Archivi categoria: Le Voci

Racconti degli autori

Aeroporto

Ecco che sento di nuovo quella vibrazione. Quel senso di eccitazione e piacere, quasi come se il viaggio fosse lo scopo e non il mezzo. Le migliaia di persone che formicolano nelle sale d’attesa, con mille storie, i negozi cari e ovvi, il profumo artificiale e soprattutto quel ronzare basso degli aerei che atterrano e partono, portando con loro carichi di pensieri. Come sembrano grandi nel buio. Le piccole finestrelle come cento occhi e quella grande coda colorata. Un paesaggio del futuro, fuori di questo terminal che sembra anch’esso la pancia di un aereo. La luce dell’alba si fa avanti piano sul grande campo di operazioni. Non c’é nessuna piccola sagoma umana là fuori. Solo grossi mostri alati che vibrano, luci intermittenti e macchine di servizio ausiliarie.

Iniziano ad arrivare persone. Come sempre sono in un tremendo anticipo, per godermi con calma le sensazioni che si incollano piano sulla mia pelle, una dopo l’altra, una alla volta. Libertà, calore, solitudine, malinconia.

Iniziano ad arrivare persone e con loro anche la luce oscena. É come svegliarsi un’altra volta. Un altro traumatico passaggio alla coscienza. Voci forti, chiassose. Luce chiara, appuntita. I grossi mostri alati non fanno più paura, non sembrano più venuti da un altro mondo. Non sembrano più Dei alieni da adorare e temere. La gente aspetta di riempirli. Come semplici aerei da trasporto passeggeri. La luce é apparsa del tutto.


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Fabbrix

Il volo

Tutti da bambini voliamo! Anzi la cosa certa è che iniziamo a volare prima di saper camminare. Perché, mentre la capacità di volare è una qualità che nasce con noi, quella di camminare bisogna acquisirla. Poi crescendo, la qualità innata, è sostituita da quella acquisita. Da piccoli si comincia a volare subito appena nati e se non fosse per gli adulti, si rimarrebbe sempre in volo. Sì perché il volo avviene sempre durante le distrazioni degli adulti. Più si distraggono più si vola. Ogni occasione è buona per librarsi in aria, prima solo per pochi attimi perché genitori e parenti ci controllano continuamente, poi sempre di più, minuti, ore. Alcuni bambini prendono il volo per sempre, beati loro! Senza nessuno che li controlli! È una sensazione straordinaria, e riviverla da adulti lo è molto di più, qualcosa di indescrivibile. Sentire l’aria fresca avvolgerti, guardare negli occhi gli uccelli dentro il loro nido, sfiorare un aereo con le mani. Favoloso! Non crediate che sia una cosa semplice, anche se tutti possono riuscire a farlo. È necessario però credere fermamente e tornare indietro, non solo con i ricordi, ma con l’anima, di più, sempre più indietro nel tempo, fino al momento della nascita. I ricordi sono ben custoditi, al sicuro in un angolo della mente. È lì che bisogna arrivare, lì c’è spiegato tutto. Non è come credete e come anch’io credevo prima! Non è necessario agitare freneticamente le braccia, non serve. Non bisogna assumere una posizione simile a quella di Superman, sarebbe ridicola. Poi bisogna fare molta attenzione a non cercare di allenarsi volando giù dalla finestra o da un precipizio. Servirebbe solo a lasciaci la pelle. Non è così che si vola. Vi renderete conto da soli che siete pronti quando, concentrandovi sui primi attimi della vostra esistenza, sentirete un brivido improvviso percorrervi dalla testa ai piedi, entrarvi nelle ossa, nei muscoli, nel sangue e liberarvi da tutto il peso del vostro corpo. Come per magia, pian piano vi solleverete dal suolo. Bastano già pochi centimetri per darvi quella sensazione meravigliosa che è il volo. E un nuovo mondo insospettato vi si mostrerà nella sua interezza. Vedrete tutti quanti gli altri che hanno reimparato a volare. Non siamo in molti per la verità, a parte i bambini. Ma anche quelli cominciano a scarseggiare. È inutile che vi sbracciate a salutare parenti e conoscenti mentre siete in aria, nessuno può vedervi. Solo chi vola vede chi vola! Avete mai visto nessuno volare?


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Emtes

Volare

Mi ricordo che quando ero vecchio scoprii un luogo che, per me, poi diventò sacro. Quel posto, forse dimora dei sogni, rimarrà per sempre avvolto nel mistero. Era un luogo ove trascorrevo buona parte delle mie giornate. Quando avvertivo una leggera brezza, capivo di essere giunto quasi alla fine del sentiero. In quel momento, il corpo cominciava a svuotarsi donandomi una sensazione di pace. In quel magico stato chiudevo gli occhi, continuavo a camminare solo di qualche passo e poi mi fermavo. Quando riaprivo gli occhi, dinanzi a me, si presentava un panorama stupendo. Il mio sguardo finalmente poteva spaziare senza incontrare alcun ostacolo: era libero! Gioiosamente libero! Allora, esso scendeva giù a strapiombo sfiorando le onde del mare. Risaliva rapidamente attraversando, con rispetto, i secolari alberi d’olivo; e, ancora, arrivava a sfiorare quelle casette bianche per poi sparire dietro le isolette sparse sul mare. Eccolo, ricomparire eccitato, accompagna in volo dei gabbiani, lasciandoli poi per ritornare sempre triste, dopo aver finito troppo in fretta quella gioiosa corsa. Ecco, forse, in quella visione e in quelle sensazioni era racchiuso il senso di tutta un’esistenza. Un giorno, proprio in quel luogo, mi accadde qualcosa di prodigioso. Ascoltate. Dopo aver liberato il mio sguardo, come sempre, nel panorama stupendo, mi accorsi che dietro di me cominciavano a fermarsi dei gabbiani. Erano tanti, tutti alle mie spalle; immobili, come incantati, osservavano il vuoto dinanzi, così come facevo io. D’improvviso, quelle creature, cominciarono a danzare ed emettere dei suoni che crearono una musica irreale. Si strinsero intorno a me e sollevarono il mio corpo. Incantato li lasciai fare. Sentii nascere dai piedi qualcosa d’indescrivibile che iniziò ad investirmi tutto. Stava per accadere qualcosa di straordinario. Un attimo e i gabbiani mi lanciarono nel vuoto! Ebbi paura. Provai terrore, ma tutto svanì quando avvertii di abbandonare per sempre il mio corpo. Ebbi la sensazione di abbracciare tutto lo spazio intorno, poi la Terra ed infine l’Universo intero. Fu, in quell’istante, che realizzai: stavo volando! I gabbiani mi guidarono delicatamente e mi portarono a sfiorare la superficie del mare. Attraversammo gli olivi secolari, passammo dinanzi alle casette bianche e dietro le isolette, dove sparimmo per sempre. Questa è l’ultima cosa che ricordo della mia vita da umano: l’ultima e sola splendida esperienza. Ma, prima di allora, cosa era stata la mia vita? Era esistita realmente? Avevo amato? Avevo sofferto? Avevo gioito? Sono domande che oggi non hanno più alcun senso. Oggi, è un giorno speciale! L’Universo mi ha donato una nuova vita. Mi ha donato le ali e la libertà. Oggi, sono rinato gabbiano e sono immensamente felice. Da oggi, ogni giorno sarà semplicemente meraviglioso, perché da qualche parte, sulla Terra, qualcun altro aspetterà di volare.

E, ascolteremo così, un nuovo e silenzioso battito d’ali.


 

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Maribù Duniverse

Il coniglio si prende senza correre

Era la sua centotreesima ora di volo per quella compagnia. Duecentodue in tutta la sua giovane carriera. Sua moglie si chiamava Patrizia ed era di Pachino, provincia di Siracusa. Era siciliana come lui, con la differenza che, compiuti sei anni, la sua famiglia l’aveva trascinata a spasso per il nord del paese, Lombardia prima (Monza, Milano, Lodi), a Torino ed Asti, in Veneto poi (Verona). Salvo scelse il continente dopo aver completato gli studi tecnici nella sua città natale, Messina. Servizio militare nell’aeronautica italiana, poi la decisione di voler fare il pilota. Era rimasto nell’esercito dai diciotto ai ventinove anni, poi il matrimonio con Patrizia, la casa a Verona (di lei), il passaggio agli aerei civili nella più grande compagnia nazionale. Pilotare aerei era per lui un lavoro come gli altri. Se fosse rimasto nella sua città probabilmente sarebbe finito su di una nave traghetto a solcare giornalmente lo Stretto di Messina; aveva scelto il cielo al mare. Salvo e Patrizia non avevano avuto figli, per volontà di lei. Patrizia non aveva mai lavorato, era laureata in Economia e Commercio ma, tranne qualche timido tentativo nello studio di un suo zio commercialista di Asti, aveva preferito fare la casalinga. Salvo era il suo secondo marito. Il primo si chiamava Enrico ed era un avvocato milanese con interessi lavorativi in Veneto. Salvo aveva trentasette anni quando si sposò con Patrizia. Patrizia ventinove. Enrico cinquanta quando si separò da Patrizia dopo due anni di pacata convivenza coniugale. Nessun figlio nemmeno dal primo matrimonio. La scatola nera appartenuta all’aereo pilotato da Salvo e precipitato la mattina del diciannove Settembre fu ritrovata nel mare Adriatico solo sei giorni dopo. Tutti i corpi dei passeggeri e dell’equipaggio furono restituiti dal mare dopo tre giorni di ricerche da parte delle squadre di soccorso. Tutti tranne il corpo del capo pilota, Salvo. L’aereo si era inabissato nell’Adriatico alle ore sette e trentadue minuti. Nessuna perturbazione in corso, nessuna comunicazione via radio, nessun segnale di difficoltà. Nulla. A bordo vi erano centotrenta passeggeri e sette membri d’equipaggio. Ecco quanto è stato reso noto dell’ultimo dialogo fra il secondo pilota, Paolo Anselmi, e Salvo. Sono le ore sette e cinque minuti di Martedì diciannove Settembre: – Paolo – “Sette per sette?” – Salvo – “Quarantanove…” – P – “Sette per sei?” – S – “Quarantadue…noiose le tabelline eh!!!” – P – “Allora…Vediamo un po’…Picasso?” – S – “Il Foggia di Zeman” – P – “Stagione?” – S – “Mmmm non lo so.” – P – “Adesso tocca a te” – S – “Il coniglio si prende…?” – P – “Cosa???” – S – “Il coniglio si prende?” – P – “Ah…Il Coniglio si prende…Senza correre…!!! Giusto?” – S – “Si. Facciamo perdere quota all’aereo, ci schiantiamo e moriamo tutti in un botto?” – P – “Solo se finiamo in mare!” – S – “Lo faccio piano piano così lì dietro non se ne rendono conto.” – P – “Ci vorrà un tocco vellutato!!” – S – “Chiudi la Porta e ti faccio vedere io!” – P – “OK!” – S – “Riprendiamo il gioco intanto” – P – “OK! Secondo me fra poco inizieranno ad accorgersene…” – S – “Gerico?” – – P – “Mmmmm, non lo so…” – S – “A te!” – P – “Non mi viene niente, si può passare?” – S – “Non lo so. Facciamo di no.” – P – “Va bene, trovato!” – S – “Spara!” – P – “With a little help for my friends?” – S – “Joe Coker” – P – “Sbagliato, Beatles!” – S – “No no, Joe Coker!!!” – P – “Prima Beatles…” – S – “Conosco solo la versione di Woodstock. Li senti? Hanno incominciato a sbraitare!” – P – “Continuiamo il gioco”.


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Graziano Delorda

Con gli occhi di dentro

Posso raccontare cose che voi piloti nemmeno immaginate. Forse le avete viste, con gli occhi della presunzione, dell’arroganza, di un narcisismo senza limiti e confini, costruito con le frustrazioni che cercate di affogare nel volo, sollevandovi per qualche tempo da terra. Certo percepite no. Se le aveste percepite le ali non avrebbero preso portanza e la resistenza sarebbe stata insuperabile. Ho visto e sentito lingue e linguaggi, significati e significanti che avrebbero fatto arrossire postriboli e bordelli thailandesi e vietnamiti, che celavano ansie ed angosce costruite sulla castrazione e l’impotenza, senza futuro di remissione. Ho visto deltaplani decollare da soli per un rotore in decollo, e ne ho visto uno con un braccio attaccato ad un cavo ed il suo proprietario rotolarsi a terra perdendo l’attimo della bellezza in aria. Ho visto un pilota storpio, e senza una gamba muoversi mostruosamente verso il decollo, la liberazione, e librarsi in volo come una farfalla, leggera, senza peso, con l’anima che si protendeva avanti alla prua, su un angolo di naso oltre 135°. Ho visto una mascella inferiore appesa su un palo di cemento di una vigna, segno di fertilità, che continuava a muoversi, con quella superiore, altrove, appesa al naso, vicino agli occhi sbarrati e due ali infrante che continuavano a vibrare pensando di volare via. Ho visto schiene spezzate da piccoli spuntoni di albero in atterraggio, e un cavallo che galoppava con ali sulla groppa ed un uomo con una spalla appesa. Ho visto bimbi e donne che vegliavano morti in mezzo alle rocce. Ho visto corpi appesi ai fili delle torri elettriche lanciare scintille, sull’erba verde e profumata di primavera. Ho visto uomini boccheggiare nell’acqua, per un moschettone nascosto od una cerniera bloccata. Ho visto il mio amore come una marionetta con le braccia senza ossa, e poi lo ho rivisto, così un’altra volta ancora e, sempre e comunque con un sorriso che diceva: “che vuoi che sia”. Ho passato notti e notti cogliendone il sospiro e leggendone i sogni sempre fatti di cielo e di aria. Ho visto e sono testimone della storia di un modo di volare fatto di imbecilli, teneri e cari. Ho visto atterraggi che rimanevano vuoti e decolli improvvisati dove l’incoscienza dominava sul coraggio e la follia sulla realtà. Ho visto e ne sono testimone ed interprete, perché il volo ha sempre rappresentato, la condivisione di un amore senza limiti e confini. Ho sentito il suono di un variometro trasformarsi in grida, urla e lamento e ali bianche rincorrersi in un roccolo la cui destinazione era il nulla, fatto di alcuni metri in più o in meno. Ho visto alianti trattati come stracci, da piloti irriconoscenti di un dono che era stato distribuito a pioggia e la pioggia, si sa, bagna anche chi non lo merita. Posso raccontare di voli visti con gli occhi di lui e ancor più attendibili e chiari perché partecipati di un’altra emotività, fatta di due gambe in aria e due gambe in terra. Ho visto passarmi addosso gli ultimi anni come una brezza da pendio, una termica calda che ti accarezza, come la dolce restituzione che ti accompagna a casa d’estate. Ho visto il mio amore condividere ogni sospiro con me ed io con lui, nell’unico respiro dell’eternità, con umiltà e riconoscenza per un dono ricevuto, come un anello invisibile che non ci separerà mai. Ho visto e continuerò a vedere e volare per sempre.


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Carmen Coia