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Il pilota di ferro

il pilota di ferro - copertina 01titolo: Il pilota di ferro

autore: Hans Ulric Rudel

editore: Longanesi & C.

anno di pubblicazione: 1964

ISBN: non disponibile





“Ho descritto la mia lotta contro l’Unione Sovietica come avrebbe potuto farlo qualunque altro soldato che, compiuto il proprio dovere, avesse avuto la fortuna di salvare la vita. […]

Queste pagine non debbono essere interpretate come la glorificazione della guerra e non sono destinate a riabilitare un certa classe di persone o i loro metodi.

I fatti vi sono narrati per quello che valgono, con scrupolosa verità e con assoluta fedeltà.

Dedico il libro ai morti di questa guerra e alla nostra gioventù, che sta soffrendo dell’orribile confusione del dopoguerra. Essa non deve perdersi d’animo. Ma aver fede nella Patria e fiducia nell’avvenire, perché solo chi si dà per vinto è veramente perduto

il pilota di ferro risguardo interno
Il risguardo interno del volume contiene – come di consueto – una breve biografia del protagonista nonchè un suo fotoritratto. Nel web ci siamo imbattuti anche in alcune foto a colori che ritraggono Rudel e – udite udite – anche un video a colori che lo mostra senza la protesi alla gamba a colloquio informale con degli ufficiali alleati. Sicuramente è stato girato nel periodo che successivo alla resa e che precede il ritorno a casa dell’asso. Per inciso, egli nacque nell’Alta Slesia, regione che fu inserita nel territorio della Polonia dopo la II Guerra Mondiale

Si chiude con questa breve nota conclusiva il libro che ha come protagonista una delle figure più affascinanti della storia dell’Aviazione militare, in particolare tedesca, che, durante tutto il corso della II Guerra Mondiale, animò i cieli dell’Est Europa. Essa porta il nome altisonante di: Hans Ulrich Rudel.

Per inquadrare l’enormità di questo celebre pilota sarà sufficiente riepilogare in modo asettico i numeri che lo riguardano:

– 2530 missioni di bombardamento in picchiata, attacco al suolo, caccia-carri e ricognizione

– 519 carri armati distrutti (prevalentemente T34 russi) e 150 circa, tra cannoni contraerei e controcarro

– 800 circa, mezzi di trasporto e blindati non meglio definiti

– 11 vittorie aeree (caccia o comunque velivoli da combattimento)

– 70 mezzi da sbarco affondati

– 1 cacciatorpediniere, 2 incrociatori e 1 corazzata (la Marat) affondati

– centinaia di ponti, bunker e linee di rifornimento nemiche

A fronte di questi numeri impressionanti, Adolf Hitler in persona volle decorare Rudel con un’onorificenza appositamente coniata per lui, pertanto egli è ricordato quale unico militare tedesco, fra tutte le armi, ad aver ricevuto la:

 Croce di Cavaliere della Croce di Ferro con Fronde di Quercia in Oro, Spade e Diamanti.

onorificenza Rudel
La decorazione, unica, mai concessa ad un militare tedesco, fu consegnata personalmente da Hitler il 1 gennaio 1945 nel corso di una brevissima cerimonia, presenti i Capi di Stato Maggiore di Marina, Esercito e, ovviamente Aeronautica, certo Hermann Goering, che – racconta Rudel nel suo libro – gongolò giulivo. Per inciso, Berlino era sotto continui bombardamenti alleati, i russi stavano per compiere l’assalto finale, la guerra era irrimediabilmente perduta ma Goering si pavoneggiava davanti ai suoi colleghi delle altre forze armate perchè un suo uomo aveva meritato la più alta onorificenza!?

Rudel fu un soldato instancabile e incorruttibile: benché i suoi comandanti e lo stesso Fuhrer tentarono più volte di allontanarlo dal fronte con incarichi meno pericolosi – e a più alto contenuto propagandistico -, egli volò sul fronte ininterrottamente dall’alba al tramonto, tutti i giorni del conflitto in cui fu possibile alzarsi in volo; compì innumerevoli sortite anche nello stesso giorno, sempre in prima fila, pilotando principalmente uno Stuka e, per una parte della sua carriera, al comando del suo stormo, il famoso StukaGeschwader 2 Immelmann, soprannominato anche “circo Rudel” a seguito delle funamboliche missioni che svolse questo reparto.

Non lo fermò una grave forma d’itterizia, ferite varie, l’amputazione di una gamba fin sotto al ginocchio, i numerosi abbattimenti provocati dalla contraerea russa e talvolta dalla caccia, la rocambolesca fuga dalle linee nemiche con annessa ferita alla spalla e neanche la taglia di centomila rubli che Stalin pose sulla sua testa.

Ma “l’aquila del fronte dell’Est” – così fu soprannominato Rudel – non appartenne alla schiera dei “nobili” piloti da caccia, ossia a coloro che nel corso di un sola missione riuscivano ad abbattere anche più velivoli avversari (magari lenti e poco difesi com’erano i bombardieri russi), no, egli è ricordato come un asso della Luftwaffe (l’Aeronautica Militare tedesca) nella specialità del bombardamento in picchiata, della caccia ai carri armati e di supporto alle truppe di terra.

rudel in cabina
Uno scatto che riprende l’asso della Luftwaffe a bordo – probabilmente – del suo amato Stuka. In effetti Rudel effettuò diverse missioni pilotando anche il famoso Focke-Wulf FW 190 nella versione cacciabombardiere ma non vi si trovò mai a suo agio come con lo Junker Ju-87 Stuka. Nelle pagine del suo libro racconta di averne utilizzati anche più di uno durante la stessa giornata in quanto rientrava dalle sortite con il velivoli talmente messi male in arnese da non poterli utilizzare per la sortita successiva.

Il nome di Rudel è infatti legato in modo quasi inscindibile a quello dello Junker Ju-87 Stuka, una macchina da guerra inizialmente formidabile che Rudel rese strepitosa quando sembrava ormai fin troppo superata. Nato come bombardiere a tuffo (l’unico velivolo, fra tutti quelli utilizzati dai belligeranti del II conflitto mondiale, che poteva eseguire picchiate pressoché verticali), era dotato di aerofreni e di un sistema che lo rimetteva automaticamente in volo orizzontale qualora il pilota fosse svenuto a causa della violenta richiamata. Ebbene, Rudel ne esaltò le doti di precisione, precursore di quello che, oggi, chiameremmo “bombardamento chirurgico”; durante la Battaglia d’Inghilterra, quando, i violenti scontri con i caccia della RAF, ne dimostrarono la vulnerabilità a causa della sua lentezza e della sua limitata manovrabilità, sempre Rudel credette nella sua riconversione in Kanonenvogel (letteralmente: uccello con cannoni), ossia in un micidiale  velivolo anticarro tanto da trasformarlo nel peggior incubo dei carri armati sovietici.

juka rudel 01
Ecco la versione “Knonenvogel” (caccia-carri) del famoso Stuka utilizzato da Rudel sul fronte dell’Est. Si noti la caratteristica mimetizzazione maculato bianca, ideale per il terreno nevoso in cui operò. La capacità operativa di questo velivolo – racconta Rudel – era spesso consentita dai pneumatici decisamente più larghi di quelli installati sugli altri velivoli della Luftwaffe schierati sul fronte russo. Questa particolarità permetteva agli Stuka di potersi muovere anche sulle piste fangose di molti aeroporti.

 

Insomma, Hans Ulrich Rudel fu un guerriero indomabile e instancabile, un esaltato professionista di morte, un impavido stacanovista del combattimento aria-terra, il soldato perfetto del III Reich: resistente alla fatica fisica e psichica, al dolore, alla fame, al freddo.

Eppure, leggendo l’inconsueta prefazione del libro a cura dei suoi genitori, certo reverendo Johannes e mamma Martha, comprenderemo che la guerra provocò in lui una sorta di metamorfosi kafkiana. Così lo ricorda la genitrice:

[…] era un fanciullo delicato e nervoso.

Fino all’età di dodici anni dovetti tenere la sua mano durante i temporali.

Sua sorella maggiore era abituata a dire: “Uli non sarà mai niente di buono nella vita: ha paura di andare in cantina da solo!”.

Proprio questa paura e fragilità spinsero Uli sulla strada del coraggio e della tenacia.

Egli si dedicò agli sport e talvolta trascurò i suoi doveri di scolaro[…]

E per fortuna! … ci viene da commentare.

D’altra parte, anche la sua carriera militare cominciò in modo assai stentato, tra enormi difficoltà. Le sue capacità di pilota verranno giudicate così insufficienti dai suoi istruttori al punto da relegarlo, durante la campagna di Polonia e di Francia, a semplici voli di ricognizione mentre non verrà ritenuto sufficientemente “allenato” per l’impiego operativo durante le ultime fasi della Battaglia d’Inghilterra. Poi, d’un tratto ecco che la larva diventerà libellula.

Rudel, nel libro, lo spiega così:

[…] tutto ad un tratto, dopo un mese esatto, un bel mattino mi dico: “Basta, adesso ho capito tutto! A cominciare da oggi farò del mio cassone tutto quello che vorrò!”. E così faccio.

I miei due istruttori rimangono sorpresi; adesso possono svolgere tutto il programma di addestramento trascinandomi in tutte le figure acrobatiche: resto letteralmente incollato ai loro apparecchi sia che si tratti di un looping, di una picchiata o di un rovesciamento. Quanto alle bombe, le piazzo tutte entro un cerchio di dieci metri e, negli esercizi di tiro a volo, raggiungo novanta bersagli su cento colpi. Per farla breve, sono arrivato al punto “giusto” e mi si promette di lasciarmi partire per il fronte [..]

Ju 87 cacciacarri
Un bellissima inquadratura a terra di uno Stuka equipaggiato dei famosi due cannoni BK 37 da 37 mm che lo resero una formidabile piattaforma di tiro controcarro. In realtà – spiega Rudel nel libro – non era così facile distruggere i carri armati sovietici in quanto fortemente corazzati. L’unica speranza di averne ragione era di colpire le parti meno protette come la posteriore (ove era alloggiato il motore). Già le fiancate erano più ostiche anche se, contendo il carburante o il munizionamento, se perforate, provocavano l’esplosione quasi immediata del mezzo.

Dopodiché nascerà il mito Hans Ulrich Rudel.

Aggiungere altro a proposito di questa icona del mondo dell’aviazione militare lo riteniamo oltremodo superfluo. Certo è che la lettura di questo libro indurrà nel lettore una morbosa curiosità nel sapere di più e nel conoscere le sorti di Rudel dopo la fine della guerra. Almeno a noi così è accaduto … e ne abbiamo scoperte di aspetti interessanti – credeteci -.

Dal punto di vista squisitamente letterario – dobbiamo ammetterlo – l’editore Longanesi, nel lontanissimo 1958, non avrebbe potuto inventare titolo più azzeccato per sintetizzare il contenuto di questo volume che ha un solo protagonista, unico e incomparabile; né sarebbe mai riuscito a trovare un appellativo più consono da affibbiare al nostro asso: ”Il pilota di ferro”.

Noi – certi di non esagerare – avremmo optato per Il pilota d’acciaio o qualunque altro metallo/lega di metalli purché ad alta resistenza … ad ogni modo, anche il ferro è comparabile alla tenacità, alla duttilità, alla durezza e anche tutte le altre proprietà tecnologiche dimostrate dal teutonico Hans.

il pilota di ferro - copertina 02
Una delle varie copertine che ebbe “Il pilota di ferro” nel corso delle varie edizioni pubblicate dall’editrice Longanesi. La foto propone un improbabile gruppo di ben sei Stuka in picchiata, tutti perfettamente uguali, tutti con le stesse ombre, tutti con lo stesso angolo di discesa … si tratta evidentemente di un fotomontaggio di scarsa qualità … e dire che le immagini che ritraggono gli Stuka in azione non dovrebbero essere mai mancate  perchè fu molto fotografato sui fronti – praticamente tutti – in cui operò

Tornando al libro – occorre ricordarlo – quando uscì in Italia, ebbe un notevole successo tanto che la copia in nostro possesso – cartonata con rilegatura rifinita – riporta la dicitura. “terza edizione”. Inoltre fu riproposto successivamente in almeno due versioni dei celebri Super Pocket, sempre dalla stessa casa editrice e, giusto nel 2006, l’Editoriale Domus pensò bene di offrirlo ai lettori della sua rivista Volare, all’interno di un cofanetto intitolato: Eroi del cielo. Per inciso, gli altri due volumi erano: Io sono il Barone Rosso di Manfred Von Richthofen e La grande giostra di Pierre Clostermann.

Infine, giusto nel 2011, l’Associazione Culturale Sarasota ripubblicò il diario di Rudel tale e quale all’originale ma sotto le mentite spoglie di: L’asso degli Stuka, segno evidente di un certo interesse editoriale nei confronti di questo volume.

Se poi consideriamo che libro di Rudel fu pubblicato in diverse lingue (sicuramente in inglese, francese, e spagnolo) oltre che al tedesco e all’italiano, appare evidente che questa autobiografia – o almeno così ufficialmente dichiarata – deve considerarsi a tutti gli effetti un classico della letteratura aeronautica mondiale, uno di quei volumi che gli appassionati di aviazione hanno letto almeno una volta nel corso della loro esistenza o che, più verosimilmente, custodiscono in bella mostra nella loro libreria.

stuka pilot
Ecco la copertina della versione “americanizzata” del libro di Rudel

In verità, attorno a questo volume aleggia un piccolo mistero che una nostra breve indagine editoriale ha presto dipanato e di cui intendiamo rendervi partecipi, non certo per sminuire la figura del “pilota” Rudel, semmai per ridimensionare quella dello “scrittore” Rudel. Di sicuro per rendere giustizia storica a questo libro.

Ebbene, se per l’edizione italiana si deve concedere merito al lavoro di traduzione di certo colonnello Corrado Ricci, è pur vero che non ci è dato sapere ufficialmente da quale volume in particolare fu tradotto: molto stranamente l’editore se ne dimenticò; tuttavia, la risposta è presto trovata … si tratta del libro intitolato: Stuka pilot, pubblicato per la prima volta nel ’57, in inglese, negli Stati Uniti e poi diffuso in tutto il mondo editoriale di lingua anglo-americana.

il pilota di ferro copertina superpocket
Grazie ai Superpocket, alla Longanesi deve essere riconosciuto il merito di aver reso disponibile una notevole quantità di volumi a prezzi decisamente abbordabili e dal formato davvero tascabile. “Il pilota di ferro”, probabilmente, fu uno di quelli di maggior successo. Qui la copertina di una delle due edizioni pubblicate secondo questa formula.

E fin qui, l’alone di mistero è ben sottile; diventa invece più torbido nel momento in cui scopriamo che, purtroppo, si trattò solo di una rielaborazione – non sapremmo dire quanto “addomesticata” – della prima versione del libro di Rudel avente invece titolo: Trotzem, pubblicato nel novembre 1949, dall’editore Durer-Verlag di Buenos Aires, Argentina.

Ora, cosa ci facesse il nostro ex cacciatore di carri armati in Argentina … beh, ve lo lasceremo scoprire nel corso delle vostre ricerche. A livello editoriale rimane però un dato certo: non sarà dall’edizione originale – quella più verace – bensì da quella edulcorata secondo il cattivo gusto tipicamente statunitense, che verranno derivate tutte le edizioni tradotte nelle altre lingue, ivi compresa quella in francese. Edizione che, peraltro, si fregerà di una prefazione a cura proprio del famoso Pierre Clostermann, asso della caccia francese e divenuto amico di Rudel dopo la guerra.

JUNKERS JU 87 - cacciacarri visto da sotto
Una foto spettacolare che ritrae uno Stuka dal basso e in virata. Si può notare la particolare forma in pianta dell’ala e, soprattutto, i pod subalari che contengono i famosi cannoni controcarro, terrore dei carri armati sovietici. Il realtà – sempre secondo il racconto di Rudel – lo Stuka anticarro doveva sempre operare in combinazione con gli Stuka bombardieri in picchiata in quanto le colonne corazzate russe erano  protette letteralmente da una nuvola di cannoni antiaerei. Distrutti quelli, o comunque ridotta l’azione della difesa contraerea, lo Stuka-cannone poteva prendersi cura dei carri. Rudel non fu per nulla un pilota suicidda – come maldestramente riporta il sottotitolo della copertina del libro Longanesi – ma aveva semplicemente messo a punto una tecnica di attacco intelligente e funzionale. Rischiosa – non c’è che dire – ma tutt’altro che suicida.

Questa lunga premessa è doverosa in quanto pone sotto una luce ben diversa il Pilota di ferro: non una composizione genuina bensì un testo manipolato ad arte da qualcuno – probabilmente un giornalista professionista – cui va l’indubbio merito di aver reso estremamente scorrevole – per non dire avvincente – il racconto di Rudel. Beninteso, le imprese narrate sono tante e tali che, probabilmente, anche lo stesso sedicente autore ne avrebbe fatto un testo “onesto” sebbene egli stesso confessi:

Durante gli anni dell’Humanistiche Gymnasium che frequento, perché mio padre ritiene necessari alla mia educazione latino e greco, passo per varie scuole, a seconda degli spostamenti imposti dall’esercizio dell’apostolato paterno.

[…] Dovunque approfitto delle ore libere o delle vacanze per dedicarmi allo sport, anzi, per essere più esatti, a tutti gli sport.

Decathlon in estate, sci in inverno, sono la mia passione […] i miei compiti scolastici soffrono di questa attività. Alla meno peggio, m’avvicino tuttavia alla licenza […].

A ben capire l’autore non era certo un letterato né un fine scrittore tuttavia, la conferma che il suo libro non fu tutta farina del suo sacco – anzi, tutt’altro – viene dalle frequenti “bordate” contro il bolscevismo, la megalomania dei Russi e il loro malcelato desiderio di supremazia assoluta.

Ora, benché Rudel si dichiari animato dai nobili principi della sportività, è facilmente intuibile che non nutrisse simpatia per i russi … anche perché, ad onore di cronaca, li combatté per buona parte della sua carriera militare tuttavia, appare molto stridente la sua affermazione – o di chi per lui, permetteteci di insinuarlo – secondo cui l’offensiva della Germania contro “Ivan” fu preventiva. Insomma – sostenne il pluridecorato pilota da bombardamento – Hitler fu costretto a lanciare l’operazione Barbarossa (l’attacco all’URSS) per non essere sopraffatto da forze preponderanti, ben armate ed equipaggiate che da anni si stavano preparando all’invasione dell’Europa Orientale – almeno -, Centrale – possibilmente -, e magari addirittura Occidentale. Una decisione disperata, l’unica che avrebbe lasciato qualche speranza di vittoria alla piccola Germania contro il colosso bolscevico.

Un alibi inverosimile? Farneticazioni? Forse per Rudel no, di certo neanche per chi – sicuramente statunitense – usò con sottile perfidia il libro del tedesco per inoculare nei lettori una subdola propaganda antisovietica.

Ad ogni modo, comunque sia andata davvero, sarà la storia a stabilire la veridicità di questa congettura. Certo la stonatura letteraria c’è ed è innegabile.

A10 Thunderbolt II
Il Fairchild-Republic A-10 Thunderbolt II, il velivolo statunitense costruito attorno al cannone GAU-8 Avenger da 30 mm a sette canne rotanti, l’unico velivolo moderno davvero specializzato nell’attacco al suolo e nella lotta anticarro. Secondo il sito web: https://alchetron.com/Hans-Ulrich-Rudel-770328-W, il programma di sviluppo di questa formidabile macchina da guerra tenne conto dei suggerimenti espressi da Rudel che in effetti, già nella parte finale del suo libro, accenna alle caratteristiche peculiari dello Stuka e dunque di un suo possibile erede. Non un velivolo veloce perché – spiegherà Rudel negli interrogatori cui lo sottoporranno dopo la sua resa – la mira è più sicura con un velivolo poco veloce piuttosto che con altri velocissimi come potevano essere i P-51 Mustang o i P-47 Thunderbolt. E’ intuitivo: se si vola lenti e stabili si riesce a scaricare sull’obbiettivo un gran volume di fuoco mentre le corazzature e i serbatoi carburante autostagnati renderanno meno vulnerabile il velivolo al fuoco di terra delle armi leggere

Occorre ricordare infine che il volume fu pubblicato in piena Guerra Fredda: c’era già stato il ponte aereo su Berlino, stava per essere costruito il muro di Berlino mentre la cortina di ferro era stata instaurata già da anni. Insomma quale occasione più ghiotta se non usare il libro del distruttore dell’”orda rossa” per lanciare strali contro il nemico comune?

In realtà – è bene ricordarlo – Rudel non nascose mai, durante e dopo la fine della guerra, le sue simpatie per la politica nazista o neo-nazista che dir si voglia. E infatti non ci ha stupito apprendere che nel ‘53, rientrato in Germania (allora Repubblica Federale Tedesca), egli si iscrisse al Deutsche Reichspartei (partito ultraconservatore di estrema destra), per poi presentarsi nelle sue liste come candidato di punta al Bundestag (il parlamento tedesco) senza però risultarne eletto.

Stranamente in Stuka pilot di idee neo-naziste non ce n’è traccia. E dire che, invece, l’altro suo libro, quello nella versione originale, non fu praticamente pubblicato in Germania tanto erano fresche le ferite di guerra causate dal nazismo, tanto erano chiare le frasi inneggianti al neo-nazismo. Insomma, era un libro indubbiamente scomodo, imbarazzante per il corso della nuova Germania … ma da qui a prendersela solo contro i russi, beh, un po’ ne corre – non credete? –

il pilota di ferro copertina 2
La seconda edizione dei Superpocket della Longanesi che riprende la copertina della prima edizione sempre dei Superpocket. Purtroppo il testo del libro è comunque quello tradotto in italiano dalla versione edulcorata e rielaborata negli Stati Uniti intitolata “Stuka pilot”

In tutta onestà qualche dubbio è nato in noi leggendo il pezzo giornalistico presente al seguente link:

http://www.centrostudilaruna.it/la-grande-menzogna-patriottica.html

In ogni caso, preferiamo concedervi questa occasione di riflessione, questo pretesto d’indagine storica e limitarci – per quanto ci riguarda – a valutare il “Il pilota di ferro” esclusivamente sotto il profilo letterario.

Ebbene, il libro si legge con sommo piacere, specie se ci si aspetta – come spesso accade per le autobiografie – una sorta di diario. Viceversa, la prosa è coinvolgente quasi come in romanzo di pura fantasia. Alcune frasi hanno una costruzione inconsueta e anche alcune parole sono ormai desuete ma rammentate che è stato scritto circa 60 anni fa … e questo è il fascino della narrativa d’epoca!?

L’elenco dei luoghi in cui si spostò Rudel con il suo reparto è davvero infinita e non avremmo disdegnato una cartina del fronte Est per seguirne i movimenti nè delle fotografie fuori testo che avessero mostrato almeno il protagonista nonchè i velivoli con i quali volò o si scontrò. Ma ce ne faremo una ragione.

La descrizione della varia umanità con cui Rudel entrò in contatto e di cui parla nel suo libro è spesso stringatissima e solo in alcuni rari casi si concede qualche eccezione.

La narrazione è asciutta, senza ghirigori o raffinatezze; appare come un testo giornalistico della lunghezza di un libro anzichè di un pezzo pubblicato in una rivista di settore. E – dicimocela tutta – tant’è!

In ultima analisi: è un libro da leggere e per il quale spendere qualche euro.

E concludiamo con uno dei motti degli Stuka pilots:

Non far nulla se non sei allenato a farlo

cui fa da contraltare l’aforisma ben più famoso coniato dallo stesso Rudel:

Solo chi si dà per vinto è veramente perduto.

Amen!

 



Recensione a cura della Redazione