titolo: Le ali sotto la giacca – Diario di vita e di volo di un pilota di Aeroclub
autore: Franco Angelotti
editore: Cartabianca Publishing
pagine: 232
anno di pubblicazione: 2024 (tascabile ed e-book)
ISBN: 13 978-888885559
Scrivere è un viaggio, e dai viaggi si torna quasi sempre cambiati.
È l’autore il primo a uscire cambiato dalla sua storia, soprattutto se la sua storia è la sua autobiografia, cioè il luogo in cui ci si espone senza filtri e ci si mette la faccia mentre si racconta al mondo la propria vita.
Non sappiamo se e come è uscito cambiato dalla sua autobiografia Franco Angelotti, ma sappiamo, perché l’abbiamo letta con vero piacere e partecipazione, che la sua storia è qualcosa che va oltre la sua persona e racconta a noi lettori come esperienze assolutamente singolari e private si possano trasformare in regole generali, paradigmi ai quali ciascuno può fare riferimento per la propria vita, insomma la sua storia è qualcosa che riesce a centrare l’obiettivo più difficile: universalizzare ciò che si racconta rendendolo fruibile a tutti.
Una delle bestie nere che un allievo pilota incontra a bordo di un aeroplano, sin dalle prime missioni di addestramento, è costituito da questo strumento: il famoso virosbandometro. Tecnicamente è composto dall’indicatore di virata (volgarmente chiamata “paletta”, la lancettta bianca in alto) e dallo sbandometro (più semplicemente “pallina”, la bolla da muratore con la pallina nera in basso) da cui il termine abbreviato “palin-paletta”. Apparentemente si tratta di uno strumento innocuo … in realtà è l’incubo di qualunque allievo pilota giacchè la difficoltà maggiore che incontrerà lo sventurato sarà proprio quello di riuscire a mantenere la cosiddetta “pallina al centro”. Quando si è in volo è relativamente facile procedere diritti, tutta un’altra storia è eseguire “virate corrette”, ossia effettuare una traiettoria curva (la virata, appunto) con l’ala inclinata senza cadere all’interno o uscire all’esterno da quella traiettoria ideale. E aggiungiamo pure: a quota costante! Raccontata così sembra quasi una banalità ma salite a bordo di un aeroplano e vedrete che sudata! E soprattutto le urla dell’istruttore che vi trapanerà le cervella fino alla fine dei vostri giornoi con: “pallina al centro”, “pallina al centro”, “pallina al centro” (foto proveniente da www.flickr.com)
Chi non ha amato e poi si è perso, chi non si è trovato a dipendere dalle scelte altrui. Amore e perdita, libertà e oppressione, potere e corruzione, verità e menzogna, in altre parole aggiungere alla cronologia personale un valore universale che incrocia la nostra vita, associare la propria storia a valori con cui la gente si confronta nel quotidiano, ecco cosa ha costruito Angelotti capitolo dopo capitolo.
Una piccola variante migliorata del virosbandometro è il coordinatore di virata ma tranquilli: rimane sempre lo strumento infernale di cui sopra. Oltre alla presenza più discreta della “paletta”, visibile solo nella parte alta dello strumento, potrete infatti notare il simulacro di un aeroplano visto di fronte che visualizza meglio l’assetto trasversale del velivolo.Insomma cambia la veste ma le difficoltà di mantenere l’aeroplano con la pallina al centro in virata non cambiano affatto. Anche l’autore, in tutta la sua onestà, dedica una buona frazione del capitolo “La pratica: mettere in linea quell’aereo” a questo ostacolo quasi insormontabile del suo percorso addestrativo. Inoltre, pungolato da Rossana Cilli, anche nella notevolissima intervista rilasciata ad Ameriaradio, ha dedicato una lunga riflessione circa il senso del “vivere con la pallina al centro”. Perchè se a bordo di un aeroplano è necessario saper coordinare perfettamente i comandi di volo per volare diritti, ebbene allo stesso modo nella vita quotidiana occorre saper dosare le proprie risorse e capacità … e tutto per andare diritti o, se preferite, per non uscire di traiettoria. Un simbolismo che merita da solo la lettura del libro di Franco Angelotti! (foto proveniente da www.flickr.com)
Noi, che pure scriviamo e pubblichiamo, non abbiamo mai percorso gli insidiosi sentieri dell’autobiografia, perché sappiamo bene che rielaborare la propria storia permetterebbe di leggerla diversamente e magari di scoprire altre verità, su di noi, su gli altri. Senza dimenticare un’altra paura bloccante, quella del giudizio. Chi di noi non ha mai pensato: e se questo passaggio lo leggesse mia madre, mio padre, il mio capo, mio fratello? Come qualcuno ha detto, la scrittura è farsi mettere le mani addosso. Si è nudi, a carne viva, quando si scrive. E questo fa paura. Ma Franco non ha avuto paura.
Anzi, ce ne parla disinvoltamente e apertamente della paura. Della sana paura.
Magari a 17 anni, l’età in cui lui si avvicina al mondo del volo, la paura ancora non appartiene al bagaglio di un ragazzo che piuttosto se la gode a fare cabrate e picchiate sull’hangar del suo aeroclub, e persino qualche puntata sul giardino di casa propria, ma… Ma sa già che non si vola sulla testa della gente, che affrontare le cose, tutte, non solo quelle del volo, con studio, attenzione e un rigoroso briefing di ogni dettaglio, è l’indispensabile disciplina che porta a condurre bene indifferentemente un aeroplano e una vita degna, e darà le chiavi per aprire tante porte, anche quelle del cielo, come si dice in gergo quando si consegna a una persona la licenza di volare da sola per la prima volta. E allora la paura arriva davvero, ma a suggerire una cosa straordinariamente vera perché – lo diciamo con le parole dell’autore:
“Quello che traggo è una maggiore consapevolezza di quanto si possa andare vicini al pericolo e quanto in quelle condizioni diventa determinante decidere, magari per eccesso di prudenza piuttosto che solo sulla base dell’esperienza, superando quel timore di apparire deboli, in primo luogo con sé stessi”.
E vi pare poco?
La scrittura è sottrazione. Non si può raccontare tutta una vita, bisogna selezionare gli episodi più significativi, quelli che ci hanno ‘segnato’ di più, trovando un equilibrio tra intimità e riservatezza. Angelotti sceglie qui di raccontare la parte di vita che riguarda il suo tempo libero. Non racconta quasi nulla della sua vita lavorativa o della sua famiglia, se non laddove strettamente necessario per contestualizzare il suo racconto, ci porta infatti solo, si fa per dire, in un percorso all’interno di quella che è stata la sua passione sin da bambino: il volo sportivo, amatoriale, che, diciamolo, solo per un dettaglio non è diventata la ragione anche professionale della sua vita quando la allora compagnia di bandiera Alitalia lo considerò candidabile per il suo staff di piloti.
Nelle Valli di Comacchio, nella Salina di Cervia e nell’area del delta del Po, dunque non lontano da Fano, aeroporto presso il quale al buon Franco Angelotti spuntarono le ali, è insediata la colonia più numerosa d’Italia di fenicotteri rosa. Questo scatto al tramonto, a nostro modo di vedere, costituisce metaforicamente il saluto che l’autore offre ai suoi lettori: al tramonto della sua carriera di pilota sportivo ma rimanendo comunque un gran volatile, nella mente e nell’animo. Grazie, Franco, ringraziamo commossi per il regalo che ci hai concesso. In realtà lo scatto ritrae delle gru canadesi che, all’imbrunire si raccolgono casualmente in grandi assembramenti tali per cui si fanno sicurezza gli uni con gli altri … che poi è esattamente quanto praticano i piloti negli aeroporti, non vi pare? E ora vorrei sapere se c’è ancora qualcuno che si ostina a sostenere che i piloti non siano uccelli mancati!? (foto proveniente da www.flickr.com)
Ma quando si fa una scelta di questo genere, cioè quando si sceglie cosa raccontare, quale parte, quali dettagli, ecco è in quel momento che le cose si fanno davvero difficili. Perché, come si fa a scegliere fra i ricordi?
Sono molte le cose a cui attingere, un oggetto, una vecchia fotografia in cui molte persone non le riconosciamo più, come spesso succede per esempio nei vecchi ritratti di gruppo di matrimonio; ma è proprio davanti a queste cose che si mettono in moto all’improvviso le sinapsi, si mette in moto un meccanismo interiore che va a pescare nelle suggestioni che tutto ciò suscita, e lì si trova il materiale che ci sembra più adatto.
Noi crediamo che Angelotti abbia corredato il suo libro di bellissime fotografie proprio perché quelle immagini gli hanno rievocato le cose che poi racconta, suscitato, dato stimoli per la scrittura, anche se lui stesso in verità dichiara di avere avuto da sempre in mente l’idea di scrivere un libro così, a prescindere.
Comunque sia, l’autobiografia è quasi un atto dovuto per sé stessi e anche quando parliamo di altri parliamo di noi, i serbatoi dell’autobiografia dopotutto sono la nostra vita e la vita degli altri, e anche la distanza che c’è tra i noi di ieri e i noi di oggi.
Qui però sembra che il percorso dell’autore accorci sensibilmente quella distanza, come se fosse sempre stato così tanto consapevole della propria passione per il volo da saperne trarre tutte le gioie, le fatiche, i patemi, le speranze e le sfide allo stesso modo ieri come oggi, e questo tanto più è ammirevole perché ci mette davanti un autore solido, strutturato, sicuro, sicché alla fine questa sua autobiografia, proprio in virtù dell’accorciamento delle distanze temporali, si fa anche qualcosa d’altro, si fa – sappiamo che lui non approverebbe ma ci perdonerà – manuale.
Un pilota e il suo aeroplano. Si può sintetizzare così il contenuto dell’ottimo volume di Franco Angelotti che, raccontando di sè e delle sue vicende legate al mondo del volo, lancia ai suoi lettori dei messaggi dal contenuto universale giacchè ogni esperienza narrata, piacevole o spiacevole che sia, avventurosa o anche no, ha un profondo significato ed è un’occasione di riflessione (se non d’insegnamento) nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Ed è proprio questo il pregio e il valore aggiunto di “Le ali sotto la giacca” perchè è molto di più di un semplice testo autobiografico, per quanto piacevole e, in taluni passi, addiruttura avvincente ma pur sempre di nicchia.(foto proveniente da Flickr.com)
Sì certo ha ragione lui quando dice che il suo libro non è e non voleva essere tale, e infatti probabilmente non si impara a volare leggendolo, ma, come gli stessi piloti che l’hanno letto hanno detto, è talmente pieno di materiale e spunti che se ne potrebbe trarre una buona base per farne davvero uno, di manuale.
Questo lo diciamo soprattutto per un aspetto: qui il futuro pilota (ma anche il pilota compiuto) trova tanti richiami al comportamento, agli atteggiamenti che deve tenere per esempio l’allievo nei confronti del maestro, o istruttore che dir si voglia: di rispetto, ascolto, ma anche interazione, sinergia, collaborazione, e trova anche sottinteso quanto il fattore umano conti oltre la tecnica. E anche questo non ci sembra poco. Tanto più in tempi in cui l’intelligenza artificiale (che, ricordiamolo, si avvale però di ciò che gli insegna l’uomo) sembra insidiare l’intelligenza naturale, nonché artigianale, che tanto sa risolvere nella pratica a fronte degli inceppamenti e défaillance dell’imprevedibile e sofisticata sapienza robotica. La missione spaziale Apollo 13 docet.
Una bella immagine di un Macchi MB 308 in volo, l’aeroplano cui l’autore è inevitabilmente più legato. Se ne conservano alcuni esemplari nei musei italiani e alcuni sono addirittura volanti per merito dei soci dell’HAG (Historical Aircraft Group) che li hanno sapientemente restaurati e così facendo mantengono viva la memoria storica di una macchina volante gloriosa per i piloti italiani e per l’industria aeronautica nazionale. (foto proveniente da www.flickr.com)
Detto questo, proviamo ora a ripercorre le pagine appena lette e offrire quindi una carrellata che, ben attenta a non raccontare troppo dei contenuti – che sarà piuttosto un piacere scoprire da sé leggendo – possa dare un’idea di quella ricchezza di cui si diceva poc’anzi.
Immaginate allora un nonno affettuoso e un nipotino che lo guarda ammirato. Chi di noi non si riconoscerebbe in questa immagine riandando al proprio passato? Chiunque. Ma quanti di noi possono vantare un nonno aviatore?
Ecco, questo era il nonno dell’autore, nonno Nazareno, una figura che sarà più che un riferimento per il piccolo Franco. È in quel rapporto che, scopriamo subito, affondano le radici della sua passione. Ma ovviamente è presto per concretizzarla in aeroporto.
E allora un bambino che fa? Gioca.
Con i modellini.
E quanto impara con l’aeromodellismo! Anche in termini di manualità.
Cosa che in futuro tornerà utile, eccome.
Ma un giorno, quando ancora non può guidare una macchina, questo bambino divenuto intanto diciassettenne comincia a concretizzare il suo sogno.
È il 1975, i coetanei di Franco probabilmente nel tempo libero guardano Goldrake appena sbarcato in televisione, o si cimentano con il primo videogioco di sempre, pong, ascoltano i Queen che in quell’anno escono con il loro quarto album, o vanno a provare il brivido del “volo” all’appena inaugurato parco giochi di Gardaland, su iperboliche montagne russe e perigliosi antesignani del futuro Tornado blu. Franco pure sperimenta il brivido del volo, ma lui lo fa all’aeroporto di Fano, dove impara a mettere in linea l’aeroplano, vero, e se la deve vedere con uno strumentino chiamato virosbandometro e la sua “maledetta pallina che deve stare sempre al centro”.
La semplicissima eppure evocativa IV di copertina de: “Le ali sotto la giacca” mostra il classico “Libretto di volo” di Civilavia (da diversi anni incorporata nell’ENAC) di qualunque pilota italiano e una penna di uccello sintetizzando così in modo mirabile il contenuto del libro. Il primo era (ed è tutt’ora nella versione moderna europea dell’EASA con la denominazione anglofona di “log-book”) il documento fondamentale che accompagna la vita volativa di qualsiasi pilota dell’Aviazione generale italiana. Esso elenca minuziosamente la sua attività di volo svolta con l’indicazione del quando, dove, con cosa e quanto si è volato (una sorta di diario di bordo del pilota); la seconda proviene probabilmente dalle ali dell’autore. Che si sia spennato? Dopo aver deciso di attaccare le ali al chiodo? Non lo sapremo mai! Viceversa sappiamo per certo che il libretto di volo presente nello scatto è proprio quello dell’autore di cinquanta anni orsono con copertina in pelle: un vero cimelio! Inoltre – fateci caso – è aperto in una pagina relativa a una data e a un volo che ha marchiato in modo indelebile (come fosse un marchio a fuoco) la vita del pilota e dell’uomo Franco Angelotti: il primo volo solista. Non è a caso è sottolineato e scritto con la penna rossa. Toglici una curiosità, caro Franco: dopo tutti questi anni … è vero che ancora senti l’odore di carne bruciata? Come di chi ? … la tua!
Gli addetti ai lavori sanno ovviamente di cosa parliamo, per gli altri diremo che è uno strumento semplice, che, grazie al movimento di una pallina nera, indica al pilota se sta volando correttamente. Franco però nel suo libro, nel mentre racconta questo, riesce anche a farne una metafora della vita, una livella che ci dice se stiamo facendo della nostra vita una costruzione diritta o piuttosto mal deviata. Perché
“l’approccio mentale che si acquisisce con il pilotaggio per me è diventato utile non solo per affrontare altre situazioni, ma anche una parte rilevante del mio essere. La consapevolezza che il risultato che vogliamo raggiungere deriva da più azioni contemporanee e coordinate porta a ragionare in maniera più complessa”.
In aeroporto Franco incontra ovviamente diversi istruttori e compagni, persone fondamentali per la sua vita e la sua crescita, ma incontra anche una persona speciale, che porta il nome di una città, Lodi.
Non ci è dato sapere se la “ragazzina” con la quale l’autore visse la folgorante esperienza del primo volo a bordo di un velivolo fosse proprio quella stangona ritratta in questo scatto … ma ci piace pensarlo! In realtà, dalla viva voce di Franco Angelotti (nel corso dell’intervista ad Ameriaradio), siamo venuti a sapere che la ragazzina di cui sopra è stata la genitrice di un eccellente pilota da poco inserito nell’organico delle Frecce Tricolori. Buon volo non mente! In realtà vi dobbiamo una piccola confessione: quella ritratta è l’ autrice della recensione che, dovendo andare in aeroporto per incontrare Franco Angelotti, ha indossato il primo vestitino che aveva nell’ armadio e … poi cosa volete? Quel falco di Franco l’ ha subito immortalata. Cosa non si farebbe per avere una buona recensione di Rossana!? (foto proveniente da www.flickr.com)
Lodi è un tuttofare; custode, manutentore, meccanico, accudisce gli aeroplani come fossero figli suoi, quasi li nutre quando li rifornisce di benzina, ed è quello che, non senza rischi, fa letteralmente volare i piloti, perché è lui che mette in moto il motore azionandone a mano le pale mentre lui e il pilota comunicano gridando a voce viva attraverso lo sportello aperto dell’aeroplano!
Colpisce molto questo punto, perché in fondo non sono passati secoli, eppure questo gesto ci precipita nel romanticismo del pionierismo aeronautico d’inizio Novecento. Quello degli occhialoni, la cuffia di cuoio, i guanti col bottone e la sciarpa bianca svolazzante. Un aspetto del volo che oggi sembra perduto, tanto l’aeroplano anche piccolo si è tecnologicamente evoluto rispetto a quelli che ha usato via via Franco nella sua vita di pilota, e tuttavia, ne siamo sicuri, il giovane che dovesse oggi ripercorrere i suoi passi riuscirebbe ancora a riavvertire sulla sua pelle quell’aura romantica che da sempre circonda l’azione meno consona all’essere umano che si possa immaginare qual è librarsi nell’elemento creato invece per gli uccelli. L’aria.
Ma, non dimentichiamolo, anche per la nostra respirazione, e quindi vita.
Sarà per questo che i piloti si sentono vivi solo lassù? Non sappiamo, ma certo alcune righe di questo libro lo fanno sospettare, sentite questo:
https://www.ameriaradio.com/diretta-autori-autori-franco-angelotti-le-ali-sotto-la-giacca/ è questo il link che vi porterà direttamente al podcast della trasmissione radiofonica dedicata a “Le ali sotto la giacca” e al suo autore. Padrona di casa, pardon, di microfono la gradevolissima Rossana Cilli che con grande garbo ma sana curiosità ha posto una sequela di domande cui Franco non si è sottratto … tranne per alcune particolarmente scabrose per la cui soluzione rimandiamo alla lettura del volume
“Non riesco a spiegare a parole cosa capitò in quel momento, il maestro che si allontanava, il vuoto sul sedile dell’aereo, io da solo che mi dicevo: adesso sei in mano tua Franco, vediamo come te la cavi… Stop ai pensieri, concentrazione sui comandi e gli strumenti… Il salire di giri dell’elica scandiva la via di non ritorno, ormai ero partito, guardai avanti e appena ebbi velocità mi alzai da terra…il piccolo aereo gioì e si levò veloce in cielo. Staccai le ruote e vissi quel bellissimo momento di transizione tra l’essere terrestre e l’uccello che si prova tutte le volte che si decolla, ma quel giorno fu una sensazione ancora più forte: adesso sì che non posso più tornare indietro…”.
A parte la bellissima sineddoche grazie alla quale è l’aereo e non il pilota a gioire di quel momento, si avverte già qui il senso di sfida e di gara. Le gare vere arriveranno davvero e con esse anche qualche meritata soddisfazione. Ma anche qui il nostro autore va oltre e ci spiega che volare da solo è più di questo.
“Ritengo di aver appreso molto da queste procedure [il briefing], di aver fatto un po’ mio questo metodo che mi ha aiutato moltissimo non solo alla guida di altri mezzi, ma anche nell’affrontare attività di studio o di lavoro oppure di relazione con gli altri. Si acquisisce quella razionalità necessaria per affrontare al meglio le situazioni, con conseguente maggiore sicurezza di sé stessi”.
Ecco, la sicurezza in sé stesso acquisita attraverso la pratica e la ripetizione di azioni fondamentali perché il volo avvenga in sicurezza, e che inevitabilmente ha maturato Franco come pilota e come uomo e lo ha reso affidabile anche agli occhi degli altri, sicuramente deve essere stato l’elemento che ha indotto appunto gli altri a fidarsi di lui, al punto da vincere limiti naturali, paure ataviche, o al contrario fondate su elementi inconfutabilmente oggettivi, e a decidere di salire a bordo con lui.
Scrive l’autore in una delle ultime righe del suo volume: “L’età giusta per il volo è quella in cui ci si sente di volerlo fare […] perché volare arricchisce sempre, in qualsiasi momento della vita, e ci migliora”. Come non sottoscrivere con doppia firma queste parole? Perché la disciplina, la capacità di analisi e di autocontrollo, la valutazione del rischio e la necessità di considerare scenari futuri che induce l’attività di volo è difficilmente richiesta in altre attività sportive. Lo scatto al tramonto che abbiamo scelto a beneficio dei nostri visitatori ritrae dei vecchi velivoli al parcheggio di un aeroporto qualsiasi e volge con una certa nostalgia uno sguardo al passato, lo stesso che Franco Angelotti ha rivolto alla sua esperienza di volo cominciata giovanissimo e terminata attorno ai sessant’anni di età, proprio l’età in cui suo nonno Nazzareno aveva conseguito il brevetto di volo. Una sorta di passaggio del testimone al contrario. Perché se esiste l’età giusta per cominciare a volare ce n’è anche una per decidere di smettere.(foto proveniente da www.flickr.com)
Tenerissimo il passaggio in cui Franco rievoca il momento in cui portò in volo suo padre, sofferente di vertigini, e la mamma indelebilmente segnata dalla morte di suo padre, ovvero quel nonno Nazareno di cui si diceva, caduto col suo aeroplano a pochi metri dal giardino di casa sua e quindi praticamente sotto gli occhi di lei e del nipote. Donna invero coraggiosa nel non tarpare le ali al figlio, già precocemente avviato sulla strada del nonno, dopo e nonostante cotanta tragedia.
C’è forse tra le righe del libro qualche sottile rimpianto nel non aver portato in volo più amici e più spesso, ma credo che questi due “successi” valgano di più di tutto.
Ma ora corre l’obbligo di spendere qualche parola in più sulla tragedia familiare cui si è fatto cenno. La morte in volo di nonno Nazareno. Solo perché la benzina era finita!
Si fa cenno anche ad altre tragedie nel libro, perché volare, benché sia il modo di spostarsi con mezzi meccanici più sicuro di tutti, non è esente dai luttuosi incidenti, ma questa tragedia la vogliamo ricordare perché la più vicina a Franco, il quale perdendo il nonno così, si troverà davanti due sole possibili vie: seguire le sue orme e quindi volare a sua volta, oppure no. Sappiamo quale ha scelto. Del resto,
“Le vibrazioni del motore e l’estasi di vedere il nonno che si esibiva nel cielo fecero nascere in me il profondo desiderio di imitarlo, di voler fare come lui, da grande”.
Chissà se in questa decisione non abbia giocato un ruolo anche una cosa speciale che faceva suo nonno volando.
“Allora passava con l’aereo sopra casa nostra, volava basso sulla spiaggia e spesso lanciava un sacchetto di caramelle da lassù, che però noi non siamo mai riusciti a prendere, perché i ragazzi più grandi arrivavano sempre prima di noi”.
Bè, siamo su Voci di Hangar, ovvero una costola, se così si può dire, di Racconti tra le Nuvole… non vi ricorda niente questo?
Ma certo, il bellissimo racconto di Massimo Conti Scende uva passa dal cielo, dove lui raccontava di un pilota della Seconda Guerra Mondiale che gettava dal suo aereo, ancorché purtroppo bombe, anche piccoli fazzoletti-paracadute pieni di dolci e uva passa per i bambini di Berlino sofferenti per la guerra e la fame.
Massimo con quel racconto vinse il premio speciale nel 2022, poi, con un suggestivo “passaggio di testimone”, l’anno dopo lo stesso premio lo vinse Franco!
Ma, a parte questo, ecco che attraverso l’episodio delle caramelle del nonno ancora una volta Franco va oltre sé stesso e consente al lettore rievocazioni e rimandi più generali, come è capitato a me. E le suggestioni e i passaggi di testimone non finiscono qui.
Un rarissimo fermo immagine di Franco Angelotti a bordo del suo primo velivolo scuola immortalato in modo estemporaneo con un dagherrotipo, congegno fotografico antesignano delle moderne fotocamere digitali. Correva l’anno ’77 dopo Cristo. Mille e novecento, beninteso. A parte gli scherzi, l’autore conseguì l’allora brevetto di I grado davvero giovanissimo (oggi licenza di volo privato PPL- private pilot licence) e, come scrive, conseguì la facoltà di volare con un aeroplano prim’ancora di poter guidare un’automobile. Di sicuro la sua vocazione fu innescata dalla giocosa presenza del nonno Nazzareno nella sua vita infantile e, purtroppo, anche dalla sua prematura dipartita a causa di un terribile incidente aeronautico. Di certo quell’evento luttuoso pose all’autore due scelte completamente opposte: osteggiare in modo feroce il volo (come inizialmente fece la mamma di Franco, figlia del nonno Nazzareno) oppure entrare in quel mondo magico che già il nonno aveva praticato con grande soddisfazione. Sappiamo quale fu la scelta di Franco e questo libro lo testimonia ampiamente. (foto proveniente da www.flickr. Per onestà storica siamo tenuti a riportare la vera origine dello scatto che riporta la seguente dicitura: “Robinson, marzo 1911”
Nella pur blindatissima vita privata di Franco, riusciamo a sapere infatti di una certa ragazzina di 11 anni che forse fece battere il cuore al giovanissimo Franco.
Vi state chiedendo cosa c’entra adesso questo?
Ebbene, quella ragazzina, apprendiamo con una certa meraviglia, è oggi la mamma di uno degli ultimi “acquisti” di quelle gloriose italiche Frecce Tricolori che tanto hanno affascinato e ancora affascinano Franco e certo non solo lui. E che lui però ha da poco conosciuto di persona!
Che dirvi di più? Ci sarebbe tanto ancora da dire, ma a questo punto non vi è venuta voglia di andare a leggere tutto intero questo bellissimo libro? Sì?
Ma certo, come potrebbe essere altrimenti. Allora tutti a bordo, magari di un Macchino, e, come faceva Franco, decolliamo attraverso le sue pagine in un fine settimana di buon tempo per:
“Scoprire la costa, addentrarsi sulle vicine montagne. Il Monte Nerone o il Catria erano le destinazioni classiche. In estate si godevano panorami bellissimi, in inverno la curiosità di andare a vedere la linea dove iniziava la neve. In giro sulle campagne cercavo di riconoscere i paesi: Mondavio al quale facevo spesso una virata bassa intorno al castello; Orciano, che si riconosceva per i due campanili che svettavano sopra il costone lungo il quale si estende il paese; Urbino con la meravigliosa vista del palazzo Ducale dall’alto…”.
Però magari stavolta il carcere schivatelo, sorvolarlo può essere pericoloso. Fidatevi.
Se è vero che il primo amore non si scorda mai, men che meno un pilota può scordare l’aeroplano con il quale ha solcato il cielo per la prima volta nel ruolo di pilota al comando. A questo sacro dogma non viene meno neanche il nostro Franco Angelotti che dedica al Macchino (il mitico Macchi MB 308) addirittura un capitolo del suo volume autobiografico, non fosse altro perchè suo nonno, già prima di lui, mise le ali proprio su quel modello di aeroplano … e quale sarebbe potuto essere il destino di Franco se non ripercorrere le orme del nonno? Le marche (la targa per intenderci) di questo esemplare di Macchino che faceva bella mostra di sè in occasione di un salone dell’aria tenutosi a Forlì tanti orsono non sono tra quelle elencate nel capitoletto “Le date e gli aerei della mia storia di volo” presente in coda al volume ma siamo certi che oggi sarebbero un ottimo veicolo pubblicitario per qualsiasi azienda casearia, Centrale del Latte o allevamento bovino … chissà che fine avrà mai fatto questo aeroplano? Che sia diventato una mozzarella? Una caciottella?(foto proveniente da www.flickr.com)
Starei qui ancora tanto, ma ora vi lascio alla lettura.
Anzi no, solo ancora un paio di cose, prima.
Qualche meritata parola sulla casa editrice del libro di Angelotti, un nome noto in questo sito, si tratta infatti di Cartabianca, piccola nobile casa editrice specializzata in testi che trattano di aeronautica e astronautica, alcuni dei quali recensiti su Voci di Hangar, come per esempio la bellissima autobiografia dell’astronauta Michael Collins (oggetto del prezioso contributo di Evandro Detti). Ma con Franco, per la prima volta, questa casa editrice si è cimentata con un libro tecnico e biografico assieme, insomma una novità anche per lei che probabilmente aprirà una nuova collana sulla sua scia.
Volume piacevole da tenere in mano, carta avorio, carattere corpo 12, non grandissimo ma leggibile, copertina flessibile e immagine davvero potente ed evocativa.
Qualche meritata parola anche sulla qualità di scrittura di Franco Angelotti (siamo pur sempre su un sito di narrativa, non dimentichiamolo).
In narrativa, come certamente sapete, esiste una regola che non si può infrangere mai: il viaggio dell’eroe. Tutte le storie sono storie di cambiamento, in meglio o in peggio. Il nostro protagonista deve sempre compiere un viaggio per ottenere ciò che desidera davvero, o per liberarsene. Deve resistere a una chiamata, farsi degli alleati con cui stringere patti e sconfiggere i nemici, magari quelli che sono solo nella sua mente, come la paura o il timore di non riuscire. Solo così sarà diverso, alla fine di una storia.
Da questa struttura narrativa non si sfugge.
E non sfugge neanche Franco che ovviamente è l’eroe del suo libro, l’eroe che appunto compie il suo viaggio e raggiunge ciò che desidera, dimostrando a noi tutti che “si può fare”. Lo fa peraltro padroneggiando la penna allo stesso tempo con rigore e libertà.Ci viene in mente che in “On writing”, il suo manuale di scrittura, Stephen King dice che ci sono due tipi di autori: i pianificatori e gli improvvisatori.
Lui è un improvvisatore, non ha un piano generale. C’è invece chi non inizia proprio a scrivere se non conosce persino il colore dei calzini del suo protagonista. Sono punti di partenza diversi e nessuno dei due è giusto o sbagliato.
L’unica cosa certa, è che una scaletta ci può aiutare nell’immaginare una storia, vera o di fantasia che sia. Franco ha avuto una scaletta d’eccezione, la sua stessa vita… meglio di così! Del resto non per niente vince premi letterari. Ah, l’ho già detto?
E va bene, repetita iuvant.
Infine l’ultima cosa: se volete sentire l’autore stesso parlare del suo libro, ho avuto l’onore e il piacere di intervistarlo per conto di Ameriaradio (la radio che non c’era) giusto qualche giorno fa nel corso di una scoppiettante intervista dedicata proprio a “Le ali sotto la giacca”. La trasmissione radiofonica “Autori&Autori” che ho l’onere e il privilegio di condurre, tra domande impertinenti, considerazioni esistenziali e curiosità aeronautiche ad ampio raggio, ci ha permesso di conoscere meglio il libro e il suo autore. Che poi sono lo stesso viaggio, non vi pare? Ed è stato un breve quanto piacevolissimo viaggio …
L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.
Aforismi
Il tempo vola e noi no. Strano sarebbe se noi volassimo e il tempo no, il cielo sarebbe pieno di uomini con l\'orologio fermo
(Alessandro Bergonzoni)
www.frasi.net
Q.T.B.
PILOTA: No landing gear doors. MECCANICO: A seguito di atterraggio senza carrello riportati i seguenti danni: abrasione del ventre fusoliera, distacco dello sportello sinistro e abrasione del destro nel tratto anteriore. Eseguita verifica della struttura ventre fusoliera con esito favorevole. Pulito gancio da traino e vano carrello da sporcizia. Rimosso lo sportello destro e gli spezzoni di cerniera del sinistro. Aliante aeronavigabile anche senza sportelli. Prova funzionale del carrello: favorevole.
(Suggerita da Big Mark)
Check-In
PASSEGGERO mostrando il foglio di convocazione: Mi scusi, non trovo il mio volo!!! KG 15 HOSTESS: No signore, quella é la franchigia: 15 chili!!