Quella mattina ci eravamo incontrate di fronte all’entrata posteriore del Liceo Scientifico “G. Marconi”. Con gli occhi semichiusi, le voci ancora assonnate, incuranti dell’ennesimo ritardo in classe, dopo esserci date un “Buon Giorno” alquanto distratto, indaffarate a legare le nostre biciclette agli ultimi pali rimasti disponibili, ci eravamo interrogate sul nostro futuro: “Allora, ragazze, che facciamo? È ora di decidere , il liceo sta per finire!”. Tutte e tre, vale a dire io, Luisella e Silvia, avevamo accordato che era il caso di continuare a studiare e di non rinunciare a godere dei privilegi della vita da studenti. Il problema era cosa studiare e dove studiare. Così Luisella, la più saggia delle tre, aveva detto: “E chi ce lo fa fare di andare a Cuneo? Una volta che prendiamo il treno arriviamo fino a Torino, no?” E così era stato. Ci eravamo salutate come se avessimo parlato del tempo, inconsapevoli che quella breve conversazione avrebbe fatto intrecciare i nostri destini e irrimediabilmente legate l’una all’altra nei ricordi. L’anno scolastico era continuato tranquillamente finché in occasione dell’esame di maturità, ci era venuto in mente che forse ci saremmo ritrovate a vivere insieme dopo qualche mese. Così, previdenti, avevamo deciso di testare la convivenza e ci eravamo rinchiuse in una graziosa casetta in provincia di Torino, a ridosso delle Alpi, per studiare quello che in seguito si era rivelato il primo di una lunga serie di esami preparati insieme. E fu lì che cominciammo ad apprendere la complicata e geniale personalità di Silvia, fatta di desideri di viaggi in aereo, di desideri di volo in generale (diceva che tutte le notti sognava di essere una farfalla, bianca e gialla), di stimoli a forma di biscotti al cioccolato, di ragionamenti che si concretizzavano in pagine di geroglifici che solo pochi riuscivano a comprendere ma che tutti immaginavano fossero esercizi di matematica, di tensioni che si scaricavano in corse su e giù per le scale e nel boschetto con rovinose cadute e spargimenti di sangue, di paure che la portavano, dopo una notte brava, a studiare alle 8 di mattina Inglese, di dolci gentilezze per cui noi godevamo di cornetti caldi alle 7 di mattina e di pazzie lunghe una notte, dopo una partita a carte, indossando pigiama e occhiali da sole e implorando, sul più bello, un giro in aereo e urlando: “Voglio volareeee!”. A quel punto come non intraprendere l’avventura universitaria insieme? Silvia si era dimostrata una splendida persona fin dall’inizio. Così in una calda giornata di agosto eravamo andate a Torino in cerca di casa. Oltre ad essere calda era pure domenica e non c’era un cane in giro! Ma noi eravamo contente e felici di iniziare questa nuova vita da studentesse universitarie serie ed impegnate. Sotto il sole cocente, con i nostri rispettivi genitori, avevamo cercato e poi trovato il nostro nido di passioni e di studi. E in men che non si dica ci eravamo trasferite in via P. 48, dopo aver fatto una “leggera” pulizia di varie ore con le rispettive mamme. Per Silvia era iniziato il periodo di prova all’Università di Biotecnologia dove la tenevano incarcerata dalla mattina alla sera e noi non potevamo goderci il nostro gioiello. Tornava a casa e si distendeva 5 minuti sul letto, poi non la vedevamo fino al giorno dopo. Così la nostra compagna d’avventura aveva capito che aveva bisogno di molta più libertà, ed aveva fatto il grande passo cambiando facoltà: Chimica Industriale. Era iniziato allora il periodo sano delle carote e del conteggio delle calorie: “Scusa Silvia, quanto hai detto che sono 100 grammi di piselli senza condimento?”, ” Vai tranquilla , sono solo 69 calorie” ci rispondeva mentre sgranocchiava un gambo di sedano crudo. E noi, rassicurate, sapevamo che potevamo mangiarne in quantità industriali perché sono sani, fanno bene e sono leggeri e che, se volevamo fare le sofisticate, li potevamo accompagnare con un po’ di mais e qualche crackers. In questo modo potevamo permetterci di toglierci lo sfizio (ogni tanto eh!) di sbaffarci giganti biscottini al burro spalmandoci solo mezzo dito di Nutella in cima. E la convivenza continuava. Noi due (io e Luisella) vivendo nella nostra piccola e confortevole stanzetta, condivisa con maestria e creatività, invece Silvia vivendo in una stanza tutta sua, inciampando ripetutamente nei libri o nelle cose che spargeva un po’ dappertutto e negli aerei di carta (costruiti con le pagine dei notes fitti dei suoi geroglifici) che in continuazione piegava e faceva volare di qua e di là, dando la preferenza alle nostre teste. Ed i giorni trascorrevano. Io e Luisella che ci svegliavamo sempre all’ultimo momento, correndo in bagno insieme, e mentre una faceva la pipì l’altra si lavava i denti, e poi ci davamo il cambio per far presto, pedalando in bicicletta come pazze lungo le porticate vie di Torino per andare alla lezione della tarda mattinata. Invece Silvia si svegliava circa un’oretta prima di uscire di casa (il che equivaleva circa all’alba) per fare tutto con calma; e non importava a che ora era andata a letto la sera prima o cosa aveva bevuto, o quanto il suo impegno fosse costante e determinato … tutte le mattine era in piedi scattante! Si preparava una deliziosa colazione, si pettinava, si faceva una calda doccia, si metteva le sue cremine, etc etc etc. E noi la incrociavamo che usciva di casa correndo e a braccia aperte per emulare la farfalla che era in lei, oppure ronzando come l’aereo sul quale sognava di volare, un giorno. La vita e l’euforia torinesi ci avevano preso per mano e accompagnato alla scoperta di questa città, delle sue strade, della sua gente, degli studenti, dei locali. Dopo la telefonata quotidiana con papà e mamma, Silvia c’era e c’era sempre: una festa in un locale, una cena a casa di amici, cinema, teatro, un privee nel nostro appartamentino … lei era là, sempre, piena di energia e di casino, pronta a dare il meglio di sé, sempre! L’Amaretto di Saronno, intanto, era nostro compagno e le pastasciutte liofilizzate alle 5 del mattino l’ultimo grande piacere della nostra giornata che si concludeva, così , traballando, sfiorata dalla luce e dai rumori di un mondo che si svegliava. Una sera, finalmente uscita dal bagno e vestita del suo pigiamino rosa irrimediabilmente troppo corto, ci aveva guardato con un viso perlato dall’olio di mandorle che le illuminava le gote rosate e aveva detto, ormai sognando il suo letto e la coperta di pelucchio: “Ragazze, vado a dormire un po’ che domani mi devo alzare presto. Devo iniziare a studiare seriamente, l’esame è tra meno di un mese!”. Aveva alzato la mano in segno di saluto, inclinato dolcemente il capo e sorridendo ci aveva salutato: “Buonanotte ragazze”. Era iniziato così il momento di studio matto e disperatissimo di Silvia! La cucina era stata occupata da lei, da cumuli di libri e appunti mischiati a modellini di aerei di carta e a biscotti e briciole, i cui segni e bontà ancora si possono trovare tra le giunture e nelle macchie conservate dalle pagine dei nostri testi universitari. Proprio adiacente alla cucina si trovava quel locale che sarebbe rimasto impraticabile per tutto il periodo della nostra permanenza: “camera di Silvia!”. Quel piccolo universo a parte che lasciava di stucco gli ospiti quando si apriva quella porta e del quale la nostra Silvia tanto andava fiera. Ma ancora più strabiliati, gli ospiti, rimanevano quando ascoltavano il nostro genio mentre suonava uno di quei pezzi “tranquilli” di musica classica che le impegnavano le mani, i piedi, tutti i muscoli delle braccia, del collo, del ventre … in uno sforzo verso l’estasi dei sensi … suoi e nostri ! “Quando suono mi libero nell’aria e volo … cosa ci può essere di più bello che volare nel sole?”, diceva estasiata. E quando finiva di suonare l’ultima nota che si propagava nei nostri corpi e scorreva nelle nostre vene, iniziavamo ad applaudire, lei alzava la testa fino ad allora piegata verso la tastiera e si sistemava i capelli che nel frattempo si erano anch’essi elettrizzati. Poi, al termine di ogni esibizione usciva sul terrazzino e restava ad osservare il cielo. “Ragà”, diceva, “Non vedo l’ora di fare un viaggio in aereo … voglio volare …”, e poi cantava a squarciagola: “Volareee ooo, volareee ooo, nel blu dipinto di bluuu … felici di stare lassùùùù …” Chiusa in casa era stata in quel periodo la povera ragazza, nei suoi occhi tristi si leggeva una clausura che la faceva penare come un animale in gabbia che cerca l´infinito del cielo nel quale sogna di volare. La staticità non faceva per lei, così trovava sempre l’occasione di fare un po’ di esercizio: dalla sedia al frigorifero e dal frigo alla nostra stanza . “Ragazze, cinque minuti di pausa!” e veniva a sdraiarsi sul lettone comodo e floreale in cui ci si riuniva per fare le nostre quotidiane discussioni sulla vita, sui nostri ideali, sui nostri sogni. Ed era stato allora che avevamo immaginato il nostro uomo ideale: “A me basta che sia intelligente, simpatico, bello, generoso, che sappia suonare, che sia romantico, che mi ami alla follia, che mi faccia sentire una regina, che sia fedele, che sappia capirmi, che sia dolce, sincero, interessante, sportivo, amante della natura e dei viaggi, elegante … se poi pilotasse un aereo, allora beh, me lo sposerei subito … subitissimo!” Silvia aveva le idee chiare. Le soddisfazioni non avevano tardato ad arrivare, e fin dai primi esami Silvia aveva dimostrato la sua eccezionale capacità e predisposizione per i suoi studi che proseguivano nel migliore dei modi. E questi successi erano stati anche la grande occasione per celebrare e festeggiare: notti, giorni, settimane travolte da Silvia e dai suoi sogni, dai suoi aereoplanini di carta che aumentavano a vista d’occhio e si perfezionavano nelle forme. Così erano trascorsi gli anni, tra cene a lume di candela, fragolino bianco e dolci al cioccolato per i nostri indimenticabili Natali, cacce al tesoro per trovare i regali nascosti nei posti più impensati, Tai Box ed arrampicate tra una suonatina al piano e l’altra, i giri in Roller ai giardini del Valentino, le corse mattutine ai Murazzi, le piadine con gli amici, gli esperimenti culinari, il viaggio a Londra (in treno, purtroppo per Silvia che non la smetteva di sognare un viaggio in aereo), i capodanni colorati, le risate senza fine, gli abbracci ed i sogni … Ma i sogni si erano fatti realtà: “Pensavo di andare un anno a studiare all’estero … così finalmente salirò su un aereo, e poi una volta preso l’aereo tanto vale viaggiare no ? Secondo voi, è meglio San Diego o Berkeley?”, aveva chiesto Silvia mentre sfogliava i programmi di studio, le foto, le informazioni. Dovevamo partire. In qualche modo bisognava salutare Torino e chi aveva vissuto con noi quei 3 anni di vita insieme. “Invitiamo tutti al Valentino, al gazebo vicino all’Orto Botanico! Riuniamo là tutti gli amici per un commiato finale alla grande!”. Questa era stata la grande proposta di Silvia. Grandissima idea! Grandissimo sforzo! Queste parole erano state tutto il suo contributo mentre io e Luisella avevamo dovuto organizzare il resto. Quella notte fu unica. Sembrerà strano ma vedere i propri sogni che si realizzano può significare anche tanta tristezza. Ed era stato con gli occhi lacrimanti e il naso rosso (che non era allergia alla polvere anche se di polvere là dentro ce n’era tanta) che avevamo sbaraccato il nostro appartamento: i poster, le foto, i CD, le bici . Silvia aveva trovato oggetti di cui aveva dimenticato l’esistenza da tempo indeterminato dispersi nei meandri della confusione. Fu difficile salutarsi e pensare che non avremmo più visto la nostra cara amica Silvia entrare dalla porta con il fiatone perché “fare le scale a piedi fa bene al culetto! E poi adesso mi posso mangiare un sacchetto di Condorelli senza scrupoli di coscienza!”, Silvia stravaccata nel mezzo del tavolo della cucina con una montagna di libri dai quali allungava la testa per vedere chi stava entrando dalla porta, Silvia alle prese con pentole che bruciano perché “io l´olio ce lo metto dopo, a crudo!”, Silvia chiusa in camera che prende a pugni lo specchio, Silvia chiusa in camera che suona al pianoforte una musica per comunicarci il suo stato d´animo, Silvia chiusa in camera sotto una montagna di coperte, piumini, cuscini ed intorno una montagna di libri, maglioni, calzini, scarpe, magliette, Silvia chiusa in camera a volare con la fantasia, Silvia davanti allo specchio per ore, Silvia dentro al bagno per un´eternità, e poi ancora Silvia in giro per Torino con quel Ciao rosso che sfreccia tra le automobili e i suoi “Dio ci salvi!” E così la nostra eroina aveva cominciato con i preparativi per la partenza. Anch’io e Luisella ci stavamo preparando perché, coincidenza voleva che fossimo tutte e tre a partire per nuovi mondi e nuove avventure. Avevamo deciso di registrare una cassettina per ascoltarla poi durante il viaggio, una per ciascuna. Ed anche in questa occasione Silvia non si era accontentata di registrarci un nastro con le canzoni di qualche cantante più o meno conosciuto. No. Non lei. Così io e Luisella avevamo trovato un piccolo pacchetto nella cassetta della posta. Mittente: Silvia. Dentro quell’involucro di carta (apparentemente normale) avevamo trovato: uno spartito con le note dell’indimenticabile sinfonia che Silvia frequentemente ci dedicava, Waldsteiner, una cassetta in cui aveva registrato una sua memorabile interpretazione di quella stessa melodia e una lettera con cui ci comunicava la sua poesia. Una poesia kandinskiana, scritta con l’anima di una musicista che ascoltava la vita in armonia con le persone che amava e con le quali desiderava creare una sinfonia magica, quella sinfonia eterna ed unica che si può comporre solo in certi momenti di assoluta ispirazione. E poi, dulcis in fundo, come una ciliegina sulla torta, usciva la voce di Modugno con la sua “Nel blu dipinto di blu””. E l’ispirazione portò Silvia fino a San Diego, in quella città dall’estate tutto l’anno, dai surfisti statuari nelle spiagge e tra le onde, dalla vita sana e sportiva, dalla gente no smoke, dall’ Università no stop. Le vie di comunicazione fortunatamente in questo nostro periodo della vita sono molto rapide e dirette, così la nostra apparente lontananza tagliava le distanze con i fili di internet e la meravigliosa posta elettronica … quotidianamente trovavamo il modo per comunicare la nostra situazione psico-fisica : “Ragazze, 8 chili in pochi mesi … non è una cosa normale! Devo iniziare la dieta … È che qui è tutto più grande … lo spazio , le distanza, la mia pancia … e la gente è pazza, non so, sono tutti impazziti qui! E questo tipo? Cosa fa? Sorry? What? Bah…ragà, da domani inizio windsurf e il corso di sub e a correre e a svegliarmi prestissimo alla mattina e a studiare e ad uscire di più con gli amici e a prendere il sole e a camminare per la spiaggia e a guardarmi tutte le sere i tramonti di San Diego e … a proposito: inizio un corso di deltaplano, sarà bellissimo, fantastico! Volerò. Non come quando sono venuta qui: come prendere l’autobus, non volare. Col delta volerò davvero e ancora e ancora e ancora … finalmente!” . Un anno era trascorso in fretta e Silvia aveva visto tutto ciò che una persona è in grado di vedere: Gran Canyon, San Francisco, il Messico … ma la cosa più importante era stato l’incontro con l’uomo della sua vita : Miky. Che era proprio come lo aveva sognato e addirittura faceva il pilota per una compagnia di volo americana. Silvia era rientrata in Italia col suo amore ed era stato così che quel periodo natalizio lo avevamo trascorso con i nostri rispettivi principi azzurri (per la prima volta nella nostra vita) brindando con un bicchiere di ottimo vino rosso in una tipica osteria di Conegliano. Poi Miky era ripartito alla volta di Madrid, dove abitava e dove desiderava sposare la sua Silvia, mentre Silvia, dal canto suo, aveva già deciso di studiare e preparare la tesi a Madrid: “Perchè quando mi sarò laureata sposerò il mio Miky senza perdere tempo prezioso”, ci aveva confidato. “Adoro la Spagna!” Così tra mille peripezie la nostra eroina si era trovata al momento finale di percorso. Era durato un tempo indimenticabile, era stato pieno di emozioni, di novità, ma soprattutto di amici e d’amore. Silvia stava per raggiungere il suo traguardo e noi due eravamo orgogliose e piene d’ammirazione per come la nostra amica aveva costruito il suo percorso, per quello che era, per tutto ciò che avevamo condiviso, per ogni momento vicino e lontano, per ogni parola di conforto e di positività, per una amicizia unica ed autentica, per quegli abbracci di “arrivederci” e di “bentornata”, per ogni nostra preziosa pazzia, per essere cresciute e cambiate insieme, per ogni nota che ci ha accompagnato in quel magico momento della nostra vita.
L’ultima volta che abbiamo visto Silvia, la nostra meravigliosa Silvia, stava partendo alla volta di Madrid, per preparare la sua tesi e per sposare il suo Miky, con il volo Iberia Venezia-Madrid delle 15 e 32. Era il quindici di ottobre, una giornata opaca, velata dalla nebbia. Io e Luisella eravamo tristi per la sua partenza, ma sapere che si sarebbe laureata e poi sposata ci sollevava un po’, anche se l’anima restava gonfia come per un oscuro presagio. L’avevamo salutata nella sala d’aspetto, stretta forte fino a farla esclamare: “Ragà! Mi state soffocando …”, e poi l’avevamo salutata mentre saliva la scaletta dell’aereo. Era così felice che ci era sembrato di vedere il suo sguardo brillare fin da così lontano. Era felice, e noi per lei. Aveva sorriso, Silvia, mentre saliva la scaletta dell’aereo, aveva continuato a salutarci sbracciandosi senza sapere che quel saluto sarebbe stato per noi e per lei l’ultimo dei nostri saluti.
L’aereo della compagnia Iberia, decollato alle 15 e 32 dall’aeroporto Marco Polo di Venezia con destinazione Madrid, è precipitato poco dopo il decollo. Probabilmente per un guasto ai motori. Testimoni riportano di aver visto due scie di fumo e di aver udito poco dopo un forte boato. Rottami dell’aereo sono dispersi su una vasta zona di mare. Dalla dinamica dell’incidente e dalle notizie trasmesse dai primi soccorritori sembrerebbe che nessun passeggero si sia salvato. (Agenzia Ansa, ore 15 e 43)
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Alìda Casagande |