Cari amici, ho pensato di trasmettervi un’esperienza personale molto bella e della quale conservo ben nitido il ricordo; si tratta di uno spettacolo della natura che ho avuto la fortuna di ammirare da una “postazione” del tutto privilegiata.
Oggi sono un avvocato “civilista”, ma sono nato in mezzo agli aeroplani, e tra gli ardimenti di mio padre pilota militare ed i conseguenti palpiti di mia madre, ho iniziato a coltivare subito la passione per il volo, e dopo l’esperienza di quello a motore (fatta grazie all’Aeronautica Militare Italiana, quale allievo ufficiale pilota del Corso “Orione III”), sono approdato all’“ala silenziosa”: l’aliante. Qualche tempo fa, nelle primissime ore di un pomeriggio di ottobre, sono decollato dall’aeroporto di Rieti, “Umbilicus Italiae” e polo mondiale del Volo a Vela, a bordo di un aliante monoposto del Centro Nazionale di Volo a Vela per un consueto volo di allenamento. Tempo bello, 8/10 nodi di vento da nord ovest, decido di farmi trainare (dall’aereo a motore, che rimorchiando con una fune l’aliante lo eleva alla quota di poche centinaia di metri, sufficiente per poi proseguire da solo) verso Poggio Bustone. Sì, proprio il bel paese di montagna dove è nato Lucio Battisti, appoggiato ad uno dei costoni settentrionali del gruppo del Terminillo, e dove è arroccato uno dei quattro monasteri francescani della Valle Santa reatina, e dove udite, udite, il Poverello di Assisi “…qui commise peccato di ghiottoneria”. Chissà cosa avrà mai mangiato San Francesco per sentirsi in colpa. Visto il giaciglio di pietra su cui dormiva nell’altro monastero di Greccio, posto di fronte sui monti Sabini, che delimitano il lato occidentale dell’ampia valle di Rieti; penso che la “ghiottoneria” sia consistita in una doppia crosta di pane duro, o giù di lì. Ma rimaniamo in volo. Giunto proprio sulla verticale del monastero mi sgancio dal traino ed inizio a sfruttare una discreta “termica” (corrente ascensionale di aria calda, alla cui sommità, quando c’è sufficiente umidità, si formano le nubi cumuliformi). Salgo inanellando spirali rotonde, che alla velocità di salita di due/tre metri al secondo, in poco meno di cinque minuti, mi portano a circa 1.400 metri di quota rispetto alla valle sottostante. In quel momento, guardando ad ovest, proprio sopra l’oasi naturalistica dei Laghi Lungo e Ripasottile, vedo più in basso la sagoma di un grande rapace che guadagna quota in silenziosa ascesa. La tentazione è forte e decido di andare a vedere; ma devo sbrigarmi, perché i rapaci sono straordinariamente bravi a sfruttare il vento e so già, che tra una manciata di secondi sarà ad una quota superiore alla mia. Punto deciso verso di lui, e mentre mi avvicino in leggera “picchiata” mi accorgo che non è la solita, pur sempre bella, poiana. E’ troppo grande, ormai sono a meno di trecento metri, non c’è dubbio: è un’Aquila reale. Lei di sicuro mi ha già visto da ben prima che io la scorgessi, comunque “cabro” per ridurre la velocità (da 150 a 70/80 kmh), e portarla a quella minima – mia – di sostentamento, per non apparire aggressivo e non disturbarla (tra l’altro lei è una formidabile predatrice, “armata” di becco ed artigli ben più duri del plexiglass del mio cupolino). Al termine della cabrata livello alla sua stessa quota, Le sono affianco (la maiuscola è d’obbligo con un’autentica regina); viro – sempre con garbo – a sinistra e mi inserisco nella sua spirale di salita; ora siamo “speculari” nel cerchio che stiamo descrivendo, con l’estremità della mia ala sinistra puntata verso l’immaginario centro, che dal lato opposto al mio, è indicato anche dall’ala sinistra dell’Aquila.
Lei è assolutamente tranquilla, io invece sono emozionato, non mi pare possibile contemplare in volo e così da vicino quella creatura meravigliosa. La osservo meglio, la Sua livrea è bruna, punteggiata qua e là sul dorso da piume bianche; le ali, completamente spiegate, hanno un’apertura di quasi due metri e mezzo e sono ferme, non danno un solo battito; l’unico movimento che percepisco è quello delle “remiganti”, tese e divaricate come le dita di una mano, che accarezzano l’aria quasi suonassero l’immaginaria tastiera di uno strumento, ed in sincronia con le timoniere ne mantengono costante l’assetto ed ottimizzano la salita. E’ chiaro che anche lei mi sta studiando, se solo volesse sarebbe già più in alto di me, in posizione dominante ed ho la sensazione di non infastidirla. Dopo aver descritto insieme tre/quattro giri Lei punta diritto verso ovest, ed io sempre alla stessa quota La seguo agevolmente, perché in planata rettilinea l’aliante ha una maggiore efficienza, e quindi a 90 kmh mi è facile starle dietro. Decido allora di accostarmi lentamente alla sua ala sinistra. Lei non si scompone, ma si limita a rimanere davanti a me, un metro “positiva”, vale a dire appena un po’ più in alto. Ed è mantenendo questa formazione strettissima che procediamo insieme, affiancati, con la testa del rapace tre/quattro metri a destra della mia, davanti e poco al di sopra del bordo d’attacco dell’ala destra dell’aliante. L’irrequieta vivacità ed “il piglio” deciso dell’occhio scuro, il profilo adunco del potente becco, incastonato nella nobile testa bruna, che l’Aquila con morbide movenze volge ripetutamente verso di me mentre, nell’azzurro luminoso che scorre sullo sfondo, mantiene sicura la rotta, sono straordinari. Sono letteralmente stregato da quello che vedo, quando, all’improvviso, ripiegate le ali ed assunta la forma di un fuso, l’Aquila si tuffa in una picchiata vertiginosa. Mi è quasi sparita sotto la prua, penso che se ne sia andata, e invece no; con una “richiamata” strettissima, impossibile al più evoluto aereo da caccia, risale quasi in verticale e mi sfreccia davanti, velocissima, a poche decine di metri dal “naso” dell’aliante; sale di una cinquantina di metri e sempre senza aprire nemmeno per un attimo le ali, si rituffa nel vuoto e risale nuovamente. Sembra un delfino che giochi sull’onda di prua di una nave. Questa scena si ripete quattro volte e poi scompare … in un battito d’ali. Probabilmente è tornata velocemente verso la montagna alle mie spalle, confondendosi con lo scuro terreno sottostante. Quando atterro ancora non credo di essere riuscito a vedere quello che ho visto; racconto l’accaduto, ma nessuno sa darmi spiegazioni. Me le dà la L.I.P.U. (Lega Italiana Protezione Uccelli): sono stato oggetto di una parata nuziale, che una giovane Aquila reale, producendosi probabilmente per gioco nel caratteristico “volo a festone”, ha ritenuto di donarmi trattandomi, se non da suo pari (la sua “superiorità aerea” è indiscussa), almeno da amico e compagno di giochi… voglio solo sperare, dato l’intrinseco significato delle evoluzioni, che fosse un esemplare femmina, e non un maschio, ingannato dalla virginea, candida, livrea “matrimoniale” dell’aliante.
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Diego Palazzoli |