Ciò che accadde l’11 novembre 1961 (o al più tardi il 12 novembre 1961, ancora oggi non è dato sapere con esattezza) in quell’angolo sperduto del Congo che portava e porta tuttora il nome di Kindu, è quanto di più aberrante e orripilante nella storia del popolo italiano. Non che gli uomini italici durante la millenaria storia della nostra area geografica non si siano mai macchiati di nefandezze innominabili, no, certo che no … e lo stesso dicasi per i congolesi in un paese – il loro – ben più inospitale del nostro (ove la lotta per la sopravvivenza è quotidiana). Tuttavia una tale bestiale crudeltà, un efferato istinto di vendetta come quello che la storia recente ci ha consegnato come “eccidio di Kindu”, beh … è difficilmente paragonabile ad altri episodi cruenti e sanguinolenti della nostra comune memoria storica.
Nella cultura mediterranea e, più estesamente, occidentale, è impensabile il consumo di carne umana, neanche se appartenesse al nostro peggior nemico, neanche per farne il più bieco scempio. Non ne faremmo mai uso; viceversa nel mondo africano, vuoi per un ambiente naturale più selettivo, vuoi a causa di un istinto animalesco appena sopito in quelle aggregazioni tribali spesso isolate dal resto dell’umanità, il consumo alimentare del corpo dell’avversario costituisce una sorta di rivincita, una specie di trofeo che va al di là del desiderio di prevalere sul nemico violando il suo corpo fin nell’ultima fibra.
A Kindu accadde proprio quello, o almeno le cronache lasciano supporre (non smentendolo in modo categorico) che i tredici aviatori italiani della missione di pace sotto l’egida dell’ONU, furono non solo massacrati barbaramente ma – pare e sottolineiamo pare – anche brutalmente cannibalizzati secondo il costume locale o comunque secondo un rituale ancestrale mai del tutto abbandonato da quelle genti.
Un fatto di una gravità inaudita, inimmaginabile secondo la nostra cultura e costumi eppure per nulla scandalosa per i congolesi.
Si obietterà: i miliziani congolesi probabilmente erano ubriachi e sotto l’effetto di droghe mentre i tredici martiri di Kindu erano certamente indifesi e unici uomini bianchi presenti in un’area dove i bianchi – belgi, s’intende – si erano macchiati di schiavismo, torture, sfruttamento disumano degli indigeni. Da qui un profondissimo odio nei confronti di tutti i bianchi in genere.
Si dirà poi che i due velivoli italiani, benché in missione di pace trasportavano armi anziché medicinali … sì – d’accordo – ma a uso e consumo delle truppe ONU malesi che presidiavano la zona di Kindu e che, in quanto soldati con il mandato di riappacificare il paese anche con le armi, avevano il sacrosanto diritto all’autodifesa. Quanto meno.
Nell’accezione popolare si suole dire che “in amore e in guerra tutto è concesso” … ebbene in Congo era in corso una vera e propria guerra civile – è vero – ma che nulla aveva di “civile”. Di qui a cannibalizzare il nemico (presunto o realmente tale) ne corre, non trovate? … eppure!?
Quando si verificano episodi di crudeltà come quella consumata a Kindu anche la più democratica e permissiva cultura occidentale va letteralmente a farsi a benedire e anzi non stupirà se qualcuno invocò allora (e soprattutto avrebbe praticato volentieri) la “legge del taglione”. Occhi per occhio, la pena identica o almeno pari al torto subito.
Probabilmente è quello che deve aver pensato e poi applicato il personaggio del racconto di Rosario Trimarchi. Occhio per occhio e Kindu è vendicata!
Non sappiamo se si tratti di un racconto di pura fantasia o se ci sono dei fondamenti di realtà … di certo il racconto ha qualcosa di truculento e di senso della vendetta che viene dal profondo.
In effetti l’autore così riassume il suo racconto:
Una benefica missione di pace, sfocia in una tragedia. Sono anni in cui l’opinione pubblica non viene ancora coinvolta al punto da poter spingere a fare chiarezza, lasciando così alla politica governativa la possibilità di stendere arbitrariamente un velo che seppur pietoso lascia dubbi e perplessità. Un uomo d’armi che non è Rambo uno dei pagliacci di Hollywood, ma Carlo B…a, un autentico soldato reduce da più guerre, è coinvolto sul luogo dell’eccidio in fatti immediatamente successivi ad esso. Durante la sua attività di mercenario trova un modo per vendicare, a modo suo e anonimamente, gli avieri italiani e contemporaneamente sentirsi a posto con la propria coscienza. Il metodo può sembrare folle ma, senza inorridire per il gesto e nemmeno volerlo giudicare, si potrebbe essere spinti a pensare che egli sia riuscito nell’intento.
Il racconto parte piano e procede apparentemente in modo innocuo ma, giunti verso la conclusione, esplode in tutta la sua crudezza lasciando il lettore basito e assillato di dubbi: fantasia o realtà?
Ovviamente non possiamo anticiparvi di più pena annullare l’effetto sorpresa. Quella stessa sorpresa che non deve aver fatto breccia nella della giuria del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE che non lo ha trovato meritevole di accedere la fase finale e dunque di annoverarsi tra i magnifici 20 racconti presenti nell’antologia della IX edizione.
Peccato … sarà per la prossima edizione perché Rosario Trimarchi è sicuramente un ottimo autore che ha fantasia e tecnica, sa narrare e intrigare il lettore e dunque è destinato a crescere e a migliorarsi a ogni partecipazione. Tieni duro Rosario!
Per l’intanto godiamoci questo suo racconto e domandiamoci se, nei panni del protagonista ci saremmo comportati allo stesso modo.
Narrativa / Medio – Lungo
Inedito
Ha partecipato alla IX edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2021
titolo: Bleeding Sky – The Story of Captain Fletcher E. Adams and the 357th Fighter Group.
autore: Joey Maddox
editore: Xlibris Corporation
anno di pubblicazione: ottobre 2009
ISBN libro: 978-1441555588
ISBN ebook: 978-1-4415-5
Nella recensione di “The Great Rat Race For Europe“, di Joey Maddox, avevo accennato a uno dei piloti del 357° Gruppo Caccia statunitense, di stanza in Gran Bretagna nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Il suo nome è Fletcher E. Adams.
Avevo solo accennato alla sua storia, dicendo che ne avremmo riparlato.
Ecco, ne riparliamo adesso. Questo libro è dedicato proprio di lui.
Yoey Maddox, l’autore, nel mettere insieme un gran numero di racconti, che tanti piloti avevano scritto e gli avevano inviato, affinché non si perdesse la memoria delle loro storie, si era trovato addirittura con troppo materiale da inserire in un solo libro. Perciò, ne aveva scritti due.
Il primo è “The great rat race for Europe“, che si può tradurre come “I grandi combattimenti aerei per l’Europa“, oppure anche “Le grandi battaglie aeree per l’Europa” ma così, in italiano, non suona troppo bene. Anche se, all’epoca, il cosiddetto dog-figthing, cioè il combattimento tra aerei da caccia, a volte veniva chiamato anche “rat race”, come dire “corsa di topi”, o “caccia al topo”.
Le frasi idiomatiche sono difficili da tradurre, a volte.
Questo libro, invece, ha un titolo che non necessita di spiegazioni. E’ la storia di un capitano pilota, un asso della caccia.
A lui è dedicato il Museo, della cui inaugurazione avevamo parlato a proposito dell’altro libro. Chiunque fosse interessato può andare a leggere la mia recensione in questa sezione dell’hangar.
All’inaugurazione erano presenti molti piloti che, come Adams, avevano fatto parte del 357° Gruppo caccia. Erano tutti molto anziani, prossimi o già oltre i novanta anni.
Yoey Maddox aveva accennato a questa età elevata, dicendo, senza mezzi termini che “ormai stiamo cadendo tutti come mosche“. E aveva ragione.
Oggi anche un altro illustre asso, presente all’inaugurazione del Museo, uno dei più famosi tra di loro, se ne è andato di recente: Chuck Yeager.
Ora resta in vita un solo altro nome famoso del gruppo: Bud Anderson.
Anderson, nella prefazione di questo libro, scrive:
“The story of Fletcher Adams is one of the vast number of tales that could be told about WWII”.
“La storia di Fletcher Adams è una delle tante storie che possono essere raccontate riguardo alla Seconda Guerra Mondiale”.
Sì. Esattamente. Solo una delle tante storie.
Allora, perché su di lui si scrive addirittura un libro?
Lasciamo ancora la parola a Bud Anderson.
“This book gives us the best insight into a tragic casuality of WWII and the mistery of what happened to captain Fletcher E. Adams. Yoey Maddox’s use of other voices, quotes, and investigative interviews make the story interesting. You’ll not only learn about Fletcher Adams but also the history of the 357th Fighter Group. I found the use of Adams’ personal diary, an illegal practice in wartime, particularly interesting to learn of his personal feelings during his training and combat”.
“Questo libro ci dà la migliore visione dall’interno di un fatto tragico della Seconda Guerra Mondiale e del mistero di cosa accadde al capitano Fletcher E. Adams. L’uso che Yoey Maddox fa delle tante voci, citazioni, e delle interviste investigative, rende la storia interessante. Non soltanto si finisce per conoscere Fletcher Adams, ma anche il 357° Gruppo Caccia. Ritengo l’uso del diario personale di Adams, una pratica illegale in tempo di guerra, particolarmente interessante per scoprire cosa aveva provato durante l’addestramento e durante il periodo di combattimento”.
Adams, infatti, teneva un diario, dove annotava diligentemente tutti i fatti salienti di ogni giorno.
Inoltre, ogni giorno scriveva alla giovane moglie, Aline.
Molti altri piloti tenevano un diario, anche se , formalmente, era proibito farlo. E tutti, o quasi, avevano una ragazza, o una famiglia, a cui scrivere quasi quotidianamente.
La posta era censurata, ma tante cose, apparentemente banali, potevano essere scritte.
Dopo la fine della guerra, la grande quantità di informazioni contenute nei diari e nella lettere, ha aiutato tanti autori a tracciare e tenere vivo il filo dei ricordi. Molti libri sono stati scritti così. Compreso questo.
Il diario di Adams ha costituito una traccia degli avvenimenti del periodo di guerra da lui vissuto. Si comincia dal periodo di addestramento negli Stati Uniti, si continua con la storia del viaggio verso l’Europa, con la storia del primo periodo a Leiston, un aeroporto a poca distanza da Londra, e poi si prosegue con i racconti dei combattimenti aerei successivi. Parliamo del 1943 e dei primi mesi del 1944.
E si termina, purtroppo, con l’abbattimento dell’aereo di Adams sul cielo della Germania, il 30 maggio 1944. Il momento più sbagliato per essere costretti a scendere in un paese ostile, che subisce ogni giorno bombardamenti e mitragliamenti e si trova sul punto di perdere la guerra.
Lo sbarco in Normandia e l’invasione (con la conseguente liberazione) dell’Europa occupata dai tedeschi, sarebbe avvenuta soltanto pochi giorni dopo, il 6 giugno.
Il libro è una raccolta di racconti di diversi piloti. Ogni racconto va a collocarsi lungo la traccia segnata dal diario di Adams.
In questo modo possiamo seguire Adams, non solo nella sua stessa narrazione, ma anche in quella dei suoi commilitoni. E’ come vederlo in azione con gli occhi di chi gli viveva e volava accanto.
Un lavoro davvero ben fatto.
A Leiston era di base il 357° Gruppo Caccia, del quale faceva parte Adams, come abbiamo detto.
Come tanti altri, Adams era partito per l’Europa a bordo della famosa nave Queen Elizabeth. E come tanti, anche lui aveva lasciato la famiglia. E una ragazza.
La ragazza era sua moglie.
Si erano sposati poco prima della sua partenza. Nel diario di Adams non c’è annotazione che non contenga una dichiarazione d’amore per Aline.
E poi, c’era un altro elemento importante, in questa storia: Aline aspettava un bambino.
Sin dal suo arrivo a Leiston (ma diciamo pure sin dalla partenza), non passava giorno senza che Adams scrivesse a sua moglie. E lei faceva altrettanto.
Poiché che il libro è costituito da racconti scritti da tanti piloti, dove Adams si vede partecipare alle azioni, e dalle registrazioni che lui stesso annotava sul diario, possiamo seguire la vita di reparto per tutti i mesi del 1943.
In questo periodo Adams diviene un asso, viene promosso, conduce il suo aereo P-51 Mustang in ogni tipo di missione di guerra.
E continua a scrivere alla sua Aline.
Nei primi mesi del 1944 parla spesso della prossima nascita del loro figlio, di quale nome vorrebbero dargli etc.
La corrispondenza si fa sempre più serrata. Spesso le lettere di Aline tardano ad arrivare e Adams freme, chiedendosi cosa può essere successo. Poi arrivano tutte insieme.
Insomma, la vita normale di due sposi.
Ma la loro vita non era affatto normale. Aline si trovava a migliaia di chilometri di distanza. E lui andava in volo ogni giorno per combattere e in qualunque momento poteva morire, per un motivo o per un altro.
All’epoca, il servizio di spionaggio era molto organizzato. Alla radio tedesca trasmetteva spesso un signore che parlava benissimo l’inglese e che sembrava dedicare il suo programma proprio ai reparti americani e inglesi di stanza in Gran Bretagna. E sembrava conoscerli ad uno ad uno.
Appena arrivato a Leiston, Adams si trovò ad ascoltare quella radio. Il signore di cui sopra, in perfetto inglese, li salutò e diede loro il benvenuto, riferendosi ad essi come agli “Yoxford Boys“.
Infatti, vicino all’aeroporto c’era un piccolo paese che portava questo nome. E dove spesso il gruppo andava in libera uscita.
Segno evidente che il Regno Unito pullulava di spie.
Comunque questo nomignolo rimase in uso e da allora i ragazzi del 357° Gruppo Caccia continuarono a chiamarsi gli “Yoxford Boys“.
E il signore che trasmetteva fu, a sua volta, battezzato “Lord Haw Haw“.
Arriviamo al mese di maggio 1944.
La nascita del bambino era sempre più imminente.
Aline aveva scelto già un nome, sia per un maschio che per una femmina. Ma questi nomi non piacevano ad Adams.
Lui sperava in un maschietto e nel caso, per lui avrebbe scelto il nome Jerry.
Perché proprio Jerry?
Perché, come abbiamo detto sopra, il combattimento aereo era anche chiamato “rat race”, dove il nemico era il topo. E ognuno di loro si sentiva di essere il gatto.
Tom e Jerry, in altre parole.
Infatti, il nascituro si rivelò essere un maschietto. E prese davvero il nome di Jerry.
Dal diario di Adams, un’annotazione del 28 aprile 1944 riporta la nascita di Jerry il 23 o il 24. Qualche giorno prima.
Le altre annotazioni riguardano missioni di guerra, piloti che sono stati abbattuti, notizie di vario genere. Fino al 22 maggio 1944.
Da questo punto in poi, inspiegabilmente, nulla. Le pagine vengono sbarrate da una riga e nessuna annotazione compare più.
Il libro prosegue facendo riferimento ai racconti degli altri.
Ma da questo punto comincia la parte più tragica della vita di Fletcher Adams.
Ora bisogna occorre in evidenza un particolare importante, avvenuto proprio in quei giorni.
Hitler era sempre più rabbioso.
Infischiandosene delle convenzioni internazionali riguardo ai prigionieri di guerra, aveva emanato una direttiva che condannava a morte qualunque pilota alleato che fosse stato costretto a paracadutarsi sul territorio della Germania. Questi piloti dovevano essere considerati criminali, delinquenti, che osavano colpire la popolazione civile inerme. Come se non fosse stato proprio lui, Hitler, ad aggredire per primo la popolazione civile inerme degli altri paesi europei.
Goebbels, dal canto suo, aveva rafforzato l’ordine di Hitler.
E Lord Haw Haw, ovviamente, aveva trasmesso la notizia, per spaventare gli ascoltatori alleati.
Non si sa se Adams avesse sentito alla radio tedesca di questi ordini criminali … possiamo solo ritenerlo molto probabile. Non c’è nessun accenno nel suo diario, che comunque si interrompe improvvisamente e inspiegabilmente al 22 maggio. Ma se anche non avesse ascoltato direttamente la radio, almeno i commenti dei suoi commilitoni li sentì eccome, ne siamo quasi certi.
“On the night of May 29, 1944, the pilots of the 362nd Fighter Squadron were in the pilots’ room listening to German radio. They probably laughed as Lord Haw Haw threatened the next “Dirty Yoxford Boy” shot down, and captured alive with death. We’ll never know whether Fletcher Adams heard the broadcast; he made no mention of it in his last letter to Aline”.
“Nella notte del 29 Maggio 1944, i piloti del 362° Gruppo Caccia erano nella stanza dei piloti e stavano ascoltando la radio tedesca. Probabilmente risero quando Lord Haw Haw minacciò di morte il prossimo degli “Sporchi Ragazzi di Yoxford” abbattuto e catturato vivo. Non sapremo mai se Fletcher Adams ascoltò la trasmissione; non ne fece menzione nella sua ultima lettera ad Aline”.
Se anche l’avesse sentita, di sicuro non ne avrebbe scritto nulla ad Aline, per non farla preoccupare.
Il giorno dopo, nel pomeriggio, Adams era in volo sulla Germania. Stava scortando i bombardieri in una missione di bombardamento della città di Bernberg e stavano sorvolando un piccolo paese, Tiddische.
Il suo aereo, un Mustang P 51 che aveva nominato The Southern Belle (La Bella del Sud, cioè Aline, ma lui aveva evitato di proposito di nominarla perché non voleva andare in guerra con il nome di sua moglie scritto sulla fusoliera) fu colpito. Un gruppetto di caccia tedeschi Me 109 li aveva attaccati.
Un gregario della sua squadriglia raccontò che ci fu un’azione eversiva per sfuggire all’attacco. Ma vide che il The Southern Belle era stato raggiunto da alcuni colpi e stava perdendo liquido refrigerante dal motore: lasciava una scia bianca dietro di sé.
Adams si lanciò immediatamente, prima che l’aereo prendesse fuoco.
Il paracadute si aprì regolarmente e Adams scese dolcemente verso terra.
Nello stesso momento, a poca distanza, era stato abbattuto anche un caccia tedesco e il pilota, Ferdinant Spychinger, era morto nello schianto.
Da questo punto in poi il libro riporta la storia di ciò che avvenne dopo l’atterraggio di Adams, in un campo vicinissimo al paese di Tiddische.
L’aereo, senza controllo, aveva urtato il terreno in una maniera talmente piatta che, dopo alcuni rimbalzi, si era fermato proprio al limite dell’abitato, quasi intatto. E non si era neanche incendiato.
Ora la storia si fa davvero tristissima. Per questo motivo preferisco tracciarne solo le linee essenziali, lasciando al lettore l’onere di leggerla dal libro di Maddox.
Adams venne catturato. Il capo della polizia di Tiddische, Adolf Funke, un fanatico nazista, assolutamente privo di umanità, lo arrestò. Lo portò subito all’interno della sua casa che fungeva anche da ufficio, coadiuvato da un suo nipote, capo della locale sezione della Gioventù Hitleriana.
Adams fu spinto brutalmente, colpito più volte e fatto sedere su una specie di poltrona.
La moglie di Funke lo colpì a sua volta, ripetutamente, con un ferro da stiro, facendolo cadere a terra svenuto.
A queste scene assisté parecchia gente, gli abitanti del paese, che si assembrarono fuori dalla casa e sentirono le urla di Funke, di sua moglie e del nipote. Ma dopo poco furono brutalmente dispersi da Funke, che li minacciò e ordinò loro di andare a casa.
Bisogna dire che la gente comune non voleva che il pilota fosse maltrattato. Era sufficiente prenderlo prigioniero e trattarlo secondo le convenzioni internazionali in vigore.
Ma le rabbiose direttive di Hitler e di Goebbels avevano fatto presa sul nazista Funke.
Il nipote, pur essendo il capo della Gioventù Hitleriana, non era come lo zio. Provò a dissociarsi, ma rischiava di farsi denunciare e arrestare, se non lo avesse assecondato.
E nessuno della popolazione osò muovere un dito. Tutti si ritirarono nelle loro case, spiando dalla finestra. Quelli che potevano vedere qualcosa. Altri non videro più nulla, o almeno così dichiararono dopo la guerra.
Più tardi Adams, che aveva ripreso i sensi, fu condotto a piedi lungo la strada che usciva dal paese, verso un bosco vicino.
Funke sparò due colpi al pilota, che non morì subito. Il nipote, con la pistola cal. 45 di Adams, sparò il colpo di grazia.
Il corpo fu lasciato nel bosco fino al giorno dopo, quando alcuni prigionieri che lavoravano nei campi al comando dei civili tedeschi furono incaricati di prendere il cadavere e seppellirlo in un punto che fu loro indicato, nei pressi di un muro, ad un angolo del locale cimitero.
Nella primavera del 1945, le truppe americane arrivarono a Tiddische e cercarono i resti del loro pilota.
Poi catturarono i responsabili del suo omicidio.
Tutti, tranne Funke, che non fu mai trovato e non pagò mai per i suoi crimini.
Nel libro Maddox rivela che il corpo di Adams subì altri oltraggi. I suoi resti, riesumati, mancavano di alcune parti, come le mani, i piedi e la testa, che non furono mai ritrovati.
A seguito di questo episodio ci furono interrogazioni, processi e condanne.
E solo dopo parecchio tempo i poveri resti di Adams furono riportati negli Stati Uniti.
A questo punto, specialmente dopo aver letto il libro, sarebbero moltissime le considerazioni da fare.
Ci si interroga sul perché di tanta brutalità, gratuita, senza scopo alcuno. Ma questa è la guerra.
Anzi, questa è l’Umanità.
C’è ben poco da aggiungere: l’Umanità è questa ed è capace di compiere azione tanto agghiaccianti.
L’Umanità non è capace di imparare e migliorare davvero. In questo momento storico assistiamo al ritorno di condizioni capaci di rimetterci a rischio di ripetere episodi simili. Anzi, nel mondo non è mai cessata la crudeltà. L’Uomo sembra incapace di vivere in pace evitando di fare del male al mondo intero e a sé stesso.
Anni fa ho letto l’autobiografia del famoso Horst Tappert, meglio noto come l’Ispettore Derrick.
Lui aveva fatto la guerra. Nel libro diceva di essere stato sempre contrario alla violenza e che tutto il popolo tedesco, in generale, lo era. Tranne una piccola minoranza, che però era stata capace di trascinare il resto in un turbine di violenza senza fine.
Derrick aveva scritto una frase che mi aveva colpito:
“Noi tedeschi avevamo imparato a diffidare di chiunque parlasse a voce troppo alta”.
Credo a questa affermazione. Ma credo anche che la memoria della gente sia piuttosto breve.
A distanza di qualche decennio, secondo me, sono pochi quelli che continuano a diffidare. E sempre di più quelli che, invece, sono pronti a seguire.
Recensione a cura di Evandro A. Detti (Brutus Flyer)
Didascalie e fotografie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
Come già anticipato nella recensione del libro intitolato “Sullandai“, questo racconto costituisce idealmente il prologo o – utilizzando un’espressione mutuata dalla gastronomia – l’antipasto del volume pubblicato nel 2004 a opera del Com.te Glauco Nuzzi.
In verità il “Il viaggio – l’inizio dell’avventura ” è molto più giovane, cronologicamente parlando (primavera 2021) rispetto al libro in questione. Come mai – vi chiederete -?
Semplicemente perché il racconto costituisce una sorta di concreto apprezzamento da parte dell’autore nell’essere stato esortato – e non comandato volontario – a partecipare alla IX edizione del nostro premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE. Anzitutto in qualità di giurato speciale, poi di ospite d’onore nel corso della cerimonia di premiazione e poi, se proprio gli fosse avanzato del tempo e se la memoria lo avesse supportato, anche di autore di almeno un racconto ambientato nel Congo.
Dalla spontanea disponibilità dell’autore è nato dunque il primo capitolo rivisto e corretto, condensato e migliorato di quello che è – e rimane tuttora – il primo capitolo stampato di “Sullandai” .
D’altra parte il titolo del racconto lo lascia facilmente intendere: è l’inizio dell’avventura che visse l’autore, poco più che ventenne, nei loghi aerei e terrestri del continente africano. Suo malgrado – sottolineiamo perché comandato volontario ad andarci e, prima ancora, comandato a trasferirsi a Pisa presso la 46a Aerobrigata trasporti pesanti come destinazione al reparto, appena terminata l’Accademia Aeronautica.
Forse sarà per questo che il comandantissimo Nuzzi si è subito adoperato per migliorare e riscrivere il primo capitolo del suo libro e farne un racconto peraltro piacevolissimo e godibilissimo: perché nessuno degli organizzatori del Premio letterario l’ha comandato … al massimo “pregato di”, certamente non “obbligato a”.
Tornando all’espressione iniziale “antipasto”, ebbene “Il viaggio – l’inizio dell’avventura ” è sicuramente un antipasto appetitoso, sapido, gustoso che appaga la mente e solletica la curiosità del lettore.
La prosa è semplice, senza particolari artifici narrativi, quasi confidenziale.
La trama è snella ma l’intreccio è davvero ben congegnato per essere confinato allo spazio di un medio-breve racconto.
Pochi ma fondamentali i personaggi e, sebbene la narrazione sia in prima persona, sono presenti alcuni periodi con il discorso diretto evitando così il rischio di un testo piatto se non monotono. E’ pur vero che la vicenda narrata è così dinamica che …
In definitiva un racconto che vi farà venire la voglia di leggere il romanzo o – ci auguriamo – la recensione del libro ospitata nel nostro hangar.
A conclusione di questa recensione permetteteci invece di ringraziare il Com.te Glauco Nuzzi per averci regalato questo cammeo. Lo interpretiamo come un segno di stima e di affetto nei nostri confronti. Come quello che abbiamo noi nei suoi. Nel nostro caso però non disgiunto da un reverenziale rispetto verso quel ventenne oggi cresciuto e divenuto solo per motivi anagrafici un delizioso ultraottantenne, comandato volontario a diventarlo.
Narrativa / Medio-lungo
Inedito
In esclusiva per la IX edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2021
Attenzione: Non esiste il Tag IL VIAGGIO - L'INIZIO DELL'AVVENTURA
Il protagonista indiscusso e ineguagliabile della premiazione del nostro premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE, VIII e IX edizione, è stato sicuramente il Com.te Glauco Nuzzi e il suo Sullandai.
Nella fantasmagorica cornice dell’Auditorium del Palazzo dell’Aeronautica di Roma, domenica 17 ottobre 2021, egli ha raccontato con la vividezza della sua voce le sue esperienze di volo – e di vita – in Congo così come, in modo articolato e ben più esteso, aveva già confessato nel 2004 in forma scritta nel suo libro autobiografico Sullandai, appunto.
Appena ventenne, nei primissimi anni ’60, partecipò infatti alla missione di pace in quel martoriato paese africano sostenuta dall’Aeronautica Militare Italiana e sotto l’egida dell’ONU. Missione che comportò un massiccio impegno di uomini e velivoli della 46a Aerobrigata di Pisa e purtroppo tragicamente passata la storia per il terribile eccidio di Kindu in cui due equipaggi di C-119 italiani furono barbaramente trucidati dai tagliagole congolesi.
Il drammatico episodio, in occasione del suo sessantesimo anniversario, è stato assunto quale personaggio storico del Premio letterario appunto, edizione 2021. O meglio, lo sono stati i due equipaggi rispettivamente del velivolo Lyra 5 e del Lupo 33 che sono dunque divenuti oggetto di numerosi racconti in qualità di protagonisti o elementi principali della trama. Un modo diverso per unire la conservazione della memoria con la divulgazione storica e al contempo per onorare i tredici aviatori caduti nello svolgimento del loro dovere; storia e narrativa unite in un connubio snello eppure evocativo.
Per gli organizzatori del Premio, una volta stabilito il personaggio storico della IX edizione, associarlo al nome dell’autore è stata una questione di pochi istanti. Per il Presidente dell’HAG, Stefano Gambaro, Glauco Nuzzi è stato infatti un istruttore di volo fondamentale – quanto indimenticabile – nel corso della sua carriera professionale di pilota commerciale; per il gestore di VOCI DI HANGAR nonché Segretario del Premio, Glauco Nuzzi era invece l’autore di un romanzo autobiografico recuperato in modo singolare e letteralmente divorato un paio di anni prima. Un autore da cui era stato molto favorevolmente impressionato per la semplicità narrativa ma anche per il realismo del racconto.
Da qui è nato il comune desiderio di coinvolgere in modo fattivo il Com.te Nuzzi in quelle che sarebbero state le dinamiche del Premio, ossia: preparare una speciale prefazione da inserire nell’antologia, svolgere lo spinoso incarico di giurato – nel suo caso, speciale – da aggiungere alla schiera dei giurati ”convenzionali” del Premio, godere della sua presenza in occasione della cerimonia di premiazione attribuendogli il ruolo dell’ospite d’onore.
In realtà, presi dall’onda dell’entusiasmo di poter attingere a una fonte autorevole quanto mirabile, gli organizzatori hanno avuto l’ardire di chiedere al loro beniamino anche la stesura di un eventuale racconto inedito che traesse spunto dalla sua pluriennale carriera di pilota cominciata proprio tra le fila della 46a Aerobrigata in Africa.
La risposta dell’ormai ultraottantenne autore romano non si è fatta attendere né si è fatto pregare di fronte a tante richieste audaci – non c’è che dire – tanto che si è dichiarato subito disponibile su tutta la linea e anzi, tempo qualche giorno, ha fornito alla Segretaria del Premio ben due racconti inediti, uno dei quali costituisce virtualmente un gustoso antipasto di quello che è il suo romanzo Sullandai.
E’ dunque consapevoli del grande privilegio che ci ha concesso che pubblichiamo in questo speciale angolo del nostro hangar i racconti intitolati:
A proposito della recensione, in verità, contavamo di pubblicarla diversi mesi orsono ma la scelta di non influenzare gli autori/autrici impegnati con il Premio in corso ci ha fatto desistere; ora che la classifica di RACCONTI TRA LE NUVOLE è stilata, divulgata e i premi sono stati consegnati, possiamo renderne partecipi i nostri visitatori. E senza indugio alcuno.
Ebbene … se la motivazione che si pone quale causa scatenante della stesura del libro è alquanto singolare, altrettanto fortuite sono state le combinazioni che hanno reso possibile per noi recuperare una copia del volume. Ma di questo ne verrete edotti in coda alla recensione …
Viceversa ci teniamo a precisare che Sullandai – e non ce ne voglia l’autore – non è un best sellers né mai lo diventerà nonostante la genuina pubblicità che gli organizzatori del Premio hanno svolto nel corso della premiazione. Anche perché, a oggi, non ci risulta che ne siano disponibili copie nella rete di vendita on line o che qualche editore sia disposto alla sua ristampa. Forse ne esiste qualche rara copia usata in circolazione. Nulla più. Peccato. E questo rende vieppiù pregiata la copia in nostro possesso o in possesso dei fortunati possessori.
Sullandai è’ invece un piacevolissimo diario che non ha le fattezze del diario – in termini di rigidità cronologica – bensì ha la fisionomia di un lungo racconto quasi confidenziale. Si snoda lungo un periodo di tempo incentrato agli inizi degli anni ’60 e in quei loghi distribuiti principalmente sul suolo/cielo del Congo e dintorni.
Protagonista – neanche a dirlo – è l’autore che narra gli eventi e gli innumerevoli episodi in prima persona senza però stancare il lettore o rallentare il suo resoconto.
C’è poi una cospicua messe di coprotagonisti tra cui spicca Giulio Garbati – soprannominato dall’autore Garbulio – che il destino beffardo vorrà privarlo per sempre all’affetto dei suoi cari e consegnarlo alla storia come uno dei tredici martiri di Kindu.
L’autore – sempre il destino ha voluto – visse gli eventi congolesi prima e dopo l’eccidio di Kindu tuttavia, da commilitone ma soprattutto da vero amico del capitano Garbati, fu letteralmente travolto dalla drammatica vicenda di Kindu.
Il romanzo infatti si colloca in diverse situazioni, non necessariamente di servizio e di volo. Dunque, parafrasando il sottotitolo del volume, contiene storie varie degli aviatori italiani in terra d’Africa, specie in Congo, ma non solo.
Che l’autore fosse stato accidentalmente comandato volontario in Africa, ce lo confesserà subito; che prima ancora fosse stato destinato d’autorità ai “pesanti” (gli aerotrasporti) anziché ai caccia (come era nei suoi desideri) ce lo ricorderà più volte nel corso della sua narrazione. Anzi la svolta finale, peraltro del tutto imprevista – finalmente secondo il suo volere – lo coglierà ugualmente contrariato perché ormai si era affezionato al reparto e agli aeroplani che non si fermavano mai perché volavano ognitempo. Quelli della 46a
Il titolo del volume trae dunque origine da una delle tante situazioni rocambolesche vissute dall’autore. E’ una parola in lingua svedese ed è la parola magica che salverà l’equipaggio del C-119 impegnato in una missione impossibile – una delle tante – dalla concreta minaccia di abbattimento ad opera dell’unico “pseudo caccia” nemico (un Fougà Magister) che imperversa nei cieli congolesi.
Vi possiamo anticipare che – incredibile – l’espediente funzionerà e i nostri uomini la faranno franca ancora una volta grazie alla loro inventiva e alle loro indubbie capacità tecniche ma anche freddezza unita a una sottile vena di audacia. Al lettore, viceversa, rimarrà la tensione che trasuda dalle righe di questo episodio e vi assicuriamo gli rimarrà addosso per molte pagine ancora.
Un piccolo inciso: anche in questa missione il nostro beniamino parteciperà come volontario accidentalmente comandato.
In effetti l’autore ci spiega il senso figurato della parola – e ce lo ha ribadito nel corso della premiazione, immancabilmente interrogato sull’argomento – ma non ci spiega il significato espressamente letterale del termine “sullandai” né ci è stato fornito alcun conforto dal tanto osannato traduttore universale disponibile in rete. Purtroppo in Redazione non disponiamo nessuno/a di origine scandinava, come pure non abbiamo amici, conoscenti, lontanissimi parenti capaci di sciogliere questo enigma. Confidiamo però nei nostri visitatori/lettori. In verità auguriamo loro di intrattenersi con uomini/donne provenienti da quell’area geografica, magari nel corso di qualche vacanza balneare, affinché il contatto sia anche culturale. Oltre che di corpi e di anime, s’intende. Sullandai, ricordatevi. E fateci sapere.
La prosa dell’autore è rapida, efficace, leggera in quanto inframezzata di brevi note esplicative a carattere tecnico ma anche di riflessioni intime come pure di battute fulminanti – spesso in dialetto romanesco – mentre non mancano le descrizioni delle bellezze naturali o le situazioni grottesche sottolineate da quel disincanto o quel pragmatismo tipicamente romano di cui l’autore era già illustre esponente. Il tutto unito a una sottile sagacia congenita con l’autore.
L’alchimia tra periodi in terza persona e quelli con discorso diretto è ottima e non ci si accorge di leggere un romanzo di memorie tanto che, senza le opportune premesse, si può scambiarlo tranquillamente per un buon romanzo di fantasia. Inoltre non mancano le irrinunciabili battute in dialetto, romanesco e pisano che rendono assai veraci i dialoghi e i personaggi evocati.
Il nostro Glauco dimostra perciò di saper usare sapientemente l’ostica lingua italiana alla stregua dei comandi di volo del pesante “Vagone volante” e il lettore, capitolo dopo capitolo, quasi non si accorge di essere giunto al termine delle 188 pagine che compongono il volume. Perché vicende drammatiche e tragicomiche, avventurose, di terra e di cielo si alternano in un susseguirsi per nulla artificioso. Il tutto è inoltre inframezzato da numerose foto in bianco e nero, generose nelle dimensioni e dotate di preziose didascalie.
Il formato del libro è ottimo, la carta di stampa impeccabile, la dimensione dei caratteri di stampa è standard, l’impaginazione professionale.
Avremmo qualche riserva sul contorno nero della copertina tuttavia – occorre ammetterlo – esalta la foto di copertina. Non è invece presente la IV di copertina.
Valida la biografia presente nei risguardi interni e, sebbene la sinossi sia pressoché inutile, è davvero striminzita.
Onesto il prezzo di vendita (di allora) a testimonianza che sia l’autore che l’editore non intendevano fare business con un libro che aveva tutt’altri scopi.
Insomma un volume che consigliamo agli appassionati di volo ma anche di viaggi, non solo alla ricerca di informazioni circa l’eccidio di Kindu.
Di certo questo volume ha appassionato l’autore nello scriverlo giacché, giusto qualche anno dopo, ha pubblicato altri volumi (di cui vi daremo conto in altre recensioni), ugualmente piacevoli e meritevoli di attenzioni.
Se non fosse per la venerabile età di Glauco – lungi da noi volersi prendere gioco di lui – vorremmo scrivere che, come autore, è certamente destinato a crescere e a migliorarsi in futuro … tuttavia sappiamo che il Com.te Nuzzi, con i suoi libri, ci ha regalato le sue preziose esperienze come pilota a tutto tondo (militare, commerciale, sportivo, amatoriale) con lo stesso spirito con cui un qualsiasi nonno trasmetterebbe le sue esperienze di vita al suo amato nipotino, convinto che l’inesorabilità del tempo li allontanerà per sempre. Prima o poi.
Ebbene, per quanto ci riguarda, possiamo dire di aver avuto il privilegio di conoscere fisicamente il Com.te Glauco Nuzzi, di aver goduto della sua squisita compagnia, di essere stati partecipi delle sue vicissitudini aeronautiche. Grazie Glauco. Ciò nonostante il viso radioso degli occhi guizzanti di questo nostro grande nonno lo serberemo in un angolo speciale del nostro cuore mentre alle sue testimonianze scritte concederemo volentieri l’angolo migliore della nostra memoria. Perché tanto ci ha reso senza nulla pretendere.
Lunga vita a Glauco!!!
Prologo di “Sullandai”
“Aeroporto di Milano Linate. In attesa dell’imbarco passeggeri […]
Rassegnato a un potenziale ritardo mi accomodo su una delle poltrone anteriori del MD-80 […] sfoglio distrattamente un quotidiano.
Vedo con la coda dell’occhio salire a bordo l’atteso personaggio che si mette a discutere con l’Assistente di Volo
– Va bene, fra due minuti vi arriva tutto quello che manca, scusate il disservizio […] Arrivederci, otikala malamu!
– Kenda malamu – rispondo istintivamente mentre l’uomo si avvia alla scaletta per scendere. […]
– Io ho salutato per scherzo in dialetto lingala …
– E io ho risposto sul serio in lingala, ma lei come fa a sapere il dialetto congolese?
– E lei?
– Sono stato in Congo […]
Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
IX edizione Premio letterario “Racconti tra le nuvole”
COMUNICATO STAMPA nr 7 del 1 settembre 2021
Non senza difficoltà, i nostri magnifici membri della giuria della IX edizione del Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE” hanno decretato il racconto vincitore. Ebbene si tratta di:
EROI DI PACE di Claudio Di Blasio
Nonché la classifica degli altri 19 racconti finalisti:
2) TREDICI ANIME – Stefania Granata
3) FRATERNITA’-UN RICORDO DEI MARTIRI DI KINDU – Gianvincenzo Cantafora
4) ANGELI IN VOLO – Elisabetta Benenati
5) LA DIGNITA’ DEL SIMBOLO – Silvia Favaretto
6) ALL’ALBA VINCERO’ – Alessandro Messina
7) IL BAMBINO E L’AQUILONE – Maurizio Staid
8) BOEING 777 – Andrea Pirani
9) L’ELISOCCORSO – Vito Grisoni
10) COME STELLA POLARE – Amalia Cavotti
11) ASCOLTATECI NOI SIAMO FRATELLI – Lara Tasillo
12) UN COMANDANTE VIRTUALE – Maddalena Medas
13) QUEI BRAVI RAGAZZI – Diego Mascherpa
14) LASSU’ – Rodolfo Andrei
15) GENTE STRANA GLI EYETIES – Evandro Detti
16) VALCHIRIE UN INNO DI LIBERTA’ – Mario Russo
17) ALA BIGIA – Alessandro Corsi
18) POLDU E LA PAURA DI VOLARE – Francesco Dionigi
19) IL BULLONE – Marilina Daniele
20) PENSO CHE UN GIORNO COSI’ NON RITORNI MAI PIU’ – Anna Paola Lacatena
L’amministratore dell’azienda VR Medical invece non ha esitato neanche un istante nell’attribuire l’omonimo premio speciale al racconto:
TREDICI ANIME di Stefania Granata
Sinceri rallegramenti al vincitore e alla vincitrice. A questo punto, a nome degli organizzatori, permetteteci di ringraziare allo stesso modo tutti coloro che hanno partecipato, finalisti e non, vincitori e non, insomma a tutti coloro che hanno speso il loro tempo ed energie mentali nella stesura di un racconto a prescindere dal piazzamento conseguito. Grazie per l’impegno e la passione dimostrata nel cimentarsi in una sfida non facile. Grazie per essere stati “dei nostri”, e per aver declinato a modo vostro il cielo, il volo e il mondo aeronautico in tutte le sue sfumature. Grazie davvero.
Rimandiamo infine al prossimo comunicato, emesso a brevissimo, con le indicazioni circa la premiazione, anzi le premiazioni giacché in un singolo evento avverrà la cerimonia di premiazione della precedente VIII edizione (rimandata causa pandemia) e della IX edizione del Premio.
A tutti i gli autori/autrici … auguriamo il nostro più sincero “in becco all’aquila”.
La Segreteria del Premio
L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.
Aforismi
Se ne avete avuto bisogno ma non lo avete portato con voi a bordo, potete star certi che non avrete mai più bisogno ... del paracadute
(proverbio aeronautico)
Q.T.B.
PILOTA: VOR non operativo. MECCANICO: VOR sempre non operativo con interruttore su OFF
(Suggerita da Herr Professor)
Check-In
PASSEGGERO infuriato: Vi denuncio tutti per violazione dell’accordo di SHREK! (Accordo di Shengen)