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Racconti degli autori

Nuvole

Esseri fantastici, enti un po’ alati vanno in corsa per l’orizzonte. Prendono corpo e mutano forma, dileguano in nero, grigi, marroni. Spingono dietro i maestrali con grande vigore, in una regia leggera che scherza e scompiglia. Nell’inseguirsi ancora vuoto d’ansia, in coda gonfia un bel cavolfiore con le foglie che si aprono a gran colletto e presto si sfaldano in un lunghissimo naso. Pinocchio annusa la gran signora che corre avanti, la chioma a cupola e due seni pieni, in trionfo, rosa e violetti. Tutti i suoi menti ballano, molli e rotondi, intorno al sorriso, mentre le gonne volano in turbine sopra le cosce. Com’è veloce la gran signora che ha paura del temporale. Le sue scarpine gialle e turchesi lasciano scie futuriste che poi s’arrotolano in lumachine dal ritmo lento. E dopo vengono uccelli, insetti e pesci: nuotano e volano in un prodigio di aria e di acqua. Occhi rotondi, zampini, piume, creste con scaglie, antenne, pinne e ali di bianchi brillanti e neri oscuri si mutano in pioggia. Si scioglie tutto. Restano lampi che zigzagano il cielo e l’eccitazione della tempesta. “Prego, allacciare le cinture”. Lufthansa. Volo 720 Francoforte-Pechino.


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Kiki Pi

Appunti di volo

Eccomi qui in aereo come tante altre volte. Ma stavolta è uno strano effetto. A me piace volare, viaggiare, vedere, conoscere, capire. E’ nella mia natura. Ma vi volevo parlare di altro. Di un emozione … Perché vedete volare, passare dall’alto su terre, mari, da’ un’altra prospettiva. E’ come se una telecamera fissa su un soggetto a poco a poco allargasse l’inquadratura. E’ cosi. Cioè, tu hai l’inquadratura fissa sulla tua vita, sulla tua normalità … normalità, si, no non mediocrità … vabbé, comunque tu sei li, fisso, e poi ad un certo punto tutto si allarga e si restringe e la tua prospettiva cambia. In volo. E’ bellissimo. Se gli psicoterapeuti fossero gente onesta dovrebbero consigliare questa esperienza a chi ha la vita inchiodata ad un muro. Così come le farfalle. In modo da riprendere il volo. Invece di impazzire. Ed io infatti ora mi libro. Ma vi volevo parlare di un’altra cosa. Vi volevo parlare di morte. No, non è un pezzo triste. Aspettate. E’ che oggi ci ho pensato. Ancora. Forse perché non sto bene? Forse, ma non so. Soprattutto perché ho capito. Ho capito che alla fine non deve essere male morire. E come quando parti in aereo. La sensazione meravigliosa del carrello che stacca è l’anima che sale verso l’alto. E’ certo che anche in quel caso bisogna che il corpo sia ben fermo. Con le cinture allacciate, ma proprio forte. Ed è cosi che poi lei, l’anima, si stacca e finalmente … vola. Libera. Allargando finalmente la prospettiva su tutto il mondo, sulla vita. Finalmente capace di non essere inchiodata in mille piccolezze, particolarità. Si. Che altro dire? … Il tempo è magnifico ed il panorama pure … Ah, ma mi raccomando cercate di volare lato finestrino. Altrimenti correte il rischio di cambiare la prospettiva della vita con quella dello schienale magari reclinato della poltrona davanti a voi. Alitalia docet … si, grazie del buon succo di frutta a farmi compagnia in questo volo. Un altro, di prova generale.


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space shuttle
Serena Iossa

Un passeggero scomodo


Arrivo all’aeroporto, il mio passeggero non dovrebbe tardare. Infatti, eccolo arrivare; si guarda attorno un po’ spaesato mentre attraversa il piazzale con gli aerei. Ora è nel mio regno, per la prima volta si deve fidare ciecamente di me.

Indossiamo i paracadute e chiamo la torre. Mi danno l’ok ed entriamo in pista.

Mi sento addosso uno strano spirito di rivincita: adesso ti faccio vedere come si fa!

In queste situazioni bisogna essere un po’ melodrammatici.

Controlli: “Comandi: gli alettoni ci sono, i pedali ci sono – strano -, la coda coi timoni l’ho vista prima, il filo di lana c’è, gli strumenti … anche, il traino è li, la manica a vento è abbracciata al suo palo, non ci sono peones sulla pista. Cappottina chiusa?”

“Eeeeh…!” Amorfo. Mi volto, la controllo, controllo anche la mia. “Chiuse. Non toccare i pomelli rossi: il sinistro apre la cappottina, il destro la sgancia.”

“Eeee?” Perfetto, capisce al volo ‘sto ragazzo.

Alzo il pollice. Mi alzano l’ala e il volo comincia. E anche lui: comincia ad urlare.

Ha vent’anni e buoni polmoni, e raglia come un asino incavolato. Urla per l’eccitazione di essere per la prima volta su un aliante, aeromobile così piccolo e maneggevole, nella cabina, con i comandi a portata di mano.

I comandi … “Mi lasci liberi i comandi per favore?”.

“Ah sì, scusa” e riprende a farneticare.

Dopo un po’: “Dove andiamo?”

“Dietro al traino”

“E perché non provi a superarlo?”

“Caz … dici?”

“E dove ci porta?”

“Dove gli ho detto” e di nuovo urla: “Cos’è questo? E quello? Questo qui che si muove? Ooops: mi è rimasto in mano …”

“Stai zitto!!”.

Arrivati in quota, sgancio, viro a destra e voliamo liberi. “Dove ti porto?”.

“Boh …”

“D’accordo: andiamo verso la città”. Trovo una termica dove volano decine di cornacchie. Strano, non mi risulta che siano grandi veleggiatrici … infatti: non si sale. Proviamo coi rondoni.

“Posso ordinare una pizza?”

“No”

“Perché? Ho il telefono”

“Primo perché non prende; secondo, perché dove te la fai portare?!”

“Aaaahheeee” urla.

“Basta!”

Urla ancora. In un attimo picchio, cabro e picchio ancora.

“Aargh, cosa succede?”

“Ti do un motivo per urlare.”

“Ma io ho battuto la testa!”

“Tira le cinture”. Rimbambito! … ecco le mie vendette.

Riprende a urlare. Mette la mano leggera sulla cloche, me ne accorgo. “Se vuoi pilotare dillo, adesso l’aliante è tuo, fai quello che vuoi … ma non stallare e non entrare in vite. Per favore”

“Cosa? Come si fa? No, non voglio!” e picchia.

Tiro leggermente la cloche “E vai dritto … non vedi che il filo non è centrato!?”

“Filo?”

“Quello rosso, davanti a te … e hai finito di strillarmi nelle orecchie?”

“Sì, prendilo tu!”

Prendo i comandi.

“E se stalla?”

“Così?” tiro leggermente e la velocità rallenta, rallenta, r a l l e n t a a a a …

“Fermaaaargh!”

“Sì, più o meno …” Carognata! E continuo: “Vabbé, adesso ti faccio vedere la vite”

“La che? Eeeeeeh …”

“ Ho detto: V I T E. Dopo lo stallo, incroci i comandi, un’ala stalla e … va giù.

“Uuuaaahaa, ancora!”

Lo sapevo. “No, adesso questo!” . Picchio per prendere velocità, poi cabro e viro.

“Uuuaauuu!”. Urla ancora. Che strazio! “Guarda l’ala ferma per terra … la vedi?”

“Uauauauau, iiiiiaaaaaha”.

Insopportabile.

“Ehi, ancora!”

”No, siamo bassi”. Balla colossale. E aggiungo: “Andiamo all’atterraggio, ma prima …”

“Uaaaa …”

In prenotazione metto l’aliante in virata bella stretta e tiro: urla meno, finalmente! “Ti piace?”

“B e l l o”, dice a denti stretti, strizzato sul sedile.

In sottovento la prova diruttori.

“Uahh!”.

Sì, ci sono. “Adesso zitto, se no ti porto sugli alberi”, gli ruggisco.

Vedendoli ora così vicini, non osa disturbare. L’atterraggio è silenzioso, ma dopo la toccata ricomincia ad urlare.

Schizzo fuori come una molla e lo lascio dentro.

Tirato fuori l’aliante dalla pista, vedo papà e con enfasi gli dico: “Portami via tuo figlio dalle mani, altrimenti gli tiro il collo: non sapevo che avesse tanto fiato, non l’avrei portato per aria!”

Mio padre sorride. E’ stato un pilota anche lui.

Il mio passeggero, bianco come un panno lavato in candeggina mi sussurra: “Dai, Diana, fammi scendere da ‘sto coso?! … per favore.”

In fin dei conti , è mio fratello … e gli slaccio le cinture di sicurezza.



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§§    in esclusiva per “Voci di hangar”   §§


India

Quando ero piccolo

Quando ero piccolo volavo basso sul terreno. Sentivo l’odore delle cose, le vedevo e studiavo bene da vicino. Sentivo l’odore della terra planandole a pochi centimetri. Sentivo il profumo della polvere e del vento, col vento mi mescolavo; sentivo i fiori e il muschio, sui fiori mi posavo; gli aghi di pino e le foglie più alte sugli alberi, li potevo raggiungere senza sforzo, e da li guardare il cielo blu sopra; mi potevo infilare nei covoni di fieno tagliato, contare le bestie al pascolo sugli alpeggi, dall’alto.

Calavo dalle colline come un’orda barbarica, ma con il mio fragore dentro; mi alzavo fino alle fronde degli alberi schivandoli e mi sentivo il cuore esplodere di gioia a tre metri dal suolo.

Sorvolavo i campi come una brezza di primavera, l’odore dell’erba era mio: i fiori, la terra, l’acqua, i sassi (oddio l’odore dei sassi!), le foglie d’autunno nei boschi di montagna, tra la nebbia che avvolge i tronchi: con un passaggio basso e veloce le sollevavo e il loro profumo di funghi mi avvolgeva.

Dentro me urlavo di gioia ad ogni volo, ad ogni planata, ad ogni basso passaggio sul mondo profumato.

Ma la gente non vuole volare: molti hanno paura, e si difendono dicendo che bisogna crescere, smettere di giocare. E allora ho deciso: del volare ho fatto la mia vita.

Un giorno me ne stavo a gironzolare per il pendio di una montagna, quando ho deciso di riposare in una radura col muschio. Mi sono steso e ho alzato gli occhi al cielo. Le nuvole correvano instancabili nel blu, formandosi e sfaldandosi di continuo. Lì ho deciso di volare alto, diventare pilota.

Ho scoperto con dolore che per essere pagato dovevo essere utile, dovevo portare gente a spasso, e per questo mi servivano le lunghe ali di metallo.

Ho detto addio alle prodezze e ai virtuosismi, ho detto addio ai cambi repentini di rotta.

Qui siamo monitorati e vettorati , spiati e guidati; qui ci sono strumenti e spie luminose, qui non si cambia rotta: segui la strada che ti dicono, non si sgarra.

Ora sto seduto in poltrona, il mostro alato vola da solo, docile. Ora, a 25000 piedi, la terra non si vede neanche, non sono più basso al suolo. Ora nelle narici ho l’odore di sudicio della cabina, degli strumenti di bordo, del kerosene al rifornimento, il profumo studiato delle hostess. Ora ho con me centocinquanta persone, e a loro non interessa l’odore dell’aria e delle cose, loro vogliono arrivare in fretta a destinazione. Da una città all’altra senza sosta, senza amore.


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India

Una macchia

La sala cortesia di un aeroporto del nord, di una giornata come un’altra, mentre aspetti che chiamino il tuo volo, bevi qualcosa di alcolico in attesa che l’ennesimo aereo ti porti lontano. Rifletti sulle persone che hai appena lasciato, un’ombra di malinconia ti assale. Dura un istante, lo spazio di un sorso della tua bibita. Vedi le persone che entrano nella sala, le loro facce, il loro aspetto, non ti comunicano nulla. Passano e non s’imprimono nemmeno sulla retina. Improvvisamente qualcosa di inconsueto attrae il tuo sguardo, è una macchia che urla attenzione – sono qui guardatemi! – Osservi con una qualche attenzione l’improvvisa apparizione; non alta, una cascata di capelli neri, un viso gradevole ma non più giovane, rossetto scarlatto, neri occhi vivaci, ed un seno prosperoso che la scollatura della camicetta promette. Ma la tua attenzione è attratta dai suoi pantaloni, quasi una guaina, che strizza le sue gambe e disegnano i contorni del perizoma che evidentemente indossa. Scarpe con tacco alto almeno 20 cm le conferisce un’aria singolarmente instabile, precaria, ma certamente sensuale. Un’immagine ti si disegna netta in mente, mentre lei graziosamente ti sorride (sorride!), tu che ti inginocchi e dolcemente le abbassi con delicata violenza quei pantaloni e la lingua libera di correre veloce fino ad insinuarsi sotto al perizoma che hai indovinato indossato, e l’umore del suo sesso eccitato bagnarti completamente il mento mentre con la lingua la penetri. Invece rispondi al suo sorriso con un educato cenno, e ti avvii verso il gate che ti condurrà al tuo aereo. Prendi posto nella fila in fondo, quella riservata ai fumatori, è completamente vuota. La Macchia dal rossetto scarlatto la vedi avanzare nella tua direzione, deposita il suo bagaglio a mano nello scomparto sopra il tuo posto, prende posto accanto a te, e ti porge la mano -“ ciao piacere sono Manuela”. Sfoderi il tuo sorriso più amichevole e mentre senti il tuo sesso che diventa turgido, le rispondi con un “ciao Manuela sono Vittorio”. Il volo è nelle prime ore normale, solo il contatto casuale tra le gambe sembra promettere qualcosa di più di un vago chiacchericcio da compagni di viaggio. La notte artificiale imposta dalle hostess per aiutare il cambio di fuso orario cala presto. Manuela non ha voglia di dormire. Quasi una metamorfosi avviene in lei, il buio deve avere assopito la signora di mezza età per lasciare libera la creatura che ha scelto quei pantaloni, quella biancheria intima e quel tacco invitante. Manuela offre una sigaretta, e la accetti con una smorfia gentile. E’ lei ad accenderla ed a passarla, è lei che dedica un’artificiosa lentezza nel gesto. Prendi la sigaretta e ne aspiri profondamente il fumo, gliela ripassi. La scena si ripete per qualche volta fino a che nel non avvicini le labbra alle sue, lei ti accetta e la sua bocca si apre per lasciare insinuare la lingua. Senti la sua mano destra che scivola rapidamente sotto la coperta da viaggio che avevate gettato sulle gambe per ripararvi dall’aria condizionata. Avverti la mano di Manuela scorrere sui fianchi dirigendosi verso la cintura dei pantaloni. Con un gesto rapido si insinua nei pantaloni e si muove decisa nel raggiungere e massaggiare delicatamente le palle, e la base del sesso che senti spaventosamente duro in un istante. Le slacci delicatamente i pantaloni ed avverti fortissimo l’odore della sua eccitazione, e la tua mano si fa strada verso la parte che indovini più umida della sua biancheria. Il tuo dito indice si appoggia rudemente sulla parte della sua biancheria dove la clitoride pulsa sotto le mutandine. Il dito é letteralmente ricoperto dal suo umore, lo senti caldo ed umido come se fosse stato immerso in una qualche crema bollente. Manuela estrae la mano dai pantaloni, li abbassa delicatamente e tuffa la testa sotto la coperta. Senti il sesso attirato tra le sue labbra, sbirci sotto la coperta e vedi l’immagine della bocca rosso scarlatto di Manuela che come per magia si allarga per ospitare il membro completamente eretto. Ti colpisce l’immagine di come scompaia entro quella boccuccia rossa scarlatto. Senti che sei prossimo ad esplodere, vuoi che l’eccitazione che ti ha provocato ed il flusso caldo dello sperma che senti impaziente di sgorgare finisca dentro la vagina di Manuela. Le sussurri “andiamo nella toilette … ora … subito!”. Lei si alza, si ricompone frettolosamente, e si avvia verso la toilette. La segui, chiudi la porta dietro del bagno dietro di te, e la vedi in piedi in quello spazio angusto. Le abbassi i pantaloni ti inginocchi e tuffi la lingua in quel caldo ricettacolo che è la vagina di Manuela. Lei ansima, la senti prossima all’orgasmo . Ti sollevi in piedi e con una disperata ansia ed infili il sesso eretto tra le sue gambe. Dura pochi istanti, pochi rapidi movimenti e Manuela viene, con violenza quasi e mentre senti il fiotto caldo del tuo sperma uscire quasi sparato entro di lei, la sua bocca nel culmine dell’ orgasmo avidamente ti succhia il collo.

Ti ritrovi seduto sulla poltrona del posto fumatori, osservando distrattamente il panorama che l’aereo in fase di discesa ti mostra. Ti accorgi appena della placida Macchia che con un bacio sulla guancia si appresta al commiato.


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