Cinquant’anni! Erano un traguardo importante, una specie di giro di boa al quale si arriva una sola volta nella vita. Non che Benigno e Massimo fossero gente di mare, benché avessero imparato a nuotare fin da ragazzi; né sorrideva loro l’idea che verosimilmente si trovavano a metà del proprio percorso esistenziale. Tuttavia era un dato di fatto: secondo le statistiche era già ottimistico considerare l’età raggiunta come l’apice della curva della vita e la cifra tonda si prestava inevitabilmente a due attività: un bilancio degli obiettivi raggiunti ed un festeggiamento in grande stile. Per quanto riguarda il primo punto, era stato Benigno a nominarlo in quel modo. Affermato manager a livello internazionale, gli capitava spesso di farcire i discorsi di tutti i giorni con il linguaggio professionale. Massimo allora, piccolo imprenditore di successo, l’aveva guardato con tanto d’occhi e aveva arricchito il programma di quel secondo goliardico elemento: “Sì, ma dobbiamo anche divertirci alla grande!”. Del resto i bilanci furono presto fatti. Entrambi godevano di un agiato tenore di vita, alimentato da una proficua remunerazione lavorativa, e avevano da tempo messo su una bella famiglia in cui si respirava la vicinanza autentica degli affetti. Non rimase quindi che dedicarsi al secondo punto, ma la scelta non fu semplice: “Un viaggio al Polo!” “Un safari!” “Una mega-abbuffata!” “Un’orgia!” Molte idee rimbalzarono tra loro, ma nessuna fu giudicata abbastanza speciale; nessuna avrebbe dato loro la potente scarica adrenalinica che cercavano nel singolare festeggiamento; nessuna sarebbe riuscita a rappresentare il senso di ebbrezza e di sospensione, provato col raggiungimento della significativa pietra miliare sulla strada partita nel lontano 1963. “Affrontiamo il cielo!” propose alla fine Benigno. È vero che Massimo aveva al suo attivo due o tre lanci nel corpo dei paracadutisti durante il servizio militare, ma erano un ricordo ormai sfuocato, un’esperienza vissuta troppo in fretta, sotto il segno dell’incoscienza giovanile. È vero anche che Benigno viaggiava spesso in aereo per affari, ma si trattava solo di una comoda situazione salottiera da business class. Entrambi quindi convennero sull’insolita trovata, rispondendo d’istinto al richiamo di quell’autentico elemento primordiale: l’aria. “E che ci vuole?!” commentò in modo sprezzante Benigno per fare coraggio ad entrambi ed affrontare il vuoto apparente del cielo. L’amico sorrise con ostentata sicurezza. Fu così che i due uomini con i piedi ben piantati per terra e già visibilmente stagionati dal tempo, si ritrovarono rispettivamente l’uno appeso alle funi di un parapendio, l’altro attaccato alla barra di un deltaplano.
“È fantasticooooo” urlò Benigno all’amico, nell’auricolare del telefonino che avevano deciso di tenere reciprocamente in comunicazione. Si era appena buttato dal pendio arrotondato della base di lancio con quella specie di paracadute e già le correnti ascensionali gli avevano fatto capire che là, a differenza di ciò che accadeva nel suo lussuoso ufficio, non sarebbe stato il solo a dirigere il gioco. “Non mi parlare proprio adesso, sono troppo concentrato.” rispose Massimo pilotando quella moderna versione della macchina volante leonardesca, che si era appena staccata dalla rampa di legno affacciata sulla profonda vallata sottostante. Avevano scelto di compiere l’impresa in un luogo del cuore: l’incantevole conca alpina che li aveva ospitati per molte vacanze estive e nella quale avevano fondato affetti, amicizie … e non solo. Tra i campi adatti al pascolo ed al foraggio, gli schiumosi torrenti e le folte pinete alcuni paesi si mimetizzavano come lastre rocciose con i loro tetti in beola: in uno di quelli si trovavano le case di entrambi, ospitali proprietà, simbolo dello status economico raggiunto dai due uomini di mezza età. I due ammirarono il ben noto panorama, che non avevano mai potuto godere da un punto d’osservazione così privilegiato. I variopinti elementi umani del paesaggio e quelli naturali con la loro prevalenza di grigio, azzurro e le mille tonalità di verde si mescolavano così amabilmente nella visione d’insieme che ai due sorse spontaneo un commento estatico. Ecco che cosa poteva aggiungere il volo, quello vero, alla loro vita, spesso orientata secondo un’ottica prevalentemente orizzontale: una nuova prospettiva da cui guardare le cose. Né mancarono altre intense emozioni. L’energica scossa vitale che speravano di ricevere dall’esperienza non tardò a pervadere il loro corpo teso, nella forma di un’istantanea e magnifica sensazione di eccitata vertigine. Se non fosse stato per il corso di volo simulato, frequentato in un moderno centro d’addestramento, i due avrebbero provato solo panico e terrore; ma le competenze acquisite nelle torri d’aria e nei tunnel del vento artificiali diedero ai due novelli Icaro sufficiente controllo d’assetto e di guida. Inoltre, l’abbigliamento tecnico delle migliori marche, acquistato per l’occasione, conferì a quella sorta di ex-atleti un aspetto talmente sportivo che perfino loro finirono per credere alla virtù intrinseca di quel travestimento “da esperti”. Assunta infatti una posizione sicura, iniziarono a percepire lo strumento di volo come un’espansione del proprio corpo. Ogni fune, ogni leva, ogni lembo di tessuto gonfiato dalla resistenza dell’aria, particolarmente fresca a pungente a quell’altitudine, divenne un organo meccanico-anatomico adatto agli spostamenti nel cielo.
Le loro abilità di conduzione dei rispettivi mezzi aerei si rivelarono inizialmente all’altezza della situazione. Lo scetticismo sulla modalità di conseguimento del brevetto, non troppo velatamente manifestato dagli altri amanti del cielo che avevano preso con loro l’impianto di risalita, sembrò da principio solo suggerito dalla nefasta ispirazione di qualche uccellaccio del malaugurio. “Un corso simulato?” avevano commentato “Vedremo come ve la caverete nella realtà!”. Ma il loro legittimo sospetto sembrò purtroppo rivelarsi profetico dopo pochi minuti dal decollo. Improvvise ed inaspettate folate di vento iniziarono a sbalzarli in tutte le direzioni, obbligandoli a bruschi cambiamenti di rotta. “Che cosa succede?” chiese Massimo a Benigno, sentendone gli urli spaventati nel cellulare. “Non riesco più a governarlo! Le raffiche sono troppo potenti!” si allarmò quello. Ma di lì a poco la stessa sorte toccò all’altro. “Aiuto. Neanch’io riesco più a virare verso terra!”. Le correnti presero infatti a spingere entrambi verso l’alto, sotto gli sguardi attoniti e increduli degli altri frequentatori del cielo, che non capivano se i due fossero dei temerari o degli sprovveduti. Per alcuni interminabili minuti la situazione sembrò irrecuperabile e del tutto fuori controllo: i due inesperti piloti non potevano far nulla se non assecondare i capricci di quel bizzarro vortice ascensionale, che li fece turbinare verso gli strati più alti della troposfera. Le immagini piacevoli e solari delle planate iniziali lasciarono il posto al minaccioso roteare sotto i loro occhi di tutti quegli elementi montani, prima così stabilmente ameni e tranquillizzanti. Benigno e Massimo pensarono allora di non farcela. Chiusi in una solitaria disperazione, annullarono la comunicazione tra loro, lasciando echeggiare solo le sonore imprecazioni individuali contro la propria avventatezza e la malasorte, raccomandandosi a sprazzi alla protezione di qualcuno che, se c’era, stava ben oltre la ionosfera. Poi di colpo la situazione si capovolse. Un istantaneo e deciso movimento discendente dell’aria modificò radicalmente la forza della portanza sulle proprie superfici di volo e i loro essenziali velivoli iniziarono a perdere velocemente quota. Allora Massimo e Benigno si ripresero d’animo e diressero prontamente i leggeri apparecchi verso il basso, riuscendo a sfrecciare obliquamente tra gli eterei e lattiginosi cirri. Capirono ben presto però che a quella velocità l’impatto l’atterraggio sarebbe stato rovinoso e i primi sospiri di sollievo, accompagnati dalla ripresa di scambi di incoraggiamento reciproco, si trasformarono in una nuova solipsistica sequenza di irripetibili invettive contro tutto e tutti. I due amici arrivarono perfino a dubitare della protezione e della benevolenza da parte degli abitatori delle più alte sfere celesti, che forse li stavano abbandonando ad un destino crudele.
Fu allora che Benigno e Massimo scorsero qualcosa di stranamente animato e dinamico nell’aria intorno a loro. Una specie di grande figura umana incolore, dai tratti non pienamente definibili, apparve e scomparve ora più nitida, ora più evanescente. Come uno spessore di materia aeriforme, si delineò sullo sfondo della vallata sottostante, pur rimanendo trasparente e di una consistenza plastica. “L’hai visto anche tu?” chiese uno dei due all’altro, che annuì incredulo con un filo di voce. “Che cos’era?” incalzò allora il primo. “Non lo so. Forse …” esitò il secondo non sapendo dare altra spiegazione “lo Spirito dell’aria.” Non ne discussero per cellulare. Era troppo per due esseri umani così radicalmente piantati nella concretezza della realtà quotidiana. Ma non ebbero neppure la sfrontatezza di rinnegare l’incredibile eppur realistica e comune visione, che avrebbe potuto trovare facilmente spiegazione razionale nello stato di panico totale in cui essi versavano. Ma a sostegno della vista, arrivò subito dopo un’inaspettata esperienza uditiva. Una specie di sussurrata e sibilante interferenza si intrufolò con due sole parole negli auricolari, ripetendole alcune volte fino a dissolverle in una debole e bonaria risata. “… leggerezza … gravità … leggerezza … gravità …” Udito quella specie di sospiro parlato, la situazione si normalizzò all’istante ed entrambi ripresero facilmente il controllo del parapendio e del deltaplano, iniziando le manovre di discesa. Se quello era davvero lo Spirito dell’aria, allora era stato lui a prendersi gioco di loro o più probabilmente aveva voluto semplicemente giocare i due nuovi ospiti. Forse, più semplicemente, il suo intervento era stato animato dal desiderio di mostrare loro le due potenti, opposte e complementari tensioni del volo, che insieme sostengono e precipitano ogni essere che affronta il cielo. Atterrare con quella nuova consapevolezza, significò per Benigno e Massimo aver imparato davvero qualcosa, grazie a quell’esperienza.
Appena toccarono il suolo, i due si scambiarono un’occhiata e fu come se avessero capito in quel preciso istante la lezione: le due facce dell’essere irreale erano le stesse presenti nella vita di tutti i giorni. Il peso dei gravi ruoli sociali in contrapposizione al sollievo degli affetti personali. Forse la loro equilibrata miscela dà senso all’esistenza. A quel punto della loro vita, rassicurati dalla morbida carezza del terreno sotto le suole, capirono di aver ricevuto un regalo degno del loro festeggiamento e alzarono lo sguardo al cielo con un senso di gratitudine. Sciolti moschettoni e funi che li tenevano ancora agganciati all’atmosfera, si abbracciarono, confessandosi tacitamente gli stessi pensieri. La folla di parenti e amici si avvicinò intanto ignara e festaiola, accogliendoli con un applauso e un grido corale di nuovi felici auspici: “Buon compleanno!”
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Roberto Morgese |