se fosse una semplice coincidenza che esso sbucasse tra gli altri libri, o tutto rientrasse nel dictat di Padre Pio: “Nulla accade per caso”.

Io amo scrivere, e questa mia caratteristica mi accomuna al nonno: come me, egli teneva con rigore quasi militare il proprio diario, e questo mi ha permesso di conoscerlo almeno un poco.

Mio nonno era figlio unico di panettieri bergamaschi, così come anch’io non ho fratelli; classe 1911, fu un pilota italiano dalle indubbie qualità militari, unite ad un rigido e misurato senso del dovere.

Io sono l’orgogliosa nipote del tenente pilota Umberto Facoetti che esercitò l’alta funzione umana con la giusta armonia tra l’esplicazione dei propri doveri di soldato e la vita familiare: purtroppo, queste ultime gioie furono per lui piuttosto brevi, dato che il nonno restò sposato soltanto pochi mesi, cinque per l’esattezza.

Mio nonno viveva la sua professione come una missione delle più sublimi, diceva che volare gli consentiva di avvicinarsi a Dio; lassù in cielo, lui viveva come assorto in un sentimento che occupava tutto il suo spirito.

Il nonno era fortemente cristiano, con una fede immensa, la stessa grande religiosità che è dentro di me: Dio ci ha dato la vita ed un libero arbitrio che ci permette di scegliere ogni momento da che parte stare; io oggi sono fortemente credente ma non sempre lo sono stata come ora; nella vita a volte succedono cose che la scienza non è in grado di spiegare e allora ecco che ci si ritrova dentro una religiosità forte e intensa; io sono fortemente convinta che questo aspetto della mia vita sia eredità di mamma e anche del mio nonno, che rischiava la vita e ringraziava la Madonna per averlo conservato vivo.

Posso dire di conoscere mio nonno attraverso il diario che compilava, e mi piace immaginarmelo alla sera di fronte alla scrivania dopo una delle tante missioni di pace o di guerra in cui era impegnato nella giornata; sono certa che ha affrontato quella vita difficile con tutto l’impegno, consapevole di lavorare per la pace.

Mio nonno dopo alcuni anni di professione da pilota militare, si propose volontario in Spagna. Affrontò questa scelta con impegno costante, si prodigava in ogni circostanza con slancio ed esemplare entusiasmo; partecipò a numerose azioni sui fronti di Teruel e d’Aragona, in qualità di pilota e di capo-equipaggio di apparecchio da bombardamento, dimostrando ottime doti di valoroso soldato.

Se in una giornata di sole alziamo i nostri occhi al cielo, vediamo un azzurro intenso e limpido, talmente bello da darci sensazioni meravigliose, con nuvole dalle mille forme che rendono tutto davvero bellissimo, anche quando i temporali oscurano tutto; il cielo ci fa pensare agli Angeli, non è forse lì che abitano i nostri morti?

Alle volte qualcuno ha desiderato d’attraversare quel mare infinito che è sopra di noi, l’unico modo per farlo è volare: nei secoli più gente ha provato la strana sensazione di librarsi nel cielo infinito, già quando si sciolsero le ali di Icaro per aver egli preteso d’avvicinarsi troppo al sole; fu un volo fatale, guidato dallo stesso amore che i piloti provano per quello spazio infinito. Uno di questi fu mio nonno.

Mentre mi preparo ad uscire io penso a lui; accantono il libricino per andare a messa; dopo la funzione religiosa è prevista una festa, saluto la mia amica che mi presenta suo fratello: quasi sbianco nel guardare quel ragazzone alto con un bambino in braccio; mi ricorda nonno Umberto, ha un portamento elegante e militare, ben diverso da quello che dovrebbe avere un operaio.

Mi raccontano tutti che il nonno era un gran bell’uomo, alto e di bella presenza, aveva fascino da vendere; e ora mentre osservo quel giovane uomo stringere a sé il figlio mi pare, chissà perché, di vedere mio nonno felice con il proprio bimbo che non ha fatto in tempo a vedere.

Quell’immagine di dolcezza entra dentro di me e mi commuove, cerco di contenermi mentre tengo in mano il mio tramezzino e dico all’amica che devo proprio mostrarle la foto di mio nonno.

Rimango scombussolata e mi ripeto che non è accaduto nulla, in fondo quello è un ragazzo come tanti, ma l’affetto che ho dentro mi invade mentre non posso fare a meno di pensare: “Mio nonno era proprio così, sono certa che con suo figlio sarebbe stato così.”

Il nonno era sposato da poco ed attendeva la nascita di mio padre. Non deve essere stato facile per lui restare sul campo di battaglia per compiere il proprio dovere; amava la nonna ma era innanzitutto un soldato e non poteva lasciare il tutto perché questo avrebbe significato morire dentro; se avesse rinunciato alla propria essenza di pilota, mio nonno sarebbe ancora vivo, ma non sarebbe stato felice; non si sarebbe sentito degno di stare accanto a una donna, e chiederle amore e conforto.

Il nonno non pensava alla ricchezza, sentiva dentro il grande dovere di essere un aviatore; non gli interessava una vita tranquilla né invecchiare, egli voleva fare ciò che più amava: e questo era soltanto volare; il tenente pilota Umberto Facoetti era contento di essere al posto suo di rischio, di ardimento, di sacrificio, e non desiderava altro, perché amava la sua patria. E il Re.

Mentre scrivo questo racconto, è forte la tentazione di riportare le parole scritte direttamente da lui, non vorrei esimermi dal dare voce a una persona che adoro ogni momento di più: è come se scrivere di mio nonno mi portasse su strade non ancora percorse eppur strane, che mi indicano la strada da percorrere; e allora mi confronto con alcuni amici e ne traspaiono consigli di scrittura, che è come se intanto al mio fianco ci fosse proprio mio nonno, e ora che parlo di lui egli mi guida e mi dà segni della sua presenza al mio fianco.

Inserisco il suo nome su Google, così per curiosità, mi si apre una schermata con la pagina dei caduti della città di Bergamo, quartiere di Borgo Santa Caterina, è proprio dove viveva il nonno!

C’è la foto della targa con sopra i nomi dei caduti in guerra. Quando la apro faccio una scoperta shoccante: lì in bella mostra c’è il suo nome accanto alle parole “Capitano Pilota”. Buffo: in quel suo diario lui scriveva che lo volevano promuovere di grado, e poi lo scritto si interrompe … comprendo che mio nonno è diventato capitano per aver dato la sua vita per servire la patria.

Sono orgogliosa di lui e dei suoi gradi, ma per avere il suo nome su quella pietra che io vedo dal computer di casa, mio nonno e gli altri con lui hanno scambiato la loro vita per la libertà mia e di quelli come me.

E mentre mi sale dentro il disprezzo per ogni atto di guerra, mi cresce forte l’amore per mio nonno: è diventato capitano per meriti di guerra, poiché sulla sua tomba nel cimitero di Bergamo, lui è ancora il Tenente Pilota Facoetti

L’attività gli valse più volte decori al valore militare, e quel “capitano” accanto al suo nome tra un elenco di caduti, l’ha pagato col sangue.

Mi raccontava mia nonna che il marito superò mille peripezie, come quella volta in cui, solo al comando, il giorno dopo Natale del 1937, nel cielo di Teruel fu colpito da una granata e continuava con mirabile calma nella regolare condotta del velivolo, permettendo in tal modo il completo svolgimento dell’azione; ciò gli portò la medaglia d’argento.

Egli fu un tenente pilota modesto perché, avendo volato a sufficienza in una zona di volo, decise di cambiarla per lasciare il posto ad altri che ne avevano più bisogno: aveva un grande cuore.

Capo equipaggio audace ed instancabile, esempio di spiccate virtù militari, egli compì numerosi voli di guerra (in numero nettamente superiore a quelli di pace), portando a compimento svariate missioni e sempre distinguendosi per ardimento, slancio e dedizione al dovere.

Fu un ufficiale pilota abile, sempre pronto ad offrirsi volontario nelle missioni: la nonna mi raccontava che in una spedizione organizzata per il recupero di importanti documenti del Comando Aeronautica, egli si trovava a bordo di un apparecchio incidentatosi in regione impervia: effettuò una marcia faticosa e difficile, contribuendo efficacemente a sventare l’agguato di indigeni armati e raggiungendo la meta col faticoso trasporto del materiale felicemente recuperato.

Nelle azioni di bombardamento e di mitragliamento, egli affrontava sempre serenamente e a bassa quota la reazione avversaria, confermando il suo valore e contribuendo efficacemente al successo: fu sempre un valoroso combattente che si meritò due ricompense al valor Militare.

Mio nonno aveva una forte tempra fisica, resistente alle fatiche ed ai disagi; i superiori descrivevano l’ottima educazione civile e militare e come in ogni suo atto egli dimostrasse un comportamento signorile: pare che anche una volta rimpatriato chiedesse insistentemente di essere inviato in missione speciale all’estero comportante alti ideali patriottici; conosceva bene i regolamenti che applicava con sano discernimento.

La grande fede era in mio nonno accompagnata ad un carattere franco, leale e sincero; aveva un contegno rispettoso ed educato.

Mi sembra di percepirne la presenza al mio fianco mentre scrivo.

La scrittura, nostra comune passione, è la via che lo conduce a me, come se sentissi una carezza sulla mia testa: mi pare di averlo qui con me, a osservare le parole scritte sul mio computer e guardarmi teneramente, con una tenerezza di nonno che non ho mai conosciuto.

Il giovane pilota era animato da altissimo spirito combattivo (lo stesso carattere forte che è in me); egli era audace ed insieme ponderato (caratteristica che a me purtroppo manca); in sé stesso conservava l’ottima preparazione morale che tanto ci accomuna; egli dava sempre il massimo rendimento, così come mia mamma mi ha insegnato a chinare la testa in attesa di un obiettivo, impegnandomi a fondo per raccogliere un giorno i frutti di tale fatica.

Egli era una persona decisa e riflessiva, così come anch’io sono, rifletto sempre molto sulle decisioni che coinvolgono la mia vita, pondero anche gli amici al mio fianco, evitando coloro i quali non tengono in giusta considerazione la religiosità dell’uomo, od anzi chi predilige scelte di ricchezza raggiunta ad ogni mezzo, o chi invece vive la propria vita seguendo l’indole del più forte.

La calma insita nel nonno, è forse la dote che a me più manca; il suo pieno attaccamento all’arma cui apparteneva non è certo il mio.

Non posso fare a meno di pensare a quella professione difficile che me l’ha portato via: sono sicurissima che egli amasse più di ogni cosa al mondo fare il pilota, e il sapere che è morto facendo ciò che più amava, è per me una consolazione.

Sono certa dell’alto grado di addestramento che gli ha permesso di dare sempre il massimo rendimento: le sue ottime qualità tecnico-professionali di ufficiale combattente gli hanno permesso di raggiungere con onestà livelli elevati dell’Arma Aeronautica.

La vita del soldato tenente pilota Umberto Facoetti fu davvero densa di avvenimenti, a cominciare dal periodo di prima nomina e richiamo in Eritrea, al passaggio all’arma aerea, l’assegnazione alla Scuola di bombardamento in Napoli, al ritorno in A.O. per le operazioni di guerra, poi il ritorno in patria e successiva assegnazione alla missione in Spagna.

Egli era molto devoto a colei che chiamava la “Madonnina” di Pompei, e mi ritrovo a sorridere mentre io stessa chiamo con identico affettuoso termine la Madonna, per un sentimento che mi nasce dal cuore; il nonno riteneva di essere stato molto a lungo protetto da lei nelle tante avversità che la sua vita comportava, così come anch’io ho superato qualche avversità grazie al supporto della fede.

Mancando mio nonno, la sua religiosità forte non venne mai recepita appieno dal figlio che crebbe con una madre e vedova sofferente di un pilota. Mio padre racconta che a mia nonna, a diciannove anni, vennero in un istante tutti i capelli bianchi quando seppe della morte del suo amato consorte.

Il nonno era solito specificare che egli era un credente convinto e non certo un bigotto, così come io mi rendo conto che nelle avversità “qualcuno” ci è sempre a fianco, e forse anche quel nonno che mi sembra di conoscere ogni istante di più.

Questa religiosità che mi accomuna a lui, non è insita in mio padre Umberto che, cresciuto più coi nonni che con la madre, non visse mai quel senso di stabilità che solo i genitori possono dare.

Mio nonno aveva parole affettuose di figlio nei confronti dei propri genitori, così come il mio affetto per mia madre (scomparsa prematuramente) è la cosa più importante della mia vita: vivere per lei e secondo i valori che lei mi ha ben trasmesso, è il mio compito.

Non è stato facile vivere a fianco di un padre orfano di guerra, che ha vissuto la vita con questa sofferenza nel cuore come un fallimento: rigido nell’educazione e praticamente anaffettivo, con una religiosità tutta sua che interpreta a piacimento. Mio padre è sempre stato agli antipodi di me, mentre mamma era il mio rifugio nelle difficoltà.

Ho ancora dentro i dettami dell’educazione militare che mi fu inculcata, a cominciare da quell’ossessivo: “Stai dritta”, “A tavola parlano i grandi”, e le sculacciate prese se mi cadeva una forchetta, e a letto senza cena.

Sono cresciuta con il timore di mio padre, che soltanto la presenza di mia mamma è riuscita a mitigare nei nostri due caratteri praticamente opposti: morta lei, abbiamo preso due strade diverse, io restando nella Bergamo dove il nonno ha vissuto ed è sepolto, lui da anni vive ormai in Sardegna.

Sono diventata adulta senza mai provare l’amore per il volo, che fu la causa della morte del nonno e la più grande disgrazia della mia famiglia; e chissà se in questo ha la sua parte il fatto che per il mio secondo compleanno ricevetti in regalo un volo su un aereo: non ricordo le emozioni del giorno, ma negli anni mi venne riproposto quel primo volo come un avvenimento.

Ricordo invece benissimo il volo che feci a vent’anni su un quattro posti pilotato da un amico di papà, che lui mi aveva regalato; e non posso scordare la turbolenza e le manovre acrobatiche che compiva colui che mio padre, intanto, definiva un pazzo; scesi dall’aereo con le gambe tremolanti e la testa che girava, ma quel giorno conobbi il mio ex fidanzato, pilota per hobby: stare con lui fu la più bella esperienza di quel volo.

Mio padre non riuscirà a diventare pilota: pare che all’epoca la professione fosse preclusa a chi aveva una grossa miopia; in alternativa egli svilupperà l’hobby del paracadutismo, trascorrendo ogni momento libero ai raduni sparsi per l’Italia, talvolta portandosi dietro la figlia; la sua passione continuerà anche dopo essersi fratturato la gamba per un lancio, limitandosi però ad osservare gli altri.

Passerò la vita a sentirlo sognare di spendere tutti i suoi risparmi nell’acquisto di quel biplano che poi fortunatamente non comprerà mai; vivrò le sue indimenticabili sorprese, come quel giorno di Pasqua in cui saltammo la messa per andare a Cremona a pranzare in un ristorantino ordinario ma che di fronte aveva l’enorme pista di atterraggio, l’unica cosa che io vidi di tutta la città.

Anche quando andai a trovarlo in Sardegna, l’unica cosa che mi mostrò furono le piste di atterraggio di piccoli aerei; ricordo solo quella di Alghero con un ristorante davvero eccezionale.

Non sono mai totalmente tranquilla quando sono su un aereo, anche quando è un volo di linea che mi sta portando in vacanza in Inghilterra: mentre volo prego tanto e sono contenta che anche mio nonno mentre volava lassù nel cielo pensasse a Dio; io mi rilasso un poco soltanto quando sono ad alta quota e l’aereo non fa più balzi; da lassù penso fortemente a mio nonno che è morto proprio in quel cielo infinito, e credo che lui non permetterà che possa accadermi qualcosa.

Sono contenta che scrivere tutto questo mi abbia consentito di conoscere di più mio nonno, vedere i punti affini con lui, praticamente tutti tranne quello per lui più importante; scrivere di lui me lo fa sentire vivo come mai è accaduto prima, una sorta di presenza paterna … e mi viene da dire a mio nonno che se lui non ha potuto provare la gioia di crescere suo figlio, io sono ben felice di sentire quella carezza sulla testa, e avere lui pilota che mi protegge dal cielo.

Non posso non pensare che mentre trascorrevo anni a non capire mio padre ed i suoi atteggiamenti burberi, forse la risposta era tutta qui, in quel nonno con tutti gli aspetti che mi accomunano a lui: e mi sembra di conoscere lui più ancora di quanto io abbia mai potuto comprendere mio padre.

Mi ritrovo nella fede del nonno e di mia mamma: ritrovo un nonno affettuoso come non è stato il mio genitore che forse ha cercato di comunicare con me soltanto attraverso aerei e paracadutismo praticamente in ogni salsa, a cominciare dalle grandi ali che si è tatuato sul braccio in gioventù: non ho ricordi di lui se non associati a queste ali, anche con le volte che, sprezzante del freddo, indossava camicie corte per mostrarle orgoglioso.

Oggi mi sento nipote orgogliosa di quel nonno che combatteva animosamente nei cieli di Spagna sentendo odor di vittoria; sono la nipote di un uomo speciale che era anche pilota, era mio nonno che non ho mai conosciuto ma oggi sento vicino a me, in queste cose strane ed impossibili, senza spiegazioni: un uomo che è morto settantasei anni fa ed io lo sento presente nel mio cuore, con quelle caratteristiche che sono le stesse mie nonostante i tanti anni che ci separano.

Ed era lì la mia religiosità, i miei valori e la forte moralità che mi impedisce di fare scelte sbagliate e mi indica la strada anche quando non vorrei: la mia indole interviene a decidere al mio posto.

E questo mio carattere a volte strano, che non comprendo appieno quando guardo chi vive più tranquillamente la propria vita, mi pare di comprenderlo soltanto ora che penso a mio nonno e leggo di lui.

Ho davanti a me la sua foto di giovane tenente pilota, con i gradi che brillano orgogliosi sul suo petto, lì dove vi è anche il suo cuore.

E succede l’ultima cosa strana di questa vicenda: vado a vedere il marmo posto fuori dalla chiesa parrocchiale di Borgo Santa Caterina in Bergamo, il quartiere in cui mio nonno viveva, dove è nato e cresciuto con i suoi amati genitori; sono titubante all’idea di trovare il suo nome scolpito, e la prima cosa che vedo è un enorme cuore rosso che qualcuno ha dipinto su un muro: il cuore mi accoglie, mi invade d’amore e gioia tutta l’anima.

Lì, proprio di fronte vi è il nome “Capitano Pilota Facoetti Umberto”, appena sopra ad un grosso fiore di colore rosso; scendono lacrime sul mio volto, tristezza per la guerra ingiusta e tutte le gioventù rubate alla vita; piango appena in silenzio mentre guardo quel nome piena di dolore e di affetto, lì di fronte a me vi è quel cuore che mi ha accolto e mi invade l’anima di pace: mi pare un regalo del nonno che ha voluto rendermi leggero quel momento.

E ora sono sicura: il nonno sta cercando di comunicare con me e mandarmi quell’amore che ho sempre ignorato, ma era al mio fianco.

E mentre cammino verso casa, vedo una culla di bimbo di un inconfondibile colore verde militare, e mi pare di risentire quella carezza sulla testa: la dolcezza di un pilota che era mio nonno.



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Francesca Facoetti