Parlami di te dicevi … ed io ti parlavo dei miei risvegli sempre uguali, delle mie abitudini suddivise in ore. La tazza fumante del caffè al mattino gustato a poco a poco, mentre socchiudendo gli occhi catturavo tra le ciglia i colori dell’arcobaleno attraverso la scia del primo sole che penetrava i vetri come spada infuocata. Del malumore mentre il giorno andava, della stanchezza quasi disumana quando sforzavo il mio corpo a compiere lavori che mi affaticavano, lavori capaci di piegarmi, per punirmi quasi e non pensare a nulla.
Non ho mai capito se il tuo passaggio nella mia vita, è stato come quel sole di primo mattino o neve d’inverno che scioglievo di tanto in tanto fra le mie labbra nelle stagioni avvenire. Ho imparato a non perdere nemmeno un istante dei giorni sbiaditi, della routine, il solo pensiero che esistevi da qualche parte in questa nostra penisola mi dava la forza e la voglia di combattere, sebbene, mai ti ho potuto guardare negli occhi davvero.
Ti ho conosciuto lungo la via di parole sovrapposte che hanno riempito intere pagine di un indirizzo e-mail. Mi hai insegnato ad amare il prossimo più di quanto io già l’amassi, per le tue missioni di pace nel continente più povero di questo nostro globo terrestre, parlandomi di bimbi smunti e occhi sgranati per un tozzo di pane mancato e, di quella fame d’acqua mai conosciuta sulla mia pelle. Quante volte ho pensato di lasciare l’inutile involucro dove mi sono racchiusa e seguirti. Seguire i tuoi voli pindarici, le alte quote, quando con il tuo velivolo varcavi il confine che ti avrebbe portato lontano dalle nostre comunicazioni. Quante volte avrei abbandonato questa mia scialba vita per un solo giorno valoroso come il tuo, servito a qualcosa e a qualcuno.
Raccontami di te dicevi sempre … ed io ti inventavo aneddoti già trascritti perché non avevo niente da raccontare, se non dei miei momenti grigi, dei miei cammini dentro cunicoli bui come fossi una talpa cieca con gli occhi imbottiti di terra. Non vedevo nulla davanti e do ancora adesso per scontato che niente di positivo accadrà a questa mia vita, niente capace di scuotermi la terra di dosso. Fermando le tue parole, hai fermato il ritmo biologico del mio essere, mi stringo nelle mie stesse braccia per non sentirmi sola e, cerco nel mio cuore uno spiraglio d’amore per le cose del mondo. Se adesso tu sapessi di questa lettera, saresti adirato per il mio pessimismo, mi colpevolerizzeresti facendo divenire peccato queste parole, dibatteresti dicendomi che non conosco le ragioni vere di quanto un uomo possa scendere in basso prima di rialzarsi, mi colpevolerizzeresti per averti detto mille volte scrivimi ancora pur sapendo che il tuo tempo non può fermarsi davanti ad un uomo soltanto. “Egoista” diresti, ed io ti darei ragione nel giudicarmi così. Parlami di te dicevi sempre… ed ora non so che dirti, se non scriverti questa lettera pur sapendo che sei lontano dalla tua isola assopita in mezzo al mare. Ed io, oggi qui, persa nei miei pensieri ho raggiunto la nostra luna, la luna che ci ha permesso di vivere i nostri sogni.
Abbiamo camminato sul suo suolo polveroso e argenteo leggeri e sospesi come nuvole. Eravamo luce, eravamo aria, mentre il mondo girava ancora mostrando i suoi lati spigolosi e facce strategiche nonostante sia rotondo. Sono qui su questa luna, dove il sole non arriva come spada infuocata attraverso i vetri. Sdraiata, con gli occhi verso l’alto, tendo l’orecchio a questo silenzio che mi opprime e, aspetto …
Aspetto il tuo velivolo che faccia ritorno verso casa.
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Maria Morabito |