titolo: Le oche delle nevi
autore: William Fiennes
editore: Bompiani
ISBN: 88-452-4968-9
anno di pubblicazione: 2003
Cosa ci fa la recensione di un libro sulla migrazione delle oche in un sito di carattere aeronautico?
Ci ho pensato un po’ sopra, prima di proporlo. Poi ho realizzato che le oche, in quanto uccelli, sono quanto di più aeronautico esista al mondo. Noi aviatori abbiamo copiato gli uccelli, non il contrario. E ancora non siamo riusciti a fare meglio di loro, anzi, neanche ad eguagliarli.
Le oche in particolare, volano a quote che vanno da pochi metri dal suolo fino a oltre novemila metri. Senza ossigeno, senza equipaggiamenti speciali, solo con il loro corpo, volano in formazioni spettacolari per migliaia di chilometri, navigando con mezzi propri, fino a raggiungere la meta, passando attraverso mille pericoli. Un certo numero non ce la farà, magari proprio mentre si preparano all’atterraggio, esauste, alla fine della tappa finale. La loro vita può finire proprio lì, nel tempo di un colpo di fucile che neanche sentiranno.
Comunque questo libro non è un trattato scientifico sulla migrazione delle oche.
L’autore, William Fiennes, a venticinque anni si ammalò. Era il 1995. Fu operato, ma la sua situazione non migliorò e dovette subire altri interventi. Rimase a lungo in ospedale. Era impaziente di guarire e di andarsene, ma la ripresa fu molto lenta. Perciò si dovette rassegnare a rimanere in ospedale e ad evadere solo con la mente, l’unica parte di lui che poteva andare dove voleva.
Si mise a ricordare le cose che faceva quando era sano, nella vita normale di prima della malattia. Come quando si sedeva nel cortile di casa, una casa medievale costruita in pietra e situata nel mezzo dell’Inghilterra, a parecchie miglia di distanza dalla più vicina città, ad osservare i rondoni che volteggiavano intorno al tetto. Generazioni e generazioni di quegli uccelli andavano e venivano nelle loro migrazioni, anno dopo anno. Sparivano, ad un certo punto, ma tornavano sempre.
Aveva letto un libro, “The snow goose”, scritto nel 1941 da un certo William Paul Gallico, senza peraltro apprezzarlo troppo. Da questo libro fu tratto un film nel 1971.
Ma aveva anche l’abitudine , appunto, di osservare gli uccelli, molti dei quali erano stanziali. Altri, quelli migratori, poteva osservarli solo in certi periodi dell’anno quando erano presenti nei dintorni della casa.
Per superare la smania di lasciare l’ospedale e tornare a casa alla fine di una guarigione che sembrava non arrivare mai, rilesse le osservazioni di Paul Gallico sulla migrazione delle oche delle nevi e finì per rimanere affascinato da tutti quegli elementi di mistero riguardo a come sapevano quando fosse il momento di partire, come si orientavano, come interagivano tra loro.
Avrebbe voluto anche lui poter migrare attraverso un territorio sterminato, libero, invece di essere costretto a rimanere confinato tra le mura di un edificio per un tempo indefinibile, apparentemente interminabile, infinito.
Prima o poi sarebbe uscito, ma intanto aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa che lo aiutasse a superare la lunga permanenza, il peso dell’immobilità forzata, la noia del quotidiano.
Aveva bisogno di un progetto, di un’idea, di una via di fuga.
Si fece portare in ospedale tutti i libri possibili che riguardavano l’ornitologia e le migrazioni degli uccelli.
Quando finalmente guarì, decise di andare negli Stati Uniti d’America a seguire lo spostamento delle oche attraverso il continente, da Huston fino ai ghiacci della Terra di Foxe.
Appena lasciato l’ospedale Fiennes partì per l’America del Nord coma aveva sognato durante la lunga degenza, per seguire lo spostamento delle oche delle nevi attraverso il loro lunghissimo viaggio da Sud a Nord.
Il libro racconta questo viaggio.
Non è un libro comune. Non avevo mai letto niente di simile. Ma proprio per questo l’ho trovato altamente interessante, sorprendente, unico. Tanto da accarezzare l’idea di fare la stessa cosa, un giorno o l’altro in questa vita.
Né mancano aspetti tragici. Leggendo il racconto si finisce per amarle molto quelle oche. E non si può certo rimanere indifferenti alla loro sorte, quando si comprende che, inevitabilmente, molte di esse lasceranno il loro posto nelle lunghissime formazioni, vittime di qualcuno dei tanti pericoli.
Verso la fine del libro, quando ormai l’autore e gli stormi di oche hanno raggiunto i ghiacci del Nord, ecco comparire i cacciatori. Fiennes si unisce a loro per raggiungere i luoghi dove finalmente la migrazione ha termine. Solo con le loro slitte, infatti, può raggiungere posti tanto impervi. E immancabilmente assiste all’uccisione di un gran numero di oche.
Una delle ragazze che fanno parte della spedizione dei cacciatori si incarica di far bollire alcune oche per mangiarle tutti insieme, la sera, intorno alle tende. Loro sono accampati sul ghiaccio coperto di neve, mentre nei dintorni stazionano anche migliaia e migliaia di oche accucciate a gruppi per passare la notte.
E’ una scena triste, ma è costretto ad uniformarsi alle necessità.
Descrive così la situazione:
“Mangiammo seduti sulla neve con la schiena contro il capanno. Non avrei voluto mangiare l’oca. Mi ero spesso immaginato nella Terra di Foxe, alla fine del mio viaggio, a guardare le oche delle nevi che tornavano nella regione in cui erano nate. Non mi era mai venuto in mente che avrei potuto mangiarne una. Ero affezionato a quegli uccelli. Non potevo fare a meno di considerarli miei amici. Ma non volevo distinguermi da Paula e Natsiq, così me ne stetti quieto a mangiare l’oca. Nel brodo galleggiava qualche piuma. Prendevo piccoli bocconi che masticavo con aria assorta. La carne era sostanziosa: potevo sentirci dentro i chilometri. I pezzetti mi rimanevano nello stomaco come sassi. Mangiammo in silenzio, accovacciati nei nostri parka; oche dentro e fuori di noi”.
Dopo questa ultima tappa Fiennes tornò a casa. Non ci volle molto perché nel lungo viaggio attraverso tanti stati americani si era spostato verso Nord-Est e ormai si trovava geograficamente molto più vicino alla sua nativa Inghilterra.
La penisola di Foxe è situata nell’estremità meridionale dell’isola di Baffin, nella regione di Qikiqtaaluk dello stato del Nunavut, in Canada. Da quella posizione, per tornare in Inghilterra, rimaneva “soltanto” il sorvolo della Groenlandia e dell’Islanda.
Il libro non finisce qui. Il viaggio di ritorno viene descritto molto dettagliatamente. Ma una volta tornato, Fiennes ritrova i luoghi a lui familiari, la casa, gli alberi, il paesaggio e gli animali.
Qui
Ritrova tutto. Ogni cosa era al suo posto, come l’aveva lasciata. Nulla di cambiato.
Lui, però, era cambiato.
Il lunghissimo viaggio insieme alle oche delle nevi, le vicende estremamente avvincenti che aveva vissuto insieme a loro, avevano lasciato una traccia indelebile nella sua anima, nel suo modo di pensare e di essere.
E adesso torniamo alla domanda iniziale: cosa ci fa la recensione di un libro sulla migrazione delle oche in un sito di carattere aeronautico?
Come dicevo, gli uccelli sono quelli che ispirano la nostra passione per il volo e le oche, ma direi tutti gli uccelli migratori, sono quelli che ammiriamo di più. Loro volano per migliaia di chilometri. Noi facciamo lo stesso (e quando non possiamo farne migliaia, ci rassegniamo a farne centinaia. Ma anche solo decine…).
Alcune oche non raggiungeranno la destinazione. Cadranno vittime di incidenti di varia natura, come purtroppo accade anche nel nostro ambiente.
Tra loro c’è una gerarchia e c’è anche nelle nostre aviazioni.
Tra loro c’è coesione e spirito di corpo. Come tra noi.
Loro come noi ragionano in termini di quota, velocità, orientamento, salita, discesa, veleggiamento, planata, decollo, atterraggio, mantenimento della posizione nella formazione e cambio di posizione quando occorre.
Loro come noi stanno attente ai pericoli e cercano di evitarli, quasi sempre con successo, ma a volte no.
Loro come noi provano la gioia di partire, di volare, di arrivare. Provano ansia e paura e, forse, anche indifferenza e noia.
Potrei continuare per molte righe ancora.
Ma soprattutto, vorrei mettere in evidenza un aspetto particolare. Come ho detto, un giorno vorrei anch’io seguire la migrazione di queste oche. O di altri uccelli migratori. Volando, però, insieme a loro.
Molti piloti lo hanno fatto. Angelo D’Arrigo è solo un esempio, ma anche Achille Cesarano. E altri ancora.
Per ora sono stati impiegati mezzi lenti, come deltamotore o parapendio motorizzati.
Al momento sono questi gli attrezzi migliori che ci offre la tecnologia.
Ma il progresso tecnico è in continua evoluzione e presto o tardi fornirà qualcosa di molto più evoluto, più ecologico e più versatile. E allora davvero potremo unirci agli stormi di oche che migrano attraverso i continenti, di giorno e anche di notte. E potremo posarci con loro per una sosta qua e là e dormire in mezzo agli stormi per ripartire alle prime luci dell’alba.
Ma senza sparare a nessuno. Senza mangiare nessun esemplare.
Niente oche dentro e fuori di noi.
Solo oche intorno a noi.
Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)