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La voce di Badger


 

“In un caldo pomeriggio estivo un pilota mostra ad un amico l’aereo che ha da poco acquistato ed illustra le tante possibilità offerte dalle avioniche digitali. “Gli manca solo la parola” commenta l’amico. Questa frase porta il pilota a realizzare un dispositivo che, interfacciato con il glass cockpit dell’aereo, consente una interazione vocale. Tutto funziona ma… quali funzioni affidare a questo “grillo parlante” perché si renda utile prima, durante e dopo un volo?”

Un esempio di cruscotto di un moderno velivolo che adotta l’apparato citato dall’autore nel suo racconto. Da notare che i due ampi schermi a disposizione di pilota e copilota forniscono, da soli, tutto quanto necessita loro per la condotta del velivolo. A completamento si può riconoscere l’ampio display posto in verticale che riproduce, emulo dei diffusissimi navigatori per uso stradale ormai collocati nelle automobili anche di fascia economica, i dati cartografici in chiave aeronautica. Relegati in basso a sinistra, al solo scopo di sicurezza ridondante, sono infine presenti i due strumenti principi del volo: anemometro e altimetro. Sicuri al 100% perché completamente analogici e meccanici. E bisognosi solo di aria per il loro funzionamento.


Roberto Guidorzi così sintetizza il contenuto del suo racconto intitolato “La voce di Badger” con il quale ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” organizzato dal nostro sito e dai nostri amici dell’HAG.

La giuria del Premio, purtroppo, non lo ha ritenuto meritevole di accedere alla fase finale e dunque alla pubblicazione nell’antologia del Premio tuttavia, come da regolamento, VOCI DI HANGAR ha il piacere di ospitarlo in un angolino del suo grande hangar.

La schermata dell’apparato Skyview in tutta la sua bellezza. La voce che l’autore gli ha conferito non possiamo fornirvela per evidenti motivi ma – ne siamo certi – egli non esiterà a farvela ascoltare, magari abbinata ad un bel volo turistico a bordo del velivolo su cui è installata. O si tratta di una voce solo per pochi eletti?

Nel leggerlo, ci siamo resi conto che, almeno nella parte inziale, il racconto ha una sua valenza letteraria, il testo è fluido e piacevole, sussiste un’alternanza equilibrata del discorso diretto rispetto a quello indiretto, lo stile è moderno e dal sapore piacevolmente giornalistico-narrativo. Anche in termini di trama, si crea nel lettore una sana aspettativa in quanto l’autore riesce a catturare l’attenzione del lettore … purtroppo nel suo svolgimento centrale il racconto scivola in una sorta di resoconto tecnico, una specie di guida per apprendisti elettrotecnici che vogliano far parlare l’avionica del proprio aeroplano.

Ancora un possibile allestimento del cruscotto di un ULM ultimo grido. Tenuto conto dell’elevata affidabilità e della notevole qualità raggiunta, gli apparati “glass cockpit” (letteralmente: “cruscotto di vetro”) possono asservire completamente in un unico grande display tutte le necessità del pilota e del copilota; gli strument a capsula sono superflui e rimane, visibile al centro del cruscotto, la necessità di disporre solo un semplice apparato VHF-COMM per le comunicazioni radio.

Ora, lungi da noi esprimere considerazioni circa la scelta praticata da molti piloti proprietari di velivoli ultraleggeri di dotare la propria macchina volante di costosissimi apparati elettronici, riteniamo invece che stilare la radiocronaca passo passo di quanto operato per creare la “voce di Badger” … beh – in tutta onestà – non si tratti di narrativa di sommo livello. Peccato. Perché neanche l’invenzione del nomignolo e qualche battuta arguta presente nella seconda metà del testo riescono a risollevare il giudizio sul racconto. Che si fa leggere, intendiamoci, ma sempre con maggiore fatica da parte di chi pensava di trovarsi di fronte un racconto di volo, di cielo e di aria e poi, con rammarico, incappa in un “tutorial” per installatori elettroavionici fai-da-te.

Ecco come potrebbe apparirci, visto da terra, un vero velivolo ULM (ultraleggero), ossia coerente con la filosofia cui si ispira il suo nome: leggero, essenziale, spartano, praticamente un semplice attrezzo sportivo che, al pari di una racchetta da tennis o dei pattini a rotelle, consenta di praticare uno degli sport più entusiasmanti eppure così lontani dalla nostra dimensione terrestre: il volo. Dovrebbe essere e che, realisticamente, non è più da anni. Se infatti i primi ULM erano davvero fin troppo leggeri, essenziali e spartani, già da parecchi anni si è giunti a velivoli ben poco leggeri, tutt’altro che essenziali e fuorché spartani. Sicuramente ne ha giovato la sicurezza e l’affidabilità tuttavia, si può ancora avere il coraggio di chiamarli ULM?

Per carità, l’autore non ci deve convincere di conoscere a fondo il suo mestiere: ne siamo certi! E non ci deve neanche convincere di essere ferrato in grammatica o sintassi: lo dimostra ampiamente … certo avremmo sperato da parte sua la scelta di un tema più originale, magari sempre legato alla voce sintetica del suo velivolo; insomma, quantomeno, avremmo caldeggiato uno sviluppo diverso della storia in quanto, onestamente, l’idea di base non è malvagia e avrebbe potuto toccare diversi aspetti ai margini dei quali spesso divampano feroci discussioni tra i piloti “all’ombra del gelso”, “sotto il gazebo” o dentro la club-house che dir si voglia (a seconda dei casi). Questo perché, a prescindere dai nomi dei luoghi o delle latitudini, in qualunque aeroporto, aviosuperficie o campo di volo che si rispetti, ricorre ovunque l’eterna contrapposizione tra chi pratica il volo per il piacere di farlo e chi vola perché costituisce uno status symbol, chi vola volentieri con macchine di basso profilo tecnologico purché si voli e chi non decolla senza aver avviato tutta la strumentazione modello centrale termonucleare, e ancora: ci sono coloro che, purché si vada per aria, farebbero volare una scopa con le ali e coloro che si portano appresso due “televisori” anche se non osano andare oltre il cielo campo, oppure chi spende i propri quattrini per trascorrere in volo più tempo possibile e chi a lustrare il proprio velivolo e magari ha il terrore di sporcarlo con il fango della pista.

Ecco come ci apparirebbe un velivolo ULM da vicino. Non si tratta di una macchina volante ancora in fase di costruzione, né di un eccesso provocatorio bensì l’incarnazione del concetto di ULM.

In definitiva – e lo scriviamo con rammarico – questo ci appare un po’ il racconto delle occasioni mancate. Ma siamo certi che l’autore ci darà modo e occasione per ricrederci. Non vediamo l’ora … praticamente non più tardi della prossima edizione del Premio “Racconti tra le nuvole”. Intesi Badger?

 

Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

NOTA: in copertina lo Zigolo Mg12 della AVIAD del giovane Francesco Di Martino. La piccola azienda italiana ha lo fatto volare per la prima volta nell’aprile 2014 riscuotendo un buon successo di vendite (anche in kit). E’ definito un aeroplano “minimalista”

 


 

 

Un volo indimenticabile

Viene fatta risalire al celeberrimo trasvolatore statunitense Charles Lindenbergh una frase quanto mai pertinente a questo breve racconto. Recita così:

L’avventura giace in ogni soffio di vento.

 

Chissà se l’autore di “Un volo indimenticabile”, l’affabile Sandro Rosati, sottoscriverebbe con doppia firma quanto sintetizzò il mitico Lindy quasi cent’anni fa!?

Di sicuro il nostro buon Rosati ha così sintetizzato la sua fatica letteraria: 

“Il breve racconto di una piacevole gita di fine settimana con un aereo da turismo ci fa comprendere che, nonostante la buona preparazione del volo e le ottime caratteristiche del monomotore impiegato, l’imprevisto è sempre in agguato e che la prudenza non è mai troppa.”

Il vero protagonista di questo racconto: il Pracaer F15E Picchio costruito dalla General Avia. Benchè il velivolo avesse ottime doti di volo (semi acrobatico e con capiente bagagliaio, sedili comodi per quattro persone) non fu costruito in grandi numeri tanto che, nato  alla fine degli anni ’50 come ulteriore sviluppo del Falco e Nibbio, non ebbe il successo che meritava. L’ Aeronautica Militare Italiana, in particolare, dovendo trovare un velivolo ad elica per uso collegamento e traino alianti, gli preferì il SIAI 208 e dunque affossò di fatto la produzione della serie “E” di cui fa parte I-PROD (qui ritratto) e I-PROM che fu invece presentato al Salone Aeronautico di Le Bourget nel maggio del ’73

Parole sante, aggiungiamo noi! Peccato che, dal punto di vista squisitamente letterario, le parole dell’autore non abbiano convinto granchè la giuria della V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” organizzato dal nostro sito e dall’HAG (Historical Aircraft Group). La giuria – dicevamo – non ha ritenuto questa breve cronaca di volo meritevole  di accedere alla fase finale del Premio e dunque l’ha relegata alla sola pubblicazione nel nostro sito. Ci spiace per il caro Sandro ma per noi si è trattata di una vera manna dal cielo!

Il racconto nasce da un’esperienza realmente vissuta dall’autore e da suoi tre amici/che, che loro malgrado, si sono trovati nella classica situazione imprevedibile e dunque indimenticabile. Anche se in senso negativo, purtroppo per loro.

Gli interni assai conforevoli del Picchio in cui si è consumata la vicenda narrata dall’autore nonchè protagonista, suo malgrado. Non stentiamo a credere che, a seguito di quanto accadde, le tappezzerie siano state completamente rinnovate.

Dunque non un’opera di fantasia ma di cronaca verace che piacerà agli amanti dei testi con taglio giornalistico.

In effetti la prosa è molto abbottonata, asciutta, priva di qualunque artificio narrativo, usando un’espressione calzante: “vola via che è una bellezza”!

In verità appare più vicina a un resoconto tecnico che ad un racconto di volo, volo peraltro tutt’altro che tranquillo.

Con il senno di poi siamo lieti che non sia divenuta una relazione d’incidente aereo o un rapporto assicurativo – per carità – ma i toni, effettivamente, non sono poi così dissimili.

Probabilmente, nel bilancio complessivo del testo, pesa un ruolo determinante l’assenza di personaggi parlanti e dunque la completa mancanza di discorso diretto. Tutta la vicenda è raccontata in terza persona con eccessivo distacco, quasi con asetticità. In questo genere di eventi, non siamo abituati ad una dose così ridotta di pathos; da lettori, vorremmo essere più compartecipi all’azione e invece tutto si sviluppa con freddezza. Peccato.

Ancora una bella immagine a terra dello splendido velivolo uscito dalla matita del grande progettista italiano Stelio Frati. Non si potrà fare a meno di notare una certa affinità con il più ben famoso SF260 con il quale il Picchio F15E condivide la struttura metallica e numerosi soluzioni aerodinamiche/strutturali.

E dire che, avendo avuto la fortuna di conoscere l’autore di persona, posso affermare – senza ombra di esitazione – che trattasi di persona alquanto loquace, dal colloquiare piacevole, prodigo di particolari e battute sagaci. Ma forse  – e sottolineiamo “forse” – la sua naturale timidezza nel rivelare episodi relativi a fatti e persone lo ha molto inibito oppure il cimetarsi per la prima volta con un racconto in prima persona lo ha un poco impaurito … certo è che il suo testo è scorrevolissimo e si legge in un battibaleno. Non ha spigoli vivi, non ci sono periodi superflui: tutto è cesellato alla perfezione, senza alcuna sbavatura.

La splendia immagine  del Picchio scattata dal bravissimo fotografo Giorgio Varisco, peraltro partecipante e vincitore di alcune edizioni della sezione fotografica del  nostro Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”. Il suo occhio meccanico-digitale si trovava giusto appunto a bordo pista dell’aviosurficie di Montagnana (Padova) il 30 giugno del 2013, in occasione del  FlyParty, grande festa dei soci dell’HAG (Historical aircraft Group) aperta al pubblico e divenuta quindi appuntamento annuale degli appassionati di velivoli storici. Lo scatto mostra il Picchio in tutta la sua bellezza e la pulizie delle forme, tipica in verità di tutti i progetti dell’ing Frati.

In definitiva, tenuto conto che di esperienze – piacevoli e non – un pilota di navigata frequentazione aeronautica come il nostro Sandro ne avrà pur vissute (o comunque ne sarà stato testimone diretto o indiretto), siamo fiduciosi che in un prossimissimo futuro ci regali qualche altra confidenza dai connotati letterari. Anche perchè, con questo racconto, ci ha dato prova di avere dimestichezza con la grammatica e con la narrativa; magari dovrà aggiungere quel pizzico di “romanzato” che non gli è così congeniale … ma piace molto al lettore medio, noi compresi. E per questo motivo glielo suggeriamo caldissimamente.

L’unico rammarico sarà di non poterlo pubblicare giacchè, in quell’occasione, potremo leggerlo solo nell’antologia della prossima edizione del nostro Premio letterario. Noi ce ne faremo una ragione ma speriamo che il Rosati si metta già all’opera. Intesi?


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

 

No dream is too high

titolo: No dream is too high – Life lesson from a man who walked on the moon [Nessun sogno è troppo elevato – Lezioni di vita da parte di un uomo che ha camminato sulla Luna]

autore: Buzz Aldrin

con la collaborazione di: Ken Abraham

editore: Editore National Geographic Partners, LLC.

anno di pubblicazione: 2016

ISBN: 9781426216497 e 978-1-4262-1650-3





C’era una volta il libro. Intendo il libro fisico, fatto di pagine, copertina e rilegatura, con testo ed immagini e odore di carta.

Un odore che inebria. La prima cosa che ci si sente dire quando paragoniamo il libro fisico con quello elettronico è questa: “a me piace ficcare il naso tra le pagine e sentire l’odore della carta …”

Il libro elettronico, l’ebook, il nuovo venuto che ha sostituito il libro tradizionale, non ha odore. Non ha consistenza, non si può prendere da uno scaffale e sfogliarlo tra le mani. Non si può neppure prestare, scambiare tra amici e riavere indietro dopo un certo tempo.

Complice la copertina della prestigiosa rivista National Geographic, questa è l’immagine dell’impresa lunare rimasta più vivida nell’immaginario collettivo mondiale. Anche a distanza di tanti anni. Vi è ritratto Buzz Aldrin sulla superficie della Luna. Per gli amanti della bibliografia, si tratta della rivista nr 6, vol 136 del dicembre 1969

L’ebook sta nel suo scaffale virtuale, non occupa spazio fisico. Si apre all’interno di un lettore, su uno schermo e si sfoglia per modo di dire mandando avanti e indietro le sue pagine che sono solo schermate elettroniche.

Tuttavia, l’ebook è destinato ad inserirsi profondamente nel mercato del libro, per tanti motivi. Solo per citarne alcuni:

  • I libri elettronici non occupano spazio, non necessitano di enormi scaffalature, non raccolgono polvere e non costringono ad approfondite e frequenti pulizie.
  • In un Kobo o in un Kindle, che sono i più comuni lettori di ebook, entrano tanti libri, anche alcune migliaia, occupando solo la memoria interna, ma poi questi lettori hanno lo slot per una memoria aggiuntiva, tipo micro SD, di parecchi Gb. Allora nel lettore possiamo stivare l’equivalente di intere biblioteche.
  • I libri elettronici non si comprano in libreria, ma su siti internet appositi. Si pagano online e si scaricano in pochi minuti e subito sono disponibili per la lettura.
  • E’ possibile reperire libri da ogni parte del mondo. In altre parole non serve andare in America per avere un libro disponibile solo sul mercato americano, né dobbiamo ordinarlo e farcelo spedire. Si apre un mondo enorme di possibilità che non esisteva solo una decina di anni fa.

Che dire? Il futuro è già qui.

Una foto dal pregevole gusto artistico che ritrae l’equipaggio Apollo 11 (da sinistra verso destra: Michael Collins, Edwin E. “Buzz” Aldrin jr., Neil A. Amstrong ). In stile squisitamente hollywooddiano, la missione lunare ebbe un enorme supporto mediatico prima, durante e dopo.

Mi è stato regalato un Kobo. Le mie sorelle sapevano che ordinavo libri negli Stati Uniti attraverso una libreria specializzata che si trova al centro di Roma. Hanno pensato di farmi cosa gradita, così che potessi scaricare i libri desiderati, se disponibili.

Quando ho ricevuto questo regalo, mi ha fatto piacere, ma ero scettico sulla sua reale utilità. Anch’io appartengo a coloro che vogliono sentire l’odore della carta. Solo dopo un certo tempo mi sono deciso a scaricare qualche libro, giusto per fare la prova.

Poi mi si è aperto un mondo sterminato. In meno di un anno ho scaricato oltre centocinquanta libri nel mio Kobo. Ne ho letti molti e continuo a leggerli ogni volta che posso.

Tra gli argomenti di mio interesse c’è, ovviamente, il volo. Ma anche l’informatica, la scienza, i viaggi, la geografia etc.

Secondo la storia accreditata delle missioni Apollo, Il logo della missione nr 11 fu elaborato dall’astronauta Collins in persona. A ben guardarlo con gli occhi disincantati – per non dire maliziosi – di oggi, non possiamo non apprezzare una bella aquila con le ali spiegate in fase di atterraggio sul suolo lunare con, sullo sfondo, un affascinante spicchio del pianeta Terra. Ovviamente l’aquila è il modulo LM soprannominato appunto “Eagle” mentre, almeno nelle intenzioni dell’ideatore, tra gli artigli del rapace avrebbe dovuto esserci un ramoscello d ulivo, simbolo per antonomasia della pace. Il messaggio era dunque chiaro: l’aquila statunitense che atterra sulla Luna con intenzioni pacifiche. Peccato che il disegnatore, autore materiale del logo, non ebbe ben chiaro che forma potesse avere un rametto d’ulivo (pare un ramo di latifoglia!) e che – non dimentichiamolo- l’aquila è anche il simbolo degli Stati Uniti. Inoltre occorre notare come il numero 11 non fu indicato facendo ricorso ai numeri romani bensì ai numeri arabi e non appaiono i nomi dei tre astronauti che formavano l’equipaggio ufficiale. Sempre secondo la storia accreditata delle missioni Apollo, pare che la scelta dei numeri arabi fu per renderli universalmente riconoscibili mentre l’assenza dei nomi fu per rendere merito alla moltitudine di persone che resero possibile la missione. Vabbè!

E la storia della conquista dello spazio e le missioni Apollo.

Ho scaricato tutti i libri disponibili scritti dagli astronauti stessi, quelli che hanno fatto parte delle prime esperienze preparatorie alla corsa alla conquista della Luna e che poi sulla Luna ci sono andati veramente.

Uno dei personaggi più illustri tra questi astronauti è il secondo uomo a mettere piede sul suolo lunare: Buzz Aldrin.

Molto recentemente mi imbattevo spesso nella pubblicità di un libro che Aldrin aveva scritto, intitolato: “No dream is too high”. Su Facebook girano spesso notizie del genere. Non avevo idea su come poterlo ordinare e leggere, ma da una breve ricerca ho scoperto che era disponibile la versione ebook. Avevo il Kobo e in pochi minuti il libro era nella sua memoria interna, pronto per essere letto. Fantastico.

Aldrin è stato il secondo essere umano a posare il piede sulla superficie lunare. Il primo è stato Neil Armstrong.

Già essere stato sulla Luna non è un fatto di poco conto per chiunque. Sin dalle prime pagine si può intuire che l’autore è rimasto profondamente influenzato dall’esperienza. Il libro è un’autobiografia un po’ particolare, ma la cosa che traspare maggiormente riguarda proprio l’effetto che una tale impresa ha avuto sulla vita personale di Aldrin dopo il rientro sulla Terra.

Un’altra memorabile copertina che è rimasta nella storia dell’umanità. Si tratta di Buzz Aldrin fotografato dal suo compagno di missione Neil Amstrong durante le quasi 3 ore in cui scorrazzarono sulla superficie lunare. “To the moon and back” – “Alla Luna e ritorno” recita lo strillo sotto il logo della rivista. Occorreva aggiungerlo? Da notare l’elevatissima nitidezza con cui fu scattata la fotografia. E dire che, al momento di rientrare sulla Terra, i due astronauti lasciarono sulla superficie lunare una preziosissima fotocamera Hasselblad e altra apparecchiatura scientifica di notevole valore. Barattarono il tutto con circa 20 chili di rocce lunari. Quello che si dice uno scambio alla dispari!

E’ un discorso complesso, tanto articolato da non poter essere sintetizzato in poche parole, neppure in una recensione come questa. Aldrin ha scritto diversi libri e, non esagero a dire, bisogna leggerli tutti per avere un quadro, se non completo, almeno migliore.

Il primo capitolo ha per titolo: “The sky is not the limit. There are footprints on the moon – [Il cielo non è il limite. Ci sono impronte sulla Luna]”.

Certo, si dice che il limite è il cielo. Perfino noi che voliamo usiamo questa espressione. Ma per un astronauta non vale. Lui va ben oltre il cielo. E già questo, si intuisce, può dare una sensazione di onnipotenza dalla quale diviene poi difficile difendersi affinché non diventi patologica.

La tuta di volo dell’autore del libro. Non che i cimeli astronautici siano diventati delle reliquie tuttavia esiste un certo mercato di oggettistica aerospaziale alimentato da una notevole massa di collezionisti o di musei.

Il capitolo quattro è altrettanto illuminante: “Second comes right after first

Il secondo viene subito dopo il primo. Questa è la frase che Aldrin si è sentito ripetere molto spesso, sia prima che dopo l’impresa di sbarco sulla Luna. Tutti lo volevano in qualche modo consolare della delusione di essere stato il secondo a scendere dalla navetta. Il mondo avrebbe ricordato il primo. Lui sarebbe passato alla storia. Il secondo avrebbe avuto una minore importanza, la sua figura sarebbe rimasta inesorabilmente nell’ombra del primo. E pensare che secondo le regole in vigore fino a pochi giorni prima del lancio sarebbe spettato a lui scendere la scaletta davanti ad Armstrong. Ma poi le regole sono state cambiate per ragioni forse politiche e anche di opportunità.

Ma per lo spirito ferocemente competitivo esistente a quel tempo tra gli equipaggi … la differenza tra il primo e il secondo era abissale. Infatti per tutto il libro se ne percepisce l’effetto sulla capacità di riadattamento alla vita comune dell’autore.

Nessun sogno è troppo alto, dice il titolo. Ma il sottotitolo dice anche che nel contenuto ci sono lezioni di vita da parte di chi ha camminato sulla luna.

La targa commemorativa della missione Apollo 11 che fu applicata su uno dei nove gradini di cui era dotato il LM lasciato poi sulla Luna. Tradotta in italiano suona così: “Qui uomini dal pianeta Terra fecero il primo passo sulla Luna Luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace per tutta l’umanità”. Seguono poi le firme dei tre astronauti con il loro nome in chiaro e quella del presidente degli USA Richard Nixon, in carica al momento della missione. Occorre ricordare però, che fu per merito del suo precedecessore, certo John F. Kennedy, se le missioni spaziali statunitensi ebbero un fortissimo impulso (oltre al primo successo sovietico con il cosmonauta Yuri Gagarin). Davanti al Congresso degli Stati Uniti, il giovane presidente Kennedy pronuciò un famoso discorso in cui proclamò: “Questo paese deve impegnarsi a realizzare l’obiettivo, prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra”. Mai discorso fu così profetico

Le lezioni ci sono. Resta da capire se Aldrin le ha scritte per aiutare gli altri nelle scelte di vita, per raggiungere i sogni, per quanto alti questi possano essere, oppure per aiutare se stesso ad affrontare la propria incapacità di tornare ad una vita normale, dopo essere salito tanto in alto.

Tutta la vita di questo astronauta è stata eccezionale. Pilota militare, ha combattuto in Corea, abbattendo anche un MIG. Laureato al MIT in scienze aeronautiche con una tesi che riguardava proprio le tecniche di aggancio tra due veicoli spaziali, il famoso rendez-vous che è divenuto poi la manovra chiave che ha reso possibile la conquista della Luna, è entrato alla NASA ed ha cominciato un difficilissimo programma di formazione e addestramento durato anni.

Lanci e passeggiate spaziali eseguiti con successo si sono svolti insieme alle vicende di vita personale, come il matrimonio, i figli, i viaggi, lo studio etc.

Infine il programma Apollo, funestato da un paio di incidenti che ne hanno rallentato lo svolgimento. L’Apollo 11, quello del primo sbarco sulla Luna rappresenta la vetta più alta raggiunta. Il libro riguarda anche questo. Ma soprattutto riguarda il dopo. La vita che segue un simile, grandissimo evento. Gli effetti inaspettati e all’epoca sconosciuti che da quel momento in poi, in un lento crescendo, hanno travolto la vita personale e familiare di Aldrin, con problemi di alcolismo e di depressione.

Gli astronauti erano tutti piloti, tranne uno, che era un geologo e ha fatto parte dell’Apollo 17, sbarcato sulla luna nel 1972 insieme a Gene Cernan.

Impensabile parlare di depressione per un pilota. Solo parlarne avrebbe avuto ripercussioni sulla carriera. E l’alcolismo non era considerato un problema. Tutti bevevano, era un fatto comune.

Aldrin ha capito che le cose non stavano così. Ha avuto il coraggio di affrontare l’argomento e i rischi connessi ed ha chiesto aiuto.

I luminari di allora non erano molto preparati. Tutto andava studiato e sperimentato.

Lo studio e la sperimentazione di cure idonee per problemi del genere sono iniziati grazie ad Aldrin. Di questo, poi, hanno tratto beneficio anche altri astronauti, che si sono trovati a dover affrontare gli stessi problemi.

La retocopertina del libro di Buzz Aldrin che in italiano suona più o meno come: “Alla Luna e oltre”. Classe 1930 – come i suoi due compagni di avventura – Aldrin è autore di ben nove libri dedicati allo spazio ed è stato sempre un infaticabile sostenitore delle missioni spaziali a carattere esplorativo, ivi comprese quelle finalizzate al raggiungimento del pianeta Marte nonchè all’insediamento di una stazione permanente umana sul pianeta rosso.

Il libro parla anche di queste cose.

Leggere il racconto dettagliato di chi ha vissuto fatti tanto eclatanti è molto interessante. Se ne percepisce la complessità, la difficoltà, le emozioni che hanno accompagnato avvenimenti che conosciamo solo attraverso i giornali e la televisione. Il primo sbarco sulla Luna è stato per tutti un fatto epocale e ognuno di noi sa dire dov’era in quei giorni. Tutti ricordano la notte di luglio e le immagini in bianco e nero dei due uomini che per la prima volta si muovevano sul suolo lunare. Leggendo il libro mi sono ritrovato spessissimo a ricordare e a fare un parallelo tra le mie vicende personali di quei giorni, mentre Aldrin descrive la sua storia.

Ci sono tante altre cose da dire su questo argomento. Come ho già detto, non è possibile sintetizzare in poche righe la storia delle conquiste spaziali. Ma Aldrin ha scritto altri libri. Ed anche molti altri astronauti lo hanno fatto. Ci sono elementi in comune tra queste storie.

Avremo modo di riparlarne.



Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)


Mission to Mars

Magnificient desolation

Return to Earth



In volo tra le nuvole … e nello spazio

L’autore di questo breve racconto – forse fin troppo breve – ci ha confessato che “[…] non è altro che la trasposizione su carta di un sogno che ho fatto tempo fa”.

Ha inoltre ammesso: “Essendo uno scrittore per hobby ho dato una mia interpretazione al sogno per integrarlo con la mia passione per le letture e il cinema di fantascienza, soprattutto quello dei classici anni ’40 e ’50”.

Una possibile versione onirica in cui potrebbe essere in volo nello spazio il protagonista del racconto di Massimiliano Murgia

Dunque una confessione chiara e articolata cui, per concludere ha aggiunto: “Ne è uscito forse un racconto dai tratti inquietanti, ma credo che ognuno di noi abbia un incubo ricorrente, che vorrebbe magari esorcizzare traducendolo in parole.

In sintesi, qui in poche righe si narra di un volo virtuale e di uno reale”

Può il rapporto parentale attraversare il cielo e lo spazio … ebbene questa è la congettura sulla quale si base il racconto “In volo tra le nuvole … e nello spazio”. Questa è una raffigurazione creativa di Titano, una delle lune di Giove

La giuria della V edizione del Premio, purtroppo, non lo ha valutato di particolare originalità e neanche di sufficiente contenuto aeronautico tanto che non ha ritenuto opportuno promuoverlo alla fase finale del concorso e dunque ammetterlo alla rosa dei 20 racconti che sono stati poi inseriti nell’antologia del Premio. Purtroppo per l’autore, fortuna per noi che possiamo leggerlo in anteprima.

Ad ogni modo, al di là di ogni personale opinione, il racconto a noi è piaciuto nella sua scorrevolezza, nella rapidità espositiva, nel parallelismo della vicenda reale e onirica che unisce i due fratelli (gemelli?). Certo non piacerà ai praticanti del paracadutismo e neanche a coloro che amano i testi ben sviluppati in tutte le loro sfaccettature … ma se faranno una ragione perché i racconti tra le nuvole sono così: imprevedibili, eterei, informi … praticamente come volare tra le nuvole e nello spazio


Narrativa / Breve

Inedito

Ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

Cronache interplanetarie

Nel dicembre 2017 tutti i mezzi d’informazione hanno concesso un notevole risalto alla notizia secondo cui la NASA, a mezzo del portentoso telescopio orbitale Kepler e di un mirabolante sistema di interpretazione dei dati rilevati, avrebbe avvistato un sistema solare del tutto simile al nostro, ossia dotato di un Sole e otto pianeti orbitanti attorno ad esso tra cui – almeno uno – forse capace di ospitare delle forme di vita così come la intendiamo noi.

Ecco come apparirebbe il nostro pianeta ad un potenziale osservatore esterno. Casualmente vedrebbe alla sua sinistra una magnifica terra emersa dalla singolare forma di stivale chiamata “Italia” mentre n basso non potrebbe fare a meno di notare uno strano agglomerato di scatole metalliche e pannelli riflettenti che prendono il nome di ISS – International Space Station o semplicemente Stazione Spaziale Internazionale

E in questo – penserete voi – nulla di sconvolgente, fatto salvo che il sedicente sistema planetario si troverebbe ad una distanza inimmaginabile secondo le unità di misura terrestri. Si parlava di alcune migliaia di anni-luce: praticamente irraggiungibile con gli attuali sistemi di propulsione aerospaziali.

Per quanto ci riguarda – intesi come Redazione di VOCI DI HANGAR – la questione ci è subito apparsa ancora meno sconvolgente in quanto, già a settembre dello stesso anno, un partecipante della V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” di cui – lo ricordiamo – il nostro sito è uno degli organizzatori, ci aveva già preannunciato l’esistenza del pianeta UNO nonché di una civiltà ivi residente addirittura più tecnologica della nostra. E questo alla faccia della NASA e a dispetto del costosissimo telescopio Kepler o dell’intelligenza artificiale ad esso associata.

Ecco come apparirebbe ad un eventuale osservatore interplanetario la semiala di un aeroplano in restauro da parte di un invasato soco dell’HAG. Roba dell’altro mondo!

Ed ecco come apparirebbe, spendendo centinaia di ore di lavoro, la fusoliera di un glorioso Stinson L5-Sentinel durante un restauro radicale. Viene davvero da pensare: sono proprio alieni questi piloti dell’HAG!

Noi, con pochissima o nulla spesa, grazie a quel mostro di veggenza visionaria di Vito Grisoni – così si chiama il nostro scrittore -, sapevamo già tutto. Anzi sapevamo molto di più perché il nostro Vito ha redatto nientemeno che delle “Cronache interplanetarie” in cui ci spiega come gli abitanti di UNO ci osservino già da tempo, di quanto siano curiosi di fronte al grande spettacolo costituito dall’umanità e dai suoi molteplici singolari comportamenti.

Insomma – la NASA non ce ne voglia – ma a noi, per giungere su Keplero 90 – così è stato battezzato il lontanissimo sistema planetario – è stato sufficiente leggere il racconto anziché viaggiare nello spazio per diversi miliardi di miliardi di chilometri!

A parte gli scherzi, contrariamente a quanto lascia presagire il titolo, queste “cronache interplanetarie” non hanno nulla a che vedere con quelle ben più blasonate di Asimoviana memoria (Cronache della galassia). Il nostro affezionato Vito ci ha infatti regalato un breve testo, leggero, piacevole, scritto in modo disinvolto e che vuol essere il pretesto per additare taluni vezzi ma anche talaltri malcostumi di cui il genere umano è depositario. Vezzi e malcostumi che saltano agli occhi specialmente ad un probabile osservatore esterno, magari proveniente appunto dal pianeta UNO.

In realtà, il tema aeronautico è presente in modo davvero marginale e – non a caso – la giuria ha pesantemente penalizzato questa composizione non ritenendola meritevole di accedere alla fase finale del Premio tuttavia, l’autore ha tentato di porre in risalto l’insano entusiasmo che anima certi sedicenti piloti – pochissimi in verità – nel restaurare e poi far volare antiche macchine volanti, cimeli di un’aviazione terrestre ormai datata. Praticamente il ritratto dei piloti dell’HAG! HAG che – lo ricordiamo – è l’associazione italiana composta proprio da piloti che riportano in condizioni di volo i velivoli storici più disparati e che – casualmente – assieme al nostro sito, è l’altro organizzatore del Premio letterario “Racconti tra le nuvole”. In altre parole: un racconto scritto su misura dell’HAG,

In verità le nostre “cronache” diventano addirittura goderecce quando mostrano anche qualche sfumatura di nero, di grigio, di rosso o di fucsia – se lo preferite – in quanto riportano, sempre secondo il racconto del famoso osservatore del pianeta UNO, le prestazioni coniugali nonché extra coniugali di un maschio terrestre preso a campione.

Per il resto, sebbene l’invenzione narrativa non sia proprio originale, consente all’autore di additare nefandezze molteplici e comportamenti miserabili di cui l’umanità non può certo esserne fiera. Inoltre – diciamolo chiaramente – appare come un’occasione mancata dal punto di vista squisitamente letterario. Forse per l’eccessiva brevità, forse per il tentativo – peraltro assai difficile – di dare un taglio aeronautico/aerospaziale che lo rendesse pertinente al tema stringente del Premio. E sì che il notevole numero di battute ammesse dal bando di concorso avrebbe consentito all’autore di dare corpo e spessore al racconto che – lo ripetiamo a scanso di fraintendimenti – risulta comunque godibile.

Lo Stinson è stato finalmente restaurato ed è in volo assieme al suo figliolo prediletto:  un Cessna L19 Bird Dog.

In definitiva un racconto da leggere anche per riflettere su ciò che siamo come genere umano, che strappa un accenno di sorriso in alcuni punti e produce una sensazione agrodolce in altri cui – ci auguriamo – Vito Grisoni vorrà dare un seguito … perché questo – in fin dei conti – potremmo considerarlo a tutti gli effetti un “pettegolezzo interplanetario” più che delle vere e proprie “cronache interplanetarie”. Con grande pace del il grande Isaac Asimov, buonanima. 


Narrativa / Medio – Breve Inedito;

Ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

In esclusiva per “Voci di hangar”