titolo: Il diritto di contare
autore: Margot Lee Shetterly
editore: Harper Collins
anno di pubblicazione: gennaio 2017
ISBN: 8869051781 oppure: 978-8869051784
pag: 381
anno di pubblicazione: aprile 2018
ISBN: 8869053431 oppure: 978-8869053436
pag: 400
PREMESSA.
Non appena apparve per l’edizione 2023 di Racconti tra le Nuvole il comunicato che indicava come tema suggerito La donna nel mondo aeronautico e astronautico, mi vennero subito in mente le tre signore della matematica che negli anni ’40-’50 del secolo scorso, mentre l’IBM stava affannosamente mettendo a punto il primo calcolatore elettronico e i calcoli si facevano ancora solo con carta e penna, gesso e lavagna, furono assunte dalla NASA per eseguire, appunto con quei mezzi, calcoli matematici tanto complessi, quanto quasi al limite dell’impossibile.
Le tre signore erano Katherine Johnson, Mary Jackson e Dorothy Vaughan.
Tre talenti matematici (tutte laureate con il massimo dei voti prima dei 18 anni) che si sono ritrovate a lavorare in un ambiente così maschilista che di più non si può, dove già inserirsi sarebbe stato problematico per qualunque donna bianca, e dove per loro la cosa fu ancora più complessa, perché loro erano per di più afroamericane in un’America (precisamente in una Virginia) afflitta da problematiche razziali peraltro ancora lontane dall’essere risolte. Delle tre ne sapevo già qualcosa grazie ai fuggevoli cenni presenti in alcune copie dell’Europeo che tuttora conservo… Ops, che sbadata, i più giovani di voi non sanno neanche di cosa parlo e – quel che è peggio – ho appena rivelato troppo della mia età! Comunque L’Europeo, chiuso da anni, fu un glorioso settimanale (come L’Espresso, Panorama, La Domenica del Corriere) sul quale scriveva tra gli altri la grande Oriana Fallaci, autrice di molti articoli dedicati all’epopea spaziale dell’uomo che stava conquistando la Luna, con buona pace di coloro che tuttora negano che ciò sia mai avvenuto.
Dunque, dicevo, sull’Europeo trovai dei trafiletti sulle tre signore che me le resero subito simpatiche anche se la cosa finì lì proprio per il pochissimo rilievo dato loro.
Poi però vidi anche un film che molto tempo dopo (è uscito nel 2016) raccontava la loro storia con dovizia di dettagli e grande risonanza (tre nomination all’Oscar).
Tuttavia non avevo ancora mai letto il libro da cui l’omonimo film era tratto.
Racconti tra le Nuvole mi diede finalmente l’input per colmare la grave lacuna. Così lo comprai e lo lessi, e oggi sono contenta di averlo fatto, perché leggendolo ho scoperto che il film, peraltro delizioso e consigliatissimo, tratta in realtà solo di una parte della vicenda e solo delle tre donne citate, mentre il libro racconta di più, molto di più. Lo fa però più nella forma del saggio che del romanzo, sebbene si avverta qui e là qualcosa di, diciamo, rielaborato. Ma questo ci sta, anzi, questo alleggerisce di molto la scrittura a volte un po’ freddina, ridondante e didascalica di alcune sue pagine, cosa che, sia chiaro, nulla toglie all’importanza di questo libro per le tematiche che tocca e le riflessioni che induce nel lettore.
La prima di queste riflessioni, almeno per me, è stata che ancora una volta la Letteratura si dimostra essere quel racconto arcaico in cui solo è possibile passare da una vita all’altra. Di più, in cui è di nuovo possibile riconvocare ciò che è stato, riconciliare l’essere umano con l’irrimediabile provvisorietà dell’esistenza, e anche riconcigliarlo con gli errori del passato, ai quali, laddove ci fossero stati, essa sa come porre rimedio.
Ecco infatti che, grazie alla letteratura, tre vite (e non solo quelle tre) risorgono e trovano i riconoscimenti che meritano e avrebbero meritato di ricevere ben prima. Dunque un libro, un film, e nel 2023, un modesto racconto che torna a riconvocare le tre scienziate per concorrere, pur nella piccola misura che ci compete, a rimediare all’errore di averle lasciate così a lungo nel più ingiusto ed oscuro degli oblii.
Cosa che, cogliendo l’occasione del premio, mi parve giusto fare, come una sorta di risarcimento post mortem alle tre scienziate, e questo sebbene fossi consapevole che rischiavo l’esclusione ex officio da parte del rigorosissimo Segretario, perché in realtà più che un racconto di “scrittura creativa”, come richiesto, veniva fuori piuttosto un “saggio”, tanto che mi preoccupai subito di scrivere e inviare anche un secondo racconto, questa volta di pura invenzione e pervaso di pura poesia che però, con grande mia sorpresa, fu scartato a beneficio dell’altro per il quale speravo solo che un giorno venisse almeno ospitato sul sito appunto degli scartati, dei non pubblicabili, come omaggio alle tre… Potere della testimonianza storiografica!
Ma sembra proprio che l’anno 2023 non abbia ispirato solo me. Qualcun altro deve aver avuto sentore che era tempo di spostare i riflettori su queste donne.
E che riflettori! Stiamo parlando del set fotografico più famoso al mondo, quello del calendario Pirelli. Sì, avete letto bene.
Il calendario Pirelli 2024 (ovviamente realizzato l’anno prima) è stato interamente dedicato alle donne di colore che si sono distinte in vari campi, e più in generale, a quel Continente Africa che oggi sta richiamando a vario titolo anche l’attenzione dei Capi di Stato di mezzo mondo. Forse perché il futuro dell’Africa è in Africa?
Ecco allora che accanto a Naomi Campbell e ad altre famosissime star, sfogliandolo ci s’imbatte in lei. Come lei chi?
Ma lei Margot Lee Shetterly, proprio l’autrice de Il diritto di contare, la scrittrice americana che per prima ha tirato fuori dall’ombra Katherine, Mary, Dorothy e le loro compagne.
Perché lei? Ma perché è un modo per aprire una finestra sull’Africa e sulla diaspora nera, perché lei vuole pensare positivo per cambiare le cose, perché se invece dici che tutto è perduto, ti togli ogni responsabilità. Perché nel mondo globalizzato il battito d’ali di una farfalla dall’altra parte del mondo ha conseguenze qui.
TRAMA: Se John Glenn ha orbitato intorno alla Terra e Neil Armstrong è stato il primo uomo a camminare sulla Luna, parte del merito va anche alle scienziate della NASA che negli anni Quaranta elaborarono i calcoli matematici che hanno permesso a razzi e astronauti di partire alla conquista dello spazio. Tra loro c’era anche un gruppo di donne afroamericane di eccezionale talento, originariamente relegate a insegnare matematica nelle scuole pubbliche “per neri” del profondo Sud degli Stati Uniti. Queste donne furono chiamate in servizio durante la Seconda guerra mondiale a causa della carenza di personale maschile, quando l’industria aeronautica americana aveva un disperato bisogno di esperti con le giuste competenze. Tutt’a un tratto a queste brillanti matematiche e fisiche si presentò l’occasione di ottenere un lavoro all’altezza della loro preparazione, una chiamata a cui risposero lasciando le proprie vite per trasferirsi a Hampton, in Virginia, ed entrare nell’affascinante mondo del Langley Memorial Aeronautical Laboratory.
Il loro contributo, benché le leggi sulla segregazione razziale imponessero loro di non mescolarsi alle colleghe bianche, si rivelò determinante per raggiungere l’obiettivo a cui l’America aspirava: battere l’Unione Sovietica nella corsa allo spazio e riportare una vittoria decisiva nella guerra fredda. Sullo sfondo della lotta per i diritti civili e della corsa allo spazio, Il Diritto di Contare segue la carriera di queste donne per quasi trent’anni, durante i quali hanno affrontato sfide, forgiato alleanze e cambiato, insieme alle proprie esistenze, anche il futuro del loro Paese. (Tratto dalla prefazione. N.d.A.)
RECENSIONE.
Diceva Virginia Woolf a proposito della donna-angelo del focolare alle prese con il tentativo di affrancarsi da quell’etichetta per diventare qualcosa d’altro (nel suo caso una scrittrice che avesse diritto alla sua stanza dove scrivere, al suo nome sul suo libro e non il solito pseudonimo maschile, al suo pubblico e al denaro che tutto questo poteva procurarle):
“…le donne devono ammaliare, devono conciliare, devono, per dirla brutalmente, dire bugie se vogliono avere successo. Perciò, ogni volta che avvertivo l’ombra della sua ala sulla pagina, o la luce della sua aureola, afferravo il calamaio e glielo scagliavo contro. Ce ne volle per farla morire. La sua natura fantastica le dava un vantaggio. È molto più difficile uccidere un fantasma che una realtà. Credevo di averla liquidata e invece eccola lì di nuovo. Benché mi lusinghi di averla uccisa infine, fu una lotta durissima; che richiese del tempo che sarebbe stato più utilmente impiegato a imparare la grammatica greca; o a girare il mondo in cerca di avventure. Ma fu una vera esperienza; un’esperienza che doveva toccare a tutte le donne scrittrici a quell’epoca. Uccidere l’angelo del focolare faceva parte del mestiere di scrittrice”.
Margot Lee Shetterly non ha la forza espressiva e il vigore strutturale di una Woolf, tuttavia lei con Il Diritto di Contare ha a sua volta ucciso l’angelo del focolare, non solo quello suo personale di scrittrice che si afferma a dispetto del suo genere e del colore della sua pelle, ma anche perché ha scelto di raccontare la storia di altre donne che come lei hanno ucciso il loro angelo del focolare dimostrando che, volendo, si poteva continuare ad essere anche quello: donne delicate, sensibili, attaccate agli affetti familiari, senza per questo rinunciare ad essere ciò che si sentiva di essere e di voler essere. Sta in questo il merito di questo libro ed è per questo che va letto.
Dopo il Buio oltre la siepe (scritto però da una scrittrice bianca) e poi tutta una gamma di variazioni sul tema apparse in America nell’ultimo mezzo secolo, a opera di scrittori e scrittrici di colore e non, questo libro, attraverso le vicende di alcune scienziate della NASA, racconta dal punto di vista di una scrittrice afroamericana le lotte compiute da donne di colore come lei, per affermarsi nel mondo bianco e maschile della scienza e della tecnologia. Forse si poteva scrivere meglio, cospirando di più con le attese, le sospensioni, le dilatazioni, rubando meglio, come si dice in gergo musicale, sul tempo della narrazione, troppo spesso trascinato e perso dietro minuzie e dettagli che, se da un lato, rivelano al lettore il lungo e meticoloso, quasi maniacale e impressionante lavoro di ricerca e detection dell’autrice, dall’altro inducono a chiedersi: perché mi dice anche questo? Perché non ha mondato il superfluo?
Ardua la risposta. Chi siamo noi per fare appunti a un libro di tale clamore e successo? Che ha suscitato l’interesse di Hollywood e che porta la sua autrice sul set Pirelli?
Nessuno, certo. Allora forse dobbiamo andare oltre la prima impressione di lettori, e apprezzarlo per quello che voleva essere davvero: una testimonianza al femminile, un riconoscimento dovuto, una miniera in cui attingere storie, aneddoti, dettagli, che visti nel loro complesso raccontano una sterminata massa di difficoltà affrontate e superate. Incluse le difficoltà affrontate e superate legate ad un tipo di lavoro che, per quanto appassionante, con la sua esclusività e centralità metteva in secondo piano tutto il resto, a cominciare dalle famiglie che si dovettero a loro volta dotare di grande pazienza, comprensione e solidarietà con le rispettive mogli, madri, sorelle, figlie scienziate, per non soccombere alle ragioni dell’ufficio e della patria.
L’autrice è come un direttore d’orchestra preparatissimo, tecnicamente irreprensibile, con una libertà della mano sinistra tale da essere capace di plasmare infinite intenzioni espressive in un modo che non potrebbe essere più efficace. Eppure nonostante l’esecuzione sia un paradigma di controllo e di dominio dell’orchestra, vien fuori un concerto dove a volte è molto difficile risolvere il disagio di certi momenti, per cui tanta meticolosità alla fine crea un problema anziché risolverlo.
Ma come non ammirare il coraggio della Shetterly quando assegnando quel titolo, Hidden Figures, al suo libro (Figure nascoste, è infatti quello originale) già disvela la sua intenzione di rendere visibili finalmente quelle figure trasparenti, non viste, unseen che hanno atteso con pazienza il momento opportuno per farsi avanti e piano piano dire al mondo ci sono anch’io, so fare questo, non puoi più ignorarmi?
E forse alla fine ci persuadiamo che per non farsi più ignorare era necessario metterci dentro tante di quelle cose da poterne prendere solo un po’ per volta, come quando si deve bere a piccoli sorsi un tè perché troppo bollente. Ecco perché questo libro che, soprattutto nella prima parte, procede lento, appesantito da troppi tecnicismi, ostici a chiunque non sia del mestiere, e infarcito di citazioni e riferimenti a luoghi e istituzioni che per noi non hanno alcuna evocazione, va letto con calma, va preso a piccole dosi, finché superati i primi scogli si sarà premiati, nella parte finale, da un’atmosfera più descrittiva e godibile, dove si chiarisce il senso di tutto il lavoro precedente, si chiarisce l’insegnamento che vuole darci l’autrice, cioè che l’umanità è una sola, non ci sono colori, non ci sono differenze, ma esiste l’anima e il cuore di ciascun essere umano, e soprattutto esiste la dignità che qui è rappresentata dal silenzio di queste donne, che hanno attuato la loro rivoluzione unicamente dimostrando le loro competenze, senza urla e atti di violenza.
La scelta dell’autrice americana di utilizzare un linguaggio semplice e delicato visto l’argomento già di per sé sconcertante, è da ammirare. E alla fine il libro si consiglia di leggerlo perché è sempre sbagliato perdere un’occasione per imparare il rispetto verso la vita altrui e verso qualsiasi essere vivente. Perché anche se non è un libro da leggere in pochi giorni, o come si dice, “da spiaggia”, e richiede una certa dose di impegno, è così colmo di storia che vale la pena affrontarlo anche per capire un periodo storico del passato, quello della Guerra Fredda, che molti, i più maturi, forse hanno bisogno di rinfrescare nella loro memoria, e molti, i più giovani, hanno bisogno di conoscere per capire meglio il presente che non sembra del tutto liberato da certi atteggiamenti mentali, e non solo mentali, di cui furono vittime queste Figure Nascoste. Non è forse tuttora in atto una specie di guerra mista, fredda e calda, in cui si decidono le sorti del pianeta, come allora proprio nel Langley si decidevano le sorti dell’America rimasta col fiato sospeso nel momento in cui lo Sputnik ha solcato il suo cielo?
Mentre mi accingo a chiudere il cerchio voglio però ricordare una cosa importante. Questa è una storia di donne, ma il cerchio lo chiudo parlando di un uomo: John Glenn. In un Paese in cui per bianchi e neri, la vita sociale era indirizzata su due binari legislativi rigidamente distinti per cui essi facevano la spesa in supermercati diversi, cenavano in ristoranti diversi, soggiornavano in hotel diversi, usavano bagni pubblici diversi, e ovviamente frequentavano scuole diverse, Katherine, un seme sbocciato sul terreno dell’apartheid istituzionale, della normalizzazione del razzismo da parte dei poteri dello Stato, della cristallizzazione di una prassi gerarchica fondata sul sangue, riesce ad affermarsi alla NASA fino al punto che il primo astronauta americano ad andare in orbita attorno alla Terra, esige lei e solo lei come sua “calcolatrice umana” e dichiara che se lei avesse confermato i numeri del calcolatore elettronico appena arrivato, e di cui lui non si fida, lui sarebbe partito subito, senza pensarci due volte.
La sua vita e l’esito dell’esperimento, nonché di anni e anni di calcoli e stime, Glenn li ha messi nelle mani di una sola persona. Una donna.
Quella donna avrebbe fatto la differenza sia per lui che per l’intero genere umano.
Fu quella la vittoria di quella donna e delle sue compagne?
No. La loro vittoria fu essere fotografate accanto agli ingegneri uomini bianchi sotto la voce: le persone che hanno salvato l’America. Persone. Punto.
Dunque l’avete capito. In questo caso il libro e il film sono due cose distinte. Non si può dire, come spesso succede, il libro è meglio del film, ovvero, il film è meglio del libro, come a prima vista parrebbe questo il caso. In realtà non è così.
Il film, pur fornendo le stesse informazioni e raccontando la stessa storia, affronta la storia dal punto di vista personale delle tre donne, il libro invece è un vero e proprio saggio storico, ricchissimo di dati e corredato da una tale quantità di note bibliografiche da essere all’altezza di un testo universitario. I due strumenti affrontano la storia con due metodi assolutamente diversi, tanto da rendere inutile una comparazione.
IL FUTURO.
Tutto questo avveniva cinquant’anni fa. Dopo mezzo secolo e oltre la Luna torna alla ribalta. Messa da parte dai pensieri degli umani che contano e decidono, sembra ora essersi riacceso l’interesse verso il nostro satellite, che, ormai a lungo studiato, sembra essere definitivamente considerabile costola del nostro stesso pianeta. Materia della nostra stessa materia. Insomma sangue del nostro sangue. Ma il nostro pianeta, lo sappiamo, sta messo malino quanto a salute, e allora che si fa? Si guarda oltre. Si pensa ad una base stabile sulla Luna dalla quale un giorno magari partire verso Marte o altri mondi, visto che quello nostro ce lo stiamo bellamente giocando. Però, attenzione, in tutto questo rinnovato interesse per lei, per la pallida e mutevole Luna, spunta fuori che lassù, nella costola vergine della Terra, ci sono minerali, terre rare, acqua, allo stato solido ma in abbondanza… e tutto al polo Sud, dove di giorno fa 100 gradi e di notte – 200, dove il giorno dura 14 giorni e la notte 14 notti (terresti), un vero paradiso, non c’è che dire!
Ma cosa non si farebbe, a cosa non si è disposti ad adattarsi per strappare anche a lei quelle stesse materie prime, risorse, ricchezze che sono motivo di conflitti inenarrabili, visto che, va a sapere perché, quei minerali preziosi e rari qui stanno tutti ammucchiati nei posti più complicati e guerrafondai del pianeta. E lì?
Pensateci bene, soprattutto ora che la “conquista dello spazio” si va allargando ben oltre due sfidanti, ora che vede inclusi, indifferentemente, astronauti e astronaute, e persino parastronauti perché alla fine s’è capito che quello che conta è l’integrità del cuore e della testa, e non l’integrità del corpo o il suo colore, o il suo sesso, a che non si replichi questa lotta all’ultimo sangue per accaparrarsi una miniera di coltan in più, un giacimento di litio in più… La luna è un’opportunità. Sì, che sia di pace però. Sennò rischiamo che prima o poi un’altra scrittrice dovrà scrivere un domani il Diritto di Spaziare, visto che gli avvocati di tutto il mondo hanno già il loro bel da fare a definire e a riscrivere il Diritto Spaziale.
L’AUTRICE E LA SUA VOCE.
Nata e cresciuta a Hampton, in Virginia, Margot Lee Shetterly ha conosciuto di persona molte delle protagoniste di Il Diritto di Contare, e per i suoi studi sul contributo delle donne alla matematica ha ricevuto una borsa di studio dalla prestigiosa Virginia Foundation of the Humanities.
Prima di trasferirsi a Charlottesville, con il marito, è stata per molti anni a New York e in Messico. Detto questo, credo che sentire direttamente la sua voce sia il modo migliore per consegnarvi questa recensione, che spero vi sia stata di utilità.
Da Il Diritto di Contare:
[…] Eppure, pur essendo state loro al Langley a infrangere la barriera della razza, facendo da apripista per gli uomini assunti in seguito, le donne dovettero sempre combattere per qualcosa che gli uomini, anche di colore, potevano dare per scontata: la qualifica di ingegnere […] Insieme avevano dimostrato che, se gliene venivano dati l’occasione e i mezzi, la mente femminile era uguale a quella maschile.
[…] Per molti uomini, una “calcolatrice umana” era una macchina calcolatrice che respirava, un accessorio d’ufficio che inspirava una serie di cifre e ne espirava un’altra.
[…] “Sventurata te, se ti fanno calcolatrice” scherzava un articolo dell’Air Scoop. “Sventurata, perché l’ingegnere si prende il merito di qualsiasi tuo lavoro che brilli d’intelligenza e dia gloria. Ma se lui scivola o sbaglia un conto, o incappa in un errore di qualunque tipo, una volta chiamato a rispondere scaricherà il barile con un bel: ‘Del resto, cos’altro ci si può aspettare da una calcolatrice donna?’”.
Il lavoro della maggior parte delle donne, […], era anonimo, persino se lavoravano a stretto contatto con un ingegnere sul contenuto di una relazione era raro che le matematiche vedessero apparire il proprio nome sulla pubblicazione finale. Perché mai avrebbero dovuto nutrire il loro stesso desiderio di riconoscimento? Si chiedeva la maggior parte degli ingegneri. Erano donne, dopotutto.
[…]Prima che il computer diventasse un oggetto inanimato, però, e prima che il Centro di controllo missione atterrasse a Houston; prima che lo Sputnik cambiasse il corso della storia, e prima che la NACA diventasse NASA; prima che la sentenza della Corte Suprema nel caso Brown v. Board of Education of Topeka stabilisse che di fatto separato non significava uguale, e prima che la poesia del sogno di Martin Luther King si riversasse giù dalla scalinata del Lincoln Memorial, le calcolatrici dell’Area ovest del Langley aiutarono gli Stati Uniti a dominare l’aeronautica, la ricerca spaziale e la tecnologia informatica, ritagliandosi uno spazio come matematiche donne che erano anche di colore, matematiche di colore che erano anche donne. […]
[…] Figurarsi se una mente femminile poteva elaborare qualcosa di tanto rigoroso e preciso come numeri ed equazioni! Solo l’idea di investire cinquecento dollari in una macchina calcolatrice per poi farla usare a una ragazza… ma per piacere! E invece le ragazze si erano dimostrate molto, molto brave con i numeri. Più brave, di fatto, di molti ingegneri, come dovettero ammettere gli stessi uomini, pur se a denti stretti.
Recensione di Rossana Cilli.
Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
Il diritto di contare