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Racconti degli autori

Un imprevisto incidente aereo

Luciano Bellinzona, veterano, con migliaia di ore di volo, comandante del Super90 Città di …, aveva sempre pensato che un simile incidente aereo potesse capitare soltanto agli altri, e che a lui non sarebbe mai potuto accadere. Inoltre aveva sempre creduto che tutto sommato non occorreva essere dei superman per evitare d’incorrere in simili imprevisti … Oddio! È pur vero che nella maggior parte dei casi quella non era una situazione imputabile alla responsabilità personale, però a volte accadeva … e guarda caso quella volta era accaduto a lui. Inutilmente tentò di dare una giustificazione alle sue azioni delle ultime ore … ma scoprì soltanto che se fosse stato più prudente … forse … Prudente un accidente! E come poteva prevederlo … ed ora che era capitato gli giravano gli stivali … e come se giravano! Ma la cosa che più lo mandava in bestia era la consapevolezza che non c’era nulla da fare se non prenderla nel verso giusto. Già, ma come si fa a dire qual è il verso giusto, come si può pensare di prenderla come se nulla fosse accaduto? Come si può … Provò a muoversi da quella scomoda posizione, ma si convinse immediatamente che avrebbe fatto meglio a star fermo e immobile. Il suo primo pensiero volò verso sua moglie … come l’avrebbe presa? – Oh! – gli venne di pensare – come vuoi che la prenda … – avrebbe capito come qualsiasi altra moglie di pilota … Beh, almeno da ora in poi se lo sarebbe mangiato da sola lo sformato di verdure al gelato di cocco. Bella fregatura, proprio ora che aveva superato gli esami per ottenere il grado superiore e avrebbe potuto prendersi qualche piccola rivincita … ma guarda che scalogna … Mai che gliene andasse bene una … e pensare che aveva organizzato una festicciola proprio in aeroporto … e invece quel maledettissimo incidente lo avrebbe privato di quella soddisfazione … e chissà di quante altre. Eppure, con il senno di poi, lo aveva avuto un segnale … quella mattina il suo sesto senso glielo aveva detto piuttosto chiaramente “Restatene a casa, datti malato … non uscire …” Già! Ma se non fosse andato lui chi l’avrebbe tirata su quella carretta … ormai da lei fuggivano tutti come dall’inferno … Il Super90 più iellato della storia dell’Aviazione civile italiana … Aveva subito uno o due atterraggi d’emergenza, un attacco di dirottatori, un principio d’incendio in volo, un pazzo che s’era messo a predicare l’avvento di un nuovo messia … pretendendo che tutti i passeggeri s’inginocchiassero per ricevere l’assoluzione dei loro peccati, e per finire anche un tentato omicidio a bordo … Un pover’uomo che, perseguitato dai dispotismi della moglie, l’aveva presa per il collo e voleva aprire il portellone di coda per farle provare l’ebbrezza del volo. Improvvisamente gli parve di avvertire un rumore alla sua destra … ma no, forse era la sua fantasia … e allora gli venne voglia di gridare, tentare almeno di farsi sentire da qualcuno … magari da un buon medico … ma da quale medico? A quell’ora mezzo mondo dormiva e l’altra metà era intento a dare fregature o ad essere fregato. Quanti anni aveva? Quarantasette … alla sua età era davvero una bella fregatura! A quel pensiero gli stivali presero a girargli ancora più velocemente. Per fortuna che il suo secondo era uscito dalla cabina in tempo … questo forse l’aveva salvato. Gli tornarono alla mente i primi tempi dell’accademia. Quando prese il primo vero spavento della sua vita … In fondo era stato divertente, anche se un po’ imbarazzante.

Eppure, quella mattina, salendo la scaletta si era guardato attorno … Era una di quelle mattinate splendide in cui è assolutamente inconcepibile pensare che le cose possano andare di traverso. Il cielo, d’una chiarezza infinita e senza neppure una nuvola, sembrava invitare ad essere felici … e invece se soltanto avesse immaginato che di lì a poco si sarebbe trovato ad affrontare una delle situazioni più difficili e scabrose della sua vita di pilota … e certamente anche l’ultima … di questo ne era certo. Una diarrea fulminante a 32000 piedi.


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MCB

Ozio e ricordi

Ho semplicemente voglia di non far nulla, ma soltanto di respirare quest’aria e dimenticare l’odore asettico dell’ospedale. Notte pesante; due parti, una gamba rotta e un pazzarellone che, dopo aver bevuto una birra di troppo, pretendeva di rientrare in casa con idee strane, e da cui la moglie lo aveva ricacciato a suon di padellate. Risultato qualche punto sulla zucca e un dente spezzato. M’infastidisce perfino il ronzio di un’ape che vagabonda attorno a me. Ed io, che me ne sto sdraiato ai piedi e all’ombra di un albero, mi domando, per l’ennesima volta, se prima o poi si deciderà a pungermi o avrà pietà di me andando a sacrificare un fiore. In alto, nel cielo, una piccola serie di nuvole si sono aggregate dando vita ad una figura semplice, ma che ricorda vagamente un cancello. Perché un cancello? Che sia un avviso? Chi disse che prima o poi si apriranno per noi i cancelli del cielo e … Non voglio pensare. Stranezze dell’ozio, in questo stato si riesce a vedere e sentire ciò che in realtà non esiste o peggio, non è mai esistito. Una fumosa e indistinta linea d’orizzonte lascia trasparire una umanità in movimento in un susseguirsi di abili movenze … Ora è un trattore … ora è un grosso camion che fila diritto sulla linea scura dell’autostrada, senza tuttavia riuscire ad interrompere l’alta quiete che mi circonda. Ecco! Ora è sopra di me. Un fischio acuto, rapido e invisibile percorre i cielo per poi schiantarsi nel silenzio verso i monti. Sollevo gli occhi alla ricerca del disturbo … e si! È proprio un aereo, uno di quei fusi argentati che ogni tanto cadono portando con loro ricordi d’altri e preghiere. Anni fa capitò anche a me di dovere imprecare o pregare, non lo ricordo, quando il capitano ci comunicò che stava scaricando in mare il carburante rimasto nei serbatoi, per evitare che durante l’atterraggio d’emergenza potesse incendiarsi e … In realtà non ho un ricordo preciso di cosa seguì quell’annunzio, ma posso immaginarlo, e malgrado abbia la tendenza a voler sempre dimostrare di saper comprendere e controllare gli avvenimenti che mi riguardano, quella volta dovetti rendermi conto di non esserne in grado … e quindi, è probabile che qualche tipo di preghiera dovetti mormorarla. Di quei dieci o dodici minuti che vissi in quello stato, ricordo soltanto una gran confusione e la voglia di suonare un campanello perché potessi scendere. Poi, qualcuno mi strinse un braccio, era il mio vicino, il quale con un sorriso largo quanto il suo volto tentava di tranquillizzarmi per poi domandarmi se volessi recitare assieme a lui una preghiera adatta a quella circostanza. Quella domanda ebbe il merito di riportarmi alla realtà, e scuotendo il capo risposi con un tono di voce piuttosto deciso ” No, ma gradirei sapere dove tengono i paracadute per i passeggeri.” Lui sorrise ancora e scuotendo il capo mormorò “È un gran bel paracadute anche la preghiera”. Ma perché mi tornano questi pensieri? L’ozio … L’ape ha deciso di non pungermi, ed ora la osservo sfrecciare, poco più avanti, in una trama di rapidi passaggi attorno a piccoli fiori bianchi che ingentiliscono una stentata siepe di rovi. Un altro passaggio di quell’aereo … ed ecco tornare il ricordo. Dopo i primi attimi di confusione, vi fu un lungo momento di silenzio, come se ognuno di noi avesse ricevuto una assicurazione e che tutto fosse rientrato nella normalità. Oltre al rumore sordo dei motori non si udiva più alcuna voce. Anche il mio vicino sembrava essersi deciso a recitare da solo quella preghiera. Qualche istante più tardi una delle ragazze di bordo mi mise tra le mani un bicchiere di cartone con del liquido da bere, allontanandosi poi dimenando i fianchi … Bevvi, non lo ricordo, forse no. Però mi preparai a seguire le istruzioni che ci vennero date. Mi tolsi le scarpe e dalle tasche penne e qualsiasi altra cosa che potesse causare danni … l’orologio … Poi ci dissero qualcosa riguardo la testa … e improvvisamente un rumore inumano, brutale … violento che mi face sobbalzare costringendomi a ricacciare il mio cuore in gola. “Ecco! Ci siamo!” Dovetti aver pensato. “A dottò … si restate n’antro po’ ar sole, stasera ve magnamo co’ le puntarelle” Spalancai gli occhi e, poco distante, mi sorrideva il volto beffardo di “Sigarone”, che dal sedile del trattore mi osservava mentre con un fazzolettone a fiori rossi e bianchi si asciugava la testa. “Annatevene a dormì a letto vostro … stamani er sole picchia ch’è ‘na bellezza” Cercai nel cielo il fuso argentato, ma non trovai più neppure il cancello di nuvole. Allora mi alzai e gli andai incontro ormai certo d’essere sceso da quell’aereo … ma chi aveva suonato il campanello?


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MCB

Hivy il gabbiano e la bambina

Ancora oggi, sull’isola del sole, vi sono notti in cui uomini dalle antiche memorie si radunano sulle spiagge, e attorno ai fuochi raccontano la storia di Hiyvv il gabbiano, e della bambina che venne dal mare … e allora, mentre attorno scende un gran silenzio, ogni giovane donna rivive nel suo cuore la loro storia d’amore.

“Tanti, tanti anni fa, quando la terra fu promessa agli uomini, una piccola cellula, nata nelle profondità del mare, chiese a suo padre, il terribile Nettuno, di lasciarla salire alla superficie per iniziare una nuova vita e divenire donna. Ovviamente suo padre si oppose, ma la sua risolutezza fu così determinata che seppe superare ogni difficoltà, e così, un giorno, salutate le sue numerosissime sorelle e suo padre, iniziò, sola soletta, ma con tanto dolore nel cuore, a salire verso la luce. La strada che dovette percorrere fu davvero lunga e non priva di ostacoli … se non addirittura di pericoli, ma il suo co-raggio vinse su tutto … e quando finalmente si affacciò al sole … per poco non le capitò di morire. In fretta e in furia fu costretta a modificare il suo stato evolutivo di creatura marina in quello più lento e complesso di creatura terrestre, dovendo imparare all’istante a respirare l’aria della Terra e ad alimentarsi per non morire. Tra l’infinità di cose nuove che dovette imparare alla svelta, ve ne furono alcune di difficile interpretazione ed altre più vicine al suo spirito semplice. Imparò ad amare ciò che la circondava e a bearsi di alcuni piaceri sconosciuti; come quello del contatto con la spiaggia dorata e meravigliosamente calda. Certo i primi momenti di quella nuova vita non furono precisamente tranquilli. Ebbe bisogno di tutto il suo coraggio per superarli senza sentirsene troppo scossa, e le prime ore che visse in quel nuovo mondo trascorsero in un susseguirsi di scoperte e qualche delusione; imparò a riconoscere le creature che non le erano ostili, e a distinguere uno ad uno quegli strani esseri che, volteggiando incessantemente nell’aria alla ricerca di cibo, sembravano essere gli unici veri dominatori di quella splendida isola. Ma sebbene il loro aspetto elegante e possente l’affascinò, ben presto dovette riconoscere in loro il più pericoloso dei suoi nemici. E fu proprio per evitare di finire preda dei loro enormi becchi che dovette cercarsi un riparo per poter meglio difendersi dai loro attacchi. Per sua fortuna, poco distante dal tratto di spiaggia su cui era emersa, scoprì una piccola cavità a ridosso del costo-ne sabbioso che separava la spiaggia da un vasto bosco di alberi sempre verdi, e di li, dove ebbe modo di trovare una sistemazione adatta al suo sviluppo, imparò varie tecniche per confondere quei cacciatori alati e come procurarsi il cibo necessario alla sua sopravvivenza. Per la verità in più di una occasione fu ad un passo dall’essere preda dei loro becchi, ma la volta che credette d’essere ormai spacciata, uno di quegli strani animali, ma così giovane da non essere ancora esperto nell’arte del volo, divenne suo amico e la difese contro ogni attacco dei suoi compagni affamati. Il tempo trascorse lentamente sia per lei che per il giovane gabbiano che divenne enorme e stupendamente bianco. E quando le forze glielo permisero, lui prese a condurla con se (ben sistemata tra le piume del collo) in tutte le sue avven-ture di volo. Anche lei crebbe, e pian piano acquistò l’aspetto di una bambina bellissima, i cui capelli dorati e gli occhi d’un color turchino fecero innamorare il povero gabbiano che ne divenne il precettore, il compagno di giochi e il confidente … e per lei, il suo primo sentimento d’amore. – Hiyvv! – Gli chiese lei mentre dall’alto del costone osservavano il mare – Perché hai fatto la sciocchezza d’essere mio amico? I tuoi compagni non hanno gradito questa tua difesa nei miei confronti … Perché lo hai fatto? Il povero gabbiano non seppe cosa rispondere. Non poteva certo dirle che l’amava, sarebbe stato stupito soltanto immaginarsi che lei avesse mai potuto ricambiare quell’amore … ed allora dette a quella domanda la solita risposta. – Perché non si ha tutti lo stesso cuore Trascorse dell’altro tempo e lei, la bambina, crebbe divenendo una splendida fanciulla che fece innamorare ancor di più il povero gabbiano – E tu perché mi concedi la tua compagnia? – Chiese lui un giorno mentre osservavano un gruppo di giovani uomini avvicinarsi al mare – Perché sei mio amico… e per me un amico è più importante di ogni altra cosa – È sciocco, e tu non devi sentirti impegnata in alcun modo … – Replicò lui tentando di mascherare il piacere che quell’affermazione gli aveva procurato – Io non potrò esserti amico a lungo … alla mia razza non è concesso vivere tanto quanto sarà la tua vita – E questo cosa vuol dire? – Che quando io me ne andrò tu rimarrai sola – Tutto qui? – Rispose lei sorridendo – Allora puoi stare tranquillo, tu non potrai mai andare da nessun’altra parte perché ormai sei dentro di me … e di qui non ti permetterò più di uscire Trascorse dell’altro tempo, ma il pensiero di ciò che aveva detto Hiyvv e che presto sarebbe rimasta sola, iniziò a rat-tristare lo spirito della bambina … e a nulla valsero l’affetto e le continue dimostrazioni di amicizia di cui Hiyvv la circon-dava. Inoltre, quando i giovani uomini che erano venuti per pescare furono pronti a far ritorno alle loro case, tentarono di farle comprendere che sarebbe stata cosa saggia se avesse abbandonato la spiaggia per andare a vivere nel loro villag-gio … “Non puoi restare sola … tu appartieni al popolo degli uomini … e nel nostro villaggio avresti protezione e cibo in abbondanza … Cosa potrai mai farne della tua vita quando il gabbiano ti lascerà… Non vivono a lungo quegli uccelli, e tu presto resterai sola” Non fu facile per lei prendere una decisione, si sentì confusa, impreparata … e troppi ricordi importanti la legavano a quella spiaggia e al suo caro Hiyvv, ma quegli uomini seppero insistere, e le loro premure e la simpatia seppero turbarla. Lasciò trascorrere alcuni giorni, sempre pressata dalle loro insistenze, e una mattina, dopo aver trascorso una notte di veglia, decise che avrebbe seguito quegli uomini. – Addio amico mio … – Sussurrò la bambina carezzando il corpo del gabbiano – Non posso più restare con te … il mio corpo appartiene alla razza degli umani … e presto partirò con loro – Credevo che gli amici non si abbandonassero mai – Replicò tristemente lui – Io non potrò mai abbandonarti se resterai padrone del mio cuore … Tu per me non sei stato soltanto un amico, sei stato il mio coraggio, la mia forza … e io ti debbo la vita – Ma tu appartieni agli uomini … – Commentò tristemente lui evitando di guardarla negli occhi – Tu mi hai insegnato che appartengo soltanto a me stessa … ed io non tradirò mai la tua amicizia – Allora resta con me! – La pregò lui con le lacrime agli occhi – Questo non puoi chiedermelo … – Singhiozzò lei – Il prossimo anno tu non ci sarai, ed io sarò sola – Hai ragione … scusami … – Sussurrò lui comprendendo di averla persa – Ad ognuno di noi spetta la vita per cui è stato creato … e nulla può cambiare questa certezza – Addio mio cuore … – Sussurrò lei carezzandolo – non ti dimenticherò Da quel giorno la vita della bambina cambiò completamente … imparò a vivere un’esistenza del tutto nuova… ebbe molti altri amici con i quali giocò e crebbe. Ma se il suo volto mostrava d’essere felice e la sua vita era colma di gioiosa vitalità, ben presto cominciò a provare nostalgia del tempo trascorso sulla spiaggia, rammaricandosi d’aver perduto quel primo sentimento d’amore che ancora possente le riempiva il cuore. Con quei ricordi trascorse infinite notti in lacrime, e dovette vincere l’istinto di razza prima di sentirsi pronta a fuggire dal villaggio, e dopo una corsa a perdifiato raggiunse la spiaggia gridando il nome del suo amore – Hiyvv … Hiyvv … Oh Hiyvv! Chiamò ed urlò quel nome caro … ma nessuno le rispose, e lei si lasciò scivolare sulla sabbia in lacrime. Trascorse la notte e un intero giorno disperandosi e urlando il nome del suo amato … e poco prima dell’imbrunire, mentre all’orizzonte il sole incendiava le bassi nubi, le fu rivelato che Hiyvv si era dato la morte in mare lo stesso giorno in cui lo aveva lasciato per il mondo degli uomini. Lei non volle credere d’essere stata causa della sua morte e continuò a chiamarlo nei giorni e nelle notti che seguirono … Poi, quando quel dolore divenne insopportabile, lentamente si avviò in mare … e rinunciando al sogno d’esser donna, scelse di tornare in quell’oscurità dov’era nata e dove avrebbe ritrovato il suo perduto amore.”


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MCB

Verso il prossimo lancio

Il cuore mi batteva, come Ufficiale, ero l’ultimo del lancio, il primo era il Sergente. Il rombo dei motori del C-119 penetrava nella stiva di lancio come l’urlo di un mostro aereo, frastornandoti. Il cielo scuro appariva dalla valva di coda asportata, un mare di nero che ingoiava uomini con una velocità spaventosa, mostro, dalla fame immensa. Eravamo veloci, quasi una corsa verso quella bocca spalancata ma il tempo è davvero relativo. Pensavo a mio padre, a mia madre, alla mia ragazza, a me. Tutto in un attimo, accavallato d’immagini mentali, paura, terrore della morte: ma chi me lo fa fare? Il mio orgoglio, il mio fesso, orgoglio, di sempre. Ero io a volerlo di non restare, nessuno m’obbligava, potevo restare a bordo, il Direttore di lancio, un Maresciallone con le palle, avrebbe capito. Arrivai sulla porta, non avevo nemmeno controllato la fune di vincolo, sistemata bene più per esperienza che per il pensiero. Lo sguardo del Maresciallo, il lieve spostarsi a far posto e il salto nel buio, anche questa volta c’ero riuscito. Lo schiaffo dell’aria, il rombo lontano, una terra al chiaro di luna che ti precipitava contro. Le gambe della mia ragazza aperte, la pagnottella scura, il paradiso sotto di me. Poi lo strappo del gigante. Il guardare in alto se si era aperta la calotta o se avevo fatto candela. Un lancio notturno di guerra, anche solo virtuale, si fa bassi, molto bassi, speri in Dio e nel ripiegatore di paracadute umani. Vedi calotte a terra, intorno, sopra di te ma laterali, un lancio di battaglione è uno spettacolo. Quasi eccitato sessualmente, l’adrenalina a fiotti che scorre nelle vene e ti fa sentire un Dio che scende da una nube, Pegaso alato, che porta sulle spalle se stesso e le ali. L’ora mentale che passa veloce e dura meno di un minuto. Ricordi lontani, da bambino s’accavallano a promesse future: come l’amo, Tiziana. Il suo bel corpo nudo, sudato, sereno. Papà, se tu fossi qui. Ti voglio bene, mamma. Poi l’urto quasi improvviso, la terra. Il rotolare su te stesso, la voce del Sergente: – Tutto bene, Tenente?.- Sorridi e, non sai, se ti vede, che dire a quel simpatico pugliese, che, lo amo, perché son vivo? Di radunare il plotone, grugnisco. E’ quasi una risata. Il Colonnello Mautino, la sabbia d’El Alamein ancora nelle orecchie: – Forza testone, controlla i tuoi uomini, si va veloci fuori, da qui. – La vita ritorna come sempre, si corre dopo aver recuperato il paracadute alla meglio, le squadre di recupero sono già all’opera. Faccio parte d’un insieme efficace, collaudato, son fiero. Raduno gli uomini e corro, verso dove? Verso il prossimo lancio.


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Mayo de May@

Il primo lancio

Ero il più giovane su quella macchina pazza che andava da Modena a Torino su strade non proprio prive di buche, anzi. Il più giovane di quattro amici disparati: uno di diciotto, due di 30 e un medico di 40. Niente ci legava nella vita, ma una pazzia ci faceva legare più che fratelli. Ci piaceva ubriacarci d’emozione, sentire l’adrenalina scendere in vena, darci il senso del brivido anche stupido ma sentirci gasati, sicuri, superuomini tra rammolliti. Ruggero, il medico, ci raccontava che eravamo drogati. Schiavi di una droga naturale che solo il pericolo o la paura poteva dare. L’avevamo sperimentata il roccia, in moto e, ora, la si sperimentava in cielo, quell’adrenalina. Eravamo al terzo lancio col paracadute, si voleva a tutti i costi il brevetto dei sei lanci e non ci saremmo mai ritirati prima. Una questione d’onore con noi stessi. Giungemmo al raduno già stanchi, occhi arrossati e labbra secche. L’esercito, o meglio, i para’, come ci piaceva chiamarli in ricordo di Massu, il colonnello francese de Para’ d’Algeria che seguivamo nelle imprese. I para’ fornivano paracadute e Direttori di Lancio e l’aviazione vecchie vacche volanti, gli SM.83, se ricordo bene. Il raduno era in piena Torino e il Comune ci dava un pulmino da ragazzi. Quella volta eravamo in tanti, comprese cinque donne più pazze di noi. Erano infagottate il tute militari; chi l’aveva adattata al suo fisico e chi, come la rossa, larga e impacciata; si vedeva che era la prima volta. Io, felice della mia verde oliva americana, trovata a Livorno, al mercatino, l’adocchiai subito e lei adocchiò me. Avrà avuto la mia età o poco più vecchia: legammo subito. Era davvero il suo primo salto. Io, forte dei primi tre mi sentivo un nonno. Lei beveva ogni cosa che dicevo, registrava ogni consiglio che davo, mio Dio, ero proprio gasato. Lasciammo salire tutti, noi fummo gli ultimi e, beninteso ci tocco il posto in piedi, appiccati alla barra centrale. Qualcuno dietro spingeva, altri spingevano contrari e fu giocoforza che i nostri corpi condividessero lo stesso spazio Come profumava di pulito. Il pulmino si stava già riempiendo di quell’odore classico di sudore, paura, e eccitazione, riempivano spazi ristretti, come fusoliere d’aeroplani. Era il mio odore, ma non il suo, Lei profumava di donna e di pulito. I capelli respirati m’entravano in bocca, Lei cercava di scostarsi ma non poteva e, lentamente roteando la nostre bocche sentirono l’una l’inizio dell’altra. Eravamo timidi e in pubblico. Ma si sentiva che eravamo eccitati. Le scosse che ricevevamo portavano i nostri inguini sempre più pressati contro l’inguine dell’altro e confesso che fu estremamente difficile mantenere solo quel principio d’erezione. Ero un Para’, dovevo vincermi. L’andata fu una specie d’inferno gradito. Il mio corpo incastrato nel suo come parte mancante per un insieme perfetto. Era caldo il suo corpo, caldo e morbido. Il suo respiro lieve ed eccitato come il mio, il cuore un motore d’aereo. Ci trovammo vicini alla imbracatura, seduti sull’erba, in attesa dell’involo. Salii per primo e Lei dietro. Per lanciarci si doveva fare il percorso inverso. Avrebbe dovuto fare il salto davanti a me e questo non mi piaceva. Se uno dalla paura si ferma o lo butti sotto o lo recuperi staccando in gancio. È sempre una operazione che se anche fatta veloce è lenta alla relatività dell’aereo e, o salti fuori campo o salti al prossimo giro. Non li si buttava di sotto. Incominciarono ad uscire sotto l’ordine del Direttore di lancio: – Fuori, uno, fuori due, fuori … – Lei era la decima, io l’undicesimo. Chiamò, l’ottavo, Lei si voltò a guardarmi sotto quel buffo elmetto, vidi quello che parve un lampo di paura. Dio, non si butta, non si butta … Non ebbe esitazioni e volammo fuori nella scia dell’aereo come due angeli. La fune di vincolo ha uno strappo predeterminato. Ti sembra di precipitare a sasso e senti un gigante trattenerti con uno strappo violento, poi, dondoli, dondoli nel vento. Eravamo a poche decine di metri, mi guardò, rideva. Viso rosso, eccitata, bambina e rideva, io risi con lei. Fu un amplesso a distanza e in aria. Sentii come entrare in lei e lei mi sentì entrare e mi gridò: – Ti voglio ora. – Scendemmo godendo con tutto noi stessi. Ero turgido, ma non emisi nulla. Forse Lei bagnò. Ci trovammo a terra, non c’era che un poco di vento e mi buttai sul suo paracadute sgonfiandolo e, lei, capì e si buttò sul mio, quasi sopra al suo. Ci trovammo quasi l’uno sopra l’altro. Ma le bocche si riuscirono a trovare, le lingue scattare, come eravamo vivi. Ci sentivamo eccitati, contenti d’essere a terra e rotolammo abbracciati. Avevamo vinto la paura, il terrore e ora si godeva la vita pieni d’adrenalina. Mi soffregai poco su di lei, quasi un attimo e la bloccai: quello che non era uscito in aria uscì sulla terra. Chiusi gli occhi, aspirai nelle sue orecchie e godetti da come non avevo mai goduto. Lei sorrise, si fermò, mi spinse il corpo contro e mi lascio godere, forse godendo anche Lei a occhi chiusi, non avevamo intorno nessuno. Ci muovemmo come per una copula. Ci muovemmo selvaggiamente nascosti dalla seta bianca. Un’ora? Un giorno? Una vita? Forse pochi secondi! Raggiungemmo l’orgasmo insieme guardandoci negli occhi. Mai avevo visto viso di donna trasformarsi così: un attimo belva e l’attimo dopo un Angelo sereno e disteso dove appariva tutto il miracolo della vita che scorreva ora placida nelle nostre vene. Ci chiamarono, recuperammo il paracadute e ci separammo, Lei tornò con il camion, il Sergente era un suo amico e rischiò il trasporto di un civile. Forse sarebbe stato lui ad amarla quella notte. Non ho mai saputo il suo nome ma ricordo ancora il suo viso disteso e bello, 30 anni dopo.


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