– Pronto, Eva?
– Sì? … pronto!
– Ah ciao, carissima. Sono Carmen.
– Ciao, Carmen.
– Beh, come stai?
– Abbastanza bene … grazie.
– E Alfredo? E Sara?
– Sì, bene anche loro … grazie … come mai questa telefonata?
– Mah, era un po’ che non ci sentivamo, poi giusto ieri ti ho incrociato di sfuggita al parcheggio in piazza, ti ho salutato ma tu – probabilmente – non mi hai vista.
– No … mi dispiace … non ti ho proprio vista …
– Ma dai, figurati! Beh, allora ho pensato che avessi portato Sara dal professore, quello che ti ho consigliato io. E’ così?
– Sì … in effetti … è così …– Me lo immaginavo, sai. Tutto bene? Le ha passato una bella visita?
– Sì … direi … di sì.
– Ah, mi fa, piacere. E che cosa t’ha detto?
– Beh … io non è che capisca molto i termini clinici …
– D’accordo: ma t’avrà pure spiegato di che cosa si tratta, o no?
– Sì … più o meno …
– E allora?
– Mi ha detto … che … non c’è niente di grave …
– Tutto qua?
– No … che … Sara attraversa un’età critica …
– E basta?
– No … che non è una malattia vera e propria …
– Davvero?
– Sì … è solo una questione nervosa … che non bisogna forzarla e che le passerà con lo “sviluppo”.
– Ma perché, Sarà non ce l’ha ancora le sue “cose”?
– Beh … da poco … ha solo dodici anni!
– Perciò non le ha prescritto nessuna cura?
– Beh … non precisamente.
– Ecco dicevo io: possibile che non le avesse dato qualche medicina, poverina!? Almeno per tenerla un po’ su!
– Beh … in realtà non è proprio una medicina …
– Ah no? E allora cos’è?
– Il professore l’ha chiamata … “terapia introspettiva”.
– Cioè?
– Bah … non te lo so spiegare bene … neanch’io ho capito granché …
– Prova! Cos’è, t’ha consigliato di andare da uno psicanalista? A me puoi dirlo. Non c’è niente di male, sai. Ne conosco uno bravissimo. E poi sono o non sono tua amica?
– Ma sì … certo.
– E allora?
– Deve scrivere un diario.
– Un diario?
– Eh!
– Un diario?! Certo che è piuttosto strana come terapia. Sarà una nuova metodologia. Va beh, ma che ci deve scrivere su ‘sto diario?
– Mah … da quello che ho capito … le sue impressioni, i suoi pensieri … i suoi piccoli segreti …
– Ah, un diario!?
– Appunto …
– No, è che pensavo che non intendessi il classico diario, quello che scrivono tutte le ragazzine. Ma è sicuro che è la cura giusta? Da quello che so io, Sara è molto introversa, quasi apatica, indifferente a tutto, non ha interessi, non le piace niente, non ha quasi emozioni. Ora – dico io – come fa a curarla un semplice diario? Comunque se te l’ha detto il professore … sai, lui è un luminare. Sarà di sicuro la cura migliore. Ma almeno, Sara l’ha cominciata?
– Sì, credo di sì … ah, scusami … suonano alla porta: deve essere proprio lei!
– Ah va bene, allora: ti saluto. Oh mi raccomando: se dovessi aver bisogno dello psicanalista non fare complimenti perché ne conosco uno davvero bravo.
– Sì … grazie … arrivederci …
– Arrivederci, e fammi sapere eh?
– Sì, sì … certo … grazie.
– Ciao, Sara!
– Ciao, mamma.
– Cambiati, svelta: è pronto in tavola. Ti ho preparato un piatto speciale per pranzo.
– Grazie … magari dopo … non ho fame … vado in camera mia.
– Ma Sara! E il pranzo? Devi pur mangiare qualcosa … e va bene … ma promettimi che dopo farai una bella merenda, eh?
– Sì, certo certo …
******
Raggiunta la sua stanza, Sara, agguanta il suo diario che profuma ancora di nuovo e, recuperata la sua biro preferita, comincia a scrivere …
Caro diario,
il dottore che mi ha visitato ieri vuole che io scriva un diario. Io non l’ho mai scritto e quindi non so se lo faccio bene o male. Però il dottore mi ha detto che se lo faccio bene, sicuramente guarirò.
Io non mi sento malata e infatti anche lui, dopo che mi ha fatto un sacco di domande stupide, ha detto che non sono malata. Però, anche se non sono davvero malata, mi ha pregato di raccontarti ugualmente tutto quello che mi da’ un’emozione e che mi lascia impressionata.
Mi ha detto anche che mi devo immaginare come se mi confidassi alla mia migliore amica, alla mamma o alla sorella maggiore, e che invece di raccontarlo a voce lo devo scrivere su un quadernetto solo mio.
Per me non è un problema scrivere: a scuola vado bene, purtroppo non ho una sorella maggiore e neanche un’amica del cuore mentre la mamma certe cose non le può capire perché è troppo adulta. Allora ho pensato che farò finta di parlare con un vecchio amico che si chiama Diario.
Inoltre, mi ha detto il dottore, queste mie confidenze le devo fare per bene, con calma e dall’inizio, altrimenti tu non capiresti. Perché tu non le puoi sapere le mie cose.
Il dottore ha tanto insistito che alla fine ho promesso a lui e anche alla mamma che ci proverò, perché io voglio guarire.
Perciò ecco qui!
Rieti, 12 Aprile 1996
Caro diario,
oggi non c’è stata scuola perché la scuola ha organizzato una gita in aeroporto. Capirai che gita: io abito lì vicino!
Io pensavo che sarebbe stata la solita gita un sacco lagnosa. Ho sempre pensato che in aeroporto non c’è niente da vedere: solo un grande prato, qualche capannone, aeroplanetti che ronzano e alianti che fischiano. E invece mi sbagliavo.
Oggi ho visto il mondo da un’altra vista perché ho volato!
Il mondo è completamente diverso visto da lassù: sembra come un grande presepio con le casine, i campicelli, le straduzze, le macchinine.
La terra è tutto quadrati, rettangoli e altri disegni che non conosco e comunque tutti colorati. Delle case si vedono praticamente solo i tetti. Alcuni sono più chiari e altri più scuri. Le strade sono tutte grigie, le automobili piccine piccine vanno pianissimo e le persone si distinguono appena, talmente sono piccole.
Da lassù si vede per moltissima distanza e non c’è rumore, a parte il vento.
La sensazione che ho provato è così strana che quasi non riesco a spiegarti. Mi sembrava di essere al centro di un burrone profondissimo però non riuscivo a vedere i bordi, oppure come se fossi stata al mare all’acqua alta e non riuscivo a vedere la riva.
Io però non avevo paura. Anche perché il pilota che mi ha portato in volo mi ha detto che noi eravamo nelle braccia del vento e che il vento è sempre buono con i suoi figli.
Io sono figlia solo di mamma e papà: che c’entra il vento?
Io non capivo che voleva dire e allora mi ha spiegato che quello era il mio battesimo dell’aria, che lui era il mio padrino, e che l’aliante (Victor Alfa si chiamava) era la mia madrina. E alla fine lo spumante sarebbe stata la mia acqua benedetta.
Che forza! Questo sì che è un bel battesimo!
“Veramente io dovrei fare la Cresima”, ho detto al pilota.
Lui prima s’è messo a ridere e poi mi ha risposto: “Mi dispiace, ma dopo il Battesimo c’è subito il Matrimonio!”, e io:
No, si sbaglia: c’è la Comunione”. Ma lui niente, mi ha zittito dicendo:
“Mia cara, il volo è come l’amore: se è a prima vista è subito Matrimonio, altrimenti beh … rimane una semplice amicizia!”.
Caro diario, io il senso di questa frase non l’ho capito proprio tutto, però una cosa l’ho capita: che mi sposerò presto!
Volare è troppo bello ed io mi sono sentita troppo bene lassù, come un’altra persona. Quando sono a terra non mi va di parlare con nessuno perché nessuno mi capisce, dicono che sono … introversa (credo che si dica così) ma io non ho niente di traverso: io sto bene, è solo che non mi va di stare con gli altri bambini perché sono troppo bambini (pensano solo a giocare e a divertirsi). Anche coi grandi non sto bene perché pensano sempre ai fatti loro e non t’ascoltano mai. In aeroporto invece no.
Ad esempio il volo che ho fatto con l’aliante, l’ho fatto perché il pilota ha prima chiesto se avevamo paura e poi chi fosse l’alunno più timido e sognatore della scolaresca. Io non ho detto niente: di cosa dovevo avere paura se non sapevo di cosa? Poi, quando le mie insegnanti hanno indicato:
“E’ quella bambina lì “, il pilota è venuto vicino a me e mi ha chiesto in un orecchio:
“Signorina, la prego, sarebbe così cortese di accompagnare un vecchio lupo del cielo in una delle sue avventure? E, non ultimo, di dimostrare a tutti i suoi compagni che sono dei grandissimi cacasotto?”.
Io gli ho risposto:”Va bene: se vuole l’accompagno. Solo che io non so’ guidare, eh!”.
Quando sei in cielo non conta chi sei o come sei, sei solo un figlio dell’aria. E lì non c’è bisogno di parlare perché il tuo pensiero già parla da solo. E’ davvero bello guardare fuori perché si può vedere sia cioè che è grande e sia cioè che è piccolo: sta solo a te decidere come guardare.
Potevo andare da un capo all’altro della città senza il minimo sforzo. Potevo percorrere strade diverse, lunghe o corte che fossero, con un semplice sguardo. E poi la mia scuola, i giardini pubblici, toh! … il parcheggio, il centro commerciale e … caspita quella era casa mia! Cavolo che spettacolo!
Però l’emozione più grande è stata quando il pilota mi ha detto: “Vai piccola: prova a guidarlo tu!”.
Io mi ricordavo bene quello che dovevo fare perché ce l’aveva spiegato al brifing e perché l’avevo già fatto l’altra estate al mare. Ma non era la stessa cosa! Mica ero dentro la sala giochi! Io spostavo la cloche a destra e lui girava a destra come e meglio che nel videogioco, mettevo la cloche avanti e il fischio del vento aumentava, la tiravo a me e subito dopo sentivo l’aliante rallentare.
“Ora prova a termicare”, mi diceva il pilota, e allora io giravo e giravo. Era facile: bastava mantenere lo stesso sibilo del vento e girare in tondo rispetto ad un piccolo gruppetto di case.
“Brava: guarda come sale l’altimetro! Stai guadagnando quota, lo sai signorina!?”. Eh, certo mica volevo scendere io!
“Ora andiamo verso quella nuvoletta laggiù”.
Allora puntavo l’orizzonte e cloche in giù fino a che la voce del vento non si faceva forte forte.
Era bello anche guidarlo l’aliante. In quel momento ho capito perché i piloti vogliono stare sempre per aria.
Poi però piano piano la terra s’era fatta più grande e tutto è tornato lentamente alla solita grandezza.
Il pilota mi ha detto: “Okkei piccola, si torna a casa”.
Allora io gli ho proposto: “Ma non si può mettere un altro gettone?”.
Lui serio, mi ha risposto: “No, mi spiace … ma sei vuoi, tra un paio d’anni, ce lo metterai da sola!”.
Non ho capito subito cosa volesse dire, invece avevo capito che la mia gita in aeroporto era finita lì.
Tornando a scuola, sul pulmino, ho letto il piccolo libricino che ci hanno regalato alla fine della visita e allora ho compreso quale sarà il mio futuro: farò la pilota!
Dovrò aspettare due anni, cinque mesi e dodici giorni (l’ho calcolati) che saranno lunghissimi da passare ma ora almeno so cosa fare, a parte mamma, papà, la scuola e i miei parenti.
L’unico dispiacere è che non conosco il nome del mio padrino, peccato: non lo potrò invitare al mio matrimonio. Addio per sempre, diario!
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