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Ero Amelia Earhart

titolo: Ero Amelia Earhart

autore: Jane Mendelsohn 

editore: Bompiani

anno di pubblicazione: 2009 (tascabile)

ISBN: 978-88-452-5378-2




Ammetto che non è facile incappare in una biografia che sia esauriente senza essere monotona, che sia verosimile benché elaborata su informazioni incerte, che sia cronologicamente attendibile e al contempo risulti di piacevole lettura. Non è facile – è vero – ma risulta praticamente impossibile se poi non si tratta di una biografia o di un’autobiografia bensì di un romanzo sebbene liberamente ispirato alle vicende storiche della protagonista.

Di chi sto parlando? E’ presto detto. Il titolo del volume è un inequivocabile: “Ero Amelia Earhart – La prima aviatrice che sorvolò l’Atlantico” e il personaggio storico è appunto la trasvolatrice statunitense Amelia Earhart.

Amelia Earhart immortalata davanti al suo Lockheed Electra, velivolo a bordo del quale stava compiendo la trasvolata equatoriale intorno al mondo con una rotta che andava da Ovest verso Est quando scomparve nell’Oceano Pacifico assieme al suo navigatore Fred Noonan. Era in corso la tratta che l’avrebbe condotta dalla Nuova Guinea fino all’isola di Howland, nel bel mezzo del Pacifico. Una delle congetture circa la sua scomparsa è legata proprio alla sua presunta attività spionistica concordata con il governo statunitense giacché quella rotta le avrebbe consentito di scattare foto preziosissime circa gli insediamenti nipponici in aree che erano state proibite agli statunitensi come le Isole Marshall. Secondo questa congettura, Amelia avrebbe consegnato gli scatti ancora caldi e segretissimi alla US Navy che – casualmente – aveva dislocato a ridosso dell’isola la nave della US Cost Guard (Guardia Costiera staunitense) Itasca con lo scopo di fornire assistenza e radio e logistica all’impresa della Earhart.  Oltre a questo c’è un altro dettaglio che avvalora parzialmente l’ipotesi: la pista sull’isola Howland fu appositamente realizzata a uso e consumo della Earhart con i fondi statali, ossia dei contribuenti statunitensi … una stonatura evidente rispetto a un’impresa squisitamente privata, peraltro finanziata dalla Purdue University, da proventi pubblicitari e dalla famiglia Putnam/Earhart. E’ pur vero che Amelia era un’amica personale della famiglia Roosvelt (allora Frank Delano Roosvelt era Presidente degli USA) e in particolare della signora Eleonor Roosvelt. Inoltre la pista di atterraggio sarebbe potuta tornare comunque utile alla US Navy in caso di conflitto (ormai nell’aria) con il Giappone anche se ufficialmente venne creata per consentire ad Amelia di compiere l’ultimo salto verso la costa orientale del Pacifico. (foto proveniente da www.flickr.com)

Il romanzo, e sottolineo romanzo, benché pubblicato nel 1996 nel paese a stelle e strisce, è stato reso fruibile in Italia solo nel 2009 per merito di Tilde Riva alla quale l’editore Bompiani ha affidato la traduzione di un vero e proprio best-seller, almeno a giudicare dalle “più di 200 mila copie” vendute oltreoceano (come tiene a precisare la IV di copertina). Inoltre l’opera di esordio della scrittrice Jane Mendelsohn, ha riscosso entusiastiche recensioni da parte di alcuni critici statunitensi (anche queste puntualmente riportate nella IV di copertina e soprattutto nel sito web dell’autrice) mentre fu addirittura inserito tra i finalisti di alcuni premi prestigiosi letterari come l’Orange Prize o il Dublin Literary Award. Senza vincerli, fortunatamente.

A questo punto occorre chiarire l’equivoco che mi ha condotto ingenuamente all’acquisto di questo libercolo in edizione tascabile di 158 pagine: il desiderio di sapere meglio e di più di Amelia Earhart, delle sue prime esperienze di volo, delle sue imprese e, non ultimo, della sua ultima trasvolata di cui, a tutt’oggi s’ignora l’esito nonostante periodicamente si rinnovino congetture, testimonianze più o meno attendibili, ritrovamenti del presunto relitto del suo velivolo o di resti ossei scovati in sperdute isole del Pacifico.

Dicevo un acquisto incauto alimentato principalmente da un titolo ineccepibile e confermato da un sottotitolo altrettanto esplicativo, invece … il romanzo ha un prologo che avrebbe già dovuto farmi drizzare i capelli. Eccolo:

“Il cielo è di carne”.

Prima frase della prima riga della prima pagina.

La splendida immagine di uno stupendo Lockeed L-12A molto simile al model 10-E con cui Amelia Earhart tentò la circumnavigazione aerea del globo nel 1937. Ovviamente l’esemplare ritratto è stato restaurato in tutta la sua bellezza ma rende l’idea di come potesse essere all’epoca quello di Amelia. Non a caso questo esemplare fu utilizzato largamente per le riprese aeree del film “Amelia” nel quale l’eroina statunitense era impersonata dall’attrice Hilary Swank. Ad ogni modo, in quei primi anni ’30, l’Electra era sicuramente un velivolo all’avanguardia: piuttosto veloce, interamente metallico, carrello retrattile, motori carenati modello Wasp da 600 hp che, proprio nel caso della versione “E” di Amelia, furono quelli con la maggiore potenza disponibile tra i propulsori installati nei 149 Electra complessivamente costruiti.  In realtà il velivolo da lei utilizzato era stato privato dei sedili dei 10 passeggeri previsti e dunque equipaggiato di serbatoi supplementari. Non era un dettaglio da poco perché solo in questo modo poteva aumentare notevolmente la sua autonomia di volo già ragguardevole per l’epoca. L’unica complicazione fu l’accesso ai comandi di volo perché la pilota doveva salire sul dorso dell’ala e calarsi letteralmente nella fusoliera dopo aver aperto la botola nel cielo della stessa cabina. Anche il musone poteva essere aperto all’occorrenza ma non risultò mai agevole, posto quasi a 3 metri d’altezza da terra (foto proveniente da www.flickr.com)

Concediamoci un istante di riflessione … mi chiedo e vi chiedo: come fa il cielo a essere di carne? Il cielo è azzurro (generalmente, luminoso (durante il giorno) o buio (di notte), è plumbeo (nelle giornate nuvolose o invernali), è burrascoso (durante i temporali), è purpureo (al tramonto o all’alba) e tanto altro ancora … ma, onestamente, mi è difficile pensare che possa essere “di carne”, non vi pare?

Anche facendo ricorso alla più fervida immaginazione, anche utilizzando la chiave di lettura più universale, cosa intende comunicarci l’autrice? Perché affermare qualcosa di assolutamente improbabile? Forse che il cielo sia vivo? Che sembra animato di vita propria? Probabile.

I lettori più visionari potrebbero classificarla come un’espressione altamente poetica, di altissimo effetto evocativo, quasi metafisica, viceversa io confesso di essere molto materialista e non ci vedo niente di lirico. Ma potrebbe essere un mio limite – lo riconosco -.

Amelia Earhart e Fred Noonan simulano la consultazione della carta geografica ove è riportata la rotta di una delle tratte in cui divisero il loro periplo del pianeta. La foto fu scattata a uso e consumo dei numerosi fotografi/giornalisti presenti e che diedero eco alla loro impresa. D’altra parte non si consulta abitualmente una voluminosa carta geografica usando come tavolo di carteggio la deriva del Lockeed Electra, non vi pare? (foto proveniente da www.flickr.com)

A quella prima riga un lettore intollerante avrebbe potuto tranquillamente chiudere la copertina e infilare il volume in un angolo remoto della propria libreria, regalarlo a che qualche sedicente amico, rivenderselo al mercatino dell’usato o immetterlo nella rete di scambio libri … io, invece, cosa ho fatto? … imperterrito, sono andato oltre! Così ho scorso la seconda e poi la terza riga fino a completare la lettura della prima pagina e … bum! Disorientamento spazio-temporale.

Mi spiego. A fine prima pagina ho trovato la seguente affermazione:

“Quello che so è che la vita che ho vissuto da quando sono morta la sento più reale di quella vissuta in precedenza”.

A quel punto mi sono domandato se avessi bevuto troppo a cena (a volte preferisco una sana lettura dopo cena) … ma poi mi sono detto: era solo acqua minerale! Leggermente gassata sì, ma pur sempre acqua minerale, sicché non ho potuto far altro che alzare le mani al cielo maledicendo il mio limitatissimo quoziente intellettivo; nel frattempo si materializzava nella mia mente la scenetta di un celebre film di Carlo Verdone in cui un suo famosissimo personaggio si chiedeva con gli occhi strabuzzati e il viso ingenuissimo: “In che senso?”

Amelia Earhart, protagonista principale di questo romanzo sorride a favore dell’obiettivo del fotografo. Nata nel 1897, nel 1937 era prossima ai 40, era praticamente nel fiore dei suoi anni ed era già molto famosa per aver trasvolato l’Oceano Atlantico, una prima volta come passeggera e una seconda come pilota solitaria a bordo di un monomotore alla stregua di Charles Lindbergh, primo uomo a sorvolare l’Oceano con una macchina volante senza scalo. Di Amelia è disponibile una cospicua quantità d’immagini che la ritraggono nelle situazioni più disparate e questo grazie a una scelta assai lungimirante del marito di Amelia: nel 1932 assunse un fotografo a tempo pieno, certo Albert Louis Bresnik che divenne poi un amico di famiglia, una sorta di fratello minore per Amelia. La seguirà da presso fino al suo ultimo decollo nella tratta che le fu fatale (foto proveniente da www.flickr.com)

Premesso che non viene espresso in modo esplicito chi sia la voce narrante – arguisco la stessa Amelia Earhart – mi ripeto: “la vissuta da che sono morta” … ma sei morta come hai fatto a vivere? E poi come fa una vita da morta – che è una “non vita” – a essere reale, addirittura più della vita precedente? Perché quella sì che potrebbe essere stata reale …

Magari si tratta di una figura retorica? Sarà … ma sono sempre io che non capisco – lo confesso -.

Ora, senza voler fare l’accademico letterario bigotto o il meschino stratega editoriale, è universalmente conclamato che la prima pagina di un qualsiasi volume (che sia un saggio, una biografia o un romanzo), dovrebbe invogliare il lettore a proseguire nella lettura, incalzato magari da un primo episodio pirotecnico, da un intreccio che lasci intravvedere contorsioni, colpi di scena o comunque altri capitoli intriganti. Invece qui il lettore viene semplicemente disorientato e, considerato che non si tratta di un romanzo giallo, insomma un poliziesco d’alto bordo, perché mai lanciare enigmi, così a freddo, già dalla prima pagina? Bah …

… ma sono andato oltre, straconvinto che questo prologo criptico si sarebbe svelato con il prosieguo del testo; giunti a metà della seconda pagina scopro che Amelia sta:

“sorvolando il Pacifico da qualche parte al largo della Nuova Guinea, sul mio bimotore Lockeed Electra, e mi sono smarrita.”

Frederick Joseph “Fred” Noonan fu scelto per l’impresa della trasvolata attorno al mondo perché era uno dei migliori navigatori aeronautici disponibile all’epoca. Fred aveva trascorso una ventina di anni imbarcato sui mercantili che avevano attraversato i sette mari del pianeta; aveva cominciato come semplice marinaio ed era giunto a diventare comandante di nave mercantile. Nel frattempo era diventato anche pilota di aeroplano e dunque fu relativamente facile per lui diventare navigatore aeronautico presso la Pan American Airways in seno alla quale lavorò come navigatore mappando e stabilendo le nuove rotte che i primi idrovolanti della compagnia coprivano attraverso il Pacifico. Naturalmente la navigazione aeronautica è una derivazione di quella nautica e, contrariamente a quella moderna che si appoggia ai sistemi GPS, alle piattaforme inerziali o alle radioassistenze, all’epoca era solamente astronomica, e veniva praticata con l’ausilio di sestante, carte e cronometri; il navigatore saliva nella cupola vetrata del velivolo e provvedeva ai suoi rilievi astronomici, cielo sereno permettendo, poi calcolava la posizione stimata del velivolo e la rotta da suggerire al pilota per giungere a destinazione. Noonan era diventato uno vero specialista nella navigazione aeronautica. Arrivato al massimo della sua carriera (era diventato istruttore dei navigatori della Pan Am), aveva deciso di abbandonare la compagnia aerea e, intenzionato a creare una scuola di navigatori tutta sua, aveva accolto subito la proposta di fare da navigatore nella difficile impresa di Amelia. Quale migliore pubblicità per la scuola che avrebbe avviato al suo ritorno? Purtroppo per lui quel ritorno non avvenne mai (foto proveniente da www.flickr.com)

E aggiungo io, perfido: non solo lei. Anche l’autrice.

Ora la scrittrice laureata con lode alla Yale University, dovrebbe sapere che, sempre secondo la migliore tradizione letteraria universalmente diffusa, un qualsivoglia testo (racconto o romanzo che sia) per “funzionare bene” dovrebbe far comprendere rapidamente al lettore il come-dove-quando-perché. Che sono poi sono gli elementi base di una trama di un testo degno di questo nome. E di successo – aggiungo io -.

Bah, forse alla Yale University questi rudimenti base della scrittura creativa non li insegnano …

Dopodiché, proseguendo la lettura, riappare la visione del cielo di carne, ma stavolta in versione lussuriosa:

“Guardo il cielo inarcarsi e gonfiarsi, e di tanto in tanto mi pare pure di vederlo fremere”.

Per completare la descrizione libidinosa, l’autrice aggiunge:

“Voluttuoso, torrido nel calore nudo, mi sembra carne di donna. Ma poi di colpo la luce ne illumina un fascio di proporzioni più mascoline – un muscoloso baleno di azzurro, un’ampia asse come il dorso di una mano – ed eccomi a riconoscere, benché malvolentieri, la bisessualità della natura“.

Ancora una bella immagine del Lockeed Electra e di Amelia assisa sopra la cabina di pilotaggio. Il velivolo era stato preparato dalla Lockeed ad uso e consumo di Amelia e, a scopi pubblicitari, venne definito come una “laboratorio volante”  più che altro per giustificare il notevole sostegno economico fornito a scopo scientifico/tecnologico dalla Purdue University ma, di fatto, la componente scientifica della trasvolata attorno al globo fu davvero insignificante come pure le ricadute a carattere tecnologico giacché l’Electra era già un aeroplano molto avanzato in termini di soluzioni costruttive (foto proveniente da www.flickr.com)

Ora passino pure le improbabili visioni erotiche, peraltro omosessuali, ma che c’azzecca la bisessualità della natura con un volo equatoriale attorno al globo? Onestamente, a me sfugge il nesso logico … e a voi? Sapete come sentenzierebbe una ipotetica professoressa siciliana, rigorosamente zitella e con tanto di occhiali corredati da catenella dorata? Beh, io sì: “Il cielo è sostantivo di genere maschile, e quindi masculo je!” Fine della bisessualità.

Tornando al testo del romanzo, il prologo si chiude con Amelia che racconta:

“la risacca ride. La luce nuota. Guardo sulla sabbia gli scheletri di pesce tracciati dall’ombra delle foglie di palma”.

Bum! Altro disorientamento spazio-temporale per il povero lettore. Ma un istante prima non eravamo in volo? Perché qui si parla di spiaggia, palme e risacca? Siamo già atterrati in un battere di ciglia? D’accordo l’inaudita potenza della narrativa (più efficiente di una porta dimensionale interstellare) ma così è un filino troppo, non credete?

Invece no, non stupitevi più di tanto: è solo l’inizio dell’abisso perché tutto il romanzo è un andirivieni tra il racconto di questo ultimo volo di Amelia, la sua vita precedente, durante e successiva il volo in questione. Avete letto bene: quella successiva! Perché nell’immaginario della scrittrice statunitense, Amelia sopravvive all’atterraggio di fortuna nel piccolo atollo di Nikumaroro (in passato denominato Gardner Island) e così pure il suo navigatore Fred Noonan mentre il relitto del povero Electra giace a ridosso della spiaggia, ormai inservibile. Che poi è una delle tante tesi ricorrenti di cui parlavo all’inizio circa la fine dell’impresa volatoria di Amelia & Co.

Dicevo … una trama tutto sommato semplice, forse prevedibile se non fosse che l’intreccio della vicenda narrata è funambolico, contorto, sovrapposto. Occorre prendere appunti per ricordarsi chi è la voce narrante o in quale luogo è ambientato il racconto. Questo perché il romanzo è composto da piccoli blocchi di testo che si alternano continuamente: dapprima la narrazione è in prima persona (Amelia), quindi in terza persona (un ipotetico osservatore esterno) oppure in un blocco siamo a New York, il blocco dopo sull’atollo e quello dopo ancora in volo sull’Electra per concludere in bruttezza con alcune brevi perle di saggezza pseudo filosofiche infarcite – attenzione, attenzione – di visioni dal forte potere evocativo. Secondo l’autrice, s’intende.

Posso aggiungere un altro dettaglio sconvolgente? Ebbene, non esiste il discorso diretto, o meglio non esistono tracce grafiche dell’apertura e della chiusura del discorso diretto. Per intenderci l’autrice ha evidentemente ritenuto inutile utilizzare le virgolette, le lineette, financo le mostruose doppie v orizzontali o qualsiasi altro simbolo convenzionale (troppo convenzionale!) per indicare i colloqui, peraltro assai scarni, tra i pochi personaggi. Risultato? Semplice: i dialoghi si aprono e si chiudono come fossero parte del discorso indiretto.

Ammetto che non sono un tradizionalista bigotto in fatto di estetica tipografica ma permettetemi di urlare almeno: blasfemia! L’ortografia assassinata pubblicamente, piegata alle bizze eccentriche di un’esordiente irrispettosa delle convenzioni letterarie universali; se non blasfemo, è almeno satanico! 

Il lettore deve intuire i dialoghi, avrà pensato l’autrice … invece il lettore si perde – sostiene il sottoscritto -. Quello stesso lettore umile e appassionato che sarà costretto a una fatica sovrumana al punto che si domanderà – e me lo sono domandato anch’io più volte, credetemi – se valga la pena continuare a leggere un siffatto guazzabuglio di libro. Ma niente: io, imperterrito, ho continuato fino all’epilogo. Potere del prezzo di copertina!

Una rara immagine di Amelia Earhart e suo marito George Palmer Putnam in chiave domestica. Amelia aveva conosciuto George quando si era presentata presso il suo ufficio per chiedergli un impiego. George era all’epoca un editore famoso e benestante giacché aveva curato la pubblicazione del libro autobiografico “We” di Charles Lindbergh in cui il primo uomo che aveva sorvolato l’Oceano Atlantico dagli Stati Uniti a Parigi in solitaria e a bordo di un monomotore raccontava il suo volo memorabile e le sue esperienze di volo precedenti all’impresa. Il libro aveva venduto la bellezza di 650 mila copie solo il primo anno di pubblicazione – numeri impensabili oggi ma notevolissimi anche allora – tanto che l’autore (ma anche l’editore Putnam) avevano mietuto dei guadagni davvero ragguardevoli. In realtà George era a sua volta uno scrittore nonché un esploratore oltre quello che chiameremmo oggi un “promotore” o un addetto alle pubbliche relazioni, ossia un organizzatori di eventi, conferenze, campagne pubblicitarie e – occorre ricordarlo – svolse un ottimo lavoro a beneficio della moglie. Generalmente si dice che dietro un grande uomo si celi una grande donna … nel caso di Amelia è il contrario, senza nulla togliere alle capacità, alla caparbietà di lei nel voler concretizzare i suoi sogni impossibili. La vicenda personale di “GP”, così lo chiamava abitualmente Amelia – e così lo ritroveremo anche nel romanzo – si intrecciò con quella di Amelia prima commercialmente e poi sentimentalmente sebbene lui fosse già sposato (ma la consorte dell’epoca aveva già un solido rapporto extra coniugale). I due si frequentarono per alcuni anni e poi nel 1931 convolarono a nozze dopo che GP ebbe ottenuto il divorzio. Dalle cronache del tempo, difficile dire se tra loro ci fu il vero amore o solo interessi reciproci … all’inizio prevalse sicuramente il secondo aspetto se non altro testimoniato dal fatto che GP volle ospitare in casa sua Amelia pur di farle scrivere in modo proficuo il suo primo libro “20 hrs., 40 min.” pubblicato nel 1928 nel quale lei descriveva la sua esperienza del volo transatlantico a bordo del velivolo trimotore Friendship in qualità di passeggera. Alla stregua di quanto lui aveva già fatto con Lindbergh, l’operazione funzionò sebbene con risultati economici ben più modesti ma quello divenne comunque l’inizio di un sodalizio che si rivelò vantaggioso per entrambi. Nel momento in cui la US Navy cessò ufficialmente le ricerche di Amelia e Fred – che erano state effettuate con grande dispiego di uomini e mezzi e, non ultimo, con costi per i contribuenti che si aggirarono attorno ai 4 milioni di dollari – , George non si diede per vinto e finanziò a sue spese ulteriori ricerche, purtroppo  senza esito. Cronologicamente parlando, Amelia scomparve nell’estate 1937, nel gennaio 1939 fu ufficialmente dichiarata defunta e nel maggio dello stesso anno George si risposò … quello che si definirebbe un vero vedovo inconsolabile!  (foto proveniente da www.flickr.com)

E avendolo letto tutto, posso affermare che questo è un romanzo-minestrone; è così ben assortito che il concetto elementare di prologo-sviluppo-epilogo tipico di qualunque romanzo, qui non trova applicazione alcuna, anzi sono un tutt’uno. Per assurdo si potrebbe aprire una qualunque pagina del libro per entrare nel vortice torbido della vicenda senza correre il rischio di perdere il filo logico della narrazione … semplicemente perché non c’è un vero filo logico.

In effetti è un romanzo che, per essere apprezzato a pieno, presuppone che si conosca già il vissuto di Amelia. Oppure, al contrario, che invita la lettura di una ricostruzione giornalistica della vita e delle imprese di Amelia per capire dove finisce la realtà e comincia la fantasia sfrenata di Jane Mendelsohn.

Esagerato? Niente affatto!

Ma c’è dell’altro: verso la fine del romanzo, Amelia e Fred addirittura s’involano di nuovo con l’Electra per poi perdersi di nuovo e riatterrare chissà dove  … ma no, tranquilli: era solo un sogno! Realistico ma pur sempre un sogno. Anche perché il naturale deterioramento provocato dalle maree e dell’ambiente salmastro avevano presumibilmente ridotto a brandelli la cellula del velivolo già malconcia per l’atterraggio rovinoso e che, pur disponendo di un minimo di carburante, i motori erano fermi da anni, il carrello probabilmente distrutto, mezzo aeroplano insabbiato. E tralasciamo la possibilità concreta di decollare da una spiaggia di sabbia corallina. Neanche l’araba fenice sarebbe riuscita nell’impresa!

Si tratta evidentemente di un miraggio, di un desiderio delirante mai sopito, di un sogno prodotto da una mente provata dal lungo isolamento coatto – certamente, dico io – ed è tutto molto comprensibile … ma già come per la punteggiatura oltraggiata, anche la già ridotta credibilità della narrazione viene messa a durissima prova.

Ancora una bella immagine di Amelia Earhart e del suo fido navigatore/copilota, non tanto “fido” a detta dell’autrice del romanzo (foto proveniente da www.flickr.com)

Mi spiego. Sempre alla Yale University avrebbero dovuto insegnare alla signora Jane che la “sospensione dell’incredulità” da parte del lettore è assai preziosa ed è pure è molto labile, ergo non può essere strapazzata a questo modo. Voglio dire: due persone affetti dalla sindrome del naufrago, che rifuggono ormai i soccorsi e il mondo civilizzato, che si sono ambientati in un piccolo paradiso in terra e non hanno più alcuna fiducia nel futuro, possono sognare di tornare in volo verso l’ignoto? Anche solo sognare? No, non regge! Non fosse altro perché Amelia e Fred non vengono dipinti come i novelli Robinson Crusoe, viceversa hanno trovato sull’atollo il loro equilibrio, si sono rassegnati a vivere lì i giorni che rimangono loro, nell’idillio di una natura lussureggiante che offre loro quanto necessitano … e vi pare che, anche nel sogno più recondito, anche nei meandri più profondi dell’inconscio possano sognare di volersene andare? In volo?

Troppo feroce nei confronti dell’autrice? Niente affatto! … vogliamo esaminare poi gli svarioni storici e aeronautici? Eccoli.

Per proteggere gli occhi abbacinati dal sole Amelia rivela:

“… e arriccio il naso per mettere in sesto gli occhialoni da pilota”.

Peccato che il Lockeed Electra fosse un moderno velivolo con cabina chiusa e parabrezza ermetico anziché un obsoleto biplano con cabina aperta e minuscolo frangivento. La differenza è sostanziale: i velivoli aperti necessitavano dei classici occhialoni da pilota che non erano assolutamente un vezzo estetico. All’epoca infatti, se non si voleva rimanere accecati dall’aria, dagli insetti, dai fumi di scarico e dall’olio vaporizzato dal motore, gli occhialoni erano indispensabili. Un po’ meno la sciarpa di seta bianca, salvo che per pulire – in emergenza – gli occhialoni sopracitati qualora si fossero completamente coperti da sozzura.

Viceversa nel 1937, anno del volo di Amelia, esistevano già gli occhiali da sole, non già i famigerati Ray-Ban Aviator che vennero commercializzati a partire proprio da quell’anno ma sicuramente occhiali similari giacché la prima azienda al mondo che produsse occhiali da sole fu proprio statunitense e cominciò la sua attività nel 1929.

E vabbè … concediamole gli occhialoni ma …

… vogliamo poi parlare di quel povero diavolo di Noonan? Ebbene nel romanzo viene dipinto come un alcoolizzato, amante in egual misura delle donne e dei superalcolici, dedito a una vita sregolata per non dire dissennata. Anche professionalmente la signora Jane Mendelsohn ci va giù pesante perché fa dire ad Amelia che la scelta a favore di Fred fu dettata dall’economicità delle sue prestazioni professionali anziché per le sue capacità di esperto in navigazione aerea astronomica.

Ancora una foto del Lockeed Electra L-10E e di Amelia Earhart appollaiata stavolta sul musone del velivolo. Lo scatto risale alla tappa che toccò Miami. La trasvolata prevedeva una rotta lungo l’equatore di una lunghezza complessiva di circa 46 mila km. L’impresa era già stata effettuata in passato ma su una rotta a latitudini più elevate e dunque decisamente più brevi; volare prevalentemente lungo l’equatore sarebbe stato molto più lungo e faticoso per l’equipaggio e la macchina. Oggi sembra un bazzecola ma teniamo ben presente che Jules Verne, il famoso scrittore francese antesignano della modernità, aveva immaginato il “Giro del mondo in 80 giorni” non più tardi del 1872 – ed era pura fantascienza -, ma anche negli anni ’30 (del 1900) rimaneva un’impresa pregna di rischi e punti interrogativi. Quando decollarono da Lae in Nuova Guinea Amelia e Fred avevano volato già per circa 35 mila chilometri e dunque ne mancavano circa 11 mila tutte sopra all’Oceano Pacifico. Era il 2 luglio 1937 (foto proveniente da www.flickr.com)

Onestamente, se fossi stato un parente alla lontana di Fred, mi sarebbe venuta voglia di querelare l’autrice del romanzo per aver infangato la memoria del mio congiunto … anche perché la verità storica è decisamente diversa.

Fred Noonan si era effettivamente licenziato dalla Pan-Am ma, secondo la cronaca del tempo, perché intendeva aprire una scuola tutta sua per navigatori aeronautici e la partecipazione all’impresa di Amelia gli sarebbe tornata utile quale ottimo viatico pubblicitario gratuito. Inoltre Amelia l’aveva già assoldato in occasione del primo tentativo di trasvolata, peraltro andato male, perché dunque confermarlo in occasione del secondo? E poi diciamoci la verità: all’epoca tutti bevevano e ancora oggi gli statunitensi non sono proverbialmente astemi, sicché …

Altra situazione assolutamente non sostenibile è lo stato disastroso in cui versa Noonan al momento del decollo dall’aeroporto di Lae in Nuova Guinea in quella che sarà l’ultima tratta della della circurmnavigazione del globo. Ebbene nel romanzo Fred viene descritto come completamente ubriaco dopo festini terminati fino a poco prima del decollo. Decollo avvenuto – lo ricordo – alla mezzanotte, ora locale. In realtà,  a giudicare dalle immagini dell’epoca, sia Amelia che Fred salgono a bordo dell’Electra con fare atletico, lei attraverso il portello posto  nel cielo della cabina e lui sulla fiancata della fusoliera, operazione assai difficile da eseguire da un ubriaco, non trovate?   

Inoltre nel romanzo Amelia odia ferocemente Noonan al punto che ognuno si costruisce un proprio ricovero, alle antipodi del piccolo atollo, quindi si riavvicinano nel corso della permanenza in quella stretta striscia di sabbia e verso la fine del romanzo finiscono per essere addirittura amanti, sfrenati e insaziabili uno dell’altro. Pittoresco, non credete?

La IV di copertina del libro di Jane Mendelsohn. Questo libro, assieme a “Felice di volare: ricordi della mia vita in volo e di altre aviatrici” scritto e pubblicato da Amelia Earhart nel lontano 1932, sono gli unici volumi disponibili in lingua italiana inerenti la figura mitica di Amelia Earhart. Si aggiungono poi delle pregevoli biografie come quella di Anna Consilia Alemanno pubblicata nell’ambito della collana “Grandi donne della storia” curata dal Corriere della Sera o quella molto simile dell’editore RBA nella collana “Grandi Donne”. Purtroppo non è mai staro reso disponibile per il mercato editoriale del nostro Paese l’altro libro scritto da Amelia “20 hrs., 40 min.” del 1928 come pure  “Last Flight”, pubblicato postumo, e contenente parti del diario di viaggio del suo ultimo volo attorno al mondo. Inutile dire che in lingua inglese esiste uno stuolo di libri riservati ad Amelia. Anzi, considerato quanto posa essere inflazionato il panorama editoriale a lei dedicato, comprendiamo perché l’esordiente Jane Mendelsohn abbia dovuto quasi necessariamente scrivere qualcosa di molto originale affinché potesse  emergere.

Altra stonatura è il personaggio George P. Putnam, storicamente marito di Amelia; nel romanzo viene dipinto impietosamente come un aguzzino, una macchina che spreme Amelia per il proprio tornaconto di editore, che la costringe a scrivere resoconti giornalistici e libri contro la sua volontà.

La verità storica, anche in questo caso, è abbastanza diversa. Quando incontrò per la prima volta Amelia, Putnam era già ricco e famoso (era stato lui a pubblicare il libro-resoconto di Charles Lindbergh, primo trasvolatore atlantico) inoltre lui le propose più volte di sposarlo senza successo. Aggiungo che i proventi dei libri e dei pezzi giornalistici della moglie, Putnam li utilizzava per sostenere le spese – decisamente notevoli – delle imprese di Amelia. Occorre poi ricordare che lui, dopo la cessazione delle ricerche di Amelia/Noonan operate dalla US Navy, spese una vera fortuna nel riprenderle a titolo personale. Certo non fu un esempio fulgido di rettitudine e fedeltà coniugale ma è pur vero che le coppie benestanti statunitensi non lo erano e non lo sono tuttora.

In effetti, in “Ero Amelia Earhart”, la figura stessa della protagonista viene tratteggiata in modo dir poco singolare: introversa, taciturna, quasi algida ma in balia del marito, incapace di provare anche solo di un po’ di affetto nei confronti di Putnam, pur tuttavia estremamente determinata tanto da concedersi solo a condizioni che oggi farebbero concorrenza ai contratti prematrimoniali delle dive del cinema.

Risponde a verità storica? Forse … certo Amelia era mascolina, a dir poco volitiva e talmente determinata nel raggiungere i suoi progetti – alcuni effettivamente difficilissimi per l’epoca – che un fondo di verità storica c’è di sicuro. Tutto il resto è fantasia.

In conclusione un romanzo con diversi aspetti opachi e qualcuno brillante. Quali? Ad esempio la descrizione assai verosimile del caldo torrido che assale l’atollo e soprattutto della terribile tempesta tropicale che segue: come essere lì con Amelia e Fred. Davvero ottima.

Come pure ammetto che è davvero notevole l’intuizione dell’autrice nell’immaginare e nel raccontare la trasformazione che avviene nei due personaggi: dapprima naufraghi vogliosi di tornare alla civiltà per poi letteralmente nascondersi dai possibili soccorritori, infine felici di rimanere nel loro piccolo paradiso tropicale.

Infine sono presenti anche piccole chicche di buona scrittura come:

“Gli aerei erano veicoli da sognare. Erano forti e sinuosi, virili e femminili allo stesso tempo, semplici, giocattoli meccanici quasi all’antica e vascelli che portano al futuro”

ma sono rare e, onestamente, non giustificano il successo di vendite del volume.

In definitiva ci sono lampi di buona letteratura in “Ero Amelia Earhart” ma con molte ombre attorno; un libro la cui lettura richiede un grande atto di fede da parte del lettore, fede superiore alla media, s’intende.

Se amate i romanzi pieni di simbolismi, e immagini surreali sarà perfetto per voi, viceversa non si presta assolutamente a chi cercherà – come il sottoscritto pensava di trovare – una cronaca storica in formato narrativo.

Dal punto di vista tipografico il volume è curato e di qualità come ci si aspetta da un editore prestigioso. Adeguata la dimensione dei caratteri di stampa, opaca e leggermente giallognola la carta. Valida ma non esaltante la copertina (in realtà l’edizione italiana ne ha avute diverse) e maldestramente poco obiettiva la IV di copertina.

In conclusione, un libro che non rende granché onore ad Amelia e al suo navigatore, di sicuro non ne esalta la leggenda … ma perché – detto tra noi – ne avrebbe necessità? Certo che no. Perché la caparbietà e la determinazione di Amelia l’avevano resa già un mito quando era in vita, figuriamoci se un romanzo di opinabile bontà possa sminuire un fulgido ed ineguagliabile esempio dell’universo femminile …

Allo stesso modo mi viene da dire che non comprendo l’ostinazione nel voler assemblare congetture, nel voler continuare a cercarla negli atolli sperduti del Pacifico. Perché? … già prima che scomparisse, Amelia Earhart volava altissima nell’immaginario collettivo e, un istante dopo la sua scomparsa, ha continuato a volare lontanissimo nel cielo della memoria di tutti noi, uomini o donne appassionati di volo e di storia dell’aviazione.  E così sarà per sempre.  Che poi è quanto accade giusto appunto ai miti. E Amelia, quando corre il XXI secolo, ancora un mito !

Parola di professoressa zitella.





Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Nachthexen


Se il termine tedesco NACHTHEXEN non vi dirà praticamente nulla, siamo certi che, tradotto in italiano, la definizione “Streghe della notte” potrebbe evocare in voi ricordi più consistenti. Ma solo a condizione che abbiate letto almeno uno di questi due libri:

“Le streghe della notte. La storia non detta delle eroiche ragazze-pilota dell’Unione Sovietica nella grande guerra patriottica”

di Gian Piero Milanetti (pubblicato nel 2011) oppure:

“Una donna può tutto. 1941: volano le Streghe della notte”

di Ritanna Armeni (del 2018).

In questa immagine appare in tutto il suo splendore (si fa per dire) il Polikarpov Po-2, il biplano che fu utilizzato intensivamente tra le file dal 588° Reggimento da bombardamento notturno composto di sole donne. Costruito in più di 40 mila esemplari, il velivolo entrò in servizio alla fine degli anni ’20 e utilizzato praticamente ovunque nelle basi dell’Unione Sovietica per attività di addestramento e non solo. Prima dell’inizio della II Guerra Mondiale furono ritirati dalla prima linea in quanto ampiamenti obsoleti per poi essere miracolosamente riesumati specie a uso e consumo delle “Streghe” sebbene siano rimasti comunque in attività a tutti gli anni ’60 nei paesi filosovietici dell’Europa orientale. Fu soprannominato dai piloti russi Kerosinka (traducibile con un poco rassicurante nomignolo come “Lampada a cherosene”) per via della sua congenita vulnerabilità al fuoco (struttura in legno e tela) e la completa assenza di protezioni per il pilota/navigatore. Sottopotenziato (motore radiale con solo 115 cavalli) e con cabina rigorosamente aperta, fu utilizzato anche in Corea dove si fece beffa dei piloti statunitensi che, dotati dei velocissimi F-4 Phantom, non riuscivano a colpirli. Più o meno lo stesso problema in cui incapparono i caccia notturni della Luftwaffe tedesca che non riuscivano a inquadrarli facilmente e fare fuoco per abbastanza tempo su di loro a causa della notevole disparità di velocità. Il nemico principale dei PO-2 rimase perciò la Flak, la famigerata contraerea tedesca. Ne furono realizzate un’infinità di versioni e, come avrete facilmente immaginato, quello ritratto è un PO-2 moderno e restaurato come nuovo. Non male per una trappola volante del ’20. 1900. (foto proveniente da www.flickr.com)

In effetti questa è la dinamica in cui sono esattamente incappati i membri della Segreteria del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE (che organizziamo insieme ai nostri amici dell’HAG – Historical Aircraft Group)  quando hanno ricevuto il racconto di Diego Mascherpa intitolato appunto: ”Nachthexen”. Il tutto misto a un genuino stupore giacché, qualche giorno prima, avevano già ricevuto un altro racconto con un titolo ben più impegnativo ma fondamentalmente con lo stesso soggetto: ”Fratellanza – Sorellanza. Il 588° Reggimento da bombardamento notturno. Le streghe della notte” a firma di Gianvincenzo Cantàfora.

Ora, sebbene il libro di Milanetti ci fosse noto per vie traverse, quello di Ritanna Armeni ci è addirittura familiare in quanto ne ha curato la recensione la nostra redattrice Franca Vorano. Recensione che è ospitata in un angolino del nostro hangar all’indirizzo: Una donna può tutto.

La copertina del volume di Ritanna Armeni che, grazie a una lunga intervista concessa da una sopravvissuta che faceva parte del reparto, ricostruisce la storia delle “Streghe della notte”

E’ probabile che entrambe gli autori dei racconti abbiano letto l’uno o l’altro volume in quanto sono quasi gli unici pubblicati in lingua italiana sull’argomento tuttavia, mentre al racconto di Gianvincenzo Cantàfora è stato concessa l’opportunità di accesso alla fase finale del Premio (per poi classificarsi in XIV posizione ed essere pubblicato nell’ambito dell’antologia del Premio), quello di Diego Mascherpa non è stato valutato con la stessa benevolenza … ed eccolo ospitato nel nostro hangar. Per la nostra gioia e – ci auguriamo – anche per l’autore che, sebbene amareggiato per il modesto risultato conseguito in seno al Premio, godrà comunque della soddisfazione di vedere pubblicata digitalmente la sua ottima composizione.

“Streghe della notte”, dicevamo.

Una bella immagine risalente al 1944 che mostra una parte della linea di volo del reparto delle “Streghe” e due pilota nelle loro divise dell’epoca (foto proveniente da www.flickr.com)

Nella breve sinossi elaborata a cura dello stesso autore si legge:

Una ragazzina riflette sul proprio futuro negli anni ’60. Una eterna lotta tra convenzione ed emancipazione. Nei sogni a occhi aperti di questa ragazzina ci sono le gesta di aviatrici del passato, le così dette “Nachthexen” sovietiche.

In effetti raccontare “le streghe” con taglio divulgativo-giornalistico alla stregua di quanto già operato felicemente dal lodevole Gian Piero Milanetti, non avrebbe avuto granché senso (oltre che al limite del regolamento del Premio) … e forse è per questo motivo che Diego Mascherpa ha creato una storia di pura fantasia che vede quale protagonista un’adolescente in un periodo storico in cui le ragazze cominciavano a desiderare un futuro di cui potessero essere artefici esse medesime. Come appunto le famose “streghe” sovietiche. E avendole come fulgido esempio da emulare.

Siamo abituati alle foto che ritraggono piloti accanto ai loro velivoli, ugualmente non è raro incappare in scatti che immortalano le donnine discinte (le famose pin-up) dipinte mirabilmente sulle fiancate dei velivoli alleati, viceversa siamo molto meno abituati (anzi non lo siamo affatto) a vedere dei fotogrammi come questo che ritraggono i membri dell’equipaggio (pilota e navigatore/addetta alle bombe) di un Po-2: due sorridenti ragazze sovietiche in tuta di volo (foto proveniente da www.flickr.com)

Per dovere di storia editoriale, cronologicamente parlando, il primo libro in assoluto pubblicato nel nostro Paese a cura di Marina Rossi e intitolato: 

 Le Streghe della notte. Storia e testimonianza dell’aviazione al femminile in URSS. 1941-1945, 

risale solo al 2003 ma senza destare un particolare interesse nell’ambiente aeronautico e, purtroppo, anche in fatto di lettori. Prima di allora il nulla e dunque, in tutta onestà, immaginiamo che nel 1960 la vicenda delle Nachthexen fosse pressoché sconosciuta in Italia, anche se non è escluso che se ne favoleggiasse negli ambienti della sinistra italiana (Casa del Popolo, circoli culturali comunista, ecc ecc), specie nel Nord, ove sicuramente giungeva eco della propaganda politica sovietica.

Ad ogni modo, in un periodo – quello attuale – in cui gli adolescenti hanno perso un po’ la bussola (allo stesso modo di quanto accade alla protagonista) trarre esempio da personaggi storici così eroiche, vigorose, motivate come le “Streghe della notte” può essere più che mai utile se non addirittura salvifico. Oggi come allora, come pure domani.

Le “Nachthexen” difendevano il loro paese e partecipavano fattivamente allo sforzo bellico mettendo letteralmente a repentaglio la loro esistenza ogni volta che decollavano a bordo di velivoli vetusti, male in arnese, per nulla armati e assolutamente inadeguati all’ambiente glaciale delle lande sovietiche. Ne erano consapevoli? Certamente …  ma erano più forti i loro ideali e il desiderio di costruire il loro futuro. Di libertà, ovviamente.

La pilota del Polikarpov  PO-2 in secondo piano pianifica il volo che eseguirà nel corso della notte: recare scompiglio negli acquartieramenti dei reparti tedeschi di volo impedendo loro di dormire. La foto risale al 1942 e non è escluso che sia stata scattata a uso e consumo della propaganda sovietica (difficile immaginare che andasse in volo con tanto di medaglie appuntate sulla divisa). Rimangono comunque innegabili gli impressionanti dati statistici del reparto: circa 23.000 missioni effettuate, approssimativamente 3.000 ton di bombe sganciate, 31 “streghe” morte in combattimento e infine 23 “streghe” decorate con la Stella d’oro di eroe dell’Unione Sovietica (foto proveniente da www.flickr.com).

Certo, oggi non siamo in stato di guerra (grazie al cielo!) come lo erano le nostre eroine, tuttavia i valori di patriottismo, la difesa della libertà nazionale, personale, politica, religiosa, sessuale e culturale valgono oggi come allora nella lontana Unione Sovietica del conflitto mondiale.

Alla data odierna il mondo occidentale non vede di buon grado l’universo russo (e sottolineiamo russo, non sovietico)  – e ne ha ben donde, aggiungiamo con un certo rammarico – ma la storia è storia e nulla e nessuno ci potrà impedire di divulgare con obiettività e ammirazione le gesta tanto folli quanto eroiche delle donne sovietiche del 588° Reggimento da bombardamento notturno. Perché la storia non conosce colore politico o provenienza geografica. E se si tratta di un evento storico che merita di essere divulgato o del quale riteniamo debba essere mantenuta la memoria, allora non conosciamo barriere linguistiche o confini nazionali.

Tornando al racconto di Diego Mascherpa, la narrazione si limita inevitabilmente ad accennare un singolo episodio, una singola operazione al cardiopalma delle indomabili “streghe”. L’autore così lo sintetizza:

La copertina del libro di Gian Piero Milanetti che meglio ricostruisce, anche grazie al supporto di numerose testimonianze fotografiche, le vicende spesso dolorose ma eroiche delle Nachthexen

Negli anni ’40, tre “streghe” riflettono sulla vita mentre si apprestano ad attaccare un campo tedesco. L’attacco riesce, ma una di loro subisce danni e le altre due rischiano la vita pur di stare con lei nel bisogno.

E sarà pressoché inevitabile che:

La ragazzina degli anni ’60 userà questo come spunto di riflessione per il suo futuro.

Aggiungiamo di più: se ai lettori del racconto verrà sicuramente la voglia di approfondire le vicende del famigerato reparto da bombardamento composto da sole donne, ai noi ha instillato l’idea di fare delle donne in aero/astro nautica il tema suggerito della prossima edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE.

E poi dicono che le “streghe” sono pericolose!? Di più!



Narrativa / Medio – breve

Inedito

Ha partecipato alla X edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2022


Come un sottile strato di nubi

titolo: Come un sottile strato di nubi

autore: Maurizio Staid 

editore: IBN – Istituto Bibliografico Napoleone

anno di pubblicazione: 2022

ISBN: 8875655693




Certi autori sono come i cavalli di razza: ci si può scommettere sopra, certi di aver puntato su quello vincente.

Sarà pure squallido affermarlo … ma risponde perfettamente a questo teorema il caso di Maurizio Staid: un autore di razza. E che razza! Non appariscente, non pubblicizzato ma già molto promettente, Maurizio sta risultando vincente sulla lunga distanza. In che termini? Ve lo spiegheremo …

Cominciamo anzitutto del suo avvio … non certo come pilota militare o pilota civile professionista, no, ma in qualità di scrittore di narrativa aeronautica.

Una formazione di P-51 Mustang come quelli di cui narra Maurizio Staid nel suo libro che effettivamente proteggevano i bombardieri statunitensi nelle loro lunghe missioni dirette al cuore del territorio germanico. L’autonomia di questi caccia pesanti, il portentoso armamento e la loro elevata velocità (possibile grazie ad una potentissima motorizzazione unita all’adozione di uno dei primi profili alari laminari), li rendevano perfetti per quel tipo di missioni. (foto proveniente da Flickr.com)

Ebbene la sua parabola ascendente è cominciata con la timida ma convinta partecipazione alla VI edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE (che organizziamo assieme ai nostri amici dell’HAG) nel 2018 con ben due racconti: “Gocce di memoria” giunto in finale piazzandosi a un’onorevolissima XI posizione e “Un tranquillo sabato al Gruppo” classificatosi invece al XXI posto.

E’ solo la prova generale che precede la pubblicazione del suo primo libro, “Brogliaccio di volo”, una raccolta di ottimi racconti che si annovera tra i migliori volumi nel panorama attuale della narrativa aeronautica italiana.

Ma la vera affermazione di Maurizio si consuma l’anno successivo con la sua seconda partecipazione al nostro Premio. E’ il 2019 e RACCONTI TRA LE NUVOLE è giusto alla sua VII edizione. Il nostro pilota-scrittore partecipa con il racconto intitolato “L’ultimo CR” e la giuria del premio lo ritiene meritevole di una III posizione in classifica. Non solo: la famiglia Rosatelli gli attribuisce il trofeo che reca il nome del loro congiunto in quanto valutato quale migliore tra una rosa di numerosi racconti dedicati alla figura del famoso progettista della Fiat, l’ing. Celestino Rosatelli.

La IV di copertina di “Come un sottile strato di nubi” che riprende, come nelle migliori tradizioni editoriali, il tema dello sfondo della copertina. Si tratta a tutti gli effetti di un romanzo di esordio giacché il primo volume pubblicato dall’autore era una raccolta di racconti e il secondo una sorta di romanzo-fiaba

Giusto il tempo per pubblicare il suo secondo libro “La banda delle quattro pinne”, stavolta in tema marinaresco, per rigettarsi nel 2020 ancora in RACCONTI TRA LE NUVOLE, VIII edizione con lo splendido racconto “Il bambino e l’aquilone”.

Infine, nel luglio 2022 il suo terzo libro ma in assoluto primo romanzo aeronautico dal titolo: “Come un sottile strato di nube”.

Ora comprenderete perché, quando siamo venuti a conoscenza della pubblicazione di quest’ultimo libro di Maurizio Staid, abbiamo puntato su di lui, ossia non abbiamo indugiato neanche un istante e abbiamo provveduto a procurarcelo, convinti di concederci il piacere di un’ottima lettura, certi che avremmo avuto a che fare con un capolavoro in miniatura della narrativa aeronautica italiana. Ebbene le nostre aspettative non sono state tradite, anzi, sono andate ben oltre ogni più rosea previsione sebbene, una volta girata l’ultima pagina ci siamo convinti che l’autore avesse superato brillantemente (ma anche inaspettatamente) l’ambito assai limitante del romanzo a tema aeronautico.

Una splendida immagine di un P-51 Mustang ancora oggi in condizioni di volo, protagonista del romanzo “Come un sottile strato di nubi” . Non ci è dato sapere quanto questo romanzo sia autobiografico, viceversa possiamo immaginare quanto l’autore sogni di volare con un Mustang: spesso. (foto proveniente da Flickr.com)

“Come un sottile strato di nube” non è infatti un romanzo dai contenuti esclusivamente aeronautici benché il titolo stesso e soprattutto la copertina lo lascino presagire, tutt’altro: guerra, dolore, e ancora amore indissolubile si alternano in una spirale avvincente che ci ha lasciato letteralmente stupiti. E dire che il prologo è decisamente in linea con quanto speravamo di leggere …

La vicenda si apre nel 1971 con lo squillo della sveglia telefonica in un “anonima stanza di albergo” in cui alloggia il protagonista e voce narrante, John Lo Russo, un valoroso italo-americano ex pilota da caccia pluridecorato della II Guerra Mondiale. E’ lui il comandante di un nuovissimo Boeing 747 Jumbo jet della compagnia statunitense Pan American e il suo risveglio è il prologo della sua ennesima missione: decollo da Buenos Aires con 263 passeggeri a bordo con destinazione aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York.

Niente di più aeronautico, non trovate?

La trama prevede poi un decollo al cardiopalma e quindi il rientro dell’abile comandante nel suo splendido attico di Manhattan dove lo attende sua moglie (annoiata e distante) nonché un’inaspettata busta chiusa senza affrancatura.

Ecco, giusto quel plico anonimo diventa il punto di snodo della trama che subisce una svolta imprevedibile: un flashback che ci condurrà nel passato di John, in volo, in guerra, a bordo del suo North American P-51 Mustang nei cieli italiani a ridosso delle Dolomiti, di scorta ai bombardieri Boeing B-24 Liberator diretti in Germania.

Ancora una splendida immagine frontale che pone in risalto la forma perfetta del P-51 Mustang (foto proveniente da www.flickr.com)

Fine del contenuto aeronautico.

Tutto il resto del libro è un alternarsi di episodi adrenalinici e colpi di scena, un susseguirsi di avvenimenti imprevisti e di fughe rocambolesche. Non mancano ovviamente personaggi tratteggiati con invidiabile verosimiglianza, azioni feroci, eccidi raccapriccianti come pure gesti di grande generosità e di coraggio. Insomma una miscela sapiente di sentimenti positivi e negativi in cui l’amore si distingue fra tutti perché inaspettato, perché sbocciato con genuinità e delicatezza, perché non conosce l’inclemenza del tempo e della distanza geografica.

Ovviamente non vi accenneremo di più … possiamo solo aggiungere che con “Come un sottile strato di nube” il nostro Maurizio ha dato prova di grande talento narrativo anche extra aeronautico e ne siamo lieti perché è uscito dal romanzo di nicchia, riservato ai soli appassionati di aviazione.

A proposito della trama del libro possiamo solo concludere rivelando che l’ultima pagina, anzi l’ultima riga del libro lascia il finale del romanzo virtualmente aperto, tuttavia l’epilogo è drammatico, toccante, struggente, quasi strappalacrime. A noi ha fatto venire un magone mitigato solo dall’intuizione che “Come un sottile strato di nubi” possa avere un seguito. Ce lo auguriamo di cuore perché il suo messaggio conclusivo è positivo: l’amore è eterno e si perpetua nelle persone che sono il frutto di questo amore.

Ora comprendete il perché di quanto sostenevamo all’inizio di questa recensione?

Ad ogni modo, dal punto di vista tecnico, il libro è piacevolissimo, la prosa è scorrevole e mai banale nonostante contenga brevi descrizioni dell’ambiente in cui si muovono i vari personaggi o altrettanto brevi riflessioni che conferiscono spessore alla vicenda narrata.

La classica formazione che gli equipaggi dei bombardieri pesanti B-24 Liberator adottavano per difendersi l’un l’altro dall’attacco dei veloci caccia nemici. E’ probabile che lo scatto sia stato effettuato da bordo di un caccia di scorta. E’ una delle situazione di volo narrate da Maurizio Staid nel suo romanzo (foto proveniente da www.flickr.com)

E’ innegabile che l’autore ami la sintesi giacché non esagera con le parole, non si lascia andare a pistolotti evocativi e infine utilizza in modo abile ma stringato il discorso indiretto affinché la trama si dipani rapidamente senza mai annoiare il lettore. Di contro i dialoghi, sottolineati da uno strategico corsivo oltre che dalle consuete virgolette inglesi, sono sempre molto funzionali alla vicenda narrata e danno voce ai sentimenti che i personaggi già accennano nelle loro azioni e nelle dinamica della storia; sono dialoghi verosimili, mai forzati, talvolta secchi nella loro tragicità ma sempre pertinenti, taluni scritti sfiorando delicatamente la tastiera, con il cuore in mano.

L’intreccio è appena un poco articolato ma non confonde il lettore benché abbia una prima parte che si ricollega alla fine del romanzo inframezzata da una lunga fase centrale ambientata nel nostro paese nel corso del conflitto mondiale. Si tratta comunque di un anello che ben si chiude e che, all’occorrenza, invita il lettore a tornare alle prime pagine per ripristinarlo nel caso di una lettura frazionata in più tappe.

Il numeroso equipaggio di un B-24 Liberator, il bombardiere strategico utilizzato dai reparti di bombardamento statunitensi durante il II conflitto mondiale. (foto proveniente da www.flickr.com)

Probabilmente ai lettori più smaliziati il romanzo apparirà banale e prevedibile(modello Liala o collana Harmony), viceversa a noi è risultato validissimo e, se fosse in nostro potere, lo proporremmo volentieri per farne un adattamento cinematografico o quello che, in linguaggio televisivo, si chiamerebbe una fiction. Il successo sarebbe assicurato! Il suo regista potrebbe essere Pupi Avati perché uno dei pochi registi capaci di visualizzare con delicatezza e pudore una sceneggiatura già perfetta così com’è.

Tornando al libro, la copertina è quanto di più pertinente potesse scegliere il curatore editoriale e la IV di copertina è estremamente esauriente con la biografia dell’autore e anche un’ottima sinossi; purtroppo non possiamo essere altrettanto benigni nei confronti dell’editore per quanto concerne la scelta delle dimensione dei caratteri di stampa: inspiegabilmente troppo minuti. Peccato perché la lettura – specie quella tutta d’un fiato come quella che abbiamo inevitabilmente praticato – può risultare affaticante. E questo sebbene la carta sia di ottima qualità (bianca e opaca) e i capitoli separino in modo impeccabile le varie fasi della narrazione.

Il mitragliere di coda del B-24 Liberator è uno dei personaggi cardine del bel romanzo “Come un sottile strato di nubi”. Questo scatto ritrae un vero mitragliere durante la II Guerra Mondiale e rende idea delle dimensioni del velivolo. Egli occupava una delle torrette di difesa del bombardiere ed era il membro dell’equipaggio probabilmente più esposto al fuoco nemico (foto proveniente da www.flickr.com)

Inoltre non è dato sapere l’autore del bel disegno che ritrae il Mustang in volo e dunque non sappiamo se l’immagine è originale o se sia stata adattata allo scopo.

Impreziosiscono il testo alcuni aforismi di gran pregio che sottolineano e quasi anticipano il testo che li segue; assolutamente pregevoli sono le brevi poesie che troviamo all’interno della narrazione tanto che viene da chiederci se sono frutto dell’estro poetico dell’autore o di un’agente esterno di sesso femminile che le abbia concesse all’autore per collocarle ad arte.

Il colossale Boeing 747, confidenzialmente soprannominato “jumbo jet”, con la livrea della compagnia Pan American World Airways che, verosimilmente, potrebbe essere stato il famoso “volo 657” narrato nel romanzo. In effetti questi velivoli cominciarono a svolgere il loro servizio in seno alla compagnia statunitense a partire dal 1971 per terminarlo nel 1991 come velivolo passeggeri, quindi convertiti a cargo o definitivamente radiati. L’esemplare qui ritratto fu immortalato, pronto al decollo, all’aeroporto di London Gatwick in Gran Bretagna nel giugno 1991 diretto negli Stati Uniti, esattamente a Miami. Fatte le dovute considerazioni temporali, è probabile che l’autore non abbia mai volato su questo tipo d velivolo ma non stentiamo a credere che il 747 costituisca per molti piloti moderni una sorta di mito del passato, Maurizio Staid compreso (foto proveniente da www.flickr.com)

E concludiamo questa breve recensione menzionando una riflessione che riteniamo assolutamente degna di essere riportata, affermazione che apre il libro e che è il suo stesso manifesto:

“… un sottile strato, leggero, impalpabile, che separa sogni e realtà, che si veste di rosa quando il giorno muore, drappo nero nelle albe piovose. Di questo è fatta la vita, un sottile strato di nubi …”

Come non condividerla pienamente con Maurizio?

Permetteteci un’ultimissima nota: l’acquisto del libro aiuterà in modo concreto l’Area Solidarietà Alitalia Onlus nei suoi progetti umanitari. Conoscendo l’autore e il suo impegno nel volontariato sappiamo per certo che egli ci tiene più di ogni altro complimento o manifestazione di apprezzamento per la sua opera letteraria. 

Quando un libro può fare anche del bene!





Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





RACCONTI TRA LE NUVOLE – tema suggerito XI edizione



Logo Racconti Tra Le Nuvole

XI edizione Premio letterario “Racconti tra le nuvole”

COMUNICATO STAMPA

nr 1 del 03 novembre 2022




Contrariamente a quanto avvenuto nelle ultime dieci edizioni,

l’HAG (Historical Aircraft Group) e VOCI DI HANGAR,

con la provvidenziale collaborazione della FISA (Fondazione Internazionale per lo sviluppo aeronautico), della rivista VFR AVIATION e dell’azienda farmaceutica VR MEDICAL,

sono lieti di annunciare anzitempo il tema suggerito della XI edizione – 2023, del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE.

Lo scopo è di fornire agli autori/autrici un più ampio margine di tempo per la stesura dei racconti, fermo restando che le composizioni potranno essere inviate alla Segreteria del Premio solo a partire dal 01 aprile 2023, data in cui verrà pubblicato il bando di concorso nella sua interezza. II presente comunicato s’intende perciò una brevissima anticipazione di quello che sarà il regolamento vero e proprio del Premio.

Inoltre ci teniamo a precisare che il tema a carattere aeronautico generico rimane invariato sebbene affiancato dal tema suggerito facoltativo.

Gli organizzatori, sensibili a quanto accade quotidianamente hanno stabilito il tema suggerito in base ad alcune considerazioni, aspetti, vicissitudini ed episodi di cronaca non ignorabili. Tra questi troviamo:

  • Per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana una donna è presidente del consiglio dei ministri, ossia guida il governo del paese. Al di là del credo o delle simpatie politiche, costituisce un evento innegabilmente memorabile.
  • Alcune settimane fa, nella pagina Facebook dell’HAG, un socio buontempone commentava l’immagine di una modella in lingerie ma armata di fucile con lo sfondo di un velivolo da combattimento. Ebbene, edulcorato dal linguaggio un po’ scurrile dell’autore, egli invocava un diluvio universale di quel tipo di ragazza affinché il mondo possa vivere in santa pace per altri millenni a venire. Affermazione maschilista, probabilmente, eccessiva, di sicuro, ma con un fondamento di verità.

Rielaborando in parte il concetto e mettendo pratica il vecchio motto sessantottino pacifista “fate l’amore, non fate la guerra”, ci è venuto spontaneo enunciare un teorema, a nostro parere, ineccepibile:

se le donne avessero più voce in capitolo gli uomini non avrebbero voglia di fare la guerra né l’energia e tantomeno il tempo

  • Nel corso della cerimonia di premiazione della X edizione del premio letterario, quando si è trattato di premiare un autore che aveva incentrato il suo racconto sulle “Streghe della notte”, misconosciuto reparto da bombardamento dell’Aviazione Sovietica operante per tutta la II Guerra Mondiale, si è avvertito lo stupore e la curiosità dei presenti, specie per effetto delle fotografie proiettate nello schermo in sala, in cui sono apparse le componenti del reparto di solo sesso femminile.
  • Nel corso del 2022 Samantha Cristoforetti già prima e unica astronauta italiana, ha assunto il comando della ISS (Stazione spaziale Internazionale), prima donna europea a farlo nella storia della stazione orbitante.
  • Nel lontano 1772 il grande filosofo e scrittore francese Denis Diderot affermava che: “Quando si scrive delle donne, bisogna intingere la penna nell’arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle”. Tutto in tema strettamente aeronautico
  • Le donne – a torto o a ragione – vengono definite con l’appellativo: “l’altra metà del cielo”. Altro elemento assolutamente aeronautico.
  • Un aforisma noto nell’ambiente aeronautico recita: “I piloti di aeromobili sono quel genere di persone che quando sono in volo parlano di donne e quando sono a terra, in presenza di donne, parlano di volo”.

Occorre aggiungere di più? E’ facilmente intuibile che il tema suggerito della XI edizione – 2023, di RACCONTI TRA LE NUVOLE è:

le donne nel mondo aero/astro nautico

Esemplificando, potranno essere inviati racconti riguardanti personaggi femminili della storia dell’aviazione ma anche semplici protagoniste di vicende aeronautiche di pura fantasia, macchine volanti al femminile, forme di vita assimilabili al genere femminile, e così via … tutto declinato al femminile e in tema aeronautico e astronautico.

Ovviamente racconti.

Buona scrittura.

Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it




Nonno Canarino


La X edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE – di cui siamo co-organizzatori assieme ai nostri amici dell’HAG (Historical Aircraft Group), verrà ricordato per la presenza, tra i suoi partecipanti, delle cosiddette “prof”, per il ritorno dei piloti professionisti e, non ultimo, per la presenza di ben due autrici in tenerissima età: Emma Lucietto, già ospite del nostro hangar all’indirizzo:

https://www.vocidihangar.it/w/il-sogno-di-alice/

Amelia Earhart (1897-1937)  è stata una donna pilota statunitense che ha segnato memorabili pagine di storia dell’aviazione e costituisce, non a torto, un esempio mirabile tra le appartenenti del genere femminile in quanto incarna il modello di eroina, caparbia, volita e indomabile eguagliata da ben pochi piloti uomini. E’ qui ritratta appena scende da un velivolo dopo essere atterrata in una località non meglio definita. Non ultimo, Amelia è l’esempio cui si ispira la nostra giovanissima autrice Casilda Chiara Cevoli

e Casilda Chiara Cevoli la cui data di nascita (dichiarata in fase di registrazione al premio), attesta inequivocabilmente la bellezza di dieci anni di vita.

Nel caso di Emma, purtroppo, non è stato possibile ammettere la sua composizione al premio in quanto si trattava di una favola anziché un racconto, viceversa, nel caso Chiara, il racconto è stato ammesso, tuttavia non ha riscosso il favore della giuria. E questo, probabilmente, in virtù di una prosa semplice, lineare, infantile sebbene matura, ossia tipica di una bambina di dieci anni che, per quanto promettente, nulla ha potuto contro quella ben elaborata e rifinita di autrici/autori  più adulti di Casilda.

In effetti questa vicenda, se da un lato testimonia l’imparzialità della giuria che – lo ricordiamo – riceve i testi in forma rigorosamente anonima, dall’altro pone in risalto l’enorme disparità dei testi forniti da partecipanti con età anagrafiche così diverse. D’altra parte sarebbe auspicabile creare diverse sezioni del premio per diverse fasce di età … ma queste fasce avrebbero poi un numero adeguato di partecipanti? La domanda sorge spontanea …

A differenza di quanto accade nel nostro paese in cui la conservazione di cimeli storici dell’aviazione è appannaggio di pochi musei (Volandia, Piana delle Orme, San Pelagio e il Museo storico dell’AMI di Vigna di Valle) negli Stati Uniti i musei dedicati all’aviazione sono numerosissimi … ma un velivolo prestigiosissimo come il Lockeed Vega, protagonista della trasvolata atlantica compiuta da Amelia Earhart, non poteva che finire, pressoché intonso, nel meraviglioso National Air and Space Museum dello Smithsonian Institute di Washigton (USA). (immagine proveniente da Flickr.com). Chissà se Casilda Chiara avrà un giorno l’opportunità di visitare questo luogo?!

Di certo la partecipazione di Emma e di Casilda  lascia ben sperare per il futuro giacché questi due teneri virgulti della narrativa potrebbero mettere presto radici ben salde e diventare non solo le autrici delle prossime edizioni del premio, ma anche e soprattutto delle colonne della futura narrativa aeronautica italiana. Gli organizzatori se lo augurano di cuore. E, in tutta onestà, questo è lo scopo ultimo di RACCONTI TRA LE NUVOLE.

Oggi non ci è dato sapere come e in che misura la maestra e la famiglia possano aver contribuito, anche solo di riflesso, alla stesura del racconto di Casilda Chiara, figuriamoci se ci è dato sapere in quale direzione essa potrà evolvere semplicemente crescendo. Ad ogni modo un dato è certo: a noi il racconto di Casilda è piaciuto. Molto. Sarà proprio per la sua semplicità, per la linearità, chissà? Sarà perché non possiamo che essere calorosamente benigni nei confronti di una ragazza in erba che si è cimentata laddove i suoi coetanei neanche si sognano di avventurarsi. E brava Casilda!

Il titolo del racconto “Nonno canarino”, si riferisce al velivolo biplano Kinner Airster che, secondo la storia, Amelia Earhart acquistò poco dopo aver terminato il corso di pilotaggio (peraltro tenuto da un istruttore di volo donna, certa Neta Snook) e con il quale nell’ottobre 1922 compì il suo primo volo record: 14’000 piedi di quota (circa 4260 metri). Fu la prima donna a raggiungere al mondo a raggiungere una quota così stratosferica. Il velivolo, dotato di un motore radiale a tre cilindri con una potenza ridicola, entrò nella leggenda in quanto verniciato di un bel giallo e perciò contraddistinto dal nomignolo affettuoso “The canary” (“Il canarino”) attribuito dalla stessa Amelia. In questo scatto riconosciamo (lato destro) una giovanissima Amelia Earhart e la sua istruttrice di volo inframezzate proprio da un Kinner Airster che la pagina Facebook del “Amelia Earhart Hangar Museum” reputa essere quello del record. In realtà la trasvolatrice atlantica pilotò diversi Airster e dunque, senza l’ausilio del colore, è difficile sostenere che questo fosse il vero “Canarino”.(foto proveniente dalla pagina Facebook del “Amelia Earhart Hangar Museum”- photo courtesy of @purduearchives)

Ma veniamo al racconto: come vuole la tradizione delle composizioni di esordio, la nostra autrice ha composto un testo molto autobiografico tanto che ha descritto la propria famiglia ma lo ha fatto con gli occhi disincantati di una bimbetta cresciuta di soli 10 anni (di età) e questo – se permettete – costituisce l’enorme valore aggiunto. Intendiamoci: “Nonno canarino” non è la rielaborazione sotto mentite spoglie del classico tema scolastico: “Descrivi la tua famiglia”, tutt’altro. E’ la visione dell’autrice del suo trascorso familiare e del suo futuro personale. 

La composizione infatti, seppure leggera, piacevolissima, tenerissima e, ci auguriamo, non troppo manipolata dall’intervento esterno, è un proclama d’intenti: Casilda intende volare molto, sì … ma per girare i suoi filmati naturalistici e questo sebbene il ramo maschile della sua famiglia  abbia tuttora o abbia avuto in passato un rapporto professionale con il mondo aeronautico. Insomma la nostra autrice campana,  sebbene sia geograficamente molto vicina alle due fucine dell’Aeronautica Militare Italiana quali Pozzuoli e Caserta, ha le idee molto chiare (ricordatevi che il suo secondo nome di battesimo è giusto appunto Chiara!): volare per svolgere il lavoro che l’appassiona. Più chiaro di così!?

Da parte nostra – dobbiamo ammetterlo – ci siamo letteralmente sciolti in un brodo di giuggiole quando abbiamo letto nel racconto di Casilda una frase che occorrerebbe scolpire nella pietra miliare di ciascun aeroporto:

“Perché il volo non è solo un lavoro ma libertà […] e la libertà unisce tutti”

Una delle immagini più famose ma anche una delle ultime scattare ad Amelia Earhart davanti al velivolo Lockheed Electra a bordo del quale scomparve nel luglio del 1937 in quella che rimane la sua ultima impresa impossibile: il giro del mondo in aeroplano. Ancora oggi la sua sorte rimane avvolta nel mistero sebbene siano state avanzate le più disparate congetture, più o meno suffragate da reperti fotografici e biologici (foto proveniente da Flickr.com)

Ci piace pensare che l’abbia coniata Casilda medesima con tutta la sua ingenuità e la purezza della sua età. 

Cresci bene, Casilda. Che il tuo volo sia lungo e ti porti lontano … noi saremo qui a leggerti. 



Narrativa / Medio – breve

Inedito

Ha partecipato alla X edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2022


Nota della Redazione: nella foto di copertina uno splendido primo piano a colori della trasvolatrice statunitense Amelia Earhart ritratta davanti al suo velivolo  Lockheed Vega con il quale attraversò l’Oceano Atlantico  nel maggio del 1932 impiegando quattordici ore e cinquantasei minuti, prima donna in assoluto e seconda solo a Charles Lindbergh.