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L’Hanriot HD1

L’Hanriot H.D1 era un apparecchio da caccia francese, costruito in Italia dalla MACCHI ed utilizzato dalle nostre valorose squadriglie contro l’Austria negli anni 1916 e 1917, con ottimi risultati. Con questo apparecchio lo Scaroni ebbe 26 vittorie e il Baracchini 21 e gli altri piloti riportarono moltissime altre vittorie.

Era un biplano monoposto molto raccolto ed era provvisto di una mitragliatrice che sparava attraverso l’elica mediante un congegno di sincronizzazione collegato col motore, che permetteva alla mitragliatrice stessa, di sparare nel momento che le pale dell’elica non si trovavano davanti all’uscente proiettile.

L’aereo era provvisto da un motore rotativo le Rhone di 80 Hp. Questo motore, invece di star fermo fissato alla cellula e far girare l’elica, ruotava su stesso completo coll’elica. Alla cellula era invece fissato l’albero motore che stava fermo. Il motore così si raffreddava molto bene perché girava su se stesso ma l’aereo era estremamente sensibile all’effetto giroscopico del motore rotativo; questa caratteristica che era negativa per i pivelli, si trasformava in mani esperte nell’elemento principale di successo nei combattimenti aerei ravvicinati. Un giroscopio tende a star fermo nello spazio se una forza esterna tende a spostarlo, determina un angolo di scappata nello spazio, come se scivolasse su di un piano inclinato opposto alla direzione della forza esterna applicata al giroscopio stesso. In altre parole, esercitando una pressione sul piede sinistro, l’aereo cambia immediatamente direzione verso destra se lo sostieni colla cloche, di un angolo di rotta che sarebbe impossibile avere nel tempo, agendo sui normali comandi dell’aereo stesso. Per esempio: se passi di coda ad un aereo nemico uscendo da una gran volta e per quanto cerchi di stringere, non ce la fai a centrarlo; sfruttando il momento giroscopico della massa del motore, puoi modificare la tua rotta di un angolo che ti permette di centrarlo in pieno. Come pure, sempre per esempio, quando manca un istante al momento in cui all’avversario è possibile centrarti in pieno, puoi ottenere di variare la tua rotta di un angolo che ti mette fuori tiro. Tu sfruttando il momento giroscopico lo puoi fare, mentre lui non può seguirti utilizzando i normali comandi.

Per le stesse ragioni un piccolo BUM al decollo con vento laterale può mandare l’aereo a gambe all’aria.

Per noi oggi a mente fredda è difficile scoprire l’animus di un pilota di guerra impegnato in questi terribili frangenti, ma a parte le numerose considerazione che se ne possono trarre, dobbiamo pensare che questo pilota non era solo … era in quel momento soltanto l’ultimo atavico combattente della lunga millenaria serie di guerrieri che l’avevano preceduto. Toccava vendicare a lui quelli che erano caduti ed in vista delle migliaia di soldati lo stavano a guardare abbarbicati al terreno che gli stava sotto, … toccava a lui combattere per vincere o morire.

Ma ritorniamo alla descrizione di quello bellissimo piccolo caccia: il pilota seduto al centro della fusoliera aveva davanti a sé la mitragliatrice che era installata in modo che praticamente si poteva vedere l’obiettivo attraverso i mirini senza muovere la testa. Insomma avevi una mitragliatrice provvista di ali e motore davanti al naso, già puntata, automaticamente carica (disponibili se non erro 500 colpi, da 5 a 7 al secondo).

L’aereo era molto veloce per quei tempi: 180 km all’ora, era già una bella velocità ma era estremamente maneggevole ed era capace di salire, per allora, molto velocemente. Potevi metterlo in qualsiasi posizione, stava stabile e preciso, potevi picchiare quanto volevi anche al rovescio, faceva fischi assordanti, ma non perdeva i pezzi. Il motore essendo rotante ed alimentato da un carburatore a getto, non mollava qualunque fosse la posizione dell’aereo rispetto al terreno, volo rovesciato continuo naturalmente compreso.

Sulla cloche, oltre alla levetta per far sparare la mitragliatrice, vi era il bottone delle masse dei magneti (contatto) perché, all’atterraggio, data la massa del motore rotativo, ed il carburatore a getto (senza farfalla), si poteva fare soltanto a colpi di motore, cioè escludendo ed includendo i magneti senza togliere la mano dalla cloche.

Se ben ricordo nel 1936 il Comandante FRANCIS LOMBARDI di Vercelli – pilota da caccia 1915-1918, trasvolatore in Africa e Asia, costruttore di aerei, sommo campione mondiale, con gli amici dott. Giulio Sambonet, Vittorino della Role e mio cugino Viazzo Nino ed altri – era riuscito ad acquistare un aeroplano Hanriot residuato di guerra. Provvide quindi a ricostruirlo senza la mitragliatrice, modificò il carrello di atterraggio modernizzandolo, e sulla cellula montò un motore FIAT A.50. a 7 cilindri radiali della potenza di 85 Hp.

Questa volta il motore stava fermo e faceva girare l’elica. Ne venne fuori un Hanriot molto migliore di quello di guerra, e bello, potente, leggero, molto più veloce, docile, manovrabile con visibilità notevole (però volando come ci rincresceva che la mitragliatrice non ci fosse più!).

Insomma il povero sottoscritto, corri giù, corri su da Vercelli, finalmente ottiene il permesso di provare in volo questo monoposto Hanriot, di cui l’amico e maestro Lombardi e gli altri erano gelosissimi. Vado a Vercelli con un aereo di Massazza (allora il centro aviatorio dei Biellesi vagiva sul campo di fortuna di Massazza) vestito come si usava allora sugli aerei aperti, come un palombaro, giacca di cuoio, caschetta, occhiali, paracadute compresi; e finalmente fui autorizzato a decollare sull’Hanriot con mille raccomandazioni: non devi fare questo, non devi fare quello, l’acrobazia ti è proibita perché sei un pivello, etc, etc.

Il motorista compagni di Lombardi sig. Cav. Marino BATTAGLIA, che mi voleva bene, e che aveva praticamente ricostruito e modificato l’aereo, mi spiegò alcuni particolari e mi disse: vada, vada tranquillo, però se vuol divertirsi un po’ si porti fuori dalla vista dei cagnoni, e giochi come vuole, ma non scenda sotto ai 500 metri.

Strizzai l’occhio al Battaglia e mi portai in testa alla pista e frenandomi con tutte le mie forze, detti gas molto, molto lentamente, tutto signorino, e decollai come se fossi ritornato al primo volo da solo. Poi detti tutto gas e su, su, su che era una bellezza nella direzione di Casale, raggiunta in un baleno una bella quota, provai l’aereo in tutti i modi: velocità minima, stallo, centratura a bassa velocità, vite sinistra e uscita, idem a destra, stallo in salita a tutto motore (praticamente sembra di essere quasi fermi appesi al motore) poi chiudi il motore e lasci gradualmente picchiare tenendo l’aereo ben dritto; poi andai al volo rovescio, appeso alle cinghie delle spalle, tutto bene, salvo qualche rattè di motore (Battaglia me lo aveva detto di non insistere perché il carburatore non era adatto al volo rovescio senza forza centrifuga) poi un poco di acrobazia: la gran volta credo non avesse un raggio superiore ai 60 metri, pulita, però tirando anche più stretto possibile … una bicicletta etc etc.

Non vi voglio tediare io non sono un pilota di acrobazia, non lo so fare bene. Insomma tutto felice mi porto su Massazza, faccio un bel giro sul Biellese con omaggio alla Madonna d’Oropa e poi da circa 2000 metri di quota plano su Vercelli con motore relativamente ridotto.

In vista poi del campo di volo di Vercelli, alla quota di circa 200 metri ridò motore per fare un regolare giro di campo, come in allora prescritto, l’Hanriot a un certo momento si mette a correre a tutto motore. Branco la leva del gas e tento di ridurre i giri, niente da fare, mi rendo conto che la leva del gas non era più collegata alla leva della farfalla del carburatore, e il carburatore così scollegato aveva aperto tutto la sua farfalla per l’intervento di una apposita prevista molla automatica.

Che fare?

Non vi era che agire sui contatti che mettono a massa i magneti fermando il motore. Se si staccano i contatti il motore gradualmente rallenta e poi si ferma, ma se prima che si fermi ridai i contatti il motore riparte a tutto gas.

Quindi io continuai il volo a colpi di motore sin che potei infilare la pista, e sono riuscito, ad atterraggio eseguito, a raggiungere, sempre a colpi di motore,(cioè togliendo e rimettendo i magneti come sopra spiegato) la piazzola davanti alle Aviorimesse dove potei finalmente fermare il motore.

Stavo aggeggiando per sfilarmi le cinghie, al calmo ancora seduto nel posto di pilotaggio, quando eccomi investito da Francis Lombardi il quale da buon Comandante mi spiffera una solida e buona pipa: “Cosa credi di essere? Sai benissimo che il nostro motore FIAT si danneggia molto a fare delle riprese a pieno gas. E’ ora di finirla di darti delle aria di pilota da caccia atterraggio a colpi di motore come facevamo noi che eravamo costretti a farlo in guerra col motore rotativo le Rhone, mentre tu eri ancora un pivello. E’ questo il modo di comportarsi e di trattare una aereo che abbiamo avuto la debolezza di lasciarti pilotare?” Etc …

Come tutti i Comandanti, quando ti fanno una buona pipa, la ripetono, ripetono sempre la stessa anche sette volte … e tu subalterno devi stare zitto, non devi rispondere, devi stare tutto il tempo sull’attenti, fermo, senza muovere le orecchie … se vuoi evitare guai.

Dopo intervenne il Giulio Sambonet = pipa più dolce da Vice Comandante. Dopo intervenne il Vittorino = pipetta ma anche curiosità … io sempre zitto … poi mentre si stavano allontanando arriva il Battaglia, io esco dalla posizione di trance in cui mi avevano inchiodato, mi sporgo dalla fusoliera e gli dico: “Battaia a l’à distaccasi l’astina del carburator, a t’è dismentiate ad biteie la cupìa”.

Ma poiché ero un po’ sordo dopo un ora di volo (il motore aveva gli scarichi liberi e faceva in volo un rombo che era una goduria) dissi queste parole in piemontese a voce alta e tale che raggiunsero le orecchie del Comandante Lombardi, del Vice Giulio Sambonet e del caro Vittorino.

Battaglia con la mano appoggiata alla fusoliera, le spalle verso i nostri superiori, e senza muovere la testa mi fece un bel sorriso e ci strizzammo l’occhio.

I tre grandi capi scomparvero, si volatilizzarono … e fecero bene … non potevano fare altrimenti, perché preoccupati dagli eventuali danni che avesse potuto subire il loro motore FIAT col trattamento a colpi di motore, avevano direi dimenticato una cosa che sapevano benissimo e cioè che mantenere una quota e specialmente atterrare a colpi di motore, di un motore che era un arrabbiato e non mezzo addormentato nelle accelerazioni come il motore rotativo: non era facile con una aereo monoposto leggerissimo e relativamente fine, e che aveva i contatti dei magneti sul cruscotto e non sulla cloche.

Dopo questa avventura potei ancora volare sul magnifico Hanriot senza neanche chiedere il permesso, tacitamente me lo ero guadagnato e tacitamente mi veniva concesso.






#proprietà letteraria riservata# §§ in esclusiva per “Voci di hangar”


Riccardo Sella

L’Hanriot HD1

hanriot hd1Siete ai comandi di un gloriosissimo biplano Hanriot HD1, rimesso a nuovo come uscito di fabbrica. Tutto d’un tratto il motore va in avaria.

Scusate, ci siamo sbagliati: fortunatamente non siete voi ai comandi, ma un giovane quanto abile pilota. Per sua fortuna, egli conosce i trucchi per domare un purosangue del genere e agendo con navigata freddezza …

Con una prosa asciutta,  appena sottolineata da una punteggiatura oltremodo scarna, talvolta fin troppo moderna, l’autore racconta questo episodio vissuto in prima persona nel lontano 19??

Una storia che, ne siamo certi, vi farà venire i brividi, sciolti poi da un finale con la sua bella morale.






Narrativa / Medio-Breve Inedito. In esclusiva per VOCI DI HANGAR





Riccardo Sella

biplano avanti dietroClasse 1902, ufficiale di artiglieria, provetto cavallerizzo e marinaio, nonché abile pilota di velivoli fu uno dei fondatori della scuola di volo a motore dell’AeC di Biella (quando era ancora dislocato presso l’aeroporto di Massazza). Visitò i quattro angoli della terra e nel corso della sua esistenza ne vide di tutte le specie, spesso protagonista, talvolta semplice testimone di vicissitudini degne di essere raccontate alle giovani generazioni. Nel ’73 raccolse ventidue suoi racconti in un volumetto dal titolo: “I 22 racconti del Riccardo”, lo stampò in proprio, e mai pubblicato, lo regalò ad amici e parenti. Ventidue esperienze di vita, dove il serio e il faceto, episodi tragici ed altri rocamboleschi si mescolano in un tutt’uno Ritrovato per pura combinazione nella polverosa libreria della nipote, la Redazione ne ha estratto un godibilissimo racconto.

Per inviare impressioni, minacce ed improperie all’autore:

gidro(chiocciola)caltanet.it

 


Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:

 


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