Giovedì 10 giugno alle ore 16.00 arriviamo ad Angers. Io, Pram, Aldo Pianella e Vittorio Valesio. Insomma i quattro del raid Svezia-Italia (Walter Galli si è separato consensualmente da noi il giorno prima a Parigi). Abbiamo attraversato. Svezia, Danimarca, Germania e Francia percorrendo in volo distanze modeste a causa delle condizioni meteo sfavorevoli. La perfomance più lunga è stata di 280 km, ma in compenso abbiamo familiarizzato con molti piloti, parlando a lungo dell’Italia e di Rieti. Inoltre Valesio, come era negli obiettivi dell’iniziativa, ha effettuato delle buone riprese cinematografiche sul volo a vela europeo e sulle strutture didattiche e organizzative. La giornata è calda, grigia ed umidiccia. Aldo Pianella me lo fa notare per l’ennesima volta ed io comincio a pensare seriamente che, in questo inizio d’estate, i tropici si sono spostati, chissà per quanto, alle latitudini europee. Infatti lo stesso clima ci perseguita dalla partenza del Raid da Alkistuna, nel cuore della Svezia avvenuta circa due settimane prima. Comunque l’entusiasmo e la curiosità per questa eccezionale competizione volovelistica che parte da Angers, non mancano. Molto tempo prima, quando non lo so, avevo scoperto che volare liberamente più in là che si può, in funzione delle capacità del pilota e delle condizioni meteo giornaliere, dà emozioni superiori ad ogni altro tipo di volo. Comunque non si tratta di una preferenza insolita visto che in America e in Francia un buon numero di volovelisti ha deciso di organizzare competizioni interamente impostate sulla “distanza libera”. La Transeuropea, oggi alla V edizione, è una di queste. Le regole di gara sono molto semplici, ci dichiara soddisfatto l’ottimo Jean Claude Penaud, ideatore della competizione. Si tratta cioè di partire da Angers e di tornarci dopo aver percorso un quadrilatero di circa 3000 km con tre punti fissi di virata: St Auban (Francia meridionale), Neederoblan (Austria) e Gelnhausen (Germania). Vince chi arriva primo o più vicino ad Angers entro il 2 luglio, dopo una partenza simultanea fissata per il 13 giugno alle ore 12.00. Entrando nei particolari, Jean Claude aggiunge che un carnet di viaggio distribuito ai vari concorrenti ha la funzione di attestare tutti i voli effettuati dal pilota. Infine, precisa Jean Claude, nell’eventualità che il concorrente non possa o non voglia partire dal luogo dove è atterrato, vengono accreditati 400 km, percorribili via terra con la macchina e carrello; da spendere di volta in volta (o in ipotesi insieme) a seconda delle necessità o della tattica di gara. Il credito, tuttavia, si riferisce soltanto ai kilometri percorsi via terra in avvicinamento ad altri punti fissi di virata (dèpannage positivo), non a quelli eventualmente percorsi per spostarsi indietro (dèpannage negativo). L’arrivo con anticipo di tre giorni sulla data fissata per l’inizio della competizione, consente a me a Pram di effettuare alcuni voli locali e di conoscere gli altri concorrenti. Intanto le condizioni meteo cambiano: viene preannunciato, per la prima settimana di gara, il passaggio di fronti freddi e caldi in rapida successione “Pas des problemes” ci dice Jean calude, sempre sereno e disponibilissimo a fornire tutte le informazioni che vengono richieste. Neppure domenica mattina, quando due ore prima della partenza ci troviamo ad osservare scetticamente, sotto la protezione di un hangar, i nostri alianti tempestati da vento e pioggia, Jean Claude perde la sua carica di ottimismo. Il cielo è plumbeo, nubi basse, scure e sfilacciate provenienti da W attraversano diagonalmente il campo di Angers, veloci, molto veloci, sotto altre meno tetre e apparentemente più lente. “Bien on y va”, esordisce soddisfatto Jean Claude. “Quoi?” (che cosa?) faccio io di rimando, preoccupato non tanto per le possibilità volovelistiche della giornata che, per la verità, mi sembrano assai scarse, quanto per la difficoltà che il forte vento laterale può creare al decollo del nostro “velo-bombardiere” Calif A21, tenuto conto anche della potenza non certo rassicurante dell’aereo trainatore (un Morane 180 cv). Comunque, visto che siamo in ballo, ci rassegniamo a portare in linea il “Califfone”. Per ragioni di sicurezza la direzione di gara ci fa dirottare sulla pista in asfalto. Mentre gli altri alianti vengono schierati circa duecento metri davanti a noi, di lato nella pista in erba, ci prende un vago senso di emarginazione. Nel frattempo il motoaliante addetto all’osservazione aerea della linea di partenza, stabilita a 700 m QFE, decolla sussultante e di sbieco come un granchio in stato di ebbrezza. A 500 m, il pilota comunica di trovarsi alla base delle nubi. Manca circa un’ora all’apertura della partenza simultanea. Iniziamo i decolli. Dovremmo partire per terzi come imposto dal sorteggio ma ci avvaliamo della facoltà di rinunciare: non ci va di correre i rischi del decollo senza la prospettiva ragionevole di effettuare un volo di distanza in situazione post-frontale. In altre parole, crediamo che il fronte sta passando, come si rileva dalle informazioni meteo, è meglio attendere di tagliare il traguardo il tempo necessario per consentire alla perturbazione di portarsi il più distante possibile verso sud-est, ossia dove siamo diretti, in modo di evitare di raggiungerla in volo. Ma evidentemente gli altri concorrenti non la pensano così. Infatti decollano tutti e, all’ora stabilita, tagliano il traguardo non senza difficoltà. Mi viene in mente un suggerimento di Jean Claude: le probabilità di vincere la Transeuropea aumentano quanto più km si percorrono in un giorno sommandosi a quelli precedenti . Trenta km fatti in più oggi fanno trenta km in meno domani. Ma neppure la logica del signor Lapalisse può spuntarla sugli scettici. Così l’equipaggio italiano resta a terra, mentre trasportati dal vento favorevole di Nord-Ovest, tenuti sù in cielo a mala pena tra i 300 e i 600 metri, gli altri alianti si spostano verso Sud-Est. Dopo circa tre ore, verso le 16 e 30, le basi delle nubi si sono alzate a 1000 m, il sole è comparso, il vento è ruotato a Nord-Ovest e la “siesta” degli italiani, come verrà definita scherzosamente in seguito, si interrompe. Avvertiamo la direzione di gara e, mentre veniamo agganciati al traino, diamo le ultime disposizioni ad Aldo Pianella e a Vittorio Valesio per il nostro recupero, nel caso assai probabile di interruzione dei contatti terra-aria. I primi istanti del traino non ci divertono affatto, ma ci consoliamo pensando che il pilota che ci sta rimorchiando non deve stare meglio di noi. A fine pista siamo appena sopra agli alberi che circondano il campo, dopo un rullaggio a tutto piede destro per diminuire l’effetto bandiera che tende a disporre il Caproni nel letto del vento da sinistra. In compenso, dopo lo sgancio, troviamo termiche turbolente , ma bene organizzate, disposte in strade di cumuli nella direzione verso cui dobbiamo andare. Inoltre il vento in coda ci spinge velocemente in avanti lungo la rotta. Presto perdiamo il contatto radio con Pianella e Valesio ma non ci preoccupiamo. Infatti abbiamo concordato che l’inseguimento su strada della squadra di recupero faccia una sosta a 60 km circa dal campo per telefonare ad Angers, dove potrebbe ricevere informazioni sulla nostra posizione. Dopo circa 40 km, in prossimità dell’aeroporto di Saumur, dobbiamo prendere una decisione, se cioè mantenerci con prua Est oppure seguire una rotta che ci porti verso il sud della Francia. Quest’ultima soluzione offre il vantaggio di una maggiore componente di vento in coda, ma non ci sembra la più opportuna per alcuni motivi. Primo: l’aeroporto successivo sulla rotta (Chateauroux) si trova a più di 130 km, distanza che non ci sentiamo sicuri di percorrere tenuto conto dell’ora del decollo e dell’eventualità di raggiungere il fronte passato da non molto tempo. Inutile dire che la prospettiva di un fuoricampo con il Calif, in zone agricole coltivate soprattutto a grano e granoturco, già alti più di mezzo metro, non ci alletta per niente, anche in considerazione del forte vento al suolo. Secondo. La navigazione più incerta, per il fatto che tra Saumur e Chateauroux non vi sono tanti punti cospicui di riferimento come seguendo la rotta Est, dove è più facile orizzontarsi mantenendo a vista l’inconfondibile alveo della Loira e dei suoi affluenti. Terzo: la previsione indica per le prossime quarantotto ore una disposizione delle isobare nel senso NW-SE lungo le quali dovranno passare i fronti successivi a breve scadenza. Pertanto, anticipando la discesa a Sud rischiamo di trovarci continuamente sulla traiettoria delle perturbazioni associate ai sistemi frontali, mentre, spostandoci ad Est, potremmo sfruttare l’opportunità di volare in zone interessate solo marginalmente dal passaggio dei fronti. Purtroppo nei giorni seguenti scopriremo che la traiettoria dei sistemi frontali si svilupperà, contrariamente al previsto, da SW verso NE interferendo con la rotta da noi scelta. Intanto alle 18.00 del giorno 13, dopo un’ora e mezza di volo abbiamo già percorso 150 km circa, sorvolando una pianura sconfinata resa particolarmente attraente da boschi, castelli e cittadine pittoresche. Il volo fila liscio sotto la strada di cumuli le cui basi, intanto, si sono alzate fino a 1400 metri. Inutile dire che io e Pram siamo euforici, anche perché il contatto radio con gli altri concorrenti, partiti più di 4 ore prima di noi, ci rivela che il distacco si è ridotto di circa 60 km. Tuttavia la nostra gioia non dura a lungo. A smorzarla interviene dapprima un’ampia zona di sereno che rallenta notevolmente la nostra corsa facendoci toccare un primo punto basso proprio in una località piena di boschi. Poi incontriamo un grosso cumulo nembo in via di degenerazione che crea tra noi e la nostra ignota destinazione una fitta barriera di pioggia. Tentiamo di aggirare l’ostacolo portandoci più a Sud in una zona dove il temporale non è ancora arrivato, ma la quota che perdiamo in pochi km ci costringe ad attendere, in uno zerino a malapena conquistato, il passaggio della cellula temporalesca; speriamo che con il forte vento e l’instabilità dell’aria si ricostituisca in breve tempo il fenomeno termico, nonostante siano ormai le sette pomeridiane. Abbiamo ancora 1000 m di quota e distiamo circa 30 km dall’aeroporto militare di Romorantin. Senza esitazioni facciamo rotta in quella direzione, intanto ci accorgiamo che il vento è girato verso Sud. Continuiamo a scendere; il Calif ogni tanto sussulta centrato da qualche bolla disorganizzata. Siamo a 400 m, ma non riusciamo a vedere l’aeroporto militare. Davanti a noi si stende ora un fitto bosco. Dall’altra parte, secondo le indicazioni della carta, dovrebbero trovarsi il campo e la cittadina di Romorantin. Per la verità, ci sembra di scorgere in lontananza a circa 10 km alcune costruzioni. Sarà Romorantin? Deve essere Romorantin. Fino ad ora in altri voli, in Svezia, in condizioni di visibilità ben peggiori non abbiamo sbagliato la rotta; e poi il bosco, la ferrovia, le case con quell’orientamento, tutto coincide. Decidiamo di avventurarci per coprire quest’ultima distanza che, con la quota che abbiamo – se fossimo a Rieti e se fossimo in finale a sud di Piediluco non ci darebbe preoccupazioni -. Ma non siamo a Rieti, e sappiamo che, in caso di errore, attraverso il bosco, saremmo troppo bassi per scegliere un campo dove posare senza danni l’aliante. Ci imponiamo di avanzare sui 100-120 km/h, resistendo alla tentazione di accelerare per superare più velocemente la distanza di verde che scorre sotto di noi. A metà percorso, l’altitudine è a 280 m, ma abbiamo l’impressione che la nostra altezza sia inferiore. Infatti, uno sguardo alla carta mi conferma che l’aeroporto di Romorantin è più alto di circa 40 m rispetto a quello di Angers. Bel colpo. Restano ancora 5 km da percorrere. In assenza di vento per attraversare questo tratto sarebbero sufficienti 120 m alla massima efficienza, ma il vento, purtroppo contrario, c’è (se no perché si agiterebbero in quel modo le fronde degli alberi?). Ormai le costruzioni della città, che dovrebbe essere Romorantin, si vedono chiaramente. Un’occhiata alla bussola, che indica 100 gradi, mi dà un fuggevole senso di sicurezza perché, se è vero che con quella prua non potremmo non arrivare sulla verticale del campo di volo, è altrettanto vero che le cime degli alberi cominceranno tra non molto a solleticare fastidiosamente il pancione del Calif. Non resisto alla tentazione di confidare a Pram questa specie di battuta, con il risultato d risvegliare anche in lui, benché di teutonica discendenza, un sorta di umorismo tipicamente latino. Tant’è che, di rimando, forse costretto dalla tensione a parlare per infiniti, mi risponde “zagagliando”: “Pe …, pe … pensa quando cime di albero solleticare pancia di aliante, subito dopo noi prenderlo nel cu … cu …” E di colpo il contatto delle mie natiche con l’aliante comincia a cagionarmi un fastidioso disagio. Ora la cittadina è alla nostra sinistra, mentre l’aeroporto seguita a giocare a nascondino. 130 metri di altimetro, 90 m sul QFE locale. Proprio davanti a noi, distante circa mezzo km vediamo un prato. Non abbiamo scelta: atterraggio in diretta e speriamo che non ci sino trabocchetti. Superati gli ultimi alberi, fuori il carrello, fuori tutto e piombiamo inattesi nel bel mezzo del campo di volo di Romorantin sotto gli sguardi probabilmente sorpresi di quello che tra breve sapremo essere il fior fiore del volovelismo militare francese. Sono le 19 circa, poco più o poco meno, del 13 giugno 1982. Ci troviamo a circa 180 km da Angers. La brezza, che ci rinfresca il viso, in mezzo all’erba più verde del verde, restituisce di colpo entusiasmo ed ottimismo a due piloti che, pochi attimi prima, avrebbero giurato e spergiurato di appendere le ali al chiodo. Dunque siamo davvero nel bel mezzo dell’aeroporto militare di Romorantin. E dove altro dovremmo essere? Tutto, dalla bussola alla carta dava per certo che eravamo a Romorantin. Perché tanta insicurezza? Mah, penso perché un pilota, a differenza di un autopilota, ipotizza l’eventualità dell’errore, anche quando i dati a sua disposizione escludono l’errore e resta insicuro fin quando non si verifica l’evento che egli attendeva. Già, deve essere così ed è bello che sia così; perché in fin dei conti, se il volo a vela fosse fatto di scelte costantemente radicate su certezze, sarebbe, a tutti i livelli di preparazione e di capacità, molto ma molto meno affascinante Ovviamente il volo a vela in “distanza libera” accentua certi aspetti, come dire, avventurosi, del volo in generale, anche dal punto di vista dei rapporti umani. Per esempio mi chiedo come mi accoglieranno i piloti di Romorantin, mentre con un sorriso a salvadanaio io e Pram apriamo la cappottina ed iniziamo le operazioni di sbarco. “D’ou venez-vous?” Prima ci qualifichiamo: “Siamo dei piloti italiani che partecipano alla Transeuropea. Savez-vous? Veniamo da Angers” “Ah! La Transeur!” “Oui, oui” fa di rimando Pram in perfetto francese. “Et les autres?”domandano. Già, gli altri concorrenti dove saranno? Un’ora prima erano davanti a noi più a Sud ad una distanza variabile tra i 60 e i 100 km. “Più avanti, più avanti” rispondo non senza pensare che ciò, oltre ad essere vero, costituisce il tipo di risposta che a loro piaceva sentire da concorrenti italiani in gara con i francesi. Purtroppo, mi attendo anche l’immancabile domanda sul perché del distacco, così gioco di anticipo cercando di cavarmela con una battuta tipo: “Sapete, è per la siesta!” alludendo ad un’usanza italiana, forse non più molto attuale e diffusa per l’intera penisola, ma che all’estero continua a caratterizzarci non meno di quella degli “spaghetti e mandolino”. L’ilarità è generale, residue possibili diffidenze sono fugate e veniamo accompagnati in tripudio ad una bevuta collettiva. Poi la telefonata d’obbligo ad Angers ci informa che due concorrenti sono riusciti a percorre 300 km, mentre gli altri si trovano a distanze variabili di 200-250 da Angers; alcuni in campo, altri in fuori campo. Per la notte siamo ricoverati gratis in una delle stanze con letti a castello del club privato di volo a vela. Non sarà la nostra sola esperienza di questo tipo in Francia, dove molti club sistemano gratuitamente per la notte i piloti pellegrini. A causa delle condizioni proibitive del tempo resteremo a Romorantin quattro giorni. Passiamo le ore conversando con alcuni soci assidui del club privato di Romorantin e con i piloti militari. In tal modo apprendiamo che il volo a vela è molto diffuso nell’aviazione militare francese. Le competizioni sono frequenti, la disponibilità di alianti enorme (numerosi Nimbus, ASW20, LS4) e soprattutto la mentalità è quella del volovelista sportivo, a differenza di quello che accade in Italia. Una mattina, il cielo ancora piovoso solito vento da est, le basi dei cumuli raso terra, i nostri amici sono effervescenti, pare che ci sia la possibilità di fare gara. “Hei, piloti italiani, se partite per primi vi diamo un traino gratis, ma è top secret!” L’orgoglio nazionale ci fa cadere nella trappola. Evidentemente i militari francesi non credono nella giornata, ma serve un “volo civetta” per prendere la decisione definitiva. Così, in men che non si dica, ci troviamo agganciati ad un Robin militare a guardarci, io e Pram, come due fessi. Le condizioni non sono mutate, ad eccezione del vento che ora è tornato a soffiare forte da Ovest. Eh va bè, andiamo. Il pilota del traino si esibisce in una partenza con campo in salita destinata ad essere tramandata da padre in figlio. Infine decolliamo. Pensiamo di dover seguire il traino in un lungo circuito rotatorio di sicurezza, invece il pilota procede dritto finchè a quota 500 m si mette ad agitare le ali peggio di una cornacchia in amore. Sganciamo, per disciplina di volo, ma siamo a circa 10 km sottovento al campo in un’aria che, in assenza di ostacoli e di irraggiamento, si muove solo in senso longitudinale. Di ascendenze neppure l’ombra eccetto qualche pacca sonora. “Che famo?” domanda in perfetto romanesco Pram. Penso che dobbiamo stare al gioco, ma è dura. Per fortuna una specie di boschetto su un collinozzo alto sì e no una ventina di metri sulla pianura,opponendosi al vento, genera una specie di ascendenza sbilenca alla quale ci aggrappiamo. Da terra Pianella ci comunica che i concorrenti e la direzione di gara sono in grande attesa. Vogliono sapere posizione, quota e condizioni. Ci riserviamo una frequenza su cui possiamo parlare a volontà. La tentazione di ricambiare lo scherzo dello sgancio, a distanza limite per il rientro in campo, ci induce a comunicare: “Qui è Charlie Papa a circa 40 km SE dal campo, in salita più due, 800 m”. Ovviamene abbiamo raddoppiato tutto, salvo i valori di salita che, in eccesso di megalomania, abbiamo addirittura quadruplicato. In un batter d’occhio il cielo si riempie di alianti e di voci. Poco dopo molte, moltissime ci sembrano su di giri. “Nous sommes fottus (siamo fottuti)” esclama qualcuno. “Dove sono gli italiani?” chiedono i soliti curiosi. Ma noi ci siamo imposti il silenzio radio. Intanto tentiamo di andare avanti, finché dopo cinque ore con soli trenta km percorsi, un campetto nei pressi di Vierzon ci sembra sufficientemente anonimo per sfuggire l’incontro con qualche concorrente che ha trovato sgradevole il nostro scherzo. Purtroppo, dopo un’oretta, un orda di concorrenti prende terra sullo stesso campo. La rissa ci pare inevitabile. Comunque, a mani alzate, punto sui piloti che hanno trascinato gli alianti ai bordi della pista e con il sorriso più candido esclamo: “Salveee!” ricevendo in risposta corale: “Oh, merde!!!!” Il giorno successivo, perdurando temporali e cielo coperto, agganciamo il carrello e partiamo per Roanne. Ormai il tempo stringe, tutti dobbiamo essere in Italia per impegni di lavoro entro i prossimi 5 giorni. Arriviamo all’aeroporto verso le 22.00, giusto il tempo per partecipare ad una festa del locale AeroClub ed incontrarci con uno dei concorrenti delle Transeuropea, l’olandese Vander Velde. Beviamo, ridiamo e scherziamo fino a notte fonda, anche perché le condizioni meteo continuano ad essere proibitive. Finalmente alle quattro andiamo a letto nella solita sistemazione a castello. Prevediamo di farci una bella dormita ed invece ci siamo appena addormentati quando l’olandese, come un energumeno, entra nella stanza urlando in un italiano stentato: “L’onda, l’onda!!!” Il primo a svegliarsi di soprassalto è Pianella. Mi fissa allarmato perché ha capito che c’è una bomba. Mi precipito alla finestra e vedo uno spettacolo mozzafiato. Sulle colline, al di là della pista di atterraggio, si staglia netta nell’azzurro del cielo, illuminata dai primi raggi solari, una lenticolare dai contorni perfetti, piatta allungata a tremendamente invitante. In mezz’ora l’aliante è montato e portato sulla pista. Decolliamo, digiuni e insonnoliti alle 7.00, circa. Subito dopo lo sgancio, a 800 m QFE, entriamo in laminare. La media di salita è bassa, 1,50 m/sec, ma la magia della salita silenziosa e senza scosse nel primo mattino ci dà sensazioni che non si possono comunicare. Poco a poco la valle della Roanne si fa piccola, l’orizzonte si allarga e ci troviamo sopra un mare sconfinato di nubi. Percorreremo sul fronte dell’onda (generata da un vento di SW) circa 100 km con prua 180°, poi saremo costretti a tornare indietro una trentina di km a causa della sottostante copertura, alla ricerca di un po’ di sereno dove effettuare con sicurezza la discesa. Nell’atterrare nella piccola avio superficie di Saint Chamond, non sappiamo che sarà il nostro ultimo exploit nell’ambito della V edizione della Transeuropea. Le Alpi sono vicine, tira aria di casa e speriamo ancora di attraversare le nostre montagne in volo, ma non avremo fortuna. Peccato, del resto, prima di affrontare il raid Svezia-Rieti, comprendendovi anche una tratta della Transeuropea per arricchire le nostre esperienze, non ci eravamo illusi, ben sapendo che la meteo è bizzarra e che un periodo normalmente favorevole per i voli di distanza sul territorio europeo può, a seconda degli anni, rivelarsi negativo. Non per nulla ci eravamo prefissati, oltre allo scopo sportivo, quello documentaristico (film Valesio) e pubblicitario (Rieti volovelistica). L’altro interrogativo riguardava come ci avrebbero accolto i volovelisti svedesi, danesi, tedeschi e francesi. Beh, scherzi a parte, il calore, la cordialità e lo spirito di collaborazione che hanno animato tutti i nostri incontri con i piloti europei, ci hanno fatto sentire partecipi di una grande famiglia. Non fosse che per questo, la nostra impresa, che qualcuno si è subito affrettato a definire inutile, non è stata no, un’impresa inutile!
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A Hug |