Arrivo all’aeroporto con largo anticipo per scoprire che il genio delle prenotazioni mi ha prenotato sul volo Londra-Roma invece che il Roma-Londra (nonostante la mezz’ora di telefonata, i dati del biglietto e la mia richiesta di ricontrollare la prenotazione quarantacinque volte perché non mi quadrava l’orario d’arrivo). A quel punto (nelle migliori tradizioni) i voli sono strapieni. Vado a protestare e mi consigliano di spedire una lettera. Mando il tipo della direzione a quel paese. Al check-in sono più gentili. Mi dicono di aspettare la chiusura del volo. Poi alle cinque e un quarto mi comunicano che il volo è chiuso e non sono rientrata (ero la sesta in lista, sono saliti i primi cinque…), ma visto che non ho bagaglio, posso provare ad implorare direttamente all’imbarco (mi consigliano vie crucis e autoflagellazioni che in epoca di Giubileo fanno la loro parte). Mi precipito in volata all’uscita C2 ma niente da fare. Attendo attendo. Mi mettono in lista d’attesa per il volo successivo. Sono la undicesima. Trasferimento all’uscita C11 con sosta ai cessi per fumarmi una sigaretta. Sono in formato omino Michelen, e bagaglio con il peso d’una tonnellata di parmigiano, caffè e libri, un caldo da paura. Mi destratifico mentre corro. All’uscita C11 ritrovo gli stessi di prima che ormai hanno preso a cuore il mio caso (ai limiti del patologico). Speranze pochissime ma mi dicono di non disperare.
Assisto ad un’inglese isterica che ricopre di vituperi un’addetta all’imbarco a causa dei disguidi che ha subito per i voli cancellati, prenotazioni a scatafascio, biglietti a rimpiattino. Lei ascolta con una pazienza certosina. Poi arriva un tassista che ha rincorso per mezzo aeroporto una coppia di anziani inglesi che si sono oooops … dimenticati di pagarlo. Mi offro da interprete, cambio le sterline in lire ai due smemoranti, liquido il tassinaro che si è fatto straripagare della dimenticanza al limite della rapina a mano armata. I due pagano quello che lui chiede tra l’imbarazzo generale. Intanto il volo è imbarcato. Per me posti Nix.
Arrivano altre tre persone a cercare di risolvermi l’incresciosa situazione. Infatti se non salgo su quest’aereo, sul successivo è da escludersi che ce la faccia. Ma come si fa? Manco un posto libero. Alla fine a qualcuno viene l’idea dello strapuntino. Il capitano dice occhei. Voilà. Vai, corri. Infilo il corridoio in volata e mentre corro mando un messaggio al coniuge “arrivo”. Poi chiamo di corsa mia madre “stopartendotispiegoquandoarrivo”. Entrata, si chiudono le porte. Saluto e ringrazio il comandante e mi accomodo nella cabina di pilotaggio…
La cabina di pilotaggio è un gioco pirotecnico di lucine, lucette, pulsantini, levette, manovelle, rotelle, numerini, numeretti, sigle, siglette, voci confuse dagli speakers. L’armamentario mi circonda mi aggira: sopra, sotto, davanti, di dietro. Ho paura di muovermi previo toccare qualcosa di vitale importanza, onde deriverebbe sfrittellamento del velivolo con tragedia inumana non riportata dai tempi di Ustica. Titoloni di giornale: Aereo precipita sulle Alpi. Qualcuno ha mandato in tilt i due motori. Non si conoscono le cause del disastro. E’ accertato che il pilota non beveva. Forse ad un passeggero è andato di volta il cervello. La scatola nera non è stata ritrovata.
– Senti, mi fa un piacere – mi fa il comandante, come se si trattasse di un incarico di vitale importanza – mi chiudi la porta così mi fumo una bella sigarettina. Eseguo all’istante. Lui s’accende la sua sigarettina tranquillo e beato, apre il finestrino laterale e si sbraga alla grande: Ahhhhhhhh!!!!!!! Mi vengono in mente tante cose, ma dico solo: – Fantastico! Il comandante per me è già un mito. Osservo attentamente il finestrino aperto a manovella e mi rendo conto che in fondo ‘sta cabina di pilotaggio più che fantascientifica mi sembra una 500 coreografata a mo’ di alberello di Natale.
– Tutto ok? Tutto ok. Vabbé. Chiudiamo ‘sto finestrino e partiamo.- Lancio di sigaretta all’esterno. Leggo i titoli: aereo esplode in rifornimento. Non se ne conoscono le ragioni. Tric e tracche, spintarella, cazzottino, tiratina, rumore di ferraglia. – Eh maccheccazzo ‘ste guarnizioni! Ce l’hai i dati. Sì sì, c’ho tutto. Facciamo 235? sì sì va be’. 564, 675, 98 62. VHF, RIFF RAFF e Patrac. Voce dallo speaker incomprensibile. Movimenti frenetici. Gira deqquà, manovra dellà, tira un leva su, due leve giù, spingi questo, alza quell’altro. – A Londra c’è un tempo schifo. All’arrivo faremo il balletto. Vabbé intanto partiamo.
Ci siamo. La pista è davanti gloriosa e trionfante. Lunga lunga una quaresima, ed io sto là, occhi spiaccicati in avanti che me la gusto tutta in allungata, impennata e virata. Ciao Roma. Intanto proseguono le manovre i pigiatasti, contanumeri, fogliettini, manuali, inserimento dati, l’altimetro che ci porta in un battibaleno sui trentamila piedi. Dopo quindici minuti, il dado è tratto. Ai due non resta più niente da fare. Il comandante si dedica alla lettura del giornale. Io faccio salotto con il secondo pilota. Sorvoliamo le Alpi, passiamo Ginevra. Un bambino chiede di vedere la cabina. Mi tolgo dai piedi e m’intrattengo con la capo hostess che ha un raffreddore di quelli schiantacervello. All’altezza della Manica mi riaccomodo. Si comincia la discesa. Ricominciano le voci e il pigia deqquà e pigia dellà. – Accidenti che mestiere che fate! – Ehm sì. E’ un po’ difficilino. Per lo più è automatico ma ci sono situazioni in cui è… non vorrei sembrare immodesto… quasi eroico.
Il tempo è infausto. Si comincia a ballare. Comincio a capire come funziona la questione. Riconosco ormai i vari tasti e a che cosa servono. Mi sento come ad un corso accelerato di pilotaggio. – Sì, i dati va bene – dico – ma scusate la domanda da ignorante… ma come fate a non sbagliare strada? Scoppio di risa. – Ehm, in effetti non è poi così insolito. C’è chi ogni tanto sbaglia rotta di due o trecento chilometri… L’aereo balla che è una meraviglia. Il vento (me lo comunica il comandante) tira a centocinquanta all’ora. Porca puttana piove! – Eh lo vedo. – No. No. Piove dentro. – Ahi, cazzo, piove pure di qua. Aspetta. Mettiamoci un fazzolettino. Le falle ai finestrini vengono arginate a furor di kleenex.
– Altro giro, altro regalo. Ma ‘ndo cazzo ci stanno mandando questi di Stansted? in Cornovaglia? – Giro giro tondo. E pensare che eravamo in anticipo. Addio cenetta. Ci tocca ripartire subito. Vita infame. Scopro che a causa del maltempo l’aereo che ci sta davanti è stato dirottato su un altro aeroporto. Sembra di stare sulle montagne russe. Anzi, mi corregge il secondo pilota: è un rodeo. Io sobbalzo sul seggiolino. Yahooo!!!
Veniamo agganciati da Gatwick. Il controllore di volo comincia a dare ordini e portare l’aereo giù: 10000 piedi, 8000, 5000, 3000. A 1500 usciamo dalla coltre di nubi e la pista compare in tutto il suo clamore. – Che facciamo comandante? Cerchiamo di centrare la pista? – Vabbé. Proviamoci almeno.
La pista si avvicina in modo preoccupante sulla destra. L’aereo è spinto verso sinistra dal vento che ha raggiunto i centottanta chilometri orari. – Cazzo come siamo storti. Che facciamo? atterriamo di lato? Silenzio di tomba. I due sono un concentrato di succo di spremuta di concentrazione. 1000, 800, 500. A 300 stiamo per toccare. Siamo nel pieno d’una tromba d’aria. Maronna qua se schiantamo. Il comandante cerca di buttare l’aereo a destra, il vento ci ributta a sinistra. PING PONG PING PONG PING PONG. Tre, due uno… virata all’ultimo secondo. L’aereo si raddrizza e atterra dolcemente, senza uno sbandamento, una sbavatura. Sei milioni di nervi mi si distendono contemporaneamente.
Il comandante si volta e mi fa: – Ti ricordi quando ho detto che a volte il nostro mestiere è automatico e a volte invece…
Segue lettura della mappa dell’aeroporto. – Gira qua. – No, no aspetta è di là. – Sì ma dove sta? Ah sì sì è di qua. – Vabbé, vai di là.
L’operatore inglese del tunnel sbaglia l’attracco. Sbadabang! – Che è successo? – Niente comanda’ l’inglese c’ha sfasciato il portello. Niente Venezia. Restiamo qua. Conosce qualche ristorantino a Londra? – Aspetta che mo’ ce riprova. Questa volta il tunnellista fa centro. – Peccato. Non l’ha sfasciato del tutto. Solo qualche graffio. Ci tocca ripartire. Conosce qualche ristorantino a Venezia?
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