Viaggio in aereo

Il primo giorno di autunno aveva fatto capolino quella mattina con una temperatura troppo fresca dopo un’estate incerta e tempestata da piogge torrenziali. Quella mattina Marta aveva un incontro importante con il direttore dell’azienda di software che da anni prestava la sua opera nel circuito informatico. Se in quell’occasione fosse riuscita a portare a casa un buon risultato, sicuramente questo per lei avrebbe potuto significare una promozione e quanto meno un riconoscimento di immagine a livelli piuttosto alti all’interno dell’azienda. Sentiva la tensione scorrere nelle vene, ma la sua sicurezza e la sua risolutezza nel portare avanti questo progetto riuscivano a infonderle fiducia e serenità necessari per raggiungere il suo obiettivo. Doveva andare a Parigi. L’aereo sarebbe decollato da Caselle alle 10,40 e lei doveva passare dall’ufficio a ritirare le ultime pratiche che la segretaria le avrebbe fatto trovare pronte sulla sua scrivania. La notte era trascorsa in modo inquieto e la sveglia aveva squillato quando Marta ormai aveva letto quasi tutto il tredicesimo capitolo del libro che qualche giorno prima aveva acquistato da Petrini, in via Pietro Micca. La trama non le era risultata per nulla convincente, ma la speranza che si potesse riscattare nel corso della lettura ancora non l’aveva abbandonata. In ogni caso leggere l’aiutava a tenere la mente lontana dal lavoro e dal pensiero per l’incontro della mattina successiva. Spenta la sveglia e riposto il libro sul comodino, si era alzata per preparare la colazione. Una tazza di caffelatte caldo, due fette biscottate e qualche biscotto, le sarebbero bastati per affrontare la giornata con sufficiente energia in attesa di un pranzo frugale. Aveva deciso di non essere eccessiva nel vestirsi e nemmeno di sembrare troppo rigorosa nel taglio dell’abito. Forse un abbigliamento molto casual e giovanile avrebbe aiutato il direttore dell’azienda di software a prestarle maggior fiducia riguardo alle nuove idee che lei gli avrebbe proposto. Apparire frizzante e sbarazzina in dose giusta poteva rappresentare la nota di colore e di inventiva ideale perché l’accordo andasse in porto. Così scelse un jeans chiaro da indossare con una maglietta a manica lunga di colore nero. Gli stivaletti scuri con i tacchi,per dare un tocco sufficientemente elegante; la temperatura già molto bassa per fine settembre poteva permetterle di indossare un giacchino di pelle nera; borsa a tracolla e valigetta del computer. I capelli corvini sciolti sulle spalle contornavano un viso reso luminoso da un trucco leggero e ben curato. Gli orecchini e il girocollo d’argento davano un tocco di lucentezza. Ad ornare le mani affusolate un semplice anello al dito anulare sinistro, un rubino incastonato sull’intreccio di due fedine d’oro, un regalo della zia a cui Marta era molto affezionata. Pronta ad uscire, Marta aveva controllato che le finestre fossero chiuse e oltrepassato l’uscio aveva infilato la chiave nella toppa e dato le quattro mandate. Non aveva avuto pazienza di aspettare l’ascensore che risultava occupato. Così aveva sceso i tre piani di scale con agilità e flessuosità, come un gatto che corre sicuro verso l’uscita. Avrebbe preso la sua auto per arrivare all’ufficio e da lì avrebbe detto alla segretaria di chiamare un taxi. A quell’ora il traffico non era molto, sarebbe sicuramente aumentato di lì a poco. Arrivata in ufficio, ritirate le carte e avuta una breve conversazione con la segretaria per gli appuntamenti del giorno seguente, Marta salì sul taxi che l’attendeva in strada. Destinazione: aeroporto. Il check-in era già stato annunciato quando Marta arrivò all’aeroporto. Velocemente caricò sul rullo il bagaglio a mano mentre si apprestava a spegnere il cellulare. Si avviò con passo veloce e sicuro verso la postazione per l’imbarco. Una ventina di persone erano davanti a lei: chi in piedi vicino alle vetrate, chi a chiacchierare seduto sulle poltroncine, chi a leggere distrattamente le pubblicità vicino alle vetrine che esponevano borsette e portafogli in vera pelle. Una sola persona leggeva il giornale seduta su di una poltroncina tra una donna che pensierosa si scrutava le mani ed un uomo di mezza età che era intento a giocherellare con la pipa spenta che teneva in bocca. Un uomo dall’aspetto curato, vestito con un abito scuro, di ottima fattura, distinto e casual al tempo stesso, con occhiali fumè, le mani prive di anelli, appena distratto dalla nuova presenza, guardò Marta mentre si avvicinava.Una scorsa veloce quasi disinteressata alla figura di Marta e aveva ripreso a leggere. Marta fu una dei primi passeggeri ad incamminarsi nel tunnel per arrivare al bus che li avrebbe portati fino all’aereo. L’uomo che leggeva il giornale era dietro di lei, in mezzo alle altre persone. Non lo aveva più visto sul bus e nemmeno lo aveva cercato con lo sguardo. Arrivata alla scaletta dell’aereo l’aveva salita con tranquillità e si era avviata verso il posto a lei riservato: fila g, posto 3 lato corridoio. Aveva sistemato il bagaglio a mano nell’apposito scomparto sopra al suo seggiolino e si era seduta nella speranza che nessuno si fosse accomodato accanto a lei. Gradiva rimanere da sola, assorta nei pensieri, ripassando mentalmente tutti i punti della proposta che si accingeva a presentare al suo interlocutore di Parigi. Tutti i passeggeri si erano accomodati e lei era rimasta la sola della sua fila. Dall’altra parte del corridoio un’altra persona era seduta nel seggiolino più vicino al suo. Era l’uomo che all’aeroporto leggeva il giornale. Lo guardò per un istante e lui sembrò non accorgersene. Presto il comandante annunciò il decollo e i passeggeri allacciarono le cinture pronti a sentire rollare le ruote sulla pista. Quando il decollo fu terminato e le cinture slacciate, Marta prese a sfogliare le sue scartoffie. Si senti sfiorare il braccio e sentì una voce calda e avvolgente chiederle cortesemente se potesse dare qualche spiegazione sul prodotto che aveva utilizzato per compilare le tabelle che aveva in mano. Si voltò e incontrò lo sguardo profondo di un uomo dai lineamenti fini, dalla dolcezza disarmante e dalle labbra magnetiche. Presa da un fremito improvviso si scosse subitamente cercando di far mente locale. Cercò di spiegare in modo semplice, stringato ma dettagliato di cosa si trattasse e di quale metodo fosse stato applicato. La conversazione proseguì poi su toni meno professionali ma senza dubbio non meno discinti. Marta sentiva dentro di sé un fremito sempre più forte e quell’uomo stava usando tutto il suo fascino per riuscire a destare il suo interesse. Fu dopo circa un’ora che Marta ormai sopraffatta dall’emozione, chiese alla hostess di utilizzare la toilette. Si guardò allo specchio e si scoprì rossa in volto, con gli occhi palesemente lucidi e limpidi e con una sensazione inconfondibile lungo tutto il corpo. Provava un senso di eccitazione fisica pazzesco che mai aveva provato prima di allora. Quell’uomo l’aveva coinvolta a tal punto da farle provare il desiderio di fare del sesso con lui, immediatamente. Si vergognò di ciò che sentiva, ma il calore che sentiva tra le cosce, i capezzoli turgidi dal desiderio, il fremito lungo il corpo e il senso si morsa allo stomaco non cessavano e lei non riusciva a darsi pace. Sobbalzò nel sentire bussare alla porta della toilette. Fu quasi spaventata nel sentire la voce di quell’uomo chiederle se si sentisse bene e se avesse bisogno di aiuto. Lei aprì la porta e lo fece entrare. Lui disse che aveva spiegato alla hostess che la sua fidanzata, e quindi Marta, non si sentiva molto bene e che credeva fosse necessario chiederle se tutto fosse a posto. Quando furono uno di fronte all’altra, il desiderio si fece insopportabile. Lui le infilò le mani sotto la maglia a cercare i suoi seni che palpò e strinse con forza mentre con le labbra cercava la bocca di lei. Marta completamente sopraffatta si abbandonò ai sensi. Lasciò che lui la baciasse profondamente, e che le alzasse la maglia per baciarle i seni, mordicchiarne i capezzoli, leccandone la forma tonda e soda. Le slacciò i jeans insinuando le mani nella parti più intime alla ricerca del suo piacere e del suo calore. Percorse lentamente ogni lembo della pelle di Marta, dai seni fino al pube, per affondare la sua lingua tra le grandi labbra del sesso ormai rigonfio per assaporarne il succo. E poi la sollevò delicatamente sulla piccola sporgenza del lavabo e fece scendere i jeans fino a che potesse penetrarla con il suo sesso grosso e duro. Si amarono con violenta passione, godendone fino all’ultima goccia in un’estasi fantastica. Raggiunto l’orgasmo lui la rivestì dolcemente, la baciò sulle labbra e presa per mano l’accompagnò fino al seggiolino dove passò a contemplarla per tutto il viaggio con un accentuato rigonfiamento dei calzoni.

25 settembre 2002


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Lessico

Ali d’angelo

Circa due anni fa mi trovai il giorno prima dell’inizio della scuola, seduto al bar con degli amici. Mentre chiacchieravamo felicemente pensando all’estate passata, un uomo ci avvicinò chiedendoci di farci qualche domanda, dicendo di essere stato incaricato di fare una statistica fra i giovani. Per nulla imbarazzati rispondemmo di sì. Ad un paio di domande molto semplici ne segui una …  “Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?” I miei amici, poco seriamente risposero dicendo tutte quelle stupidate che si dicono a 16 … Un motorino nuovo, una modella … Io però non riuscii a rispondergli e dissi che non ne avevo idea. Poi, durante un pomeriggio piovoso, in mente mi tornò quella domanda, “Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?”… Ci ripensai fortemente e alla fine senza sapere perché dissi un paio di ali d’angelo candide come la neve … Il campanello alla porta suonò, ed io solo in casa andai ad aprire … Avvolto da una luce bianca l’uomo dell’intervista mi comparve davanti e mi disse: “Ecco le tue ali provale per una settimana poi verrò io a prendermi qualcosa …”, “quando le vorrai usare basterà che le desideri intensamente ed esse usciranno dalla tua schiena, e per quanto alto volerai non avrai bisogno di ossigeno per respirare le sole ali basteranno …” detto questo scomparve davanti ai miei occhi in un lampo bianco … Credendomi pazzo, corsi preoccupato nel bagno a sciacquarmi la faccia e a guardarmi allo specchio … Poi ad un certo punto pensai  alle ali, e in quel preciso istante qualcosa, dolorosamente inizio a premere contro la maglietta fino a strapparla … un paio di lunghe ali bianche erano uscite dalla mia schiena e da esse una lunga serie di piume cadeva copiosa, svanendo toccando il terreno Pensai di non volere le ali ed esse si richiusero … Passò un giorno e un po’ preoccupato di essere preso per pazzo non dissi a nessuno di questo. Poi una notte tardi … decisi di provarle, le feci aprire, e in mezzo alla strada deserta spiccai un salto verso i cielo … Come fosse stato un movimento naturale le ali cominciarono a sbattere e a planare, a me bastava senza fatica pensare dove dirigermi, e quanto velocemente volevo farlo. Scoprii che in un attimo (Bastava pensarlo!!) potevo arrivare da Taranto a Roma … Lo pensai e così mi trovai a sorvolare la capitale. Mi diressi in una zona conosciuta vicino la stazione, sbirciai in ogni finestra del palazzo che avevo scelto, tutte aperte per il gran caldo di quell’estate. Quando stavo per perdere la speranza, la trovai finalmente, che dormiva profondamente nel suo letto … Era proprio bella … ed era cresciuta nonostante non la vedessi da un anno. Ad un tratto di colpo si alzò, ancora assonnata vide il mio viso dalla finestra … Non credendo ai suoi occhi corse verso la finestra, e vide le grandi e candide ali che sbattendo lentamente mi sostenevano … mentre stava per aprire bocca e dire qualcosa, le feci cenno di non parlare e sorridendo le diedi un bacio sulla guancia e volai via …Tornai a casa e mi misi a letto … Pensai alla mia piccola avventura. Il giorno dopo lei mi chiamò e mi chiese se per caso non ero stato a Roma in quei giorni. Le dissi di no, mentendo. Con un po’ di vergogna mi raccontò tutto e io  le risposi che forse aveva sognato tutto. Mi disse che probabilmente era stato così. Chiudemmo la telefonata con la promessa di sentirci presto. Quella notte stessa tornai da lei, ma la trovai sveglia ad aspettare alla finestra … invece di farmi sostenere dalle ali mi appoggiai dolcemente sul davanzale della finestra … Non rimasi per molto, giusto il tempo di spiegarle tutto ma in maniera molto vaga … Tornai a casa, ero ormai a metà settimana, fra un po’ lui sarebbe tornato e avrebbe voluto qualcosa di mio … Scacciai quel pensiero, ed ogni sera tornai a quella finestra, ma senza fermarmi mai  per molto tempo. Lei una di quelle sere mi confessò di essersi innamorata di me, ne ero felicissimo, ma subito mi prese il sospetto che fosse solo per via delle mie ali di angelo … Le dissi che se avessi perso le ali non sarei potuto più tornare da lei ogni sera, ma lei disse che non le importava. Le concessi comunque il beneficio del dubbio e continuai fino a domenica … Poi proprio domenica sera, quell’uomo tornò … Mi chiese se volevo tenere le ali … io gli chiesi quale fosse il prezzo da pagare, per avere la cosa che “di più avevo desiderato nella mia vita”. Mi portò con lui in volo, e atterrammo sul davanzale che avevo frequentato in queste notti … Mi disse: “Voglio lei … se accetterai la porterò con me e tu avrai ciò che desideri”… In quel momento stesso gli dissi di riportarmi a casa … e gli dissi avvolto in un turbinio di piume e lacrime di rabbia di riprendersi le ali … Mentre usciva dalla porta mi disse “Sapevo che avresti scelto bene… in fondo non hai già la cosa che più si possa desiderare nella vita?” Detto questo sparì … Ripensai a lei e capii ciò che voleva dire…..

 


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KoRn

Nuvole

Esseri fantastici, enti un po’ alati vanno in corsa per l’orizzonte. Prendono corpo e mutano forma, dileguano in nero, grigi, marroni. Spingono dietro i maestrali con grande vigore, in una regia leggera che scherza e scompiglia. Nell’inseguirsi ancora vuoto d’ansia, in coda gonfia un bel cavolfiore con le foglie che si aprono a gran colletto e presto si sfaldano in un lunghissimo naso. Pinocchio annusa la gran signora che corre avanti, la chioma a cupola e due seni pieni, in trionfo, rosa e violetti. Tutti i suoi menti ballano, molli e rotondi, intorno al sorriso, mentre le gonne volano in turbine sopra le cosce. Com’è veloce la gran signora che ha paura del temporale. Le sue scarpine gialle e turchesi lasciano scie futuriste che poi s’arrotolano in lumachine dal ritmo lento. E dopo vengono uccelli, insetti e pesci: nuotano e volano in un prodigio di aria e di acqua. Occhi rotondi, zampini, piume, creste con scaglie, antenne, pinne e ali di bianchi brillanti e neri oscuri si mutano in pioggia. Si scioglie tutto. Restano lampi che zigzagano il cielo e l’eccitazione della tempesta. “Prego, allacciare le cinture”. Lufthansa. Volo 720 Francoforte-Pechino.


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Kiki Pi

Appunti di volo

Eccomi qui in aereo come tante altre volte. Ma stavolta è uno strano effetto. A me piace volare, viaggiare, vedere, conoscere, capire. E’ nella mia natura. Ma vi volevo parlare di altro. Di un emozione … Perché vedete volare, passare dall’alto su terre, mari, da’ un’altra prospettiva. E’ come se una telecamera fissa su un soggetto a poco a poco allargasse l’inquadratura. E’ cosi. Cioè, tu hai l’inquadratura fissa sulla tua vita, sulla tua normalità … normalità, si, no non mediocrità … vabbé, comunque tu sei li, fisso, e poi ad un certo punto tutto si allarga e si restringe e la tua prospettiva cambia. In volo. E’ bellissimo. Se gli psicoterapeuti fossero gente onesta dovrebbero consigliare questa esperienza a chi ha la vita inchiodata ad un muro. Così come le farfalle. In modo da riprendere il volo. Invece di impazzire. Ed io infatti ora mi libro. Ma vi volevo parlare di un’altra cosa. Vi volevo parlare di morte. No, non è un pezzo triste. Aspettate. E’ che oggi ci ho pensato. Ancora. Forse perché non sto bene? Forse, ma non so. Soprattutto perché ho capito. Ho capito che alla fine non deve essere male morire. E come quando parti in aereo. La sensazione meravigliosa del carrello che stacca è l’anima che sale verso l’alto. E’ certo che anche in quel caso bisogna che il corpo sia ben fermo. Con le cinture allacciate, ma proprio forte. Ed è cosi che poi lei, l’anima, si stacca e finalmente … vola. Libera. Allargando finalmente la prospettiva su tutto il mondo, sulla vita. Finalmente capace di non essere inchiodata in mille piccolezze, particolarità. Si. Che altro dire? … Il tempo è magnifico ed il panorama pure … Ah, ma mi raccomando cercate di volare lato finestrino. Altrimenti correte il rischio di cambiare la prospettiva della vita con quella dello schienale magari reclinato della poltrona davanti a voi. Alitalia docet … si, grazie del buon succo di frutta a farmi compagnia in questo volo. Un altro, di prova generale.


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space shuttle
Serena Iossa

Un passeggero scomodo


Arrivo all’aeroporto, il mio passeggero non dovrebbe tardare. Infatti, eccolo arrivare; si guarda attorno un po’ spaesato mentre attraversa il piazzale con gli aerei. Ora è nel mio regno, per la prima volta si deve fidare ciecamente di me.

Indossiamo i paracadute e chiamo la torre. Mi danno l’ok ed entriamo in pista.

Mi sento addosso uno strano spirito di rivincita: adesso ti faccio vedere come si fa!

In queste situazioni bisogna essere un po’ melodrammatici.

Controlli: “Comandi: gli alettoni ci sono, i pedali ci sono – strano -, la coda coi timoni l’ho vista prima, il filo di lana c’è, gli strumenti … anche, il traino è li, la manica a vento è abbracciata al suo palo, non ci sono peones sulla pista. Cappottina chiusa?”

“Eeeeh…!” Amorfo. Mi volto, la controllo, controllo anche la mia. “Chiuse. Non toccare i pomelli rossi: il sinistro apre la cappottina, il destro la sgancia.”

“Eeee?” Perfetto, capisce al volo ‘sto ragazzo.

Alzo il pollice. Mi alzano l’ala e il volo comincia. E anche lui: comincia ad urlare.

Ha vent’anni e buoni polmoni, e raglia come un asino incavolato. Urla per l’eccitazione di essere per la prima volta su un aliante, aeromobile così piccolo e maneggevole, nella cabina, con i comandi a portata di mano.

I comandi … “Mi lasci liberi i comandi per favore?”.

“Ah sì, scusa” e riprende a farneticare.

Dopo un po’: “Dove andiamo?”

“Dietro al traino”

“E perché non provi a superarlo?”

“Caz … dici?”

“E dove ci porta?”

“Dove gli ho detto” e di nuovo urla: “Cos’è questo? E quello? Questo qui che si muove? Ooops: mi è rimasto in mano …”

“Stai zitto!!”.

Arrivati in quota, sgancio, viro a destra e voliamo liberi. “Dove ti porto?”.

“Boh …”

“D’accordo: andiamo verso la città”. Trovo una termica dove volano decine di cornacchie. Strano, non mi risulta che siano grandi veleggiatrici … infatti: non si sale. Proviamo coi rondoni.

“Posso ordinare una pizza?”

“No”

“Perché? Ho il telefono”

“Primo perché non prende; secondo, perché dove te la fai portare?!”

“Aaaahheeee” urla.

“Basta!”

Urla ancora. In un attimo picchio, cabro e picchio ancora.

“Aargh, cosa succede?”

“Ti do un motivo per urlare.”

“Ma io ho battuto la testa!”

“Tira le cinture”. Rimbambito! … ecco le mie vendette.

Riprende a urlare. Mette la mano leggera sulla cloche, me ne accorgo. “Se vuoi pilotare dillo, adesso l’aliante è tuo, fai quello che vuoi … ma non stallare e non entrare in vite. Per favore”

“Cosa? Come si fa? No, non voglio!” e picchia.

Tiro leggermente la cloche “E vai dritto … non vedi che il filo non è centrato!?”

“Filo?”

“Quello rosso, davanti a te … e hai finito di strillarmi nelle orecchie?”

“Sì, prendilo tu!”

Prendo i comandi.

“E se stalla?”

“Così?” tiro leggermente e la velocità rallenta, rallenta, r a l l e n t a a a a …

“Fermaaaargh!”

“Sì, più o meno …” Carognata! E continuo: “Vabbé, adesso ti faccio vedere la vite”

“La che? Eeeeeeh …”

“ Ho detto: V I T E. Dopo lo stallo, incroci i comandi, un’ala stalla e … va giù.

“Uuuaaahaa, ancora!”

Lo sapevo. “No, adesso questo!” . Picchio per prendere velocità, poi cabro e viro.

“Uuuaauuu!”. Urla ancora. Che strazio! “Guarda l’ala ferma per terra … la vedi?”

“Uauauauau, iiiiiaaaaaha”.

Insopportabile.

“Ehi, ancora!”

”No, siamo bassi”. Balla colossale. E aggiungo: “Andiamo all’atterraggio, ma prima …”

“Uaaaa …”

In prenotazione metto l’aliante in virata bella stretta e tiro: urla meno, finalmente! “Ti piace?”

“B e l l o”, dice a denti stretti, strizzato sul sedile.

In sottovento la prova diruttori.

“Uahh!”.

Sì, ci sono. “Adesso zitto, se no ti porto sugli alberi”, gli ruggisco.

Vedendoli ora così vicini, non osa disturbare. L’atterraggio è silenzioso, ma dopo la toccata ricomincia ad urlare.

Schizzo fuori come una molla e lo lascio dentro.

Tirato fuori l’aliante dalla pista, vedo papà e con enfasi gli dico: “Portami via tuo figlio dalle mani, altrimenti gli tiro il collo: non sapevo che avesse tanto fiato, non l’avrei portato per aria!”

Mio padre sorride. E’ stato un pilota anche lui.

Il mio passeggero, bianco come un panno lavato in candeggina mi sussurra: “Dai, Diana, fammi scendere da ‘sto coso?! … per favore.”

In fin dei conti , è mio fratello … e gli slaccio le cinture di sicurezza.



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§§    in esclusiva per “Voci di hangar”   §§


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