nella splendida cornice dell’aeroporto G. Ciuffelli di Rieti e, più precisamente nell’aula briefing dell’Aeroclub di Rieti, si terrà la presentazione di ben due libri scritti e pubblicati dal nostro (ahinoi) amico volovelista, al secolo Alan Steve Russell. Per gli amici … Alan.
Benché sia risaputo che gli unici libri che si vendono siano quelli a sfondo erotico (“5 sfumature di grigio” e colori affini), egli ci illustrerà i contenuti di:
“Il mio volo in aliante”,
volume fortemente autobiografico nel quale narra (quasi minuto per minuto) la sua esperienza personale di allievo pilota di aliante e di pilota di aliante poi.
Non contento, Alan ha poi continuato a volare a vela e a scrivere (ma non aveva proprio niente da fare?) pubblicando il suo secondo libro intitolato:
“Un volo per l’eternità”
dove finzione e realtà personale si uniscono in un tutt’uno (praticamente un intruglio!)
Si parlerà dunque di cielo, di aria, di alianti e – tranquilli -di nulla che possa avere una componente pornografica (peccato!). Tuttavia verranno mostrate immagini compromettenti di alianti ignudi in pose osé (per esempio con l’alettone alzato o la cappottina tutta aperta), oppure scatti che ritraggono l’autore intento nel pilotare un povero aliante inerme e tanto altro che in questa sede non possiamo rivelarvi, salvo essere eliminati fisicamente.
La chiacchierata informale – ed ecco la vera notizia – sarà animata (e probabilmente rovinata) dalla presenza del nostro webmaster in qualità di presentatore/intervistatore/guastafeste che porrà all’autore domande indiscrete, irriverenti, intime, insulse, inopportune e … poi sono finiti gli aggettivi che cominciano con la”i”! Insomma, ci siamo capiti!?
Inoltre chi vorrà (se proprio ne sente la necessità viscerale) potrà rivolgere domande direttamente all’autore. In italiano e nella speranza che costui risponda in modo coerente.
Infine, siccome nel nostro paese tutto finisce a tarallucci e vino, la presentazione terminerà con un ricco buffet, senza musica, ricchi premi e cotillon, senza tappeto rosso, banda e majorett ma tutto offerto da Alan.
In quella occasione si potrà avvicinare l’autore, sbaciucchiarlo, fargli proposte indecenti, ivi compresi l’autografo su una o più copie suoi libri previa minacce di ritorsioni fisiche. Libri che, per lo speciale evento, verranno ceduti a un prezzo promozionale (due al prezzo di due, uno al prezzo di tre, ecc ecc).
L’evento è aperto a tutti i soci dell’Aeroclub di Rieti, ad amici e benefattori, oltre che ai semplici curiosi. A questi ultimi sarà consentito l’accesso in aeroporto dichiarandosi al citofono dell’ingresso aeroportuale con la parola d’ordine: “Belèn”. Sarà spalancato loro il cancello.
Magari sarà l’occasione per loro di vedere da vicino gli alianti e i piloti di alianti (razza quasi in via di estinzione) e, per i più temerari … addirittura di poter volare in aliante! Ma con moderazione … perché se poi dovesse piacervi?
E buona presentazione!
Per qualsiasi informazione o per anticipare la propria presenza si prega di contattare la Segreteria dell’Aeroclub Rieti al numero di telefono: 0746 – 203637
Aeroclub di Rieti: ingresso civile aeroporto, lato campeggio. adiacente hangar bianco, via C. Rosatelli, 111 – Rieti
X edizione Premio letterario “Racconti tra le nuvole
COMUNICATO STAMPA
nr 1 del 01 aprile 2022
E’ appena decollata – e non è un “pesce d’aprile” – la X edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE, il premio letterario organizzato dall’associazione di velivoli storici HAG, Historical Aircraft Group, e dal nostro sito con la collaborazione della rivista VFR AVIATION e della FISA, Fondazione Internazionale per lo sviluppo aeronautico.
L’edizione 2022, conferma il sostegno economico di VR MEDICAL, azienda farmaceutica che ha sviluppato dei prodotti per il trattamento non chirurgico dell’artrosi, fratture ossee, tendiniti e neuropatie, oltre alla salute della donna. Per ultimo ha anche cura della nuova letteratura aeronautica italiana.
Il Premio rimane puramente letterario. Dunque racconti in tutte le salse e – ci teniamo a sottolinearlo – solo racconti. Di volo, cielo, piloti, insetti, nuvole e ogni altra entità organica e inorganica purché appartenente alla dimensione aerea. Aviazione, spazio e tutto quanto voli, dentro e fuori l’atmosfera terrestre.
Viceversa, a differenza delle ultime edizioni, gli organizzatori hanno preferito sostituire il già sperimentato personaggio storico con un più generico tema suggerito.
Sensibili a quanto sta accadendo alle porte del nostro paese, L’HAG e VOCI DI HANGAR hanno preferito spostare l’attenzione degli autori/autrici su quello che ritengono essere un valore universale: la fratellanza, specificatamente nell’ambito del mondo aeronautico.
Dunque non solo fratellanza in senso strettamente anagrafico (quella tra consanguinei per intenderci), ossia limitata al reciproco sentimento di affetto, disinteressato sostegno o spontanea complicità tipica dei fratelli/sorelle … ma anche in senso più ampio del termine. Uno spirito di fratellanza molto più allargato che, per esempio, sussiste tra i popoli, le genti non meglio definite, le etnie, le religioni ma anche tra praticanti della stessa attività lavorativa o sportiva, tra commilitoni, piloti o semplici appassionati di volo. Insomma l’Aviazione che unisce e rende fratelli in senso lato, a prescindere dalle coccarde o dalle sigle dipinte sulla fusoliera.
La scelta nasce alla luce degli ultimi tragici accadimenti internazionali e da uno specifico episodio che ha visto gli organizzatori imbattersi in una vicenda meritevole di essere raccontata.
Eccola: un socio dell’HAG ha confessato che da qualche tempo – praticamente dopo averla scoperta – si prende di cura di una tomba assai singolare nonché pressoché abbandonata collocata all’interno del cimitero di Milano. Ebbene essa contiene quelle che furono le spoglie mortali di due fratelli deceduti a distanza di alcuni anni uno dall’altro. Entrambi ufficiali piloti della Regia Aeronautica, entrambi periti nello svolgimento del loro dovere di soldati dell’aria. Accomunati nella vita come nella morte da un grande amore per il volo, uniti dal legame di sangue ma anche da valori e ideali indissolubili.
Come non rimanere stupiti di fronte a una simile “vicenda”?!
Per chi vorrà saperne di più, troverete tutta la storia nella presente pagina:
I racconti che conterranno riferimenti al tema suggerito verranno premiati dalla giuria con una valutazione proporzionale all’entità e alla bontà del tema della fratellanza nell’ambito del racconto: maggiore la bontà e l’originalità dei riferimenti presenti nel testo, migliore sarà la valutazione da parte della giuria.
Intendiamoci: il racconto che l’autore/autrice vorrà fornire alla Segreteria del Premio potrà avere un generico tema aeronautico e/o astronautico oppure può – ma non deve necessariamente – raccogliere il suggerimento degli organizzatori del tema della fratellanza in Aviazione.
Dunque i partecipanti si ritengano liberi di cimentarsi liberamente nell’uno o nell’altro tema, fermo restando il modulo narrativo del racconto.
Ricordiamo che anche quest’anno il regolamento prevede la fotografia dell’autore/autrice. Al fine di dare un volto al loro nome e cognome, lo scatto verrà utilizzato nella pagina web del Premio e di VOCI DI HANGAR. Ovviamente dovrà essere a colori e dovrà ritrarre in primo piano l’autore/autrice benché uno “sfondo aeronautico” non verrà certo disdegnato.
Rimangono inalterate:
partecipazione gratuita,
giuria prestigiosa e anonima fino alla dichiarazione dei vincitori
pubblicazione gratuita dei racconti finalisti nell’antologia del Premio edita dall’editore LOGISMA,
volo gratuito a bordo di un velivolo monomotore HAG,
pubblicazione dei racconti non vincitori nel sito VOCI di HANGAR, targhe e diplomi di partecipazione.
Ad essi si aggiunge il premio speciale VR MEDICAL che verrà attribuito al racconto più meritevole secondo il giudizio insindacabile dell’amministratore dell’azienda.
Ulteriori novità nel prossimo comunicato.
A questo punto rompete gli indugi perché l’atterraggio della X edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE è prevista per il 30 giugno mentre per il 1 agosto è fissata la divulgazione dei nomi dei 20 finalisti. Per la classifica finale e proclamazione del vincitore occorrerà invece attendere fino al 1 settembre.
E ora … scaldate i motori e … di corsa a scrivere!
Per qualsiasi informazione: www.raccontitralenuvole.it
Ecco il bando contenente anche la scheda di partecipazione:
titolo: La missione segreta che ha cambiato la Seconda guerra mondiale
autore: Eric Carter con Antony Loveless
editore: Newton Compton Editori
anno di prima pubblicazione: 2014, novembre
ISBN cartaceo: 978-88-541-6981-4
Confesso la mia ignoranza! E nell’accezione più genuina del termine: inconsapevolezza, non conoscenza, mancanza di informazione. Ossia, ammetto che ignoravo quasi completamente un episodio storico forse fondamentale eppure religiosamente celato per anni nelle pieghe della storia della II Guerra Mondiale. Mi riferisco a quella che venne denominata in codice: missione “Force Benedict”.
Confessatelo: anche voi vi sentite molto ignoranti, nevvero? Tranquilli, temo che costituiremo una compagnia ben nutrita giacché avremo modo di parlarvi di una delle operazioni militari tra le più segrete fra quelle effettuate dalle forze armate alleate, in particolare britanniche. Soprattutto perché – udite, udite – praticata in collaborazione con quelle sovietiche.
Ma ora metteremo un po’ di ordine fornendo alcune coordinate temporali e geografiche.
Domenica 22 Giugno 1941.
Gran Bretagna.
Primo ministro britannico, al secolo Winston Churcill.
Alle 8 in punto del mattino egli riceve una notizia di una gravità inequivocabile: Hitler ha lanciato la missione in codice Operazione Barbarossa!
Vale a dire che l’invasione dell’Unione Sovietica è cominciata. E tutto lascia pensare che avrà luogo con la stessa fulminea ferocia con cui la Luftwaffe (l’Aeronautica militare germanica) e la Wehrmacht (l’Esercito germanico) hanno già sbaragliato la modesta Polonia, la grande Francia, gli indifesi paesi nordici di Svezia, Finlandia e Norvegia nonché i minuscoli stati neutrali di Olanda, Belgio, Danimarca e Lussemburgo. Solo l’intrepida Gran Bretagna ha resistito all’orda teutonica giacché, grazie ad una difesa aerea moderna e ben organizzata e, non ultimo, all’aiuto di piloti anche stranieri, la RAF (Royal Air Force – Aeronautica militare britannica) ha avuto la meglio in quella che viene universalmente chiamata come “La battaglia d’Inghilterra”. Tuttavia ancora brucia la fuga da Dunkerque del Corpo di spedizione britannico costretto a battere in ritirata, con la coda tra le gambe, lasciando il continente alla mercé dei teutonici.
In effetti, agli occhi miopi del primo ministro britannico, anche se l’assalto al suolo natio appare ormai scongiurato, la resistenza del colosso sovietico non sembra poi così scontata. Anzi.
In un istante egli comprende che, senza l’aiuto della Gran Bretagna e, in misura ancora maggiore, degli amici statunitensi, lo Stato comunista potrebbe cadere facilmente sotto l’incalzare delle armate germaniche. E una volta caduta la Russia quel satanasso di Hitler avrebbe di nuovo rivolto tutte le sue forze – non solo aeree stavolta – verso la Gran Bretagna.
Churcill sapeva perfettamente che la Russia era ancora un paese arretrato con armamenti obsoleti e vertici militari impreparati a gestire un’invasione. Così, probabilmente senza neanche consultare i membri del suo gabinetto, la sera stessa, nel corso di un discorso radiofonico alla nazione, dichiarò il sostegno della Gran Bretagna al paese guidato dal dittatore Josif Stalin.
Detto fatto: dopo neanche un mese, esattamente il 20 luglio, a mezzo di messaggio telegrafico, Churchill annunciò a Stalin che la Gran Bretagna avrebbe fornito un primo stormo di caccia Hurricane al completo. Era nato il 151° Wing e aveva preso avvio la missione Force Benedict.
Come anticipato la missione si avviò, si sviluppò e terminò nella più assoluta segretezza e dunque non ci deve stupire se, a tutt’oggi poco sia trapelato o ricordato. Occorre perciò riconoscere il merito di aver provveduto a questa lodevole opera di divulgazione storica a Eric Carter e Antony Loveless che si sono cimentati nella stesura di un diario dal tono giornalistico che è appunto il volume oggetto di questa recensione.
Il primo, che ci ha lasciato per sempre nel luglio del 2021 alla veneranda età di 101 anni, partecipò alla missione in qualità di pilota mentre il secondo è un affermato giornalista-fotografo, autore di alcuni libri dedicati a piloti del II conflitto mondiale.
Dunque non corrucciatevi per la vostra “ignoranza” in fatto di Force Benedict. Non siete i soli.
Spiega Carter:
“L’obiettivo della nostra missione era consegnare la prima partita di Hurricane, difendere il porto di Murmansk e insegnare ai russi a volare e curare la manutenzione degli aerei. Semplice. Avremmo ceduto ai russi tutto l’equipaggiamento che avevamo portato con noi”
A questo punto occorre premettere che difendere strenuamente la base navale di Murmansk non fu un vezzo eccentrico di Churcill o del ministro dell’Aria britannico. Semplicemente aggiunge Carter:
“Murmansk e il porto di Arcangelo sul mar Bianco assorbivano grandi quantità di aiuti dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti, i quali avrebbero giocato un importante ruolo nella sopravvivenza della Russia”.
In effetti Murmansk, porto libero dai ghiacci anche in pieno inverno, era collegato con le regioni della Russia centrale mediante una valida rete ferroviaria tanto che in quel luogo giunsero innumerevoli convogli artici alleati destinati a rifornire tutta la Russia di ogni ben di Dio possibile e immaginabile. Ecco perché la base navale – parole di sir Winston Churchill – “andava difesa ad ogni costo”.
Affinché i nazisti non potessero dilagare nella penisola di Kola partendo da Norvegia e Finlandia e sfondando definitivamente il fronte per giungere poi fino a Mosca, i britannici decisero di dislocare il reparto nell’aeroporto di Vaende, proprio nelle immediate vicinanze di Murmansk. Proprio a ridosso del fronte.
E fin qui – direte voi – niente di particolare. Sì, in effetti … se non fosse per un espediente alquanto originale: una parte degli Hurricane – rigorosamente terrestri, occorre precisarlo – vennero trasportati e lanciati in volo dal ponte della portaerei HMS Argus che incrociava a diverse centinaia di miglia dalla costa russa mentre la restante parte giunse ad Arcangelo (dall’altra parte del Mar Bianco) via Islanda, in nave, smontati all’interno di container. Al loro seguito uomini e mezzi necessari per rimontarli, renderli e mantenerli operativi. Dunque piloti, meccanici, magazzinieri, addetti alla logistica, insomma uno stormo completo e operativo in tutte le sue attività.
Siamo nel settembre del ’41, a soli tre mesi dall’inizio dell’invasione del colosso sovietico. Perdonate la precisazione.
Accenniamo invece all’episodio dell’Argus per farvi comprendere il grado di audacia che contraddistingueva questa missione e che – altra precisazione – presupponeva la piena collaborazione – non certo scontata – dei russi. Viceversa non aggiungeremo altro circa quanto accadde a Vaende fino 6 al dicembre del 1941 quando, ufficialmente, la missione ebbe termine … lasciamo perciò ai lettori il piacere e la sorpresa di leggere di combattimenti aerei all’ultima pallottola, di memorabili ubriacature, nevicate impensabili, miracoli tecnologici e, purtroppo, anche incidenti tragicomici.
Ora, a distanza di tanti anni da quei giorni, viene da chiedersi: il buon Winston aveva visto giusto? E la Force Benedict fu davvero determinante nella vittoria contro Hitler?
Ebbene, con il senno di poi, noi posteri possiamo affermare che il primo ministro britannico aveva visto giusto: le forze militari tedesche, nelle prime settimane di ostilità fecero letteralmente scempio dell’Aviazione con la stella rossa e nondimeno dell’Esercito con la stella rossa. Il paese rischiò davvero di crollare e lo salvò il famoso “generale inverno” di bonapartiana memoria, l’immensità del suo territorio e l’allungamento impossibile delle linee di rifornimento tedesche. Non ultimo la drammatica tattica russa di fare terra bruciata attorno alle armate hitleriane oppure i vertiginosi ripiegamenti o la folle resistenza delle truppe sovietiche con combattimenti casa per casa.
Per quanto concerne la reale utilità della Force Benedict, nell’epilogo del volume, l’autore ammette che non fu una missione davvero determinante ai fini della vittoria della II Guerra Mondiale. Piuttosto fu certamente la missione con la quale presero avvio i convogli artici diretti verso la Russia e, aspetto fondamentale, dimostrò che era possibile una coalizione contro Hitler anche con i sovietici. Non dimentichiamo infatti che, al momento in cui prese avvio della missione, gli Stati Uniti erano ancora ufficialmente neutrali e ben si guardavano, sulla scorta dell’esperienza del precedente conflitto mondiale, di impegnarsi in un’altra guerra sul suolo europeo. Poi avvenne Pearl Harbour … e la storia ebbe tutto un altro percorso!
I russi, viceversa, nel 1939 avevano sottoscritto un patto di non aggressione (il famoso Molotov-Ribbentrop) con la Germania ciononostante erano stati ugualmente invasi dalle armate naziste e dall’oggi al domani si erano trovati nella medesima situazione della Gran Bretagna. Forse peggiore.
In effetti, sintetizzando l’opinione dell’autore espressa nel libro, anche se Murmansk rimase sempre saldamente in mano ai sovietici, poco e quasi nulla fecero a tal fine le prime dozzine di Hurricane del 151° Wing mentre qualcosa di ben più consistente poterono le migliaia di velivoli che giunsero nei mesi successivi attraverso il corridoio artico inaugurato dalla missione Force Benedict.
Intendiamoci: durate la loro breve permanenza a Vaende i piloti britannici le suonarono di santa ragione ai nazisti come pure gli Hurricane scortarono diligentemente i bombardieri sovietici senza che questi fossero minimamente disturbati dai caccia nemici ma di qui a dire che la loro presenza diede una svolta al conflitto … beh, ci siamo capiti!?
Quanto alla collaborazione dei sovietici … la loro vena di disponibilità si esaurì molto rapidamente e divenne pressoché unidirezionale. I sovietici infatti tornarono ad essere sfuggenti, atavicamente diffidenti nei confronti degli stranieri, ossia approfittarono a mani basse degli aiuti alleati ma non si coordinarono mai con loro né adottarono le efficaci tecniche di combattimento introdotte proprio dai piloti britannici. Insomma manifestarono ciò che poi divennero negli anni a venire: un blocco monolitico impermeabile e addirittura avverso all’Occidente.
In buona sostanza il contenuto del libro smentisce i caratteri cubitali maldestramente presenti in copertina che molto ricordano quei tabloid scandalistici britannici attentissimi agli scandali di corte. Copertina sulla quale preferiremmo stendere un velo pietosissimo salvo esprimere la nostra spassionata opinione nella didascalia relativa. E dire che l’edizione in lingua originale ha una copertina impeccabile!
Anche sul modo con cui è stato convertito il titolo originale del libro nutriamo una sincera perplessità. Con tutto il rispetto per la regista Lina Wertmuller … ma questo sembra il titolo chilometrico di uno dei suoi film anziché un libro di guerra!?
Generalmente un editore avveduto si prefigge di catturare l’attenzione di un potenziale acquirente appassionato del mondo aeronautico o di storia dell’aviazione a mezzo di copertina e titolo … beh, questa copertina e questo titolo non lo aiutano certo nel suo scopo. Già il settore della narrativa aeronautica in Italia è ridotto a un lumicino, se poi consideriamo che un siffatto libro non brilla sicuramente di luce propria, è probabile che un potenziale lettore non lo vedrà neanche per errore nel marasma di volumi presenti in libreria, convenzionale o digitale sia. Obiettivo mancato, libro dimenticato.
Venendo al testo del volume, benché diviso in capitoli disposti in modo cronologico, ci è apparso alquanto disordinato nella narrazione iniziale. Infatti, contrariamente a quanto ci potremmo aspettare sfogliando le prime pagine, il libro non segue la logica ferrea di un diario con tanto di date che cadenzano i vari capitoli. E forse, detto tra noi, sarebbe stata la salvezza per il lettore …
Il secondo capitolo, in particolare – quello dedicato alla Battaglia d’Inghilterra – espone una tale sequela di personaggi e di fatti che il lettore ne rimane disorientato. Fortunatamente i capitoli successivi diventano più ordinati e i filo cronologico riprende a dipanarsi senza deviazioni disordinate.
Inoltre il testo del volume, benché in buona parte autobiografico, è fastidiosamente costellato di citazioni di altri volumi, di altri autori o voci narranti che – a nostro modesto parere – sono state enfatizzate in modo assai discutibile da un carattere di dimensioni più minute rispetto al testo di Eric Carter e Antony Loveless. Forse un corsivo sarebbe stato più adeguato a renderlo tipograficamente omogeneo. E anche meno faticoso da leggere giacché siamo a limiti dell’uso di una lente d’ingrandimento. In verità ci domandiamo: da quando in qua si inserisce una citazione con un carattere più piccolo di tutto il resto? Solo in questo libro! Bah …
Anche la scelta di narrare la storia personale dell’autore in ordine cronologico ci appare poco strategica ai fini della cattura dell’attenzione del lettore. Avviare il libro con l’adunata inspiegabile e segretissima dei piloti della missione avrebbe letteralmente incollato il lettore alle pagine successive mentre qualche flashback collocato ad arte avrebbe potuto fornire gli elementi per comprendere meglio certi personaggi, Eric Carter per primo. Ma gli autori lo hanno impostato in altro modo … peccato!
Strepitoso invece il prezzo di vendita per un volume in brossura, rilegato in modo impeccabile, con tanto di sovraccoperta a colori.
Per carità, siamo di fronte ad un libro di nicchia, di buona fattura che, solo per la sua nobile opera divulgativa, merita tutto il nostro rispetto. Inoltre la narrazione risulta piacevole e solo in alcuni tratti appena poco più lenta.
Ottimo il racconto di episodi di battaglia aerea e praticamente assenti svarioni di carattere tecnico.
Eccellente la premessa del libro di un certo Fermot O’Leary il quale chiude con una riflessione la cui bontà costituisce il vero valore aggiunto del libro. Eccola:
“Col passare degli anni è molto importante preservare queste testimonianze di prima mano.”
Si riferisce chiaramente alla testimonianza oculare di Eric Carter. E conclude affermando:
“Voglia il cielo che i nostri figli e i figli dei nostri figli non debbano mai sopportare le cose che Eric e quella della sua generazione hanno vissuto. Ma dovranno conoscere ed essere grati per il sacrificio che tante persone hanno fatto per tutti loro.”
Che poi è il senso ultimo del libro di Eric Carter …
Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
L’11 novembre 1961 tredici aviatori italiani, in missione per conto dell’ONU, furono barbaramente trucidati in Congo, nei pressi dell’aeroporto di Kindu.
Erano i membri degli equipaggi di due velivoli da trasporto Fairchild C-119 Flying Boxcar con nome in codice Lyra 5 e Lupo 33, bimotori da trasporto appartenenti all’Aeronautica Militare Italiana in forza alla 46ª Aerobrigata di stanza a Pisa.
In occasione del 60° anniversario della tragica ricorrenza, il nostro hangar ricorda l’eccidio di questi 13 uomini di pace che, disarmati sebbene militari, furono dapprima imprigionati e poi passati per le armi, infine probabilmente cannibalizzati dai miliziani congolesi.
La loro fu una sorte terribile e – purtroppo – dimenticata o addirittura ignorata ai più, addetti ai lavori e appassionati di storia dell’aviazione compresi.
VOCI DI HANGAR intende perciò svolgere opera di divulgazione presso le nuove generazioni e al contempo di mantenimento della memoria del sacrificio compiuto da quegli uomini in divisa azzurra. Affinché vengano degnamente onorati, oggi come negli anni a venire.
E’ per questo motivo che VOCI DI HANGAR, in collaborazione con l’HAG (Historical Aircraft Group) ha scelto come personaggio storico del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE, edizione 2021 proprio quegli uomini e quel terribile episodio della storia recente del nostro paese. La scelta poi è stata fatta propria dagli autori/autrici che hanno partecipato al Premio con i loro racconti, per lo più aventi come protagonisti diretti o indiretti proprio i tredici di Kindu.
Ed è sempre per lo stesso motivo che l’HANGAR li omaggerà nelle prossime settimane pubblicando racconti e recensioni di libri inerenti la triste vicenda.
La pagina del giornale “La Nazione” che annuncia la raccapricciante notizia (foto proveniente da www.flickr.com)
Per l’intanto permetteteci di ricordare gli aviatori italiani così bestialmente martirizzati citandoli appunto in ordine rigorosamente alfabetico di cognome:
† Onorio De Luca † ,
Sottotenente pilota, 25 anni, di Treppo Grande (UD)
† Filippo Di Giovanni † ,
Maresciallo motorista, 42 anni, di Palermo
† Armando Fausto Fabi † ,
Sergente maggiore elettromeccanico di bordo, 30 anni, di Giuliano di Roma (FR)
† Giulio Garbati † ,
Sottotenente pilota, 22 anni, di Roma
† Giorgio Gonelli † ,
Capitano pilota, 31 anni, di Ferrara
† Antonio Mamone † ,
Sergente maggiore marconista, 28 anni, di Isola di Capo Rizzuto (KR)
† Martano Marcacci † ,
Sergente elettromeccanico di bordo, 27 anni, di Collesalvetti (LI)
† Francesco Paga † ,
Sergente marconista, 31 anni, di Pietrelcina (BN)
† Amedeo Parmeggiani † ,
Maggiore pilota, 43 anni, di Bologna, comandante della missione
† Silvestro Possenti † ,
Sergente maggiore montatore, 40 anni, di Fabriano (AN)
† Nazzareno Quadrumani † ,
Maresciallo motorista, 42 anni, di Montefalco (PG)
† Paolo Remotti † ,
Tenente medico Francesco, 29 anni, di Roma
† Nicola Stigliani † ,
Sergente maggiore montatore, 30 anni, di Potenza
Cieli azzurri e sereni a tutti loro.
Un abbraccio di gratitudine alle loro famiglie.
La Redazione di VOCI DI HANGAR.
Nota: la foto di copertina ritrae le 13 bare allineate nell’area parcheggio dell’aeroporto di Pisa (o Ciampino?) appena rientrate dal Congo. A rendere loro gli onori un C-119 e due avieri VAM.
“A ricordo del sacrificio dei tredici aviatori italiani caduti a Kindu in missione di pace l’11 nov 1961”.
Si conclude con questa iscrizione riportata nella IV di copertina un volume assai particolare, ben diverso dal solito libro a carattere storico o con la malcelata intenzione dell‘indagine giornalistica.
In effetti, nell’introduzione del volume, l’autrice dichiara :
“L’idea di pubblicare un libro sull’eccidio di Kindu nasce dal desiderio di approfondire le ricerche svolte per la stesura della mia tesi di laurea […]”
e di questo non possiamo che esserle sinceramente riconoscente.
Anche perché, come ricorda nella sua prefazione il senatore Marco Boato:
“[..] ne’ rammento che ci stiate occasioni – in un’Italia pur prodiga di celebrazioni, anniversari e rimembranze – in cui negli anni e nei decenni successivi si sia cercato a livello nazionale di riportare alla memoria degli italiano il terribile sacrificio di quei tredici uomini, i quali avevano perso la vita per ristabilire la pace in quel lontano e martoriato Paese africano.[…]”
allo stesso modo, aggiunge sempre l’esponente politico:
“[…] Nessuna legge speciale per i familiari, nessuna solenne commemorazione, nessuna rievocazione storica, nessun ricordo nei libri di testo scolastici.”
E ancora:
“Soltanto una stele rievocativa alle soglie dell’aeroporto di Fiumicino […] qualche monumento locale – soprattutto a Pisa , dove aveva sede la 46° Aerobrigata cui appartenevano le vittime di Kindu – qualche celebrazione, […] qualche strada dedicata qua e là, ma sempre senza alcuna risonanza nazionale.”
L’utilità di un volume come quello di Elena Mollica risiede perciò nel ricostruire minuziosamente quanto accadde a Kindu in quel lontano novembre 1961. E non solo, ma anche dopo, praticamente fino ad oggi.
Dobbiamo ammetterlo: riesce pienamente nell’intento giacché col piglio della ricercatrice obiettiva e curiosa, riesce a fornirci un quadro completo e impietoso, una sorta di nitida istantanea che non teme accuse di fotomontaggi (tanto le fonti sono attendibili) nonostante il trascorrere inesorabile del tempo.
Il volume è infatti un esempio di rigore descrittivo e di ricostruzione analitica che, fatto salvo la prefazione e l’introduzione di cui già si è fatto cenno, contiene anzitutto il paragrafo:
“Il Congo fino all’intervento delle Nazione Unite”
e il suo ideale seguito intitolato:
“I militari italiani tra missioni di pace e guerra civile”
Ma la parte che più commuove è quella dedicata alle biografie ai tredici aviatori (corredata da fotografie) che, in prima persona come se fossero ancora tra noi, ci raccontano il loro vissuto, le loro speranze, la loro età – in diversi casi poco più che adulta – e provenienza geografica. Letteralmente toccante.
Naturalmente non poteva mancare la ricostruzione di quanto accadde in quel fatidico 11 novembre 1961 e nei mesi immediatamente successivi al netto di articoli giornalistici, informative parlamentari e indagini giornalistiche la prima delle quali (a cura di un giovanissimo Sergio Zavoli) è addirittura oggi disponibile su Youtube all’indirizzo:
Vi suggeriamo vivamente di visionarla, non tanto per l’enfasi e i ritmi lenti che nulla hanno di moderno quanto per le immagini dei luoghi in cui avvenne l’eccidio.
Il volume si avvia alla conclusione con il paragrafo:
“Ci si domanda perché”
e soprattutto con un breve cenno alla vicenda – questa sì, relativamente recente – inerente il polverone mediatico sollevatosi nel 1990, dopo ben ventotto anni di silenzio, quando un ex mercenario, certo Enzo Generali, all’epoca dei fatti consigliere militare del leader del Katanga Tshombe, dichiara che i due C-119 italiani non trasportavano medicinali e beni alimentari bensì armi e munizioni, autoblindo. E lo testimonierà davanti al giudice istruttore di Venezia, al secolo Carlo Mastelloni.
Sebbene non sappiamo bene come sia poi terminata l’inchiesta giudiziaria, questo aspetto marginale nulla toglie all’efferatezza dell’episodio o alla drammaticità dello status di tredici famiglie private dei loro affetti, mariti, fidanzati o figli che fossero. Medicinali o munizioni per la guarnigione malese di Baschi Blu di stanza a Kindu, poco importa: i nostri uomini operavano sotto l’egida dell’ONU. Erano disarmati e comunque trasportavano materiale per conto nell’ONU che aveva già autorizzato l’uso della forza e delle armi. All’occorrenza e come ultima azione di pacificazione/autodifesa.
Ma la parte che più indigna di questo libro è proprio il capitolo finale che tratta:
“Norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani”
in cui l’autrice ci dà conto di come e quando il governo italiano ottemperò ai suoi doveri di sostegno alle famiglie degli aviatori. Ebbene, fatto salvo per la pensione, solo nel 2006, furono risarcite a mezzo di un’apposita legge mentre nel 1994, a opera dell’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, fu concessa ai loro defunti la Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla memoria” ponendo fine allo scandaloso comportamento di completa indifferenza seguito dai suoi predecessori (Gronchi, Pertini e Cossiga). Certo i martiri di Kindu non torneranno alle loro case … tuttavia le loro case saranno riscaldate dal calore dell’affetto e dalla riconoscenza tangibile del governo italiano che, in teoria, opera in nome del popolo italiano tutto.
In realtà – e lo apprendiamo dal libro di Elena Mollica – le famiglie godettero rapidamente dei fondi raggranellati grazie a una sottoscrizione popolare istituita dalla RAI. Una somma cospicua per l’epoca: 265 milioni di lire. O meglio di una parte di questa somma giacché una parte fu utilizzata per costruire il monumento-sacrario del caduti di Kindu posto all’ingresso della base della 46° Brigata Aerea a Pisa.
Dopo sole 69 pagine il libro sarebbe ufficialmente terminato tuttavia continua fino a raggiungerne ben 194 in quella che è una lunga ed esauriente “Appendice documentaristica” in cui, ad esempio, vengono fornite le motivazioni per il conferimento delle onorificenza già accennate oppure i verbali dell’inchiesta – che abbiamo trovato in alcuni punti tragicomica – effettuata all’epoca allo scopo di individuare i responsabili dell’eccidio e dunque consegnarli alle autorità congolesi per comminare le opportune pene.
C’è poi il rapporto dell’ONU, preliminare e definitivo nonché la corrispondenza tra le famiglie e i membri della “Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi” relativamente alle rivelazioni di Enzo Generali.
Potremo poi leggere i testi dei telegrammi inviati dal Santo Padre, dal Capo di Stato Maggiore Aeronautica o del Ministro della Difesa Giulio Andreotti all’indomani del terribile evento. E molto altro ancora ancora.
Naturalmente abbiamo apprezzato molto la generosa appendice fotografica che ci consente di dare un volto e un’immagine informale, quasi familiare ai tredici aviatori brutalmente assassinati a Kindu.
E’ un libro che si legge tutto d’un fiato anche se – occorre precisarlo – è un volume di nicchia che può interessare solo pochi curiosi della tragedia occorsa in quella terra lontana.
La prosa dell’autrice è semplice, onesta e spesso utilizza le parole delle testimonianze di personalità riportate integralmente in appendice. Dunque un encomiabile lavoro di collage oltre che di ricerca.
Ovviamente non si tratta di un volume di narrativa, pertanto non c’è trama né intreccio sebbene la storia narrata ci sia fin troppo nota. Purtroppo.
Buona la qualità di stampa, dei caratteri utilizzati e dell’impaginazione; lodevole affidare la stampa del volume ai carcerati ed ex carcerati di un’associazione che mira al reinserimento lavorativo di queste persone particolarmente svantaggiate.
La copertina è efficace e ben costruita nella sua relativa semplicità. Sono presenti simbolicamente gli elementi che ricostruiscono la vicenda: la jungla, i due “vagoni volanti ” Lyra 33 e Lupo 5, infine la lettera di Giulio Garbati – uno dei martiri di Kindu – scritta di suo pugno e inviata alla famiglia poco prima dell’evento, per inciso leggibile in tutta la sua ingenuità e serenità nell’appendice documentaristica.
A proposito dell’autrice possiamo dire poco o nulla: la biografia presente all’interno del volume ci informa che si è laureata in Lettere, indirizzo storia moderna e contemporanea e che, è nata nel ’77, ossia ben dopo l’evento oggetto del suo libro.
Chiudiamo questa recensione affermando, in tutta onestà, che questo libro ci ha aiutato a sanare quelle lacune dovute alla limitazione anagrafica che non ci consentiva di conoscere i dettagli della missione senza ritorno in terra congolese.
Aggiungiamo che per la Segreteria del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE è stato il libro cardine su cui documentarsi per impostare il personaggio storico e dunque la lettura dei racconti della IX edizione del Premio. Un sincero grazie all’autrice.
E ora concludiamo davvero. Lo faremo con le parole di Indro Montanelli che Elena Mollica riporta a prologo della sua introduzione:
Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente.
Occorre aggiungere altro?
Noi, nel nostro piccolo, ci abbiamo provato e anche con l’aiuto fondamentale degli autori/autrici del Premio forse ci siamo riusciti. Forse.
Di sicuro la recensione di questo libro cerca di completare e consolidare il nostro tentativo affinché a tenere viva la memoria dell’eccidio di Kindu si uniscano anche i visitatori del nostro hangar … di più non è davvero in nostro potere. Perdonateci.
Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.
Aforismi
La gravità non perde mai! Il massimo che puoi ottenere è un pareggio.
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Q.T.B.
PILOTA: vario elettrico da tarare. Non sente MC Readi e Solfar . MECCANICO: Sistemato solo vario pneumatico .
(Suggerita da Big Mark)
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HOSTESS: Signora, mi mette una firma qui PASSEGGERA: E’ lo scarico di responsabilità per il trasporto del cane HOSTESS: Firmo a nome mio o a nome del cane?