– Non è possibile!
– Mezzanotte!
– Ma dico? Come m’è venuto in mente?
– Booh!
– E parlo pure solo!
E sì che all’inizio m’era sembrato tutto “umanamente” possibile! Insomma cosa sarà mai montare l’antifurto all’automobile? Sarà stato l’entusiasmo della modica spesa? – da non credere: solo sessantaseimila lire -. Sarà stata la gioia di sapere finalmente impenetrabile la mia carriola a quattro ruote? … fatto sta che era già l’ora delle streghe – la chiamo così chissà per quale ricordo d’infanzia – … e stavo ancora lì, in officina, ad armeggiare con fili, filetti e cianfrusaglie varie … e per di più in un giorno di ferie!
E sì, perché quell’operazione delicatissima – non per l’automobile, beninteso, ma per la mia salute mentale – l’avrei potuta eseguire solo in un giorno di vacanza. E magari fosse stato uno solo!
Forse perché troppo impegnato, forse perché appassionato da quel lavoro – possibile? – insomma … non m’ero accorto dell’ora.
Ah, ecco: l’orologio da polso l’avevo tolto per evitargli pericolosi “virtuosismi articolari” … quello dell’automobile era fuori uso – isolato dall’alimentazione – e quello dell’officina … segnava – da un paio di giorni – un’improbabile quanto irremovibile: una e un quarto.
Fortunatamente c’era un orologio – quello biologico – che, per quanto senza lancette, era relativamente preciso. Peccato che andasse interpretato! In quel momento gli occhi intorpiditi, una serie sospetta di sbadigli – e non poteva essere il lavoro noioso, perché non lo era, anzi – e una stanchezza generale mi suggerivano in modo inequivocabile di “guadagnare” il letto, al più presto.
Mentre mi stavo giusto domandando se tutto fosse dovuto allo sconforto di non vedere la fine di quel “lavoretto”, le note del “Silenzio”, provenienti dalla caserma dell’Aeronautica, a duecento metri da me, appena oltre la rete dell’aeroporto militare, mi urlarono convincenti: “Vattene a dormire, disgraziato!”.
Insomma, dovevo riconoscerlo: ero cotto. Per quella sera, anzi mattina, non ce l’avrei mai fatta … e così feci!
Sistemare le mie infinite carabattole, spegnere tutto e chiudere le porte dell’hangar fu cosa insolitamente faticosa. Neanche l’aria gelida dicembrina giovò più di tanto alla mia penosa condizione psico-fisica. Mi ritrovai così a tirar fuori la bicicletta dall’altro hangar – per raggiungere il mio alloggio – senza che ne fossi cosciente. Ero così poco cosciente che infatti presi per mia quella che invece … era stata di Konstantino.
In verità avevano: stesso telaio, stesso colore, stessa marca … la differenza stava che la mia era un po’ più accessoriata – tachimetro, trombetta, luci di posizione, catarifrangenti – e un po’ meno dotata di cambio – solo tre velocità, purtroppo – … praticamente: quasi uguali. Era pure vero che ormai avevo preso l’abitudine di usarla ogni tanto per non lasciarla alla mercé delle ragnatele, della polvere e della ruggine. La mamma di Kostantino me l’aveva pregato. Aveva deciso di lasciare tutte le cose appartenute al figlio – l’automobile, la bicicletta, perfino l’aliante – lì in aeroporto dove lui le aveva usate e dove noi – me lo aveva chiesto tra le lacrime – le avremmo dovute continuare ad usare … in sua memoria. E dall’amicizia che gli volevamo.
Che terribile giorno … l’incidente!
Ormai era già passato diverso tempo … eppure spesso mi tornava alla mente con una tale vividezza che … quasi mi convincevo fosse capitato ieri.
Sembrerà assurdo, ma a volte avvertivo addirittura la presenza di Konstantino: niente spiritelli avvolti in lenzuoli bianchi o apparizioni bluastre no, niente di tutto questo ma … piuttosto una presenza discreta e silenziosa, eppure decisa quale era stata quella terrena.
Non so come … ma sentii la mia voce dire: “Scusa Kosta … hai ragione … questa è la tua … ora la rimetto dentro”.
Eh sì: ero proprio stanco!
Nel tirar fuori la bicicletta – giusta, stavolta – mi resi conto di uno spettacolo che raramente si verificava ma di cui anche altre volte ero stato testimone: la nebbia rosa.
Ora che un rude meccanico di aliante – tutto chiavi a bussola e grasso per cuscinetti oppure bollettini tecnici e manuali di manutenzione – possa avere una seppur minima sensibilità d’animo … beh, sembrerà molto strano. Certo era che quello che avevo di fronte non mi lasciava del tutto indifferente.
In quella valle alluvionale, attraversata da ciò che non si può definire proprio un torrentello, e cinta da montagne – di duemila metri – la nebbia è di sicuro un evento meteorologico frequente. L’aeroporto, in particolare, ne è sovente assediato – praticamente dall’inverno fino ad inizio primavera -.
A volte, specie nei periodi con cielo sereno, ristagna per giorni interi, sollevandosi un poco – ma neanche poi tanto – nelle ore centrali della giornata. Va beh, ma allora?
La nebbia che c’era quella sera non era una vera e propria nebbia: era … era un morbido tappeto candido che galleggiava a qualche centimetro da terra. Sembrava quasi che il terreno, zuppo per le copiose piogge dei giorni precedenti, avesse il fiatone … tanto che il suo respiro affannoso produceva il classico “fumetto”.
I lampioni che erano disseminati lungo il perimetro dell’aeroporto militare, emettevano invece, una calda luce arancione e completavano la magia. I fasci luminosi, che lambivano la coltre nebbiosa, assumevano dei riflessi dai toni del rosso, del rosa, dell’ocra. Tutto l’aeroporto era così coperto da un grande manto rosato.
C’era forse qualcosa di tetro e d’inquietante in tutto questo ma … io, che conoscevo bene i perché e i per come del fenomeno fisico, ero solo affascinato dalla sua bellezza.
A volte la nebbiolina aveva delle repentine fluttuazioni, quasi che qualcosa la turbasse – forse un colpo di tosse del terreno? – A volte ondeggiava o tremolava timida, incerta se guadagnare altro cielo o rimanere lì, sospesa per magia appena sopra i fili d’erba.
– Certo che sono proprio stanco, eh?!
– Io, un tecnocrate, che si mette a fare il romantico alla Byron!?
– E continuo a parlare da solo … e non solo … t’ho, adesso c’ho pure le allucinazioni!
Stavolta, infatti, non era il solito ondeggiare, il ribollire casuale che conoscevo, sembrava piuttosto come se qualcuno camminasse nella nebbia. In realtà i riflessi della luna illuminavano un poco il buio ma riuscivo a scorgere appena un’ombra, o quello che la mia mente insonnolita assimilava a un’ombra.
Stropicciarmi gli occhi fu la prima cosa che feci per svegliarmi, sbadigliare la seconda – non ero così masochista da rifilarmi uno schiaffone o il classico pizzicotto! – E infatti non ottenni granché risultati: la figura si avvicinava e non solo, ora distinguevo qualcos’altro in mezzo al campo, ma era troppo lontano e troppo poco illuminato. Certo che però poteva dare l’idea – ma solo l’idea, eh! – di un aliante.
Mi sembrava quasi che qualcuno fosse atterrato e che, lasciato l’aliante a bordo pista, venisse verso l’officina a sollecitare il recupero. Se quelle fossero state le cinque del pomeriggio non ci avrei trovato niente di strano, anzi mi sarei precipitato a svolgere nient’altro che uno dei miei compiti. Ma sapevo bene che non erano le cinque del pomeriggio!
Mi era capitato altre volte, rientrando la sera tardi, di trovarmi qualcuno davanti, all’improvviso. In genere erano persone che facevano una “sgambettata” serale o accompagnavano i loro cani a farne una. Che fosse uno di questi?
Magari poteva essere il solito tizio con i funghi nel cervello … cioè, intendo … che s’era messo alla ricerca di funghi. In aeroporto ce n’erano davvero tanti – di funghi e di malati per i funghi, anche – peccato che non li avrebbero potuti mai cogliere durante il giorno. Già, perché li avremmo “invitati” caldamente ad andarsene! Prima che qualche aeroplano o qualche aliante li avesse fatti a striscioline! Mica per i funghi!
Probabilmente era un recidivo: a quell’ora nessuno l’avrebbe colto sul fatto … volevo dire: nessun aeroplano avrebbe compromesso la sua incolumità. Inoltre era lo stesso gioco di luci, nebbia e riflessi che spesso creava strane sagome. Ma che nulla avevano di solido.
Nonostante le mie capacità intellettive fossero molto prossime allo zero, mi venne quasi spontaneo lanciare un ammiccante: – Ueilà! – straconvinto che nessuno mi avrebbe risposto e … che sarei rimasto stecchito dal terrore se qualcuno l’avesse fatto …
– Sempre operativi, eh?
– … o per tutti i palloni aerostatici! … sto’ sognando o cosa? … non può essere! … qualcuno mi ha risposto! … ma no, ho sentito male! … eppure non posso aver sentito male: c’è un tale silenzio! Quasi di tomba! … vorrei vedere: è l’ora delle streghe … o Dio! Tomba, streghe, spiriti … fantasmi? … il fantasma di Konstantino? … solo lui potrebbe dirmi una cosa del genere! Quella era la nostra parola d’ordine durante lo stage di Grumento … la usavamo solo noi! Solo noi due sappiamo cosa significa! … che qualcuno ci abbia sentito e ora voglia farmi uno scherzo? … non è possibile! … nessuno se ne andrebbe in giro a quest’ora … e a far cosa poi? … no, ho pensato a voce alta e allora … sì, sì, dev’essere andata così: ho pensato a voce alta! Ormai dopo un momento di ragionevole sbandamento, m’ero costruito una spiegazione più che logica – no, è? – , beh, allora diciamo … abbastanza logica.
E proprio perché ispirato da questa logica che replicai verso la presunta voce con un timido:
“Operativi al massimo! Sempre!”
Non ottenni risposta – e per fortuna! – Ormai ne ero certo: era stata un’allucinazione! Certo che però … la sagoma a bordo pista doveva essere una bella allucinazione perché dava tutta l’idea di essere ancora lì!
– Sarà il caso d’andare a vedere?
Stavo di nuovo parlando da solo, stavolta però, non per sollecitare la risposta di qualcuno che – ormai ne ero certo – non c’era, ma per … dare conferma alla mia più che solida spiegazione – no è? – Va beh, comunque incominciai col muovere qualche incerto passo in quella direzione, trascinandomi dietro la bicicletta – la fuga è più veloce su due ruote -.
La nebbia mi nascondeva i piedi ma io mi muovevo con estrema circospezione: chi mi avesse visto in quei momenti mi avrebbe preso per un nottambulo pazzo furioso. Io invece, mi sentivo come chi attraversa un campo minato … ma la curiosità era troppa e dovevo andare a vedere …
Arrivato a metà strada, mi sentii soddisfatto di me stesso – e anche più sollevato, lo confesso -. La sagoma non era nient’altro che l’ombra della vecchia garitta di sorveglianza dell’aeroporto, allungata a dismisura dalla luce alogena che illuminava l’ingresso laterale dell’hangar militare.
– Visto? Tutto ha una spiegazione razionale!
La serata con brivido poteva finire lì. Tornai verso gli hangar dell’Aeroclub, violentemente illuminati da una vivida luce bianca al neon – quant’era bella!
Inforcai la mia bicicletta e me ne andai – con una certa sollecitudine – verso il mio alloggio.
Tempo dieci minuti ero a letto, tempo dodici ero già nel mondo dei sogni.
Mi aspettavo una notte di incubi, infatti fu tutto un ricordare, un rimuginare quanto mi era accaduto durante la permanenza a Grumento. Quella era stata già nella realtà un incubo, figuratevi riviverla pure in sogno! Naturalmente mi apparve anche Konstantino – niente numeri però -.
Al mattino non mi ricordai più di tanto quelle che erano state le mie avventure notturne.
Cominciai la giornata con la promessa solenne che avrei finito assolutamente il lavoretto che mi ero procurato. Anche perché l’indomani avrei partecipato a una cerimonia di commemorazione – e nessun antifurto al mondo me lo avrebbe impedito – a sei mesi dalla scomparsa dell’amico Konstantino.
Inforcai la mia bicicletta e mi diressi verso l’officina per una seconda giornata di litigio con l’antifurto.
– Certo che combinazione, eh!
– Ieri sera ho creduto che mi parlasse … questa notte l’ho sognato … e domani vado alla messa di suffragio: eh, la mente umana è proprio un gran mistero!
Ero troppo preso nel fare queste considerazioni. Non mi accorsi che la sua bicicletta era lì – parcheggiata come sempre lui aveva fatto – davanti al suo alloggio.
A perenne ricordo di Konstantino … ed in fiduciosa attesa dei numeri
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