Dopo aver letto altri due libri di Bruno Servadei, “Vita da cacciabombardiere” e “Ali di travertino“, mi è capitato tra le mani questo di cui mi accingo a scrivere la recensione, dopo averlo letto con notevole gusto.
I primi due erano molto interessanti. “Vita da cacciabombardiere” era tutto focalizzato sull’attività dell’autore come pilota militare e quindi raccontava tanti episodi di volo. Per un pilota di Aeroclub come me rappresentava l’occasione di poter gettare uno sguardo all’interno di quel tipo di vita che avevo tanto desiderato fare, ma che mi era sfuggita per un soffio.
Avevo chiuso l’ultima pagina augurandomi che l’autore non si fermasse al primo libro e ne scrivesse altri. Ricordo vagamente di aver sentito dire che questa fosse la sua intenzione, così almeno sembra avesse detto a qualcuno.
Poi, un giorno, mi capitò il suo secondo libro: “Ali di travertino“, focalizzato sul periodo di servizio che l’autore aveva svolto al Ministero dell’Aeronautica di via Castro Pretorio a Roma, presso lo Stato Maggiore Aeronautica.
Anche questo mi aveva interessato moltissimo, perché anch’io avevo passato nove anni di vita militare in quel palazzone, nel reparto telecomunicazioni.
Dopo aver letto il secondo libro contattai Bruno Servadei, ma non ricordo come. Lui aveva promesso che, se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe inviato un paio di DVD contenenti foto e video della sua vita di pilota militare. Infatti li ricevetti e ancora li conservo con cura.
In quel periodo lavoravo come controllore sulla Torre dell’aeroporto dell’Urbe. Qualche anno dopo andai in pensione.
Questo libro, “Un pilota a palazzo” riguarda i tre anni di servizio che Bruno Servadei ha trascorso presso il Quirinale, quale consigliere aggiunto per l’Aeronautica Militare del Presidente della Repubblica, che allora era Francesco Cossiga.
Il primo capitolo comincia proprio con l’arrivo dell’autore al Quirinale, un luogo che per tutti noi rappresenta semplicemente uno dei punti caratteristici di Roma. Non solo per noi che viviamo in questa città, ma anche per ogni turista al quale capiti di passarci davanti.
Ma una cosa è vedere da fuori l’ingresso del Quirinale, con i suoi corazzieri di guardia e una cosa ben diversa è presentarsi davanti a loro per entrare a prendere servizio nell’entourage del Presidente della Repubblica Italiana.
Già dalle prime righe del primo capitolo si entra in una realtà così coinvolgente che ci lascia incollati alle pagine. E queste scorrono via veloci da subito, perché lo stile di Bruno Servadei è davvero coinvolgente. Il suo modo chiaro, semplice, anche nelle descrizioni più complesse, fa sentire il lettore come se stesse al suo fianco. E si finisce per provare fisicamente le emozioni descritte dall’autore.
Nel secondo capitolo si parla di quali erano le sue funzioni, ma ci si arriva gradualmente, come passando attraverso una sorta di cortina di incertezza. Non appare subito chiaro ed evidente quali compiti deve assolvere una figura come la sua. Dovremo girare molte pagine prima di saperlo con certezza. Ma l’interesse aumenta a ogni pagina girata, perché non capita spesso di ritrovarci ad esplorare certi ambienti, generalmente troppo lontani dalla nostra realtà.
La figura del Presidente Cossiga resta quasi costantemente un po’ sfocata nelle descrizioni, tranne in poche occasioni, quando si fa più vicina e distinta. Ma Cossiga è stato un personaggio di un certo spessore nella Storia del nostro paese. E proprio il fatto che il Presidente di quel periodo fosse lui rende ancora più avvincente questo libro.
Per quanto mi riguarda, ho trovato molto interessanti i riferimenti a certi avvenimenti di rilievo dei quali avevo una conoscenza più diretta. Per esempio, Servadei parla delle esercitazioni Wintex, che ogni due anni avevano luogo e coinvolgevano tutti i reparti dell’Aeronautica, compreso il Centro Comunicazioni dove prestavo servizio. Ero un Marconista, allora. Ma non un operatore, ero un tecnico. In quelle esercitazioni dovevo realizzare, a richiesta, sia di giorno che di notte e quasi immediatamente, nuovi collegamenti telefonici, telegrafici (telescriventi) o addirittura nuovi canali radio.
Interessantissimi sono i riferimenti anche alla cosiddetta “Strage di Ustica“. Pur senza rivelare nulla di inedito, come è ovvio che sia, dal momento che ancora oggi resta un caso irrisolto, è avvincente conoscere il suo parere.
Poi ci fu un altro episodio, in quegli anni. Quello di Abu Abbas, che coinvolse un reparto dei nostri carabinieri nell’aeroporto di Sigonella. La stampa diede molto rilievo al fatto che i nostri carabinieri si opposero alla consegna di Abu Abbas ai Marines americani.
Chi ricorda questi avvenimenti troverà interessante il parere di Servadei.
E il sequestro dell’Achille Lauro?
Servadei mette in evidenza che a quell’epoca non esisteva un centro dove si potesse far fronte ad avvenimenti complessi e sensibili, dove si potessero concentrare specialisti di ogni settore e strumenti idonei a valutare velocemente situazioni da gestire in tempi rapidi, magari dopo un efficace coordinamento con tutte le organizzazioni dello Stato.
L’idea prende corpo e si profila il progetto di un ufficio, una sala, dedicata allo scopo.
E non mancano neppure svariati commenti contrari all’idea e resistenze di vario genere. Ma il progetto, sostenuto dall’alacre lavoro di Servadei, va avanti.
Si arriva così alla creazione di una sala situazione, un centro che fosse in grado di coordinare molti altri servizi importanti, compresi i Servizi Segreti.
Nel libro non si parla solo del Quirinale. C’è anche una parte relativa alla tenuta di Castel Porziano, sul litorale laziale, di proprietà della Presidenza della Repubblica. La descrizione di questa grande area, con la sua pineta e la sua spiaggia, inaccessibile e sconosciuta a tutti, anche se si sa bene che esiste, è di grande interesse. Servadei ci conduce all’interno della tenuta e così possiamo “vederla”.
Una parte del libro è dedicata ai corazzieri. Li conosciamo tutti, da fuori. Ci stupiscono con la loro statura e la loro divisa che somiglia vagamente ad un’armatura, qualche turista riesce perfino a farsi una foto con qualcuno di loro, ma poi ognuno se ne va, lasciando l’episodio a livello di un semplice incontro.
In questo libro, invece di andarcene, entriamo dentro la loro realtà, nei loro locali, nella loro mensa. E ci sembra di conoscerli come si conoscono dei colleghi di lavoro.
In questo libro si parla poco di aerei, se ne accenna appena, qua e là.
Si parla invece di moto.
Non solo di quelle dei corazzieri, che all’epoca erano delle Moto Guzzi. E servivano ad accompagnare il Presidente nei suoi spostamenti ufficiali.
Servadei abitava ai Castelli Romani, ad una certa distanza dalla città di Roma. Il traffico della Capitale è micidiale. La mattina si formano code tremende verso Roma e lo stesso avviene nel pomeriggio, verso fuori città. Le ore di punta rendono difficoltosi gli spostamenti. Una moto risolverebbe il problema.
E cosa fa Servadei? Rinuncia alla macchina ministeriale con autista e si compra una moto. Così può arrivare in perfetto orario, se non addirittura in anticipo, alzandosi tre quarti d’ora più tardi.
Che dire, anni fa, sia quando ero militare, sia dopo, quando lavoravo per quella che oggi è l’ENAV, anch’io ho risolto così il problema del traffico romano. Ho sempre avuto una moto, una passione che per me è stata seconda solo a quella per gli aerei e gli alianti.
Con la moto andavo tranquillamente a Ciampino o a Pratica di Mare, alzandomi più tardi e arrivando sempre in tempo nonostante le indescrivibili code del mattino. E tornavo a casa in breve tempo, superando chilometri di automobili che procedevano a passo d’uomo.
Io avevo una Moto Guzzi. Servadei opta, invece, per una Ducati.
Questione di gusti personali.
Una parte del libro parla dei voli di stato. E coinvolge anche i voli del Papa, il quale, come è noto, utilizza un elicottero dell’Aeronautica Militare. Nei viaggi più lunghi utilizza un aereo, all’epoca era un DC 9 oppure un Gulfstream G3, come fanno le alte cariche dello Stato Italiano.
Ma il Papa, formalmente, è il capo di uno Stato estero.
Eh, questa parte del libro è decisamente molto gustosa. Almeno lo è stata per me, durante la lettura.
E le visite di Stato? Altra parte interessantissima. Queste hanno dato all’autore l’occasione di girare mezzo mondo, con molti aneddoti tutti da leggere. Anche in questi viaggi, alcuni dei quali in vari stati africani, abbiamo l’impressione di far parte delle delegazioni diplomatiche. Al punto che, chiuso il libro, ci sembra di essere appena tornati dalle missioni.
E quando il libro finisce veramente, lasciamo Servadei in procinto di essere trasferito.
Ma il nuovo incarico è altrettanto promettente. Si occuperà di cooperazione internazionale nel settore dell’industria della difesa con tutti i paesi della NATO, più alcuni altri.
Nelle ultime pagine, poche parole descrivono la cerimonia di commiato.
Il giorno dopo Servadei è su un volo per Montreal con un gruppo di persone sconosciute.
E mentre il suo aereo rimpicciolisce nell’immensità del cielo, verso nuove avventure, a noi resta una vaga speranza che appena ne avrà il tempo, non mancherà di raccontarcele.
Recensione di Evandro A. Detti (Brutus Flyer),
didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
Facebook, a volte, è un social impagabile. Ci si trovano spesso cose straordinarie. In mezzo a tante banalità, bisogna dire anche questo. Stavolta ci ho trovato questa storia di guerra. Mi è piaciuta e l’ho copiata e tradotta. Ringrazio chi ha deciso di condividerla.
Questo bellissimo post mi sarebbe sfuggito, se colui che l’ha condiviso non avesse scritto quattro parole di presentazione: questa storia fa piangere.
Stavo per andare oltre, ma l’argomento riguardava aerei, perciò ho deciso di leggerla. Ed ho fatto bene, perché si tratta di una storia certamente vera, con nomi, luoghi e date.
Lo dico subito: non mi ha fatto proprio piangere, ma ci è mancato poco. Di sicuro mi ha commosso.
Conosco almeno un paio di film dove viene rappresentato un caso come questo.
Uno è: “Il Temerario”, con Robert Redford. Anche se lì si parla di due piloti di caccia e la guerra non è la seconda, ma la prima. Però c’è sempre un forte spirito di cavalleria, di onore e di umanità.
L’altro è un episodio di “NCIS”, la serie televisiva ambientata a Washington, dove il padre del personaggio principale, Leroy Jethro Gibbs, a bordo di un caccia americano si trova perso, con gli strumenti in avaria sopra la Germania e un altro pilota, tedesco, quindi nemico, si affianca e gli indica la strada per tornare in Inghilterra, poi lo saluta militarmente, alzando la mano guantata allo stesso modo di Stigler. E qui siamo nella Seconda Guerra Mondiale. Questa scena è decisamente più simile, quasi uguale, a quella vera.
Sono sicuro che esistano altri film dove un evento simile viene utilizzato perché fa breccia nell’animo della gente e la scuote.
E’ una scena che commuove. Che fa piangere, appunto. Trovare anche nella ferocia della guerra un piccolo spazio per un gesto di umanità, non è cosa da poco.
Mi viene da pensare che gli autori delle due suddette scene possano aver conosciuto e riprodotto nella finzione, l’episodio vero di Stigler e Brown.
In realtà non dovrebbe essere la manifestazione di solidarietà che riceviamo da un altro essere umano considerato nemico, a farci commuovere. Semmai dovrebbe essere l’idea della guerra, della distruzione, della ferocia, da parte di qualunque essere umano, a farci inorridire.
Ma l’umanità, purtroppo è fatta così.
Le persone non sono tutte uguali. Nemmeno due gemelli monozigoti, che chiamiamo gemelli identici, sono davvero identici.
Eppure, a mio avviso, anche se l’umanità può essere tanto diversa a seconda di dove vive, di quale religione professa e di quale educazione ha ricevuto, potrebbe essere considerata, non uguale, ma sicuramente equivalente. E’ sempre la stessa. Se guardiamo secoli, perfino millenni di storia che affonda nel profondo passato, ci accorgiamo che le caratteristiche peculiari della razza umana non sono mai cambiate. E’ cambiata la cultura, la conoscenza, la tecnologia. Sono state fatte scoperte sensazionali, conquiste immense. Siamo arrivati sulla Luna. E nel prossimo futuro andremo ancora più lontano.
Ma l’Umanità è sempre quella. Può compiere azioni che vanno dall’estremità del male all’estremità del bene. Qualunque essere umano può fare qualunque cosa. Da un’estremità all’altra. Con tutte le possibilità intermedie.
E questo dipende da chi è quell’essere umano. Dipende dal suo carattere, dalla sua storia, dalla sua cultura e dalla sua coscienza.
Quindi, dipende da chi si incontra.
Il tedesco della nostra storia era soltanto uno di questi esseri umani.
E allora perché il suo gesto ci commuove fino a farci anche piangere?
Eh, penso che anche questo dipenda da chi legge la storia. Non tutti provano lo stesso sentimento.
Anche ogni lettore non è altro che un altro essere umano.
Recensione a cura di Evandro A. Detti (Brutus Flyer)
Confessiamo che non abbiamo mai avuto una particolare predilezione per Facebook e per gli altri cosiddetti social network.
A dire il vero li consideriamo luoghi più inclini pettegolezzo che a una concreta opportunità di reincontri o di frequentazioni a distanza.
Diciamo tutta la verità: in questi contenitori di varia umanità regna sovrano il ciarpame e la paccottiglia, tuttavia appaiono talvolta foto di un certo valore storico come pure documenti di pregevole fattura sebbene di autore ignoto. Di condivisione in condivisione, di inoltro in inoltro, certe informazioni purtroppo si perdono eppure la bontà del materiale rimane inalterata.
In tutta onestà, apprendere dove i nostri amici sono andati in vacanza o cosa abbiano mangiato a pranzo non è di grande utilità sociale – ne converrete – viceversa, visionare squarci di un passato relativamente recente altrimenti destinati all’oblio o apprendere fatti e vicissitudini singolari di persone più o meno comuni ma collocati in particolari periodi storici, beh … ha indubbiamente qualcosa di più culturale tale da nobilitare e dare un senso meno frivolo a questi spazi sociali globali. Opinione del tutto personale, per carità, condivisibile o meno, liberi di continuare a postare luoghi esotici di vacanza o pranzi luculliani …
La frequenza con cui appare il materiale nobile – perdonerete l’aggettivo – è però talmente ridicola che costituisce il motivo per cui non abbiamo mai creduto granchè in questo canale privilegiato … eppure qualche tempo fa un prezioso collaboratore dell’hangar ci ha sottoposto un testo colto nelle pieghe di Facebook. Una sorta di cronaca storico-giornalistica davvero notevole – in lingua inglese, purtroppo – che meritava di essere divulgata al di fuori del “ghetto” del famoso social network, a beneficio di coloro che non lo frequentano o che non hanno avuto la medesima fortuna del nostro “agente segreto”. Inutile sottolineare che a lui dobbiamo anche la preziosa traduzione in italiano.
In effetti avevamo già trovato più o meno lo stesso racconto all’interno del volume: “Di questo son fatti gli aerei” di Giuseppe Braga che abbiamo recensito in un angolo dell’hangar. Ora, a prescindere da chi abbia elaborato il testo originale o ne sia stato ispirato, abbiamo ritenuto doveroso renderlo disponibile ai nostri visitatori affinchè ne traggano motivo di riflessione e ne mantengano vivo il ricordo.
I protagonisti del racconto, ambientato verso la fine della II Guerra Mondiale, sono un equipaggio statunitense di un bombardiere B-17 Flying Fortress (in particolare il suo comandante) e un pilota da caccia della Luftwaffe con il suo Messerschimtt Bf-109. Il loro non sarà il solito, prevedibile incontro come tanti ce ne furono nei cieli dell’Europa centrale. Da qui l’originalità di un testo che si lascia leggere velocemente con sommo piacere e, non privo della sorpresa finale, vi lascerà quel non so che di curosità tale da spingervi a ulteriori letture e magari ricerche sul quel periodo storico o quelle macchine volanti. A noi è capitato così …
Per dovere di documentazione concludiamo con un’annotazione a margine: la vicenda di Charles Brown e Franz Stigler è riportata con ulteriori dettagli, retroscena ed epiloghi paralleli nella pagina di Wikipedia dal titolo: Charlie Brown and Franz Stigler incident , in lingua inglese ma facilmente traducibile a mezzo di traduttore automatico.
Ma la pagina web che vi esortiamo a visitare e a leggere avidamente è quella tutta italiana a cura del Gruppo Ricercatori Aerei Perduti Piacenza che, per merito di Mario Migliavacca, riporta la stessa vicenda corredata da foto e disegni assai pregevoli. E’intitolata: Un Angelo in volo sopra Brema.
Quando gli angeli esistono e volano a bordo di macchine volanti da guerra.
Recensione a cura della Redazione
Foto di copertina proveniente da www.flickr.com.
Si tratta del famoso Boeing B-17 Flying Fortress soprannominato “Sally B”, ripreso dal fotografo in una simulazione di incendio ai motori effettuata nel corso del Old Buckenham Airshow.
Durante oltre mezzo secolo di vita aeronautica che ormai grava sulle mie spalle ho sentito un numero immenso di racconti da parte di un altrettanto immenso numero di persone. Piloti, soprattutto. Molti dei quali avevano fatto la guerra, avevano combattuto, avevano riportato ferite. E avevano visto accadere tante cose tremende, davanti ai loro occhi. O, magari, tante cose bellissime.
Sin da ragazzino ho sempre ascoltato i racconti dei veterani con grande interesse. E sono certo di aver esortato ognuno di loro a scriverle, queste loro avventure. Sin da sempre mi sono sentito fortunato ad aver avuto accesso a tanti eventi che altrimenti non avrei mai neanche sospettato potessero essere avvenuti, ma allo stesso tempo mi convincevo che tutti avrebbero dovuto essere altrettanto fortunati da sentirli. Perciò, chiunque avesse avuto qualcosa da raccontare, avrebbe fatto meglio a scriverla. E subito. Prima di correre il rischio di dimenticare.
Neanche a dirlo, ancora oggi non perdo occasione di esortare tutti coloro che incontro e che hanno storie da raccontare, di non raccontarle solamente, ma di scriverle, perché non vadano perdute.
Ben pochi, però, mi hanno dato ascolto.
Tuttavia qualcuno lo ha fatto. E di ciò mi sento piuttosto fiero.
Per fortuna molti personaggi che non conosco, che hanno vissuto lontano da me, in altre realtà e in altri paesi, hanno scritto le vicende della loro vita operativa, senza che a spingerli siano state le mie esortazioni.
Esistono infatti molti libri (non solo le autobiografie o le biografie scritte da storici o studiosi vari) che raccolgono testimonianze, racconti, relazioni ufficiali o personali. Ed esistono perché qualcuno, dalla mente brillante e lungimirante, ha pensato di raccogliere tutti questi pezzi di Storia prime che andassero perduti per sempre.
Il libro di cui mi accingo a parlare è nato così.
La prefazione, scritta dal Flight Lieutenant Charles “Tich” Palliser, pilota pluridecorato che ha combattuto nella Battaglia d’Inghilterra, non è altro che una sorta di ringraziamento agli autori, proprio per aver raccolto tante storie e per averle pubblicate. Molti dei piloti, le cui vicende sono narrate nel libro, erano già ben conosciuti da Palliser, che aveva combattuto con loro. Uno di questi è Tom Neil, autore di altri libri, alcuni dei quali ho recensito per Voci di Hangar. Neil era stato il comandante di Palliser.
Un altro pilota, Terry Crossey, sud africano, è particolarmente caro a Palliser, perché attraverso di lui ha conosciuto una ragazza che poi è divenuta sua moglie.
Qualcun altro gli aveva donato un dipinto, che ancora fa bella mostra di sé su una parete della sua abitazione.
Ma, alla fine della prefazione, Palliser aggiunge qualcosa che mi trova particolarmente d’accordo:
“This work also pays tribute to the pilots from New Zealand, Poland and Czechoslovakia – a wonderful band of men. Of course, there are many wonderful pilots in this book who I never knew and never met but I very much enjoyed reading about them all. I offer my congratulations to Christopher and Adrian on producing a wonderfully written book”.
“Questo lavoro costituisce anche un tributo ai piloti neozelandesi, polacchi e cecoslovacchi – un gruppo di uomini meravigliosi. Naturalmente, ci sono altri meravigliosi uomini in questo libro, che non ho mai conosciuto né incontrato, ma mi è molto piaciuto leggere di tutti loro. Porgo le mie congratulazioni a Christopher e Adrian per aver prodotto un libro meravigliosamente ben scritto”.
Ecco, due sono i contenuti salienti di questo libro: una raccolta di racconti fatti da personaggi diversi, piloti attivi nel periodo della battaglia d’Inghilterra e, sempre attraverso racconti, un contributo al giusto proposito di portare a conoscenza del mondo l’esistenza di altre squadriglie di volo della RAF che erano però costituite da piloti stranieri. E, posso aggiungere in accordo alla dichiarazione di Palliser, un tributo al valore di questi equipaggi non inglesi che non hanno trovato, finora, un posto adeguato nella luce della Storia.
Eppure, il loro valore non era stato secondo a nessuno. Anzi. Il numero totale degli abbattimenti di aerei nemici da parte delle squadriglie di non inglesi è, molto verosimilmente, addirittura superiore a quello del resto della RAF.
Allora perché non sono mai usciti alla ribalta delle cronache dell’epoca e ancora oggi la Storia tiene le loro gesta in una certa oscurità?
Forse per una serie di motivi, non ultimo proprio il fatto che non si sia voluto mettere in ombra il prestigio nazionale. Conoscendo il carattere degli inglesi, mi pare poco probabile che potessero essere lieti di dichiarare al mondo che degli stranieri avessero avuto il merito di aver fatto meglio di loro. Gente che non parlava neanche bene l’inglese! Un buon motivo per considerare una persona come se fosse di un lignaggio inferiore.
E’ mia opinione personale che proprio la scarsa conoscenza della lingua abbia operato una sorta di separazione inesorabile. Una lingua difficile da imparare subito, almeno al punto da evitare che un inglese possa capire senza storcere il naso. Senza che gli venisse subito sul volto la classica espressione semi disgustata e rispondesse, con il labbro tirato (Stiff upper lip, per il quale gli inglesi sono famosi), in maniera classica ed inevitabile:
“I can’t understand you. Speak english, please”!
I piloti di lingua slava restarono in disparte. Nonostante la loro bravura e il loro valore. Erano parte dello stesso mondo, stavano dalla stessa parte, combattevano contro lo stesso nemico, ma erano divisi da un muro di difficile comunicazione. Perciò restarono inevitabilmente ai margini della RAF.
Inoltre, dopo la guerra questi stranieri se ne sono andati. Sono tornati ai loro paesi di origine, nelle loro aviazioni. E sono scomparsi dalla scena.
Alcuni di loro si sono impegnati in altre professioni. Altri hanno continuato a volare.
Qualcuno ha scelto di continuare la carriera militare, mentre altri hanno preferito entrare nelle compagnie aeree civili, che stavano nascendo ovunque in quegli anni e hanno dato un contributo notevole al loro sviluppo.
Comunque sono pressoché svaniti. E la storia ha appena accennato alla loro esistenza.
Vorrei anche ricordare un fenomeno ricorrente che si è verificato dopo la fine delle tragedie belliche. Si è sviluppato un certo rifiuto a ricordare. E’ intervenuta una forte ritrosia a raccontare episodi tanto dolorosi. Spesso le mogli, i figli, gli amici non sapevano quasi nulla di ciò che erano state le vicende attraverso le quali erano passati i loro cari, prima di fare ritorno.
Infatti non ne sappiamo granché neanche noi, oggi. Difficile capire, con la nostra mentalità moderna. Arduo rappresentarci una realtà tanto diversa, che era la vita quotidiana negli anni di guerra.
“From a modern perspective it is difficult to appreciate what Second World War pilots went through when they saw their collegues’ aircraft fall from the sky in combat, when they witnessed friends collide with other aircraft and when parachutes failed to open. Such sights occurred on a daily basis as young men from all over the world fought for their respective countries”.
“Da una prospettiva moderna è difficile apprezzare cosa hanno dovuto attraversare i piloti della Seconda Guerra Mondiale quando vedevano gli aerei dei loro colleghi cadere dal cielo durante i combattimenti, quando vedevano gli amici scontrarsi con altri aerei e quando i paracadute non si aprivano. Questi fatti accadevano giornalmente mentre uomini giovani provenienti da ogni parte del mondo combattevano per i loro rispettivi paesi”.
Sì. Molti hanno preferito tacere. Dimenticare e andare avanti.
E invece avrebbero dovuto fare proprio il contrario. Raccontare. Condividere, come diciamo oggi. La parola “condivisione” dilaga ormai in tutti i cosiddetti “social“.
Rise Against Eagles è importante proprio per questo motivo.
I vari racconti, di autori diversi, vanno a riempire le quattro sezioni dell’opera e si leggono, come sempre, con estremo interesse.
Uno di questi autori, tanto per fare un esempio, parla di Tom Neil.
Ed è straordinario, dopo aver letto i suoi libri e visto il mondo dal suo punto di vista, vedere ora lui con gli occhi di un altro.
Il nome di Tom Neil appare in vari racconti. Così come le descrizioni delle battaglie aeree e delle vicende quotidiane nelle quali i protagonisti si muovevano, anche i protagonisti stessi finiscono per riapparire qua e là nei racconti che costituiscono le quattro sezioni del libro.
Ma vorrei soffermare l’attenzione soprattutto su alcuni capitoli.
Il capitolo cinque, il sei, il sette e il dieci parlano proprio dei piloti polacchi e di altri paesi, come ad esempio l’Ucraina, ma qualcuno viveva in Cecoslovacchia prima dell’inizio della guerra. Tutti sono accomunati dal fatto che parlano, sì, lingue diverse, ma sono tutte lingue slave e tra loro si capiscono benissimo.
La loro storia è di grandissimo interesse.
Tutti, alle prime avvisaglie di aggressione da parte della Germania, decidono di partire. E di raggiungere l’a gran Bretagna per combattere contro i tedeschi invasori.
Qualcuno fugge in aereo, altri con mezzi terrestri, ma il loro percorso conduce infine alla Gran Bretagna, sebbene con tappe intermedie di diverso tipo.
Le tappe possono essere, ad esempio, Praga – Francia – Gibilterra – Scozia – Inghilterra.
Il percorso scelto dipendeva dal particolare momento e dagli avvenimenti che caratterizzarono gli spostamenti tedeschi nella loro opera di aggressione alle varie nazioni europee.
Era una fuga, non una gita di piacere.
Dall’Algeria, ad esempio, molti andarono via mare verso Gibilterra perché la Spagna e il Portogallo erano neutrali. Tuttavia, specialmente dopo Gibilterra, il resto del viaggio li esponeva all’attacco dei sottomarini tedeschi che infestavano l’Atlantico. Appena i tedeschi cominciarono ad invadere gli stati limitrofi il pericolo rappresentato dai sottomarini era già presente.
Come ho detto, nella RAF combatterono piloti di ogni nazione. C’erano gruppi di neozelandesi, di australiani, di francesi, di polacchi, di cecoslovacchi e di altri stati. La Francia, al comando del generale De Gaulle era presente in Inghilterra con una sigla divenuta abbastanza famosa: FAFL, Forse Armate Francesi Libere. Di queste faceva parte Pierre Clostermann, che combatté nella RAF pilotando uno Spitfire e poi un Tempest. Ho recensito il suo libro “La grande Giostra” qui su Voci di Hangar.
Allora, perché mi voglio soffermare proprio sui piloti che venivano da Polonia e Cecoslovacchia?
Perché nel leggere il libro ho notato una certa somiglianza con le vicende di un film.
Si tratta di “Dark blue World“. Un film uscito alcuni anni fa, che mi era piaciuto moltissimo.
Si trova facilmente in DVD, ma è possibile vederne alcune parti anche su You Tube.
Nel libro si parla di un istruttore che insegna a volare ai suoi allievi. Il vento di guerra comincia a spirare. L’istruttore decide di partire, seguito da alcuni allievi.
Anche nel film viene rappresentata questa scena.
Chissà che gli autori del film non abbiano tratto spunto da qualche racconto di questi?
Lascio la lettura del libro a chi lo vorrà leggere. Ma invito tutti anche a vedere il film che ho appena menzionato.
Una scena che si può cercare su YouTube e che ricalca quanto ho detto sopra, mostra un gruppo di piloti cecoslovacchi della RAF che partono su allarme. Salgono sui loro Spitfire e decollano.
Dopo il decollo salgono nel cielo, ad intercettare i bombardieri e i caccia nemici.
In altre parole, salgono contro le Aquile, come venivano chiamati gli aerei del terzo Reich.
Questo è appunto il titolo del libro: Rise Against Eagles.
Basta digitare “dark blue world – Spitfire and Bf 109 Scene“, ma anche solo “dark blue world“, nella stringa di You Tube. E’ il primo video che appare.
E’ una scena bellissima. Mostra i giovanissimi piloti che corrono verso gli aerei e mettono subito in moto. Una volta in volo si sente la voce del controllore radar che li guida verso le formazioni nemiche.
Si sentono le loro risposte rapide. Ed è subito evidente la loro diversa pronuncia delle parole inglesi.
Segue qualche frase concitata in lingua slava.
Immancabilmente, la voce del controllore, tra il seccato e il severo, interviene subito:
“I don’t understand. Speak English, please”!
Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer),
Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
titolo: The Great Rat Race For Europe” – Stories of the 357th Fighter Group.
autore: Joey Maddox
editore: Xlibris Corporation
anno di pubblicazione: giugno 2011
ISBN libro: 978-1-4628-8629-6
ISBN ebook: 978-1-4628-8630-2
Questo libro è dedicato al Museo del 357° Gruppo Caccia intitolato al Capitano Fletcher E. Adams, con sede nella città di Ida, Louisiana.
Si tratta di un piccolo museo, ma con la strada aperta per diventare, un giorno, Museo Nazionale.
Il libro comincia subito con un paio di pagine di ringraziamento a un gran numero di persone che hanno reso possibile la realizzazione del Museo.
Il 357° Gruppo Caccia è quello, per intenderci, che era basato a Leiston, Inghilterra, e del quale hanno fatto parte personaggi molto famosi, come Chuck Yeager e Clarence E. Anderson. Questi ultimi, in particolare, hanno scritto libri che ho già recensito su VOCI DI HANGAR.
E, ovviamente, del 357° Gruppo ha fatto parte anche il capitano Fletcher Adams.
Questo reparto di cacciatori statunitensi, stanziati in Gran Bretagna dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro la Germania, avevano il compito di scortare le formazioni di bombardieri per tutto il viaggio di andata e ritorno verso gli obiettivi militari dell’intero continente europeo. Avevano in dotazione il P-51 Mustang, una macchina meravigliosa, non solo per le sue straordinarie caratteristiche di volo, ma soprattutto perché il P-51 poteva montare uno o più serbatoi ausiliari sganciabili. Aveva quindi l’autonomia necessaria per volare con i bombardieri tutto il tempo necessario e li poteva proteggere dagli attacchi dei caccia avversari, compresi, verso la fine della guerra, i temibili jet tedeschi Me-262.
Il giorno dell’inaugurazione di questo museo, Chuck Yeager in persona, accompagnato dalla moglie Victoria, aveva fatto un lungo viaggio per essere presente. Era il 24 Luglio 2010.
Fin dal giorno prima erano cominciati gli arrivi di tantissime persone, che si erano poi distribuite nei vari alberghi della zona per essere pronti il giorno dopo alla cerimonia dell’inaugurazione.
Chuck Yeager era stato l’ultimo. Il suo aereo aveva subito un ritardo in partenza da Dallas. Quindi era arrivato tardi, poi aveva affittato un’ automobile, si era spostato dall’aeroporto di arrivo fino a Ida e finalmente, dopo le dieci di sera, aveva varcato la porta del museo tra uno scroscio di applausi e addirittura una standing ovation.
Il museo era anche dedicato al 357° gruppo della VIII Forza aerea e conteneva oggetti, dipinti, modellini di aerei e ogni altro genere di reliquie sopravvissute alla guerra. C’erano documenti e foto dell’epoca.
E poi c’erano i piloti.
I piloti erano tutti anziani, come dice l’autore:
“All of them were in there late eighties or early nineties”…
“Tutti loro erano oltre gli ottant’anni o sui novanta”…
Ma c’era un altro genere di documentazione che sarebbe stata perfettamente al posto giusto in un museo di questo genere. In fondo, a cosa serve un museo? A mantenere memoria di una realtà che era stata importante nel tempo, che aveva avuto un ruolo di primo piano nella Storia.
La memoria, appunto.
E quale memoria avrebbe dovuto far parte a pieno diritto di un museo?
Quella di coloro che di quella Storia erano stati i protagonisti: gli uomini che avevano combattuto in quel Gruppo di volo, primi fra tutti i piloti.
“For these reasons and others, these pilots and the crewmen who supported them have always been and will forever be my personal heroes. They all deserve to have their stories recorded in print in order that every generation of Americans can read about their history and never forget the sacrifices they made in order to ensure our freedom today. It is for these reasons that I wrote this book, and I hope that it serves its purpose”.
“Per questa e altre ragioni, questi piloti e i loro specialisti di supporto erano sempre stati e per sempre saranno i miei eroi personali. Tutti loro meritano che le loro storie siano stampate in modo tale che ogni generazione di Americani possa leggerle e non dimentichino mai i sacrifici che hanno fatto per assicurare la nostra libertà di oggi. E’ per questo motivo che ho scritto questo libro, e spero che raggiunga questo scopo”.
Ma l’autore era anche sicuro che tantissime altre storie fossero ancora tutte da scrivere.
Esistono tanti libri sul 357° Gruppo Caccia. Molti hanno scritto per profitto personale o per ragioni professionali, ma l’autore dichiara di volersi inserire nel numero di coloro, come Bud Anderson, Chuck Yeager e altri che hanno scritto libri sul Gruppo, per preservare la sua Storia (History) e per documentare il coraggio e l’altruismo di centinaia di piloti e specialisti (il gruppo di non piloti che si occupava della manutenzione e delle riparazioni degli aerei) che avevano contribuito a sconfiggere il dominio di Hitler sull’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale.
“Stiamo cadendo come mosche, ormai”,
dichiara. L’età avanza e sono sempre di meno coloro che queste storie possono ancora raccontarle. E’ urgente raccoglierle, e scriverle, e stamparle, pubblicarle in uno o più libri, per consegnarle ai posteri così che siano per sempre disponibili per chi vorrà conoscerle.
Così cominciò a chiedere a tante persone di collaborare al reperimento di tutte le storie possibili.
Un altro pilota, Joseph “Joe” Shea, gli mandò un pacco di queste storie da lui raccolte e scritte. Erano venti, tutte inedite. E tutte interessanti.
“It is funny how quickly a moundane, boring moment in a combat pilot’s life may change into a hair-raising experience with the snap of a finger”.
“E’ divertente quanto rapidamente un banale, noioso momento, nella vita di un pilota combattente, possa cambiare in un’esperienza da far rizzare i capelli in uno schiocco di dita”.
Così, l’autore e Joseph Shea unirono gli sforzi e cominciarono a contattare i piloti ancora reperibili, oppure i loro discendenti, figli, mogli parenti o amici, per mettere insieme racconti e testimonianze.
Tutti furono ben lieti di dare il loro contributo.
Furono sommersi da “tons of material“, tonnellate di materiale. Da scrivere non uno ma letteralmente tre volumi.
Questa è stata la genesi di:
“The Great Rat Race for Europe: Stories of the 357th Fighter Group“.
Dalla ricerca di tante storie è nato un altro libro:
“Bleeding Sky: The Story of Capitan Fletcher E. Adams and the 357th Fight Group“.
Ma di questo parleremo in un altro momento.
Tutti questi racconti mantenevano viva la memoria di fatti e avvenimenti storici, di persone, macchine e perfino animali che avevano vissuto quel periodo, di usi e consuetudini, metodi, mentalità, disciplina, sentimenti, tutto…
Per i posteri, certo, ma anche per i discendenti dei protagonisti dei racconti. Così da portarli a conoscenza del valore e dell’eroismo dei loro cari, molti dei quali scomparsi. Ma anche di quelli ancora in vita, perché molti di loro non amavano parlare dei tragici episodi della guerra, di un tempo fortunatamente ormai andato.
Durante la permanenza a Leiston, il 357° Gruppo aveva anche un altro appellativo.
Vicino a Leiston c’era una cittadina che si chiamava Yoxford. Probabilmente tutti quelli del Gruppo vi andavano spesso durante le ore di libertà.
Perciò cominciarono a riferirsi a loro stessi come gli “Yoxford Boys”.
“So this book and the others that will surely follow are dedicated to you Muff, and Hibbie and Butch and Arch and Aline and Jerry, and so on and so on and so on. Your loved ones will never be forgotten as long as I can hold a pen in my hand. I thank each and every one of you for allowing me to tell the stories of these eroic Yoxford Boys“.
“Così questo libro e gli altri che sicuramente seguiranno sono dedicati a te Muff, e Hibbie e Butch e Arch e Aline e Jerry, e così via e così via e così via. I vostri cari non saranno mai dimenticati finché potrò tenere una penna in mano. Ringrazio ognuno di voi per avermi permesso di raccontare le storie di questi eroici Yoxford Boys“.
In questo libro, di storie, ce ne sono tante. E tutte interessantissime. Storie di combattimenti aerei, piantate motore a quote stratosferiche e anche raso terra, lanci con il paracadute, sul mare, sulla terra inglese, sulla Francia occupata, su paesi liberati e perfino sulla Germania.
Storie di prigionia, storie di piloti che si sono lanciati su città occupate dai tedeschi, subito dopo un bombardamento o dopo una missione di mitragliamento al suolo. In questi casi il pilota veniva catturato e ucciso.
C’è una storia di queste, infatti. Ma quella città venne subito dopo riconquistata dagli alleati, venne trovato il luogo di sepoltura del pilota. I responsabili della sua uccisione, in totale dispregio dei trattati di Ginevra, vennero individuati, processati e imprigionati. Il materiale esecutore dell’omicidio venne impiccato.
Ci sono un paio di racconti sullo sbarco in Normandia.
Il primo giorno i soldati alleati uccisi furono circa diecimila.
Nemmeno un caccia tedesco si fece vedere, quel giorno.
Ma una coppia di P-51 Mustang partirono dall’Inghilterra prima dell’alba, sorvolarono il canale della Manica e penetrarono nell’interno della Francia per mitragliare a bassissima quota i treni in movimento, che probabilmente trasportavano truppe o armi.
Durante un passaggio radente su un obiettivo il leader della coppia venne colpito e qualche istante dopo si schiantò al suolo.
Il gregario rimase da solo. E’ lui che racconta la storia. E la racconta con una tale vividezza che ci sentiamo coinvolti totalmente. Si percepisce lo sconcerto per ciò che è successo, per il senso di abbandono, per la solitudine e lo sconforto. Deve tornare in Inghilterra, ma non sa bene neanche dove si trova. Era arrivato lì seguendo il leader, ha soltanto una vaga idea della prua da mantenere per tornare verso casa.
Ogni tanto qualcuno gli spara.
Sale a quota abbastanza alta da sperare di evitare i colpi della contraerea nel momento di attraversare la linea della costa. Assume una prua approssimativa e si allontana sul mare.
E’ interessante anche quello che dice delle cinquemila imbarcazioni di ogni tipo, con palloni frenati di difesa, che vede di sfuggita mentre li sorvola.
Uno spettacolo unico. E irripetibile.
Lui sa bene di essere un privilegiato, perché essere in quel punto e in quel momento gli consente di essere testimone di un fatto epocale che pochissimi possono aver visto.
E in una visione d’insieme, come non può fare nessun altro partecipante allo sbarco.
Ognuno vede vicino a sé. Vede solo ciò che lo circonda. E spesso neanche quello perché per la maggior parte del tempo ognuno deve stare riparato il più possibile, con la testa protetta, il viso a contatto con il suolo.
Lo sbarco, specialmente il primo giorno, avvenne sotto un fuoco feroce.
Molti videro solo pochi metri di acqua e di spiaggia disseminati di ostacoli e cadaveri.
Un pilota no. Lui vede tutto, per chilometri e chilometri da un orizzonte all’altro.
Privilegio di chi vola. Se non viene abbattuto.
Finalmente riesce a ritrovare l’aeroporto di Leiston e atterra.
Il racconto si conclude con un’amara considerazione: quel giorno, secondo i resoconti del primo giorno dello sbarco, il sei giugno 1944, solo un pilota del 357° perse la vita, quello del presente racconto.
Che fu anche il primo pilota di caccia a morire.
Ecco il genere di racconti che si trovano in questo interessantissimo libro. Oggi possiamo conoscere meglio cos’è stata la guerra aerea di quei giorni famosi, ma terribili, ai quali dobbiamo la libertà di adesso.
E’ bene conoscerla questa Storia. Mai come nel presente periodo storico ci servirebbe fare riferimento al passato per capire quanto stiamo rischiando di dover ripetere quei momenti.
Esorto, quindi, tutti coloro che sono interessati all’argomento e conoscono un po’ l’inglese, a scaricare questo libro per il Kobo e a leggerlo. Altrimenti è possibile visitare il sito web del Museo di Ida dedicato al 357° Gruppo Caccia e intitolato al Capitano Fletcher E. Adams all’indirizzo:
http://357th.idamuseums.org/omeka-1.4.2/
Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer),
Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR
VIII edizione Premio letterario “Racconti tra le nuvole
COMUNICATO STAMPA
nr 8 del 13 dicembre 2020
Con sommo piacere – sebbene venato da un sincero rammarico –
gli organizzatori del Premio, l’HAG – Historical Aircraft Group e VOCI DI HANGAR, in sinergia con VR MEDICAL,
comunicano la pubblicazione dell’antologia della VIII edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE contenente i 20 racconti finalisti corredati dalle note biografiche degli autori e dei giurati nonché dalle prefazioni degli organizzatori e sostenitori.
Il rammarico deriva invece dall’impossibilità di consegnare fisicamente a ciascun autore/autrice (previo baci, abbracci, e congratulazioni affettuose) la medesima antologia in occasione della cerimonia di premiazione che, per i motivi purtroppo noti, non è stato possibile tenere e che – ci auguriamo – sarà possibile organizzare in primavera.
Ad ogni modo, informiamo i 20 autori finalisti/e che, compatibilmente con le tempistiche delle Poste Italiane, nei prossimi giorni riceveranno presso il proprio domicilio (a titolo squisitamente gratuito) una copia dell’antologia.
Per coloro che intendessero acquistarne altre copie per farne dono ad amici, parenti e conoscenti, ricordiamo loro che sarà possibile farlo direttamente presso l’editore Logisma (logisma@tin.it oppure mail@logisma.it) ad un prezzo scontato riservato appunto agli autori/autrici. Altrimenti presso tutte le librerie on-line, ivi compresa la libreria
Cogliamo l’occasione per ringraziare tutti gli autori/autrici che hanno animato la VIII edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE e, in particolare, per i loro racconti che riempiono di sentimenti e di storia le pagine dell’antologia … la migliore strenna per salutare questo 2020 certo non prodigo di regali.
Per qualsiasi informazione: www.raccontitralenuvole.it
L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.
Aforismi
Un aeroporto non è un posto reale. È una fermata, un’area intermedia, un «non-luogo», un tecnicismo: un’intromissione fastidiosa nel sogno immacolato del volo transcontinentale
(Douglas Coupland)
frasicelebri.it
Q.T.B.
PILOTA: Ridotta efficienza del freno. MECCANICO: Esequito provvedimenti adottati
(Suggerita da Big Mark)
Check-In
SECURITY: E’ sua quella valigia? PASSEGGERO: No, me l’ha prestata mio cugino