Quel pomeriggio del luglio 1964 mi sembrava di vedere l’aeroporto di Boccadifalco per la prima volta. Come cambiano le cose quando si osservano da protagonisti anziché spettatori! Mi sentivo impacciato ma, al tempo stesso, non mi sfuggiva alcun particolare. L’hangar m’appariva immenso, gli aeroplani belve in agguato, e Gianni, l’istruttore, nella sua tuta sporca d’olio (o era sangue?), un feroce domatore! E il grande Icaro ad ali spiegate un’aquila pronta a ghermire i pinguini come me! Avevo l’impressione che tutti in Aero Club mi squadrassero e soppesassero.
Ed ecco il mio aeroplano! Il Piper Cub J3 con motore da 65 cavalli: quanti, per la miseria!
Gasparino, il meccanico, mi spiega sommariamente com’è fatto: “Quattro cilindri contrapposti, due candele per cilindro, due magneti, i posti sono in tandem, l’istruttore siede avanti e l’allievo dietro, se uno va in volo da solo deve sedersi in quello dietro, ma certo, per non spostare il baricentro, i comandi sono doppi, la barra fa muovere alettoni e timone di profondità, la pedaliera, laggiù, ruotino e timone di direzione, quella è la manovella del trim, la mano destra tiene sempre la barra e la sinistra la manetta del gas, sì questa, l’acceleratore a mano”.
E, poi, l’interruttore dei magneti, la pompa del cicchetto, la manovella del trim (“ah, già, te l’ho fatta vedere!”), gli strumenti dai nomi conosciuti (bussola, contagiri) e strani (anemometro, variometro) e chissà quante altre diavolerie! Ascolto ma non ricevo. Sono confuso e spaventato.
L’unica cosa che capisco è che fra poco andrò in volo e dovrò manovrare ed osservare tutta quella roba! Al diavolo, altri ci sono riusciti prima di me, gli aeroplani non sono che macchine e Icaro è solo una statua di gesso! Tu, Piper, sei cattivo? T’assicuro che saprò domarti e difendermi, con le unghie e con i denti, vedrai!
In hangar c’è una stanza dove l’istruttore con due dita batte qualcosa a macchina (una vecchissima macchina da scrivere nera). Sul muro sovrastante la porta, un cartello specifica: SALA BRIEFING
Finalmente qualcuno (un allievo, presumo) mi spiega che il briefing lo fa l’istruttore prima della missione; che in sala briefing si carteggia, si consulta l’AIP e si pianificano i voli.
Bah, forse è meglio non fare domande!
Ricordai quella volta in cui dovetti sorbirmi le lunghe dissertazioni di un marinaio che usava, con naturalezza, termini come babordo, bottazzo, boma, pozzetto, scuffia … io sono ignorante, me le dovete spiegare le cose!
In effetti Gianni, l’istruttore, aveva la buona abitudine di scrivere le MIX – missioni – (da 1 a 10) che spiegavano sommariamente le missioni di volo, tratte probabilmente da un vecchio basico militare.
La spiegazione che mi consegna è la MIX 1 – GEOGRAFIA DELL’AEROPORTO, scritta su un foglio di carta velina: ne stampava a macchina diverse copie, con la carta carbone, non avendo a disposizione una fotocopiatrice; quando si esaurivano, pazientemente le riscriveva. Nell’ultima guerra aveva pilotato, volando a pelo d’acqua per sfuggire ai radar inglesi, grossi velivoli da trasporto, fra la Sicilia e l’Africa; qui poi s’era fermato per fare lavoro agricolo con l’aeroplano.
Volo radente, tanto per cambiare, per spargere insetticidi, diserbanti e concimi! Infine, col brevetto di istruttore e collaudatore era sbarcato a Palermo.
Capace di atterrare indenne su qualunque terreno, l’aveva fatto con naturalezza ogni qualvolta il motore s’era perso un colpo. Era sceso anche a Floresta, il comune più alto della Sicilia, e ne era ripartito …
Non ho più notizie di lui, da tanti anni è rientrato nella sua Trieste … chissà..!
Discute con me e mi spiega, voce per voce, tutto quello che faremo in quel primo volo di circa venti minuti (eureka, è il briefing!). Ci accostiamo all’aeroplano, nel frattempo spinto fuori dall’hangar e rifornito di benzina da Totuccio, un meccanico della mia età, che è il vero artefice di tutto, mentre Gasparino, più anziano, è praticamente il capo, quello che dà gli ordini.
Non c’era una CHECKLIST, la lista dei controlli da effettuarsi all’aeroplano prima del volo.
In verità, mi accorgerò più tardi che di scritto non c’era nulla, a parte le MIX di Gianni ed un vecchio sgualcito AIP (Pubblicazione Informazioni Aeronautiche) che contiene, adesso lo so, le regole dell’aria, le mappe degli aeroporti, e via discorrendo. I libri di testo arriveranno più tardi. Mi sento quasi un pioniere!
Facciamo un giro attorno all’aeroplano, per controllare che non ci siano rotture nell’elica di legno, che non si siano perse le coppiglie dei bulloni, che le gomme delle ruote (pardon, carrello) siano gonfie, che i tiranti di coda risuonino come le corde di un contrabbasso! Finalmente a bordo.
Mi calo con difficoltà nel posto di dietro. Ci sto maledettamente scomodo. Spalliera e cuscino di crine sono duri.
Non posso allungare le gambe, che mi ritrovo piegate quasi a novanta gradi. Piedi sulla pedaliera, con l’aggravante che i freni, indipendenti sulle due ruote del carrello, si devono azionare pigiando coi tacchi delle scarpe (provate, e vi accorgerete che da subito cominceranno a farvi male i polpacci!).
Cicchetto, tutto escluso, e Totuccio dà qualche giro all’elica, nei due sensi. Pronto? Contatto! Gianni alza la mano sinistra per azionare l’interruttore dei magneti.
Manetta al minimo. Totuccio spinge in giù, con forza, una pala dell’elica, ed il motore parte rombando. L’elica scompare e si forma come d’incanto una circonferenza di luce, un riflesso lieve dove prima stavano le estremità delle pale.
Ma sono frastornato dal rumore e vibro all’unisono con tutto quanto; dal mio posto, poi, non vedo il terreno avanti al muso dell’aeroplano che sta seduto sul ruotino di coda; anche le spalle dell’istruttore mi coprono la visuale. Gianni, tuttavia, le sposta il più possibile di lato e, girando la testa verso di me, m’invita a rullare.
Mi aveva già spiegato che per vedere bisogna zigzagare, andare a destra e guardare a sinistra, andare a sinistra e guardare a destra, pigiando sulla pedaliera collegata al ruotino posteriore oltre che al timone di direzione, ovviamente inefficace a bassa velocità. Unica accortezza, anticipare il movimento dei piedi per evitare che il lungo muso continui a ruotare per inerzia superando la direzione voluta.
“Facile”, gli avevo detto, e Gianni sornione aveva scommesso mille lire che non ne sarei stato capace.
Figuriamoci! Non si trattava di pilotare un aeroplano ma di fare muovere sul terreno una specie di triciclo con ruota sterzante posteriore!
E proprio qui stava l’inghippo, in quel ruotino piccolo e saltellante, agganciato con due molle al timone di direzione.
Un po’ di manetta, aumentano i giri dell’elica e i battiti del mio cuore; ci muoviamo e … cribbio (chissà se dissi cribbio!?), la coda ballonzola … spingo il piede destro e, invece che a destra, l’apparecchio va a sinistra sull’erba, contro ogni legittima aspettativa. Più m’innervosisco e più s’incasinano le cose. Mi sento perso (voglio scendereeeeeee..!), ma Gianni interviene sui comandi sostenendo che “non è tempo di andare per funghi!”. Si muove con grazia, adesso, a passo d’uomo come prescritto, va a destra (“guarda a sinistra”), va a sinistra (“guarda a destra”), e finalmente si ferma in posizione attesa. Qui, prima di entrare in pista, facciamo il controllo dei magneti: ruotiamo il selettore sul sinistro (e c’è un leggero calo di giri, perché in ciascuna camera di scoppio funziona solo una delle due candele), poi sul destro (come prima) e infine, riportato su entrambi, i giri si ristabiliscono al valore iniziale.
Dimenticavo: niente radio, a quel tempo non era obbligatoria e naturalmente l’Aero Club, per risparmiare, non ne aveva.
Venivamo autorizzati coi segnali luminosi di un faretto orientabile; occhio alla Torre, dunque: VERDE, possiamo andare. Allineati in pista, manetta dolcemente avanti (fa tutto naturalmente l’istruttore, io seguo, o meglio, tento di seguire la manovra), il motore mi spacca le orecchie, l’aeroplano si muove, adesso corre, barra avanti, il muso si abbassa (oh, cribbio, invece di alzarsi …), ma un momento dopo, meraviglia delle meraviglie, siamo per aria. Il terreno si allontana, i monti vicini si colorano d’azzurro, poi vedo i tetti delle case, la città (ma è Palermo? Giuro, non la riconosco!), puntiamo verso il cielo … siamo sempre più in alto, in cima al mondo.
Gianni indica l’altimetro: mille piedi! Ho qualche difficoltà a convertire la misura in metri, “dividendo più o meno per tre” come da approssimative spiegazioni di Gasparino (dividendo, più, meno, per … con un solo confuso ragionamento applico le quattro operazioni insieme), per realizzare infine che siamo appena a trecento metri di quota!
Mica tanti! Dove sono i diecimila del Mustang e dello Spitfire?! Provo un miscuglio di euforia e paura. Ma piano piano il rombo regolare del motore mi rassicura, non mi disturba più, ora mi fa compagnia.
Sto all’erta, è vero, ma comincio a rilassarmi. Ho la sensazione di stare fermo, mentre il panorama scorre lentamente intorno a me … PATAPUMFETE … PUMFETE … RIPATAPUMFETE! Mi gira tutto, mi sento sbattuto e pesante! Che succede? Gianni, quel figlio di buona donna, ha combinato qualcosa per saggiare le mie reazioni. Fingo indifferenza e gli urlo che mi è piaciuto, anzi … mi è piaciuto assai (lo ucciderei!). “A ore 12, sotto Monte Cuccio, l’aeroporto; a ore 3 Monte Pellegrino …” e parla, parla: che vuole costui?
Poi affiorano i ricordi di vecchie letture (Attento! Caccia ad ore 9!) e capisco che si sta riferendo alle lancette dell’orologio per darmi la prima lezione di orientamento (in seguito passeremo alla bussola).
Rientriamo. Discesa e avvicinamento, luce VERDE, possiamo atterrare, fa tutto lui, viriamo, scendiamo ancora, sfioriamo le terrazze delle case e … plomft, tocchiamo dolcemente, all’inizio della pista, da fermi o quasi.
Mi lascia i comandi per rullare fino al parcheggio e, stavolta, va meglio. Via i magneti … e mi gusto (anche Gianni, credo) qualche momento di silenzio.
Bello, bello, bello! VOGLIO FARE IL PILOTA.
§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§
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