Il livello del carburante è basso e diminuisce a vista d’occhio. Ma non è possibile atterrare su questo suolo terribilmente impervio. Non riesco a trovare neppure una piccola striscia di terreno adatta ad un atterraggio in sicurezza. Ma la notte, per fortuna, è illuminata da un’argentea luna piena. Continuo ad aggirarmi col mio velivolo tra le alture che delimitano questa piccola valle perché le nuvole basse m’impediscono di trovare una via d’uscita verso la pianura. Comincio ad aver paura. E’ stato facile raggiungere la valle, ma poi è calata improvvisamente la notte e le nuvole sono scese ad occultare i passi. E così sono rimasto imprigionato in questa gabbia di monti e di nubi. Ho carburante per un ora, ma se non sarò fuori dalla gola entro quaranta minuti, non riuscirò a raggiungere la pista in pianura, e sarò costretto ad effettuare un atterraggio d’emergenza tra questi dirupi scoscesi. Sono un pilota esperto. Ho volato su aeroplani diversi accumulando un’esperienza di migliaia di ore di volo. Ma rischio di morire qui dentro. In questa meravigliosa trappola della natura, ai comandi del mio piccolo velivolo ultraleggero. Si dice che si snodi un film, con le immagini più significative della propria vita, nella mente di chi sta per morire. Chissà se è giunta la mia ora tra queste cime e resterò vittima del mio errore da allievo pilota! Dal momento in cui ho preso coscienza del pericolo di vita un’immagine persistente e nitida mi torna alla memoria: la quercia sulla collina. Era bella la mia collina. Uscivo poco prima del crepuscolo per raggiungerla. Da lassù potevo dominare tutta la valle. Sapevo che a quell’ora la quiete della campagna invitava al raccoglimento, mentre la campana rintoccava il vespero per rammentare alla gente che il giorno stava per finire nel nome di Maria. Cercavo un posto sulla sommità del colletto per accoccolarmi ai piedi della quercia. E col cuore in pace mi stupivo di quell’incanto. Ogni volta come la prima volta. Restavo a lungo in ascolto di quel silenzio magico e solenne che di lì a poco sarebbe stato interrotto dal fruscio delicato e misterioso delle ali delle pojane. Gli uccelli lasciavano i nidi e i loro piccoli, nei pressi del fiume, per raccogliersi sul cielo della collinetta. E volavano in perfetta formazione, felici di eseguire manovre d’alta acrobazia. Al riparo dalle doppiette fameliche dei cacciatori di campagna. Io li aspettavo in silenzio. In genere avvistavo un grosso esemplare in esplorazione. Poi, un poco alla volta, si formava il grande cuneo che ordinatamente effettuava mille evoluzioni sul cielo dell’altura. Le pojane non amano essere osservate. Sono umili e timide. Non desiderano esibire le loro abilità, perché volano per cacciare. E’ il loro modo di sopravvivere. Perciò me ne stavo rannicchiato sotto la quercia. E imparavo a volare. Mio padre era un pilota da caccia. Fu abbattuto nel cielo delle prealpi carniche nel corso di un combattimento. Nel pieno della guerra. Io non l’ho mai conosciuto. Prima del temporale, in certi pomeriggi d’estate, le pojane si levavano in volo dal greto del fiume per raccogliersi sul mio colle e salutare l’acquazzone con le loro evoluzioni. Da piccolo dicevo sempre che da grande avrei fatto il pilota. Come papà. E quando divenni grande volai. Fui un pilota militare ed ebbi l’aquila d’oro. Mentre il comandante del corso me l’appuntava sul petto mio padre era lì con me. Avevo una sua fotografia in tasca. E la portavo sempre nella tasca della tuta di volo quando mi alzavo in missione. Continuai a volare anche quando diventati più grande, come pilota di linea. Poi frequentai l’università e, in occasione della laurea, feci una grande scoperta. Imparai che le pojane avevano ispirato i pionieri dell’aria a costruire le prime macchine volanti della storia! Ma non devo aver imparato la lezione delle pojane né quella di mio padre: la sicurezza innanzitutto! Sono decollato dalla pista in pianura troppo tardi nel pomeriggio. Poi mi sono infilato in questa gola perché mi sembrava la stessa in cui fu abbattuto mio padre. Non mi sono accorto del calar della notte. E delle nubi che si abbassavano sulle cime. Mio padre è morto da eroe. Io morirò da allocco. La benzina scarseggia. Sotto di me vedo sempre e solo montagne. Picchi alti come pinnacoli acuminati e creste affilate come lame taglienti. Nessun praticello per poggiare il fragile carrello del mio aeroplano. Dentro la pancia sento caldo. Sopra la schiena ho un freddo intenso. Sulla testa ho come un peso opprimente. Percepisco rivoli di sudore attraversarmi la fronte. Laggiù, nella mia terra, il campo di girasole è diventato giallo. I semi sono maturi. Il raccolto dovrà essere stivato, altrimenti andrà perduto. Basta sognare… col naso sempre in su, e con gli occhi perennemente rivolti al cielo. Papà è morto da eroe. Me lo dicono tutti. Il campo di girasole è diventato bruno per la grande pioggia che ne ha umiliato le corolle. E le foglie scarne non ricoprono più il terreno né lo proteggono dal sole d’agosto. Ma il sole non c’è più. Quassù fa freddo. E la benzina è agli sgoccioli. Mi sembra di scorgere qualcosa che mi vola accanto! Ispeziono lo spazio circostante. E’ un volatile… A questa quota! Soltanto le pojane raggiungono le vette. Non sono più solo adesso. Andrò a morire in compagnia di una pojana. Mi sembra una magia. Ma ne vedo un’altra… due… quattro… tante… Una formazione di pojane sta volando sul mio fianco sinistro. E punta decisamente verso una nube. La mia mente è attraversata da un conflitto atroce. Ma alla fine decido di affidarmi ai falchi. Ed entro nelle nuvole con loro. Nel buio di questa nube intensa mi sembra d’esser cieco. Procedo mantenendo quota e velocità. Le pojane posseggono un altissimo senso d’orientamento. Volano di notte per cacciare. Non possono fallire. Vanno verso la vita. Con esse posso salvare me stesso e salvaguardare l’incolumità di questo piccolo e prezioso aeroplanino. Ora la luna riappare tra le nuvole frastagliate. E la visibilità si apre a dismisura come una festa. Vedo la salvezza! I piccoli falchi cominciano a scendere lentamente. E io con loro. Ormai docile alle loro indicazioni. Riduco lentamente i giri del motore e seguo la formazione. Mi chiedo se sto sognando. No. Le pojane vanno verso la pianura per procurarsi il cibo. Ecco la spiegazione! E il mio piccolo velivolo è stato inserito nella loro formazione. Il motore continua a girare ma so bene che dovrò appoggiare le ruote al primo tentativo d’atterraggio. Non avrò carburante per una riattaccata e un secondo giro. La “Master Light” è ancora accesa. C’è ancora qualche goccia di benzina dentro l’ala. Sento nella pancia la serenità della planata. La fronte è fresca come l’aria della sera. Il suolo è illuminato dalla luna piena. Sono in avvicinamento finale alla pista zeronove, la visibilità è ampia, il vento è calmo, e sono perfettamente allineato con l’asse. Riposa in pace papà! So che stai vegliando su di me. Sto atterrando con l’aiuto delle pojane che tu mi hai mandato per salvarmi.
#proprietà letteraria riservata#
Mario Trovarelli |