– Ehi nonno, c’hai raccontato di tutto: dell’aliante nel bosco, dei traslochi degli alianti, del recupero notturno in autostrada … ma non ci hai ancora parlato di quello che che ti è capitato durante lo stage a Grumento del ‘94, perché qualche altra cosa ti deve essere capitata, non è vero?
– Già, cos’altro ti capitò, eh nonno?
– Ragazzi ma dico! M’avete preso forse per uno jellato o un mena gramo? E poi che curiosi impertinenti! Credete che io sia una di quelle ignobili banche dati che usate voi giovani?
– Tu nonno? Non potresti mai esserlo.
– E’ vero nonno. Tu sei unico, per il modo colorito con cui ci racconti le tue storie.
– Non ti permettere sai! Le mie non sono “storie” come dici tu, sono fatti realmente accaduti, tanto tempo fa, – è vero -, ma non sono inventati.
– Ma dai nonno, non dicevamo per offenderti. E’ che le tue st… fatti, appunto, sono così … “avventurosi” che quasi non ci si può credere. E poi scusa, ma a che cosa servirebbero i nonni?
– Giusto! Se non ci fossero i nonni come farebbero i loro nipoti ad evitare i pericoli, a non ripetere gli stessi errori, a capire il perché di certe situazioni attuali, a …
– Basta, basta, vi perdono! Siete due furfanti perché sapete che ho un debole per voi! La verità è che non posso ricordarmi proprio tutto … così, tutt’assieme, guardando una vecchia fotografia scattata cinquant’anni fa.
– Hai ragione. Noi però ti possiamo aiutare: ad esempio com’è stato il tuo viaggio a Grumento? Com’era il posto? E l’aeroporto? E il clima? I voli? La gente?
– Non dirmi che la sera “andavate a letto alle otto con il brodino”? O che non avete conosciuto neanche qualche graziosa “gentildonna”!?
– Ohe, basta! Ma cos’è? Un terzo grado?
– Ma no, è solo per farti ricordare …
– Grazie, ma rammento tutto! E poi avevo un alibi di ferro!
– Su nonno, lascia stare gli scherzi e raccontaci davvero di quell’estate del ‘94.
– Quell’estate faceva stramaledettamente caldo nella Rieti’s Valley: i tubi di caucciù si scaldavano al sole come serpenti a sonagli. Potevi cuocerti le uova al bacon sul tetto dell’Headquarter mentre i cavalli volanti, schiumavano, allineati in pista. Anche i due maniscalchi, Little Angel e Mancino Chief, si scolavano il sudore come fosse whisky il sabato sera, mentre il loro garzone, Big Mark, srotolava la lingua tipo iguana a caccia di ragni. Sotto i sombreri sudati, i piloteros si guardavano con l’occhio iniettato di sangue: erano pronti a sfoderare dai loro cinturoni l’ultimo modello di GPS. L’ombra era assai preziosa: più di una pepita d’oro. Pochi alberi contorti coprivano infuocati coyote di metallo. La pista era una prateria polverosa e la terra sabbiosa ti entrava negli stivali, bruciando la pelle piagata. Allora, con la gola secca, non rimaneva altro che correre al saloon, nell’hangar grande, e spegnere un po’ di fuoco, mettendo il becco in un paio di bottiglie … di mineral water!
– Dai nonno, sii serio, questa sembra la classica trama di quei vecchissimi film ambientati nell’Ovest del continente americano con quell’attore molto pittoresco che si chiamava … ah sì, John Wayne …
– Niente affatto! E’ sempre la pura realtà di quanto accadeva allora: faceva davvero un gran caldo, insopportabile, di giorno e di notte, tanto che negli uffici della Segreteria e della Direzione di Gara, nonostante i condizionatori d’aria – erano le macchine che allora si usavano per rinfrescare gli ambienti – fossero accesi fin dal primo mattino, non si riusciva a mitigare affatto la gran calura. E la storia dei due maniscalchi, è quella dei due specialisti anziani dell’Officina dell’AeroClub Centrale; che poi i piloti si guardassero in cagnesco … specialmente se c’era di mezzo un posto vagamente all’ombra per l’automobile … beh questo non stupisce; ed è anche vero, che fu allestito un bar all’interno di un hangar, o che la pista, solo grazie all’innaffiamento artificiale, non diventò un deserto polveroso senza un filo d’erba.
– Una curiosità nonno: il garzone chi era?
– Ehm …credo proprio che fossi … io!
– Me lo immaginavo, sai.
– Comunque stai ancora divagando: non ci hai ancora raccontato nulla di Grumento!
– D’accordo. Allora vi racconterò tutto dall’inizio. Per cominciare, dal mio viaggio verso Grumento … altrimenti non capireste lo spirito dell’impresa.
– E va bene.
– Basta che cominci …
– Come già mi sembra di avervi detto, io partii in un secondo tempo, esattamente il 30 di Luglio – me lo ricordo bene, anche questo -.
– Perché? Non fu un giorno come un altro?
– No. Oggi, è un giorno come un altro, ma a quei tempi era la fatidica data in cui tutti andavano o tornavano dalle vacanze estive, vale a dire qualcosa come diciotto milioni di automobili in movimento sulle strade ed autostrade d’Italia!
– E a te come andò?
– Ne incontrai nove milioni! Gli altri nove camminavano dalla parte opposta! Insomma un carnaio del quale facevo parte anch’io … purtroppo.
– Ma scusa, non potevi partire un altro giorno?
– No. Era stato deciso che avrei dato il cambio al mio collega anziano allo scadere del mese. Mi avrebbe lasciato le “consegne”, dopodiché lui sarebbe rientrato il giorno dopo con lo stesso mezzo con cui io ero arrivato.
“Se parti presto non incontrerai traffico e comunque avrai l’aria condizionata in automobile” mi risposero, quando avevo sussurrato, le mie perplessità.
– E allora?
– Allora mi organizzai di conseguenza: sarei partito subito dopo aver dato aiuto all’altro collega a preparare i traini e poi mi sarei involato – si fa per dire – per Grumento: partenza da Rieti alle otto e quaranta, al massimo. L’automobile mi era già stata destinata, si chiamava … SERENA, se non ricordo male. Era una di quelle vetture monovolume molto spaziose – oh, sei persone!- e con tutti i confort come il doppio tettino apribile, sedile a tre regolazioni, aria condizionata – come mi avevano detto – e una tappezzeria davvero lussuosa, insomma il nome, era tutto un programma e poi un po’ di serenità era giusto quella che ci voleva per un viaggio del genere. In dotazione mi venne anche data una delle prime rudimentali carte magnetiche per il pagamento del carburante e del pedaggio autostradale: così non sarei andato in giro con fasci di cartamoneta. Ora, c’erano delle strane voci – probabilmente messe in giro dagli autisti che avevano fatto i primi viaggi – secondo le quali più a sud di Napoli si apriva una specie di “spazio siderale senza nessuna forma di vita”: niente carburante, niente telefoni, niente acqua, niente segnaletica stradale, niente assistenza meccanica, solo apparizioni di gente che parlava lingue sconosciute, vagamente terrestri. Erano solo voci … sapevo che allora il Sud era un po’ “ai confini della realtà”, ma fino a quel punto? Beh …. non credetti più di tanto a queste voci, infatti: primo) feci il pieno di benzina, secondo) controllai i livelli, terzo) comprai una cassetta di acqua minerale, quarto) acquistai l’atlante stradale più dettagliato che c’era in commercio e quinto) mi feci prestare un vocabolario rapido italiano-cinque lingue … tanto erano solo voci!
– Accidenti! Così organizzato poteva crollarti addosso il mondo !
– E infatti mi cadde! Al momento di mettere i bagagli nell’automobile mi dissero che ne potevo usare un altra – quella in effetti era spropositata per me, per dimensioni e per consumi – così me ne indicarono una, altrettanto confortevole – tra l’altro ero desideroso di provarla perché se ne parlava un gran bene – ma esattamente la metà di grandezza: non a caso forse, si chiamava MICRA. Mentre controllavo i livelli, ma già ben dopo aver sistemato le mie cose, arrivò una ragazza che mi disse candida: “Grazie, ma vado solo dal fotografo, in città”. Rimasi un po’ perplesso poi pensai : “Vuoi scommettere che alla fine ci vado a piedi a Grumento?”
– Mica ci sarai andato veramente a piedi?
– Fortunatamente no, ma poco ci mancava: mi diedero una terza automobile, o meglio, un fuoristrada, insomma una jeep mascherata da berlina, un bel mezzo – intendiamoci – peccato che in quel momento fosse bisognosa di olio e di carburante – nel serbatoio forse c’erano dei vapori – sicché una volta recuperate le chiavi – oh, naturalmente non si sapeva dove diavolo si fossero cacciate, le chiavi – una volta spostati tutti i bagagli, e una volta copiosamente rifornita dei liquidi necessari, finalmente, verso le dieci, cominciò il mio viaggio verso Grumento.
– Ed il viaggio come andò?
– Piuttosto noioso, considerate le premesse e il seguito. L’unica nota di rilievo fu che la carta magnetica funzionava solo per il pagamento del pedaggio autostradale. La segretaria anziana però, mi aveva “appioppato” con una lungimiranza provvidenziale, un’anticipo di stipendio, e così la cosa si risolse con una sfilza di ricevute da presentarle al rientro alla base … per il rimborso. E poi cos’altro… ah, sì: l’aria condizionata!
– E ti pareva che non c’era dell’altro?!
– No, non c’era !
– Ma che dici nonno? Cos’è che non c’era?
– Ve l’ho appena detto: l’aria condizionata. Andò così: con il passare delle ore, e quindi con l’aumentare della temperatura, il sistema di condizionamento non dava “l’aria” appunto, di funzionare granché. Quando però l’auto si trasformò in una specie di forno viaggiante con relativo “pollo allo spiedo”, incominciai a pensare di non aver ben manovrato i comandi del condizionatore. Già a quei tempi, ero un maniaco dei manuali, così decisi di fermarmi al primo autogrill per “spulciare” il libretto d’istruzioni della vettura. Recitava serafico: “Se il pulsante indicato non risulta azionabile, disponete di un’automobile non climatizzata. Potete però inserire il ricircolo dell’aria”. Accidenti anche ai manuali! Considerato il ritardo che avevo accumulato, mi venne la geniale idea di mangiare qualcosa in macchina e viaggiare durante le ore più calde – quando tutti si sarebbero fermati per il pranzo -. Peccato che “tutti” pensarono la stessa cosa e così ci ritrovammo “tutti” in colonna, sotto il sole cocente dell’una del pomeriggio. Fortunatamente lassù qualcuno ci amava, oppure si mosse a pietà – fate voi – comunque comparvero all’improvviso un po’ di nuvole in un cielo ardente. Ormai ero vicino alla mèta perché ne incontravo le prime tracce nella segnaletica stradale. Consumai un solo succo di frutta “strategico” e un solo pseudo- rifornimento.
– Perché strategico?
– E perché pseudo?
– Era per avere informazioni dalla gente del posto, no?! Beh … “avrà stato un caso”, ma ad un certo punto “mi ritrovai in una selva oscura e pensavo che la diritta via fosse smarrita” quando, da uno squarcio nel bosco, intravidi le sagome degli alianti e dei traini: SALVO!
– Nonno, ma come parli ?
– Parlo come in quel momento: sragionavo!
– E allora? Prosegui.
– Allora mi accolse festante – in tenuta da mare, con la pelle di un bel rosso cardinale – il mio collega.
– Beh, eri arrivato alla mèta, no?
– No, al contrario, ero appena partito perché non potete immaginare cosa mi aspettasse!!
– Che cosa ?
– Sì, che cosa c’era di così terribile?
– Mah… se escludiamo che gli alianti erano picchettati tipo “Mikado”; che il materiale – paracadute, cuscini, batterie, secchi, cavi da traino e pezzi di ricambio -, era ordinatamente sparso a terra nella palazzina; che l’officina era un hangar con dentro un autogiro, tre deltaplani a motore, un vecchio aereo in disuso, una serie di mobili smontati, cumuli di carte, cartine e cartacce, ed un banco da lavoro ingombro di barattoli, barattolini e barattolacci; che il deposito carburante era un vissuto camion-cisterna; che la palazzina uffici era una vetusta casa colonica dove era stata ricavata una pseudo-Segreteria e una pseudo-aula briefing; che l’unico mezzo di comunicazione a lunga distanza era un telefono … pubblico … a gettoni; che il centro abitato più vicino – intendo bar, alimentari, farmacia, posta e fotografo – era a 2 chilometri dall’aeroporto; ecco, se escludiamo tutto questo, beh … non c’era niente di cui preoccuparsi.
– Insomma una specie di missione suicida!
– No, non necessariamente. In realtà questo era solo l’aspetto negativo della faccenda.
– Sei sicuro?
– Certamente.
In effetti, l’aeroporto era assai spazioso – vi ho già detto della pista? Sì – con un enorme parcheggio asfaltato e un altro ancora più grande in erba – anche se d’erba ce n’era ben poca -. Mi ricordo che accanto alla pista in asfalto ce n’era praticamente un’altra di terra, anche se un po’ ruvida. Non mancavano poi, delle vie di fuga sulle testate pista. La palazzina in effetti, era sì, un’ex casa colonica … ma ristrutturata, fresca, anche in pieno solleone, con bagno padronale attrezzato di tutti i comfort di quei tempi. E’ vero che dovevamo dividerlo con gli allievi spazzini della Forestale – tenevano un corso al secondo piano della palazzina – ma non era necessario l’uso del “numeretto” e nessuno se la fece mai veramente addosso. Inoltre l’aula briefing era dotata addirittura di lavagna, televisore e videoregistratore. E’ vero che questa roba non era comparsa tutta assieme – le prime settimane, mi disse il collega, facevano il briefing in piedi, mancando le sedie – ma anche l’ufficio non era così spoglio: c’erano due scrivanie, un frigorifero, una radio-biga, il meteosat a colori e un pannello che forniva in tempo reale direzione del vento, pressione, temperatura e umidità relativa. E’ vero che le sonde erano montate su un enorme palo con torretta … sottovento al bosco e che quindi i dati dovevano essere presi con le molle, ma da quel palo… si facevano certe foto! E anche il telefono a gettoni, in fin dei conti, impediva inutili telefonate con la “madrepatria” del tipo: “Ci pensate? Ma quanto ci pensate? E vi manchiamo? Ma tanto quanto?” E’ vero che più volte rimanemmo isolati o che poi ci era impossibile chiamare perché si era riempita la cassetta delle monete, ma vuoi mettere l’emozione di farti chiamare dal “Comando Operazioni” e sentirti come un soldato al fronte, in trincea, sotto il fuoco nemico … del sole, e i bombardamenti … d’acqua degli alianti? Per quanto riguardava la cisterna, anche quella era stata rimessa a nuovo da poco, e in fin dei conti, funzionava egregiamente – salvo qualche perdita -. E’ vero che alla fine non quadravano i conti, ma cosa volete, il carburante poteva evaporare o gocciolare nei punti più nascosti! La cittadina più vicina – mi pare che si chiamasse Sarconi – era invece vicinissima perché si percorreva una strada praticamente senza neanche un filo di traffico, ed era così concentrata che potevi trovare tutto quello di cui avevi bisogno lì, nel raggio di cento metri. Inoltre avevi a che fare con persone cordiali e disponibili – e parlavano anche italiano, tieh!-. Certo qualcuno cercò di approfittare di tanta clientela forestiera: propinarono – mi disse sempre il collega – molecole di panino o di pizza, a prezzo da lingotto d’oro, oppure magre cene casarecce ad un costo da pasto luculliano! Ma una volta entrati nel “giro” riuscimmo a farci confezionare pure di domenica “mega panini multistrato station-wagon”. E a un prezzo che, allora, era di un caffè. Tornando alla palazzina, c’era una stanza praticamente libera che poteva essere adibita a magazzino e, grazie ad un enorme tavolo, anche a Sala Traffico, per consultare le incontenibili carte aeronautiche o preparare il piano di battaglia dello “Stormo di Veleggiamento”.
– Va beh, ma come vi siete attrezzati?
– Il primo giorno, fatti i controlli, assistita la linea di volo e spediti tutti in volo, incominciai anzitutto ad occuparmi del mio ufficio – si fa per dire -.
– Hai detto ufficio?
– Sì, la stanza che poi diventò la “caverna dello specialista”. Recuperai parte dei mobili che erano nell’hangar e dopo una sommaria pulita, li montai nella stanza che vi dicevo. Naturalmente, sistemai tutto il materiale con un minimo di criterio, compresa una specie di centrale elettrica pensile per la ricarica delle batterie. Una bella spazzata e via, in linea, per i recuperi degli alianti che – saranno state le sei – già rientravano. Per quella sera, continuò l’incastro Mikado, ma il pomeriggio successivo, armato di mazza e di “occhio teodolitico”, sconvolsi il puzzle, e alla fine del pomeriggio, gli alianti giacevano, non più in promiscuità, ma i monoposti con i monoposti allineati in gruppi di tre con uno spazio libero per il passaggio tra le file – e il biposto con il biposto da parte, mentre l’aliante ammiraglio, davanti alla palazzina, chiudeva maestoso lo schieramento con i suoi venti metri d’ala.
– E per il resto?
– Beh … si organizzò spontaneamente un servizio navetta per andare a comprare il pranzo, oppure qualcuno dei piloti partiva alla volta di Sarconi nel ruolo della vivandiera. Poi … stretta qualche fascetta a vite, la cisterna non perdeva più; il vento si misurava all’occorrenza con un anemometro portatile a coppe – avevano perfino quello a Grumento -; il bagno divenne subito più pulito dopo l’azione provocatoria di un pilota – donna – che propose la pulizia del bagno a patto che i suoi colleghi le avessero pulito l’aliante: proposta accettata!!; nell’hangar-officina furono sistemati meglio gli ultraleggeri e fu data una pulita al banco da lavoro.
– Insomma tutto a posto ?
– Non tutto. Dove non lo era ci pensò comunque la generosità, l’abnegazione, il cameratismo e il vero spirito del volovelista, da parte di tutti: noi, addetti ai lavori – istruttori, trainatori e specialista – e soprattutto dei clienti: i piloti. E non dimenticate anche gli “indigeni”. Oh ragazzi, stavolta, nessuno escluso eravamo veramente tutti: OPERATIVI AL MASSIMO !!
segue: III parte MISSIONE GRUMENTO: seriamente operativi!!
#proprietà letteraria riservata#
Big Mark |