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Recensioni dei racconti degli autori.

Pensieri sospesi … in mongolfiera


Sebbene il processo evolutivo gli abbia negato la dimensione aerea, quello del volo è un sogno che accompagna da sempre il genere umano tuttavia, l’ingegno che lo contraddistingue gli ha consentito di elevarsi comunque al di sopra della dimensione terricola e di guadagnare con dei congegni volanti un mondo che, per sua natura, non gli è congeniale.

Così, benché nel corso dei secoli della storia dell’umanità si annoverino molteplici tentativi di ascendere e solcare gli spazi sconfinati dell’atmosfera – alcuni più probabili, altri avvolti letteralmente dalla leggenda – la conquista dell’aria è avvenuta in epoca abbastanza recente. Se infatti consideriamo una macchina più pesante dell’aria (annuari della storia dell’aviazione alla mano) sappiamo per certo si è involata solo agli inizi del ‘900 mentre una più leggera dell’aria verso la fine del ‘700. Dunque una conquista agognata eppure sfuggente, tecnicamente assai complessa da conseguire.

Oggi sono milioni i passeggeri che viaggiano in lungo e largo attraversando la dimensione aerea a tutte le quote e latitudini, per motivi di lavoro o di piacere, con il risultato che il volo ha perso un po’ del suo fascino ancestrale.

Di sicuro questo scatto non è dell’autrice del racconto ma l’intenzione c’era di sicuro. E lo testimonia: “Mi estranio da tutto e ammiro il panorama. Tuttavia non posso esimermi dallo scattare qualche foto. Voglio immortalare nel tempo questa sensazione di sospensione, di attesa, d’immobilità.”

Esistono tuttavia diversi modi di volare: con gli autobus dell’aria, appunto, o con improbabili agglomerati di metalli leggeri assemblati in garage passando per minutissimi gusci d’uovo ma in materiali compositi o per finire ai grandissimi lenzuoli colorati pieni di funi e cordicelle … certo è che il volo rimane un’esperienza unica nel suo genere. E lo è tal punto che per alcune persone mantiene inalterato il suo fascino unico. Forse si tratta dei soggetti più sensibili oppure di quelli meno corrotti dall’abitudine o magari quelli più riflessivi. Semplicemente perché il volo comunica loro un senso di pace, è l’occasione per ritrovarsi di fronte alla visione della Terra dall’alto, per rimuginare sul proprio vissuto o pianificare il proprio futuro con rinnovato slancio.

C’è poi un altro aspetto di cui occorre tenere conto. Esistono molti luoghi sul pianeta Terra in cui ci si può involare. Dal Polo Nord, percorrendo i due emisferi fino a giungere all’altro Polo, è ormai possibile volare pressoché ovunque ma è pur vero che ci sono dei luoghi cosiddetti “speciali” dove l’esperienza di volo – già di per sé speciale – assume dei connotati davvero unici quanto memorabili.

Il volo in mongolfiera, “i camini delle fate”, il cielo … occorre altro?

Ebbene uno di questi luoghi è senz’altro la Cappadocia in Turchia e, in particolare, il parco nazionale di Goreme, una sorta di museo all’aperto che – non a caso – gode dello status di Patrimonio dell’umanità dell’Unesco.

In quel luogo, la presenza di particolari formazioni rocciose denominate: “camini delle fate” e di una moltitudine di mongolfiere che svolgono voli turistici all’alba rende possibile a moltissimi visitatori l’opportunità di vivere un’esperienza memorabile che segnerà loro l’esistenza.

Non ci credete? … beh, allora leggete il racconto di  Paola Trinca Tornidor e di Agnese Pelliconi che – incredibile a dirsi – hanno descritto minuziosamente – ciascuna a suo modo, s’intende – la medesima situazione.

Non sappiamo dire se Agnese e Paola abbiamo partecipato assieme allo stesso viaggio, tuttavia entrambe hanno descritto il loro volo in mongolfiera con la medesima vividezza. Così, se la prima ci ha regalato un racconto di più ampio respiro e dal taglio più intimista, la seconda ha preferito un breve racconto dai toni giornalistici piuttosto più che da quelli psicologici; eppure entrambe incuriosiscono il lettore e lo inducono a documentarsi oltremodo.

Di fronte a un simile spettacolo, queste sono i sensazioni che attraversano la protagonista del racconto di Paola Trinca Tornidor: “Da quassù i pensieri sono diversi, rarefatti. Forse non penso nemmeno ma lascio emergere solo le sensazioni. È incredibilmente affascinante.” Sottoscriviamo!

Poco male, cara Agnese e Paola perché ci è stato concesso l’onore di ospitarvi entrambe nel nostro grande hangar. Perciò ci permettiamo di affermare: grazie giuria!Un altro aspetto le accomuna: hanno partecipato entrambe alla VII edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE e, purtroppo, entrambe non hanno ricevuto un giudizio benigno da parte della giuria giacché non sono state ritenute meritevoli di accedere alla fase finale del Premio. Peccato.

E’ la prima volta che accade ma, a questo punto, con un’unica recensione vorremmo accennare contemporaneamente al racconto “L’alba delle fate” e a “Pensieri sospesi … in mongolfiera”. Come metterle a fattor comune.

 

“Nell’aria frizzante di un’aurora primaverile in Cappadocia, imbaccuccata negli unici abiti caldi trovati nello zaino, salgo …” comincia così il racconto di Paola Trinca Tornidor e, con l’aiuto di questo scatto, preveremo a esserci anche noi

La mongolfiera è un aerostato, ossia una macchina volante più leggera dell’aria, evoluzione di quella che i fratelli Mongolfier fecero volare nel 1783 e rimane ancora oggi un aeromobile non direzionabile, alla mercé dei venti e capace solo di ascendere o discendere a discrezione del pilota. Il volo della mongolfiera è morbido, il suo distacco da terra è dolce e anche la salita in quota avviene nel più completo silenzio (fatto salvo il rumore del bruciatore che provvede a immettere nell’involucro aria calda e i prodotti della combustione del propano) con una fluidità che è tutta una sua prerogativa.

Se questo volo si svolge alle prime luci dell’alba sopra un territorio come quello della Cappadocia con lo sfondo dei “camini delle fate” la magia è compiuta, E se poi ai colori dei primi raggi del sole riflessi sulle rocce si unisce una distesa a perdita d’occhio di mongolfiere multicolori che s’innalzano tutte assieme e tutte attorno, beh … la magia si amplifica a dismisura.

A questo punto però, la recensione si biforca e quella che segue è relativa solo al racconto “Pensieri sospesi … in mongolfiera” di Paola Trinca Tornidor.

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Così come nella musica esistono sette note per creare una melodia, allo stesso modo nella narrativa esistono le parole – decisamente molto più di sette, è vero – per creare un racconto. Altro discorso è poi nutrire una personale preferenza per un melodia piuttosto che per un’altra e, in parallelo , per un racconto piuttosto che per un talaltro.

Racconta la protagonista del racconto di Paola Trinca Tornidor: “È ancora buio e s’intravvedono dei bagliori. Non sono fuochi, ma le fiammate che fuoriescono dalle mongolfiere, come scopriamo giungendo nella vasta radura.”

Ora, mettendo a fattor comune con una moltitudine di scrittori e scrittrici l’esperienza di volo in mongolfiera nonché la fantasmagorica vista di una miriade di mongolfiere sopra i camini delle fate nel parco dell’aria di Goreme, è ovvio che Paola Trinca Tornidor ci ha regalato un racconto – il suo – diverso da chiunque altro faccia parte di quel fattor comune.

Il suo talento narrativo è sintonizzato sul canale giornalistico. Il suo racconto è più vicino ad una cronaca che ad un tentativo di riflessione introspettiva della protagonista. D’altra parte sarebbe stata nient’altro che la fotocopia del racconto “L’alba delle fate” di Agnese Pelliconi, non trovate?

La sua prosa è ponderata, non necessariamente essenziale ma neanche poetica; è semplice, diretta. Si comprende che l’autrice – donna di mondo rotta alle forti emozioni e dunque non facilmente impressionabile – non rimane affatto folgorata dalla lenta ascesa, dai riflessi dei raggi solari e dal roboante silenzio del cielo della Cappadocia. Sì, non è indifferente a quanto le accade e a quanto vede attorno a sé, questo è certo …  ma non è quel genere di autrice che si scortica i polpastrelli sulla tastiera per descrivere quanto vissuto in prima persona.

Il suo scrivere è misurato, la sua narrazione non si lascia andare a sbrodolamenti romantici o a considerazioni profondamente esistenziali. E di questo non possiamo certo fargliene una colpa.

Paola è così, è così che lei mescola le sette note. Questa è la sua melodia.

Quale migliore commento a questo scatto se non le parole che esprime la protagonista del racconto “Pensieri sospesi … in mongolfiera”? Eccole: “Siamo sospesi nel vuoto, in un caleidoscopio di 150 palloni aerostatici che popolano il cielo. È l’alba: il sole si alza e rischiara il cielo rosato e azzurro, delicato acquerello di un pittore innamorato. Sotto di noi, lo spettacolo della Natura si rinnova in un’alternanza di verde e di rocce, e avvistiamo i Camini delle Fate, coi loro comignoli e tetti aguzzi, nei colori sabbiosi del tufo.”

Arriviamo a dire che, se la sua cronaca non fosse stata genuinamente inedita, avremmo giurato di averla letta in qualche guida turistica o in qualche blog di viaggi del parco di Goreme o della Turchia. Forse è per questo che la giuria l’ha relegata fuori dalla rosa dei finalisti della VII edizione. D’altra parte il contenuto a carattere aeronautico abbastanza blando deve aver ugualmente pesato nella valutazione generale.

Pazienza, Paola, avrai occasione di rifarti.

A noi, in tutta verità, il racconto è piaciuto sebbene si tratti di un flash, di un’istantanea di dimensioni ridotte come quelle che scattavano tanti anni fa certe macchinette fotografiche, un cameo di buona fattura che – speriamo – sia il prologo di qualcosa di più sostanzioso per la prossima edizione del Premio.

Paola, vogliamo provare con un lancio con il paracadute?

 


Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla VII edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2019;

§§§§ in esclusiva per “Voci di hangar”§§§


NOTA: le foto di copertina e quelle presenti nella recensione sono di proprietà esclusiva dei proprietari e provengono da Flickr.com 

L’alba delle fate

Sebbene il processo evolutivo gli abbia negato la dimensione aerea, quello del volo è un sogno che accompagna da sempre il genere umano tuttavia, l’ingegno che lo contraddistingue gli ha consentito di elevarsi comunque al di sopra della dimensione terricola e di guadagnare con dei congegni volanti un mondo che, per sua natura, non gli è congeniale.

Così, benché nel corso dei secoli della storia dell’umanità si annoverino molteplici tentativi di ascendere e solcare gli spazi sconfinati dell’atmosfera – alcuni più probabili, altri avvolti letteralmente dalla leggenda – la conquista dell’aria è avvenuta in epoca abbastanza recente. Se infatti consideriamo una macchina più pesante dell’aria (annuari della storia dell’aviazione alla mano) sappiamo per certo si è involata solo agli inizi del ‘900 mentre una più leggera dell’aria verso la fine del ‘700. Dunque una conquista agognata eppure sfuggente, tecnicamente assai complessa da conseguire.

Oggi sono milioni i passeggeri che viaggiano in lungo e largo attraversando la dimensione aerea a tutte le quote e latitudini, per motivi di lavoro o di piacere, con il risultato che il volo ha perso un po’ del suo fascino ancestrale.

Esistono tuttavia diversi modi di volare: con gli autobus dell’aria, appunto, o con improbabili agglomerati di metalli leggeri assemblati in garage passando per minutissimi gusci d’uovo ma in materiali compositi o per finire ai grandissimi lenzuoli colorati pieni di funi e cordicelle … certo è che il volo rimane un’esperienza unica nel suo genere. E lo è tal punto che per alcune persone mantiene inalterato il suo fascino unico. Forse si tratta dei soggetti più sensibili oppure di quelli meno corrotti dall’abitudine o magari quelli più riflessivi. Semplicemente perché il volo comunica loro un senso di pace, è l’occasione per ritrovarsi di fronte alla visione della Terra dall’alto, per rimuginare sul proprio vissuto o pianificare il proprio futuro con rinnovato slancio.

Ancora un breve passo tratto dal racconto di Agnese Pelliconi: “Si guardò attorno: decine di mongolfiere si erano sollevate in volo assieme alla loro. Ognuna coi suoi colori e coi suoi passeggeri, tutte trasportate dal vento, in silenzio. Non aveva mai visto nulla di simile, era come essere dentro una fiaba. In effetti il paesaggio sotto di loro era veramente uno scenario da favola”

C’è poi un altro aspetto di cui occorre tenere conto. Esistono molti luoghi sul pianeta Terra in cui ci si può involare. Dal Polo Nord, percorrendo i due emisferi fino a giungere all’altro Polo, è ormai possibile volare pressoché ovunque ma è pur vero che ci sono dei luoghi cosiddetti “speciali” dove l’esperienza di volo – già di per sé speciale – assume dei connotati davvero unici quanto memorabili.

Ebbene uno di questi luoghi è senz’altro la Cappadocia in Turchia e, in particolare, il parco nazionale di Goreme, una sorta di museo all’aperto che – non a caso – gode dello status di Patrimonio dell’umanità dell’Unesco.

In quel luogo, la presenza di particolari formazioni rocciose denominate: “camini delle fate” e di una moltitudine di mongolfiere che svolgono voli turistici all’alba rende possibile a moltissimi visitatori l’opportunità di vivere un’esperienza memorabile che segnerà loro l’esistenza.

Non ci credete? … beh, allora leggete il racconto di Agnese Pelliconi e di Paola Trinca Tornidor che – incredibile a dirsi – hanno descritto minuziosamente – ciascuna a suo modo, s’intende – la medesima situazione.

Non sappiamo dire se Agnese e Paola abbiamo partecipato assieme allo stesso viaggio, tuttavia entrambe hanno descritto il loro volo in mongolfiera con la medesima vividezza. Così, se la prima ci ha regalato un racconto di più ampio respiro e dal taglio più intimista, la seconda ha preferito un breve racconto dai toni giornalistici piuttosto più che da quelli psicologici; eppure entrambe incuriosiscono il lettore e lo inducono a documentarsi oltremodo.

Una grande verità espressa da Agnese Pelliconi nel suo racconto applicabile più che altro a chi vola con macchine più pesanti dell’aria: “Chi pilota un volo non guarda indietro, guarda avanti.

Un altro aspetto le accomuna: hanno partecipato entrambe alla VII edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE e, purtroppo, entrambe non hanno ricevuto un giudizio benigno da parte della giuria giacché non sono state ritenute meritevoli di accedere alla fase finale del Premio. Peccato.

Poco male, cara Agnese e Paola perché ci è stato concesso l’onore di ospitarvi entrambe nel nostro grande hangar. Perciò ci permettiamo di affermare: grazie giuria!

Occorre aggiungere altro rispetto a quello che narra la protagonista del  racconto “L’alba delle fate”? Probilmente no. Eccolo: “Quel volo continuò per un’ora: il paesaggio si trasformava in continuazione sotto la luce crescente, frutto della mano di un artista che non esauriva la fantasia e aveva una tavolozza di colori infinita. Le mongolfiere nulla toglievano a quel paesaggio, anzi, col loro ondeggiare aggraziato aggiungevano bellezza alla bellezza.”

E’ la prima volta che accade ma, a questo punto, con un’unica recensione vorremmo accennare contemporaneamente al racconto “L’alba delle fate” e a “Pensieri sospesi … in mongolfiera”. Come metterle a fattor comune.

La mongolfiera è un aerostato, ossia una macchina volante più leggera dell’aria, evoluzione di quella che i fratelli Mongolfier fecero volare nel 1783 e rimane ancora oggi un aeromobile non direzionabile, alla mercé dei venti e capace solo di ascendere o discendere a discrezione del pilota. Il volo della mongolfiera è morbido, il suo distacco da terra è dolce e anche la salita in quota avviene nel più completo silenzio (fatto salvo il rumore del bruciatore che provvede a immettere nell’involucro aria calda e i prodotti della combustione del propano) con una fluidità che è tutta una sua prerogativa.

Se questo volo si svolge alle prime luci dell’alba sopra un territorio come quello della Cappadocia con lo sfondo dei “camini delle fate” la magia è compiuta, E se poi ai colori dei primi raggi del sole riflessi sulle rocce si unisce una distesa a perdita d’occhio di mongolfiere multicolori che s’innalzano tutte assieme e tutte attorno, beh … la magia si amplifica a dismisura.

A questo punto però, la recensione si biforca e quella che segue è relativa solo al racconto “L’alba delle fate” di Agnese Pelliconi.

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Così descrive l’ascensione in mongolfiera la protagonista del racconto di Agnese Pelliconi: “Lentamente, un centimetro alla volta, il pallone, il cesto e i suoi occupanti si staccarono da terra. Una sensazione nuova, quell’innalzarsi verso il cielo piano piano. Tutta un’altra cosa rispetto alla roboante partenza di un aereo.”

Dicevamo … per chi e si trova dentro al cesto di vimini della mongolfiera, intento a osservare quell’incantesimo, lo staccarsi da terra e la lenta ascensione diventano la metafora del lasciarsi andare – finalmente -, dell’abbandonare il peso di un’esistenza travagliata e del raggiungere progressivamente una nuova consapevolezza di sé.

La vista, ammaliata da quel panorama indicibile, diverrà così il nutrimento di questa lenta metamorfosi e il silenzio in cui tutto è avvolto sarà il catalizzatore che ci renderà migliori. Chiunque di noi sia in quel momento emotivamente ricettivo e, naturalmente, la protagonista del racconto di Agnese Pelliconi.

Inoltre l’alba sopra ai camini delle fate, il ricordo di quel preciso istante del mattino in Cappadocia, diverranno per lei – e per noi, ovviamente – una fonte inesauribile di energia e di certezze cui attingere nei momenti di difficoltà che – inevitabilmente – la quotidianità le e ci dispensa. Come? … sarà sufficiente chiudere gli occhi e rivivere quei momenti magici per recuperare quella leggerezza del vivere che sarà venuta meno.

Un passo che troviamo splendido: “La luce del sole che sorgeva faceva risaltare la tavolozza dei colori delle rocce: dal bianco all’ocra, dal terra bruciata a tutte le sfumature del rosso. Ad ogni minuto che passava la luce dell’aurora cambiava e i riflessi delle rocce mutavano.”

Il racconto di Agnese, benché di estensione apprezzabile, si legge piacevolmente. Il vissuto e il presente si amalgamano perfettamente tanto che non annoiano a dimostrazione delle indubbie qualità narrative dell’autrice. E’ vero: sono presenti ampie digressioni e il contenuto aeronautico è relativamente blando tuttavia il racconto è armonico, l’avvio incuriosisce e il finale strappa lo stesso senso di sollievo provato dalla protagonista.

Agnese Pelliconi ha una facilità di scrittura che – onestamente – le invidiamo. In quello che scrive si legge a caratteri cubitali che in lei c’è talento – quello vero – e che i viaggi sono per lei sono solo il pretesto per inserire uno sfondo verosimile da inserire nelle sue storie. E’ un’autrice che non vorremmo mai incontrare in un premio letterario perché ha tecnica, inventiva e sa tratteggiare come un sapiente pittore luoghi, persone e i loro trascorsi. Tutto nella stessa tavolozza.

Non sappiamo dire quanto di biografico ci sia alla base del racconto di Agnese Pelliconi ma di certo – qualora l’abbia provato in prima persona – il volo in mongolfiera le ha giovato giacché, avendo avuto la fortuna di incontrarla in occasione della premiazione della VI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE, abbiamo apprezzato la sua giovialità, il suo sorriso radioso e il piacere di vivere che sprizza da tutti i pori.

Un magnifico colpo d’occhio che l’obiettivo della macchina fotografica è riuscito a malapena a riprendere per l’enormità di quanto  gli si prospettava davanti

Rimane però una considerazione a margine dal sapore vagamente campanilistico: Agnese, occorreva per forza andare fino in Turchia per volare in mongolfiera? … hai ragione … affinché la magia si compia occorre sorvolare i “camini delle fate” … vero … e allora replichiamo: perché i camini delle città italiane non funzionano? … sapessi quante fate ci sono in quelle case!?


Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Medio lungo

Inedito;

ha partecipato alla VII edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2019;

§§§§ in esclusiva per “Voci di hangar”§§§


NOTA: le foto di copertina e quelle presenti nella recensione provengono da Flickr.com

Di padre in figlio

Esame scritto d’italiano. Tema dell’esame maturità del ’87 (1900, beninteso).

Citazione di un certo Noberto Bobbio (prima d’allora, almeno per me, un perfetto sconosciuto).

Sulla base della citazione di Norberto Bobbio esprimere concetti e considerazioni personali.

Ancora oggi mi domando cosa diavolo m’inventai o che caspita di boiate scrissi … fatto è che, all’esame orale d’italiano, la professoressa della commissione esterna mi sorrise.

Che provenisse da uno dei più prestigiosi licei classici romani era certo mentre io, ancor più certo, ero un’insignificante studente di uno corso di costruzioni aeronautiche in uno dei più vecchi (e disastrati) istituti tecnici statali romani.

“Il suo tema “ mi disse compiaciuta “è ottimo, il migliore del corso … e sa perché?”

“Perché?” le domandai come un babbeo.

“Perché mi sono riposata.”

Il P-38 Lightning è uno dei due velivoli evocati in questo racconto. La sua vista frontale, immortalata da Geoff Collins (https://www.flickr.com/photos/geoffsphotos/249683193) in questo formidabile scatto del 2006, rende onore alla strepitosa originalità del progetto della Lockeed. Il “fulmine”, traduzione letterale di lightning, era un caccia pesante bimotore statunitense a largo raggio d’azione che trovò un massiccio impiego durante tutta la Seconda Guerra Mondiale.

 

All’inizio non compresi cosa intendesse dire; provò a spiegarmelo ma, onestamente, ero troppo preso dalla prova orale per darle ascolto.

Ebbene, seppure alla distanza siderale di tanti anni, quando ho letto il racconto di Davide Gubellini è nato in me lo stesso stato emotivo, ho provato la stessa sensazione che provò l’insegnante di allora. Giunto all’ultima riga ho esclamato: “Che riposante!”

Ecco il secondo velivolo che viene “nominato” tra le righe di questo racconto. In verità è’ qui ritratto il De Havilland  DH.113 NF.54 (con matricola militare MM 6152), versione biposto del blasonato DH.100. Ha le insegne della Scuola Caccia Ogni Tempo di Amendola e si trova esposto presso il Museo storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle, sulle rive del  Lago di Bracciano. Le sue condizioni,  complice anche la struttura in legno della fuoliera,non sono esaltanti e forse meriterebbe un restauro della livrea,

Intendiamoci: la VI edizione del Premio RACCONTI TRA LE NUVOLE ci ha regalato delle splendide composizioni –  le migliori di sempre, almeno a detta dell’editore – sebbene intricate, pregne di dettagli e di minuti indizi narrativi. Sono stati numerosi i testi lunghi e articolati (per non dire intricati) con finali pirotecnici e personaggi di grandissimo spessore storico. Potrei spendere diversi aggettivi a proposito dei racconti presenti all’interno dell’antologia 2018 … tutti fuorché riposanti.

“Di padre in figlio”, questo il titolo del racconto incriminato è invece davvero “riposante”.

Così l’autore riassume il suo racconto:

Questo invece è effettivamente un DH.100. La foto è stata scattata da Martin Wippel (www.Flickr.com) in occasione del 50° anniversario delle Frecce Tricolori, il 12 settembre 2010 a Rivolto, presso la base delle “Frecce”. Il Vampire costituì la ripresa delle attività aeronautiche non solo per la rinata Aeronautica Militare Italiana ma anche per la rediviva industria aeronautica italiana. all’indomani della fine del II conflitto mondiale, diverse decine di Vampire furono infatti costruiti o comunque assembalti dalla Macchi e dalla FIAT mentre nei reparti già erano giunti un cospicuo numero di macchine provenienti direttamente dalla Gran Bretagna. Non a torto, dunque, costituisce il velivolo della rinascita e anche il passaggio ad una nuova generazione di velivoli: i jet. 

“I1 servizio militare in Aeronautica é stato per Gabriele una scuola di vita.

Quasi trenta anni prima, anche il suo babbo Giancarlo assolse gli obblighi di leva in Aeronautica, imparandone un mestiere.

Il racconto descrive questo percorso condiviso, partendo dalla comune passione per il volo e il cielo in particolare. Al punto da divenire l’elemento caratterizzante i1 rapporto tra due generazioni.”

Il contenuto è di chiara matrice autobiografica mentre i protagonisti sono anticipati dal titolo. L’ambientazione è contemporanea; la trama si sviluppa su un solo piano narrativo ed è davvero priva di qualunque sussulto. Salvo il flashback iniziale, è assolutamente lineare.

La prosa è fin troppo giornalistica, di una semplicità esemplare che rasenta quella infantile sebbene sintassi e grammatica siano rispettate in modo invidiabile.

Dalle note biografiche dell’autore comprendiamo il suo stile essenziale e il suo narrare senza orpelli: egli è un giornalista pubblicista iscritto all’albo dei giornalisti da diversi anni e ha all’attivo alcuni libri di storia economica.

Forse uno degli esemplari meglio conservat in museo in Italia. L’esemplare è esposto presso il Parco e Museo del Volo di Volandia (nei pressi dell’aeroporto di Malpensa – Milano) e mostra le insegne di un FB.52A del 154º Gruppo del 6º Stormo di Ghedi (BS). In realtà la sua provenienza e le sue origini sono tutt’altre … c’è da ammettere però che il suo restauro è stato davvero notevole. Lode a Volandia 

Certo il suo scrivere somiglia più ad un’autobiografia che a una composizione in cui, da regolamento, si può dare libero sfogo alla più sfrenata fantasia purché incanalata nell’ambito aeronautico; certo da Davide ci saremmo aspettati qualcosa di più, qualcosa di più ardito e originale, tuttavia siamo fiduciosi che, dopo qualche “rullaggio” incerto, saprà stupirci nella prossima edizione del Premio.

Anche perché, ad onor di cronaca, la giuria della VI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE, non ha ritenuto meritevole “Di padre in figlio” di accedere alla fase finale relegandolo al XXI posto assieme a tutti gli altri non finalisti. D’altra parte, considerata la caratura media dei racconti finalisti – elevatissima -, sarebbe stato impensabile un risultato diverso.

 

La fotografia (tratta da https://forum.warthunder.com/index.php?/topic/413378-p-38g-captured-by-the-italians/) ritrae il primo velivolo Lockeed P-38 Lightining entrato in possesso della Regia Aeronautica. Sì, avete letto bene: Regia Aeronautica e non la rinata Aeronautica Militare Italiana. Dal forum apprendiamo che giunse in Sardegna, nell’aeroporto di Capoterra a causa di un grossolano errore di navigazione occorso al pilota alleato durante un volo di trasferimento da Gibilterra all’sola di Malta. Era il giugno 1943. In effetti, fatto salvo questo episodio, il P-38 furono poi consegnati agli aviatori italiani all’indomani della fine del II Conflitto Mondiale. Le condizioni dei velivoli erano piuttosto deteriorate e dunque la loro rimessa in efficienza fu lunga e laboriosa. Entrarono in servizio nel ’46 per essere radiati solo 10 anni dopo nel corso dei quali furono coinvolti in numeroso incidenti di volo. Premesso che ai piloti italiani non piacevano granchè (a causa della presenza del volantino al posto della cloche, del carrello triciclo anzichè biciclo e della elevata velocità di atterraggio) i Lightning italiani soffrirono molto i frequenti problemi ai motori Allison che, anche quando erano stati utilizzati dagli alleati, non avevano mai brillato in affidabilità.

Egoisticamente, a noi, questo risultato apparentemente sconfortante, giova in quanto ci consente di ospitarlo nel nostro hangar, convinti che si tratti solo il simulacro di un velivolo con ambizioni ben più stupefacenti, sicuramente da modificare e rendere volante.

Siamo infatti certi che Davide Gubellini sia in grado di scrivere col cuore e con la fantasia oltre che con il piglio e la schiettezza del giornalista, dunque, per il momento ci accontenteremo di un racconto “riposante” poi, siccome è conclamato che le vie del cielo siano infinite, confidiamo che  anche quelle della creatività lo siano. Messaggio ricevuto, Davide?


Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla VI edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2018;

§§§§ in esclusiva per “Voci di hangar”§§§


NOTA: la foto di copertina ( di Henry Ryder su Flickr.comritrae lo splendido P-38F-5G basato a Salisburgo e che è anche l’unico P-38 volante in Europa; è stato acquistato anni fa dalla Reb Bull e sottoposto ad un mirabile restauro che l’ha riportato agli antichi splendori; da allora vola con i Flying Bulls e partecipa ai diversi saloni dell’aria o manifestazioni aeronautiche in giro per il continente europeo. Tirato inverosimilmente a lucido è davvero unico al mondo, anche in considerazione del fatto che di P-38, nel mondo, non ce ne sono di così belli e così ottimamente mantenuti

 

T – meno

Certi racconti sorprendono, altri deludono, altri ancora suscitano perplessità. Poi ci sono quelli che ci lasciano indifferenti come pure quelli che emozionano. E non mancano, ovviamente, i racconti che entusiasmano al punto da chiederti a voce alta: “Perchè non l’ho scritto io?”

Ebbene la composizione con la quale Massimo Bencivenga ha partecipato alla VI edizione del premio fotografico/letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE non appartiene a nessuna di queste casistiche; è uno di quei racconti che sfugge ad ogni logica e a ogni schema convenzionale.

Diciamola tutta: è un testo davvero singolare in termini di formula narrativa e, in parte, anche nei contenuti. Perchè? Semplicemente perchè non capita spesso di poter leggere ben nove racconti nello spazio di uno; nel racconto intitolato: “T-meno” – questo il titolo già di per sè assai originale – è possibile, credeteci.

Titina è sicuramente la cagnolina più famosa nella storia dell’aviazione italiana. Era una splendida femmina di fox terrier che non si separava mai dal generale Umberto Nobile; lo accompagnava in ogni dove: al lavoro, a bordo delle aeronavi da lui progettate, in occasioni mondane o in visita presso le personalità dell’epoca. E’  qui ritratta in braccio al suo padrone in uno di quegli scatti che l’hanno consegnala alla celebrità, antesignana di quella famosa collega sovietica che portava il nome di Laika. Ma questa è tutta un’altra storia.

In circa 25 mila caratteri avrete modo di intravvedere, ad esempio, Wernher von Braun, creatore dei micidiali ordigni che flagellarono Londra durante il corso della II Guerra Mondiale. Sì, ma dal punto di vista del proiettile in canna all’arma da fuoco puntata contro il fratello di Wernher von Braun, certo Magnus, che sta giusto trattando la resa del famoso ingegnere missilistico tedesco. Per inciso, padre delle future missioni spaziali statunitensi.

C’è poi il resoconto drammatico di un giornalista della Pravda che ci confida i piccoli-grandi segreti di Korolev, il Capoprogetto del programma spaziale sovietico, e di Yuri Gagarin, il primo uomo ad aver raggiunto lo spazio e ad essere rientrato vivo sulla Terra.

La leggenda vuole – ma in realtà si tratta di storia documentata – che Nobile, divento famoso a seguito del grande successo della missione polare a bordo del suo dirigibile NORGE, quel giorno fosse alla casa Bianca, ospite del presidente degli Stati Uniti d’America. Titina, per nulla intimorita dall’austerità del luogo o dell’onore concesso al suo padrone beh, si … insomma, la mollò sul tappeto dello studio del presidente con fare assolutamente disinvolto. Non possiamo neanche immaginare quanto fosse contrito l’esploratore italiano, quanto grande fosse l’imbarazzo dello staff del presidente e del corpo diplomatico italiano presente. Invece il presidente Coolidge, proverbialmente uomo taciturno e severo, scoppiò in una irresistibile risata cui fecero eco tutti gli altri convenuti. Il giorno dopo l’episodio era su tutti i giornali d’America e Titina divenne ancor più popolare del suo padrone. La foto ritrae Titina o meglio il corpo di Titina che, dopo la sua morte, fu imbalsamato. Oggi si trova all’interno del Museo Storico dell’Aeronautica Militare italiana di Vigna di Valle (Roma) sul lago di Bracciano. E’ nella teca dove si conservano i cimeli della sfortunata missione polare del dirigibile ITALIA (fonte fotografia: Charter, presente in www.ilvolo.it)

Che dire poi del punto di vista a dir poco singolare di Titina, la cagnetta che accompagnò anche al Polo Nord l’ingegnere-generale-esploratore Umberto Nobile?

Certo, dal punto narrativo, è a dir poco audace far esprimere delle opinioni ad un o-ring (una guarnizione di gomma ad anello) circa il suo tragico legame con il disastro che occorse all’intero equipaggio dello Space Shuttle Challenger nel 1986.

Il sovietico Yuri Gagarin è ricordato come il primo cosmonauta ad aver “volato” nello spazio (e ad essere tornato vivo a terra). La sua missione ebbe successo grazie al lavoro, celato rigorosamente nel più profondo segreto, del Capo progetto spaziale Sergej Pavlovič Korolëv. La foto ritrae appunto Gagarin poco prima del decollo ed è diventata la copertina del libro di cui abbiamo fornito la recensione nella pagine del nostro sito GAGARIN

Vi ricordate poi – tanto per continuare – del famoso codice di errore che apparve nel computer di bordo durante le fasi allunaggio del LEM? Quello con a bordo Buzz Aldrin e Neil Armstrong, per intenderci? Beh, se non ci fosse stato un anonimo ingegnere informatico a confermare che si trattava di un codice di errore insignificante, forse la missione Apollo 11 non sarebbe mai assurta alla gloria dell’astronautica umana. Ebbene, troverete qui il racconto di quegli istanti di trepidazione e la voce ferma di quell’anonimo ingegnere che dichiara: “Go!”, potete allunare.

E questo solo per anticiparvene alcune.

L’unico dato certo che si evince da questo racconto a più voci e molteplici personaggi è la disinvolta capacità dell’autore nel compiere una vera e proprio scorribanda tra le pieghe della storia dell’aviazione e dell’astronautica. E non solo. Le vicende che porta alla nostra attenzione sono spesso delle vere chicche, dei sassolini assai minuti rispetto a episodi ben più noti e celebrati. Perciò fate bene attenzione: a guardarli bene quei sassolini brillano di luce propria, sono di un dorato accecante … caspita! Sono pepite vere!

Appurata la sua agevole gestione della sintassi, l’impeccabile utilizzo della punteggiatura e, indifferentemente, del discorso diretto e indiretto, Massimo Bencivenga dimostra di conoscere davvero la storia e di conoscerla a tal punto da potersi permettere dei punti di vista, delle voci narranti che dire originali è riduttivo.

28 gennaio 1986. In diretta televisiva, dalla piattaforma di lancio 39B dello Kennedy Space Center di Cape Canaveral in Florida, decolla il Challenger. A bordo ci sono sette membri dell’equipaggio per svolgere la cinquantunesima missione nello spazio di una navetta Space Shuttle . 

Pochi istanti dopo, l’esplosione del razzo a propulsione solida di destra mette fine alle loro vite. L’inchiesta appurò il cedimento di una guarnizione tipo o-ring di alcuni centesimi di dollaro di costo. (fotografia NASA)

Forse è proprio questa la forza e il fascino di questo racconto. E forse anche un limite perchè, per dovere di cronaca, la giuria del Premio non lo ha ritenuto meritevole di entrare a far parte della rosa dei fantastici 22 racconti finalisti. Peccato per lui, bene per noi lettori, ammiratori del buon Bencivenga e degli storici dell’aviazione che si ritroveranno ai quattri angoli del pianeta, in epoche diverse, nello spazio temporale della lettura di un racconto.

Questo è un racconto speciale, troppo particolare che lo stesso autore ha così definito:

“T-Meno è un breve, incompleto e onirico viaggio attraverso alcuni momenti importanti dell’aeronautica e dell’astronautica, discipline che rappresentano sicuramente alcune delle più riuscite imprese collettive mai poste in essere dall’Umanità, quella con la U maiuscola, scevra da confini e bandiere.”

Margaret Hamilton, direttrice dell’Apollo Flight Computer Programming presso il Draper Laboratory del MIT, a distanza di qualche anno dell’allunaggio dell’Apollo 11, dichiarò che, probabilmente, se il codice di errore 1201 e 1202 non fosse stato ignorato dal software del computer di guida del LEM, probabilmente la missione non avrebbe avuto il successo che ebbe e dunque non sarebbe mai stata collocata in una delle pagine più memorabili della storia dell’astronautica. In effetti il merito di valutare in pochi istanti la bontà del messaggio di errore del computer di bordo fu degli specialisti all’interno del Mission Control Center di Houston in Texas e, in particolare, dell’ingegnere Jack Garman che diede l’autorizzazione a procedere con la discesa a Steve Bales, il cosiddetto “Guidance Officer”, il quale, a sua volta, confermò il continuare l’avvicinamento alla superficie lunare all’equipaggio del LEM. Fatto salvo l’episodio dei due codici, la cronaca di quegli istanti che precedettero il primo contatto con la Luna, ancora oggi mette i brividii: il LM arrivò “lungo” rispetto al luogo stabilito e il buon Armstrong dovette prendere il controllo del Modulo Lunare. Giunse a terra con solo 25 secondi di propellente utile per l’atterraggio. Questa è la targa che rimase sulla Luna, attaccata alla scaletta del LEM malgrado il codice 1201 e 1202.

 Noi una spiegazione ce la siamo data: siamo di fronte ad un creativo di alto livello, uno sperimentatore, un esploratore della narrativa aeronautica che usa i tasselli della storia per plasmare la sua creatura dalle tante facce, dalle tante storie di vita. E magari questo disorienta il lettore, specie quello che ammette solo consolidate formule classiche di narrazione.

Ovvio che per un tipo come Massimo Bencivenga un semplice solo racconto possa stargli gli stretto e ne voglia infilare nove in uno … che sia pronto per un romanzo? Beh, noi glielo auguriamo di tutto cuore. Nel frattempo però, facciamo in modo  che giunga in redazione la doverosa copia in visione, eh Massimo!?  Ma giusto per farne la recensione, che avete capito!


Narrativa / Medio-lungo

Inedito;

ha partecipato alla VI edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2018;


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§



Attenzione: Non esiste il Tag T - meno

 

 

Oltre le nuvole il sole


 

Non è facile scrivere racconti, ancor meno è facile scrivere racconti aeronautici. Ecco spiegato il perché apprezziamo molto coloro che, pur essendo dei navigati e talentuosi praticanti della scrittura creativa, si cimentano per la prima volta, non senza una buona dose di audacia, nella narrativa a carattere aeronautico.

“E il bambino, indicando un punto lontano nel cielo, rispose: “Ehi nonno guarda. Lassù, sopra la cima di quella montagna sta passando un aereo che sta andando chissà dove!”. Comincia così il raccono di Bruno Bolognesi intitolato “Oltre le nuvole”. Un’immagine che chissà quante volte vi sarà entrata negli occhi ma che non vi ha mai stimolato a scrivere un racconto. Per la fortuna di Bruno Bolognesi, appunto.

E’ questo il caso di Bruno Bolognesi che, dall’alto della sua pluriennale esperienza di autore di narrativa, ha raccolto la nostra sfida partecipando alla VI edizione del Premio fotografico/letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE organizzato dal nostro sito e dall’HAG.

L’autore – lo confessa nella sua biografia – non è un addetto ai lavori (aeronautici) e, benchè abbia conseguito ottimi risultati in numerosi altri Premi letterari, non ha mai affrontato il complesso mondo dell’aviazione. Dunque, a maggior ragione, gode di tutto il nostro rispetto.

No, non si tratta di una foto fortemente ingrandita del musone di un Boeing 747 … è semplicemente un primopiano assolutamente realistico di un 747 che, se non fosse davvero enorme, non si sarebbe mai chiamato Jumbo Jet, non vi pare?

Purtroppo il racconto non ha goduto dei favori della giuria che lo ha relegato al di fuori dei 22 fortunati finalisti (e dunque pubblicati nell’ambito dell’antologia del Premio), forse a torto o ragione … chi può dirlo? Tutto sta al gusto personale.

Una vista bucolica di un Boeing 747 che ha appena lasciato il campo di margherite attiguo alla pista di decollo

Ad ogni modo, l’idea narrativa concretizzata dall’autore a noi è piaciuta; leggere questo racconto ci ha recato un sottile piacere perché la storia fila via con il supporto di vicende parallele innescate dagli immancabili ricordi di un professionista dell’aria. Inoltre i personaggi sono freschi e genuini, il testo è scorrevole e privo di tecnicismi inutili, anzi, al contrario, ha un certo spessore divulgativo giacché spiega con infantile chiarezza delle nozioni spesso clamorosamente travisate da un certo tipo di giornalismo sensazionalistico. In definitiva: un racconto che si legge tutto d’un fiato in quanto si tratta di una composizione leggera, senza spigoli vivi o pretesti di riflessione profonda.

Nel Boeing 747 tutto è enorme, tutto è fuori dagli standard convenzionali … compreso il quadro strumenti degli impianti di bordo. Questa foto ne fornisce una testimonianza inequivocabile.

Per concludere un racconto che siamo lieti di ospitare nel nostro hangar, fiduciosi che, un po’ egoisticamente, il buon signor Bruno ce ne regali degli altri. Magari con la scusa di proporli al nostro Premio letterario.

Intesi, sig Bruno?

Nel frattempo leggiamoci la breve sinossi di questo racconto preparata dall’autore medesimo:

 

Una mirabile immagine frontale del Boeing 747 Jumbo jet

Un nonno, un nipote, un cane. Comune denominatore dei personaggi che, di volta in volta, si affacciano nel racconto: volare, sfidare la forza di gravità; nutrirsi di storie di aviazione nel bel mezzo di un giardino, per poi costruire nei sogni di bambino, un mondo parallelo, fantastico dove piloti di aeroplani supersonici sfondano il muro del suono e spengono incendi a bordo delle loro macchine volanti. Il nonno pilota traccia la sua carriera di aviatore spezzettandola in tanti episodi avvenuti qua e là per il mondo. Il nipotino approva e si incanta, mentre anche Fido, il bassotto di casa, sembra gradire.

Se vi capitasse di sedere sui sedili lato finestrini … beh questa potrebbe essere la vista che potrebbe motrarsi ai vostri occhi e all’occhio sintetico della vostra macchina fotografica. Viceversa, nel caso non vogliate salire mai e poi mai a bordo di un”autobus dell’aria”, ebbene sappiate che questo potrebbe essere lo spettacolo di cui potreste esservi privati.

Tre personaggi in un continuo viaggio che inizia nella realtà vissuta e che decolla, con le ali della fantasia, per navigare nel meraviglioso mondo dei sogni.

Amen!


Narrativa / Medio – Lungo Inedito;

Ha partecipato alla VI edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2018