L’autore di questo breve racconto – forse fin troppo breve – ci ha confessato che “[…] non è altro che la trasposizione su carta di un sogno che ho fatto tempo fa”.
Ha inoltre ammesso: “Essendo uno scrittore per hobby ho dato una mia interpretazione al sogno per integrarlo con la mia passione per le letture e il cinema di fantascienza, soprattutto quello dei classici anni ’40 e ’50”.
Dunque una confessione chiara e articolata cui, per concludere ha aggiunto: “Ne è uscito forse un racconto dai tratti inquietanti, ma credo che ognuno di noi abbia un incubo ricorrente, che vorrebbe magari esorcizzare traducendolo in parole.
In sintesi, qui in poche righe si narra di un volo virtuale e di uno reale”
La giuria della V edizione del Premio, purtroppo, non lo ha valutato di particolare originalità e neanche di sufficiente contenuto aeronautico tanto che non ha ritenuto opportuno promuoverlo alla fase finale del concorso e dunque ammetterlo alla rosa dei 20 racconti che sono stati poi inseriti nell’antologia del Premio. Purtroppo per l’autore, fortuna per noi che possiamo leggerlo in anteprima.
Ad ogni modo, al di là di ogni personale opinione, il racconto a noi è piaciuto nella sua scorrevolezza, nella rapidità espositiva, nel parallelismo della vicenda reale e onirica che unisce i due fratelli (gemelli?). Certo non piacerà ai praticanti del paracadutismo e neanche a coloro che amano i testi ben sviluppati in tutte le loro sfaccettature … ma se faranno una ragione perché i racconti tra le nuvole sono così: imprevedibili, eterei, informi … praticamente come volare tra le nuvole e nello spazio
Narrativa / Breve
Inedito
Ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;
Nel dicembre 2017 tutti i mezzi d’informazione hanno concesso un notevole risalto alla notizia secondo cui la NASA, a mezzo del portentoso telescopio orbitale Kepler e di un mirabolante sistema di interpretazione dei dati rilevati, avrebbe avvistato un sistema solare del tutto simile al nostro, ossia dotato di un Sole e otto pianeti orbitanti attorno ad esso tra cui – almeno uno – forse capace di ospitare delle forme di vita così come la intendiamo noi.
E in questo – penserete voi – nulla di sconvolgente, fatto salvo che il sedicente sistema planetario si troverebbe ad una distanza inimmaginabile secondo le unità di misura terrestri. Si parlava di alcune migliaia di anni-luce: praticamente irraggiungibile con gli attuali sistemi di propulsione aerospaziali.
Per quanto ci riguarda – intesi come Redazione di VOCI DI HANGAR – la questione ci è subito apparsa ancora meno sconvolgente in quanto, già a settembre dello stesso anno, un partecipante della V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” di cui – lo ricordiamo – il nostro sito è uno degli organizzatori, ci aveva già preannunciato l’esistenza del pianeta UNO nonché di una civiltà ivi residente addirittura più tecnologica della nostra. E questo alla faccia della NASA e a dispetto del costosissimo telescopio Kepler o dell’intelligenza artificiale ad esso associata.
Noi, con pochissima o nulla spesa, grazie a quel mostro di veggenza visionaria di Vito Grisoni – così si chiama il nostro scrittore -, sapevamo già tutto. Anzi sapevamo molto di più perché il nostro Vito ha redatto nientemeno che delle “Cronache interplanetarie” in cui ci spiega come gli abitanti di UNO ci osservino già da tempo, di quanto siano curiosi di fronte al grande spettacolo costituito dall’umanità e dai suoi molteplici singolari comportamenti.
Insomma – la NASA non ce ne voglia – ma a noi, per giungere su Keplero 90 – così è stato battezzato il lontanissimo sistema planetario – è stato sufficiente leggere il racconto anziché viaggiare nello spazio per diversi miliardi di miliardi di chilometri!
A parte gli scherzi, contrariamente a quanto lascia presagire il titolo, queste “cronache interplanetarie” non hanno nulla a che vedere con quelle ben più blasonate di Asimoviana memoria (Cronache della galassia). Il nostro affezionato Vito ci ha infatti regalato un breve testo, leggero, piacevole, scritto in modo disinvolto e che vuol essere il pretesto per additare taluni vezzi ma anche talaltri malcostumi di cui il genere umano è depositario. Vezzi e malcostumi che saltano agli occhi specialmente ad un probabile osservatore esterno, magari proveniente appunto dal pianeta UNO.
In realtà, il tema aeronautico è presente in modo davvero marginale e – non a caso – la giuria ha pesantemente penalizzato questa composizione non ritenendola meritevole di accedere alla fase finale del Premio tuttavia, l’autore ha tentato di porre in risalto l’insano entusiasmo che anima certi sedicenti piloti – pochissimi in verità – nel restaurare e poi far volare antiche macchine volanti, cimeli di un’aviazione terrestre ormai datata. Praticamente il ritratto dei piloti dell’HAG! HAG che – lo ricordiamo – è l’associazione italiana composta proprio da piloti che riportano in condizioni di volo i velivoli storici più disparati e che – casualmente – assieme al nostro sito, è l’altro organizzatore del Premio letterario “Racconti tra le nuvole”. In altre parole: un racconto scritto su misura dell’HAG,
In verità le nostre “cronache” diventano addirittura goderecce quando mostrano anche qualche sfumatura di nero, di grigio, di rosso o di fucsia – se lo preferite – in quanto riportano, sempre secondo il racconto del famoso osservatore del pianeta UNO, le prestazioni coniugali nonché extra coniugali di un maschio terrestre preso a campione.
Per il resto, sebbene l’invenzione narrativa non sia proprio originale, consente all’autore di additare nefandezze molteplici e comportamenti miserabili di cui l’umanità non può certo esserne fiera. Inoltre – diciamolo chiaramente – appare come un’occasione mancata dal punto di vista squisitamente letterario. Forse per l’eccessiva brevità, forse per il tentativo – peraltro assai difficile – di dare un taglio aeronautico/aerospaziale che lo rendesse pertinente al tema stringente del Premio. E sì che il notevole numero di battute ammesse dal bando di concorso avrebbe consentito all’autore di dare corpo e spessore al racconto che – lo ripetiamo a scanso di fraintendimenti – risulta comunque godibile.
In definitiva un racconto da leggere anche per riflettere su ciò che siamo come genere umano, che strappa un accenno di sorriso in alcuni punti e produce una sensazione agrodolce in altri cui – ci auguriamo – Vito Grisoni vorrà dare un seguito … perché questo – in fin dei conti – potremmo considerarlo a tutti gli effetti un “pettegolezzo interplanetario” più che delle vere e proprie “cronache interplanetarie”.
Con grande pace del il grande Isaac Asimov, buonanima.
Narrativa / Medio – Breve
Inedito;
Ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;
Il titolo di questa breve serie di riflessioni potrà sorprendere, destare perplessità, sembrare solo un titolo ad effetto o, semplicemente, incuriosire.
In considerazione del numero degli scacchisti e di quello dei volovelisti, instaurare un simile rapporto, probabilmente, non sarebbe potuto venire in mente a nessuno che non si trovasse nella singolare condizione di praticare (o di aver praticato), abbastanza seriamente, sia l’una che l’altra disciplina; una condizione – sottolineo – privilegiata, per la bellezza e la ricchezza di entrambe, che ti ammettono a mondi ben lontani dalla comune esperienza quotidiana.
Gli amici volovelisti mi perdoneranno ma, in estrema e molto approssimativa sintesi, utile solo per capire quanto sto per esporre, il volo a vela (detto anche volo veleggiato), è quello condotto a bordo di una macchina volante sprovvista di motore e dalle speciali caratteristiche aerodinamiche che le conferiscono eccezionale efficienza: l’aliante. Gli scopi di un simile tipo di volo, esclusivamente sportivi, sono:
restare in aria numerose ore,
guadagnare più quota possibile,
e, per i più esperti,
percorrere varie centinaia di chilometri di distanza libera o secondo un percorso prefissato prima del decollo.
Per far ciò, l’aliante sfrutta le correnti termiche generate dal riscaldamento del terreno e gli effetti del vento in relazione all’orografia. Le principali strategie di volo sono:
il volo termico, che consiste nel salire nelle colonne d’aria calda e poi compiere lunghe planate trasformando in distanza la quota acquisita fino a raggiungere la termica successiva e ripetere il ciclo;
il volo dinamico, grazie al quale si corre lungo i costoni montani investiti dal vento facendosi sostenere senza perdere quota;
il volo d’onda, troppo raro e particolare per considerarlo in questa sede.
Generalmente, in un volo si combinano in diversa misura, a seconda delle condizioni meteorologiche che si incontrano, i tipi 1 e 2.
Quello che vorrei provare a far notare è che tra scacchi e volo a vela, per strano che possa sembrare, esistono non poche e non piccole analogie, affinità, somiglianze, consonanze o – comunque vogliamo chiamarle – correlazioni. Sono due attività così diverse, eppure hanno tanto in comune. Inoltre, i tratti che ne derivano e che si possono mettere a confronto, sono d’importanza rilevante per entrambe le discipline.
Naturalmente esiste tutta una serie di differenze che è bene elencare subito – giusto per far rilevare come siano, seppure importanti – strutturalmente di minore rilievo. Ebbene, almeno a mio avviso, sono:
il giocatore di scacchi opera nel chiuso di una sala da torneo, il pilota en plein air;
il primo è indipendente dal tempo atmosferico, il secondo ne dipende totalmente;
l’uno, seduto su una sedia, non corre alcun rischio, l’altro, in continuo movimento e in scenari che mutano, è soggetto a un rischio potenziale elevato;
l’uno contende con un avversario, l’altro contende con altri suoi simili solo in alcuni tipi di competizioni agonistiche e, per lo più, effettua un tipo di volo solitario in cui si misura con un obiettivo da raggiungere.
Analizziamo, però, meglio queste differenze.
La prima è solo di contorno.
Nella seconda, la situazione meteorologica – come vedremo – è il principale dei fattori che condizionano la strategia del pilota e diventa il contraltare delle forze in gioco sulla scacchiera.
La terza è in sé valida, ma si attenua nella sua portata se consideriamo più pertinente – riguardo ai casi che ci interessano – l’accezione non di “rischio per la persona” ma di “rischio sportivo”. In altri termini, per il giocatore, fare una mossa o seguire un piano con una forte componente di azzardo (nel tentativo di forzare il gioco), può comportare la perdita della partita; per il pilota, fare una scelta, altrettanto azzardata, può comportare il mancato completamento del percorso che si era prefisso.
Anche la quarta si riduce, se concordiamo sul punto che, sia per uno scacchista sia per un volovelista, il principale avversario che deve superare è lui stesso. Anzi, questa è una delle analogie più importanti: sia gli scacchi sia il volo a vela costringono a guardare dentro sé stessi, a imparare a conoscersi, a studiare i propri limiti e i modi che ciascuno individualmente ha di “spingerli un po’ più in là”, per usare le parole di Angelo D’Arrigo. Come? Per esempio, osservando il nostro modo di prendere le decisioni e quale elemento più le caratterizza: rapidità, esitazione, decisione, incertezza, calma,coraggio, ripetitività, inventiva, rinuncia. Basti ricordare che, nel momento della verità – quello delle scelte decisive, per intenderci – sia il giocatore di scacchi che il pilota sono fondamentalmente soli.
Oppure – occorre chiedersi – con che grado di resilienza reagiamo alle frustrazioni? Quali pensieri riusciamo a concepire quando dubitiamo di noi stessi? Quanto conta per noi una motivazione forte rispetto alle difficoltà e ai potenziali rischi? O come gestiamo quei rischiosi momenti in cui ci accade di avere un eccesso di fiducia in noi stessi?
L’aspetto che accomuna volo a vela e scacchi è che la performance è un continuum che ha una progressione ininterrotta fino all’esito finale; non è – a differenza di molte altre attività sportive e agonistiche individuali – una prova composta di azioni “discrete”, ciascuna delle quali genera un punteggio parziale che contribuisce a quello totale.
Ci sono poi le somiglianze esteriori, o forse solo apparentemente esteriori, come la posizione di virtuale immobilità del pilota, seduto o disteso, e dello scacchista che può rimanere tutta la partita davanti alla scacchiera. La durata del tempo in cui questa situazione statica si prolunga è assolutamente comparabile: è infatti di alcune ore, sia per una partita sia per un volo di un certo impegno agonistico.
Il parallelismo non è così banale: vuol dire che, anche per il volo come per gli scacchi, quello che conta non è tanto un atto fisico, come l’uso dei comandi per governare l’aeromobile (che a un certo punto di esperienza diventa istintivo e automaticamente efficace), quanto l’attività intellettuale, la gestione mentale del tempo e della strategia. Ed è questo che costituisce la specificità del volo a vela rispetto al volo praticato con l’ausilio di un motore (usualmente definito volo a motore).
Lungo quelle ore si distribuisce, sia per il pilota che per il giocatore, un notevole e prolungato dispendio di energie psichiche e nervose. Esse si riflettono sul fisico, che, se non debitamente allenato a quel tipo di sforzo, subisce un calo di prestazioni. E quel calo avverrà proprio in momenti decisivi per entrambi, ossia quando si richiederà loro il massimo di concentrazione e di efficacia delle proprie azioni. Per l’uno potrà pregiudicare il completamento del tema e -ottimisticamente parlando – il ritorno sull’aeroporto di partenza; per l’altro, l’esito infausto della partita.
L’aspetto probabilmente fondamentale che hanno in comune gli scacchi e il volo a vela è che sono discipline fondate entrambe sulle scelte. Sono discipline in cui l’attività fondamentale è prendere decisioni. Esse si basano su:
fattori esterni (la valutazione)
fattori interni (il carattere della persona, la sua attitudine comportamentale).
Questo fattore è talmente importante che due piloti o due giocatori potrebbero fare scelte anche notevolmente diverse pur partendo da una base di una valutazione analoga. Figuriamoci poi quante volte valuteranno in modo diverso le molteplici possibilità che offre una posizione complessa sulla scacchiera o un cielo da interpretare che si apre davanti a loro.
L’insieme delle nozioni apprese, lo studio delle partite e dei voli effettuati dai campioni o da altri, non sono altro che un bagaglio che deve essere accumulato ma che non è utilizzabile per imitazione, bensì servirà a favorire la ricerca della scelta giusta ogni volta che ne giunga il momento.
Ogni partita e ogni volo sono costruiti su una lunga serie di scelte, alcune più semplici, altre decisive e difficili perché da esse dipende il successo o l’insuccesso dell’intero piano complessivo. E – come dicevo prima – a mano a mano che gli eventi seguiranno il loro corso, nella partita come nel volo, le scelte diventeranno sempre più delicate e irrevocabili.
Che tipo di scelte sono quelle dello scacchista e del volovelista? L’approccio mentale che ad esse presiede – in entrambi i casi – è quello della selezione di un piano; ovvero, prima di tutto, occorre una strategia generale, che per il giocatore di scacchi dipende da:
le varianti d’apertura;
la personalità dell’avversario;
la maggiore o minore aggressività che si vuole conferire al proprio gioco.
Per il pilota dipende da:
la stagione (cioè quante ore di sole sono prevedibili);
le condizioni meteo del giorno;
il tipo e dalla lunghezza del percorso;
le caratteristiche di performance dell’aliante con cui vola.
Nel corso dell’attuazione di tale piano ci si troverà, però, quasi di continuo a confrontarsi – stavolta su una scala più piccola – con il vaglio delle possibilità e con il calcolo delle varianti, aspetto ben noto negli scacchi ma presente anche nell’applicazione di una strategia di volo (esempio: Ho bisogno di quota; mi conviene avvicinarmi al costone o dirigermi verso un cumulo più promettente ma più distante? E quale alternativa ho se la scelta che faccio fallisce?).
E’ in special modo interessante notare che, sia negli scacchi che nel volo, a volte ci si basa su una sorta di “teoria dei vantaggi”. Al sacrificio combinativo o posizionale degli scacchi corrisponde nel volo – sempre a titolo di esempio – l’abbandono di un’ascendenza sicura per una migliore (di cui però s’indovina solo l’esistenza secondo i principî generali e l’esperienza), oppure la decisione di continuare a seguire la dinamica del costone a quote più basse, rinunciando a perdere tempo con una deviazione di rotta allo scopo di salire più in alto sotto i cumuli di valle. Scelta quest’ultima che garantirebbe un volo più sicuro ma meno fluido e veloce. In entrambe le discipline si tratta di scelte esposte ai rischi legati alla giustezza del calcolo e all’assenza di imprevisti.
Oltre a questa capacità di valutare le alternative, un buon giocatore e un buon pilota devono sviluppare l’attitudine alle previsioni intuitive, soprattutto sotto quella peculiare forma che chiamiamo senso del pericolo (Non mi fido, quindi questa mossa, seppure attraente, non la faccio / Passare di lì, benché sia la cosa apparentemente più ovvia, non mi convince del tutto, quindi percorrerò un’altra strada).
A questo proposito, si può aggiungere che l’azzardo fine a sé stesso (cioè con una percentuale di rischio inversamente proporzionale alle possibilità di successo) è considerato un errore di prospettiva, e qualcosa di alieno dai sani principî dell’una e dell’altra disciplina, benché occasionalmente sia il giocatore di scacchi sia il volovelista sperimentino l’ebbrezza di mettere alla prova la loro fortuna.
Al tema delle scelte è connesso almeno un corollario che vale per entrambe le discipline. E’ quello secondo il quale“è meglio un cattivo piano che nessun piano” (qui dissento da G. Kasparov, Gli scacchi, la vita, Milano, Mondadori, p. 26). Per un giocatore di scacchi e per un pilota di aliante, infatti, la scelta più grave e sicuramente destinata all’insuccesso è giocare/volare senza idee, senza aver concepito un piano. Un piano, invece, anche se ad una verifica risulta sbagliato, può ispirarne un altro basato su diversi presupposti validi. Magari salvifici o vincenti.
Quello che sia lo scacchista sia il pilota ricercano sono le linee invisibili di energia. La bravura dell’uno e dell’altro risiede spesso nel saper individuare – o, diremo meglio, intuire – le sottili linee non discernibili dall’occhio che collegano, non necessariamente in linea retta, due punti distanti della scacchiera (si pensi alle “triangolazioni” nei finali; con le parole di Y. Averbach: “Un postulato essenziale della geometria della scacchiera è che la linea retta non è sempre la via più breve fra due punti”). Stesso discorso se si tratta due zone del cielo.
In un caso, si tratta dell’energia – anzi, della potenziale sinergia – insita nella posizione reciproca di alcuni pezzi vantaggiosamente collocati dal giocatore e in quella sfavorevole dei pezzi dell’avversario. Occorre prenderne coscienza per concepire il piano giusto e procedere con la sequenza di mosse corretta. Nell’altro, abbiamo a che fare con linee di energia termodinamica derivanti dalle condizioni generali della meteo (documentate da specifiche previsioni meteorologiche applicate al volo a vela) ma combinate – e questo è davvero difficile – con quelle micrometeorologiche del luogo e del momento, che, se colte, ispireranno la scelta dell’opportuna strategia e la conduzione del volo per raggiungere un certo punto del percorso, o per fare ritorno da esso una volta raggiunto.
Anche il concetto della dimensione temporale presenta molte affinità negli scacchi e nel volo. Di solito, sia il giocatore che il pilota hanno sufficiente tempo per riflettere e prendere le decisioni che a loro sembrino configurare le migliori strategie, a breve e a lunga scadenza. Ma questo non vuol dire che ce ne sia sempre abbastanza per elaborare ciascun piano o per sottoporre ad approfondita verifica quello che sembra più promettente. Ci sono casi, non infrequenti, in cui lo scacchista è nella necessità di muovere velocemente (Zeitnot); così pure il volovelista può dover compiere delle scelte rapide, per esempio a causa di un repentino cambiamento delle condizioni meteo (l’arrivo di una copertura, un cambiamento di vento) o di situazioni impreviste (una discendenza prolungata, che sta dissipando la quota), ma anche quando non ha più quota per mantenersi in volo e deve scegliere in pochissimi minuti un campo di fortuna in cui atterrare (cioè effettuare un fuoricampo: un’evenienza che, benché sia sempre da tenere in conto nel volo a vela sportivo, è tuttavia non sempre scevra di pericoli). Ad entrambi è richiesta l’attitudine (che si può consolidare con l’allenamento specifico e soprattutto con l’esperienza), a pensare e decidere in fretta, a volte in poche decine di secondi, anche quando la posta in gioco è davvero alta.
Accade anche il contrario: il giocatore o il pilota possono dover applicare una tattica attendista o di resistenza in una situazione difficile. Per il primo si tratta delle cosiddette “mosse d’aspetto” o del trovarsi in una posizione passiva senza un controgioco. Per il secondo, di una fase di attesa del volo dovuta a particolari situazioni meteo (come quando il passaggio di una copertura non estesa blocca solo temporaneamente l’attività termica e costringe il pilota a cercare di “parcheggiarsi” nel punto meno sfavorevole, dove la perdita di quota sia la minima possibile, in attesa che il cielo sia di nuovo sgombro da nubi alte e rifioriscano le ascendenze; oppure del dover faticosamente risalire da un punto basso in condizioni termodinamiche estremamente deboli).
Esistono, infine, analogie anche nell’evoluzione dei progressi di uno scacchista e di un volovelista in termini di abilità acquisita. Entrambi cominciano mantenendosi nell’ambito di ciò che si vede, di ciò che è evidente agli occhi e alla mente per poi muoversi gradualmente verso territori dove acquista efficacia ciò che non si vede, e che per ciò stesso esercita il fascino del mistero.
Attraverso una serie complessa di fasi, il giocatore passa dalla banalità delle mosse elementari dei pezzi all’universo sconosciuto che si cela in una scacchiera, quando la si sappia guardare. Allo stesso modo, il pilota, dopo che ha raggiunto la padronanza del pilotaggio, procede dai sicuri voli attorno al campo all’avventurarsi in nuovi scenari fuori dalla valle, in luoghi, pur vicini, ma da cui gli appare arduo e incerto il ritorno.
La scoperta di tali nascoste possibilità riempie l’uno e l’altro di gioia, soddisfazione e fiducia nei propri mezzi.
Raggiungere simili traguardi di competenza e di esperienza, tuttavia, richiede una speciale dedizione e un grandissimo investimento di tempo: è la ragione per cui molti praticanti di entrambe le discipline si fermano alle soglie di questa fase e rinunciano ad andare oltre. Per chi prosegue nell’ascesa e continua ad impegnarsi con costanza e sacrificio, la migliore fonte di progressi, sia negli scacchi sia nel volo, è l’analisi dei propri processi decisionali, ma soprattutto di quelli viziati da manchevolezze, perché inducono alla ripetizione degli errori. È solo studiando la natura dei propri errori che uno scacchista o un volovelista può far crescere le sue abilità e di conseguenza le sue aspirazioni.
Il modo ottimale di migliorare il proprio modo di giocare o di volare non è, infatti, di concentrarsi sulle competenze acquisite ma di confrontarsi con l’erroneo trattamento di determinate situazioni per capire come e perché si siano insinuate (talora radicate) in noi convinzioni e risposte fallaci. E – magari – per compiere l’operazione – talvolta indispensabile – di reimparare nozioni e procedimenti ad un livello di comprensione più approfondita, giacché potrebbero essere stati appresi superficialmente o su basi meccaniche, come è tipico, per ragioni di semplificazione didattica, nell’insegnamento basico dei fondamenti di una disciplina.
Qualcuno dei punti che ho trattato potrà apparire forse poco convincente (In fondo – mi obiettò, tra il serio e il faceto, un amico cui avevo chiesto di fare l’avvocato del diavolo – alcune delle cose che hai detto si potrebbero applicare anche ad un analista finanziario), ma credo che sia l’insieme – a mio avviso non trascurabile – di questi fattori a configurare la profonda affinità identitaria che avverto dentro di me quando sono seduto a una scacchiera e quando sono sdraiato nell’abitacolo di un aliante.
# proprietà letteraria riservata #
§ § in collaborazione con il sito web Soloscacchi §§
titolo: Falco F8L – Album del Falco Club – I capolavori di Stelio Frati
a cura di: Gherardo Lazzeri con la collaborazione diSandro Rosati e Luigi Aldini
editore: LoGisma
anno di pubblicazione: 2008
ISBN: 9788887621730
Questo libro, pubblicato dall’editore LoGisma in collaborazione con il Museo aeronautico “Gianni Caproni” di Trento, è una raccolta di articoli, notizie, pubblicazioni e presentazioni, corredate da moltissime foto e da interessanti documenti. La prefazione è di Maria Fede Caproni Armani, di recente scomparsa.
Le 168 pagine del libro tracciano la storia di un fantastico aereo, l’F8L, in particolare, ma anche di tutti gli altri aerei usciti dalla mente e dalla matita del grande progettista Stelio Frati.
Questo aereo fu costruito inizialmente dalla ditta Aviamilano, con sede proprio a Milano, poi la produzione si spostò a Trento, presso lo stabilimento industriale Caproni. La ditta che lo costruiva era la Aeromere, ma in seguito divenne Laverda.
Ho sempre sostenuto che l’aeronautica e il motociclismo hanno gli stesso cromosomi e qui, una volta in più si dimostra che un aereo può essere costruito da una fabbrica di motociclette (ma, ovviamente, la Laverda non costruiva solo quelle).
La Laverda, comunque, da quel momento in poi, costruì tutti gli esemplari oggi ancora volanti, veri gioielli, contesi dagli appassionati e dai collezionisti di tutto il mondo.
L’F8L è conosciuto anche come “la Ferrari del cielo”. Le sue linee pulite, la levigatezza delle sue superfici ed il ridotto ingombro frontale fanno sì che l’aereo possa beneficiare di una ridottissima resistenza aerodinamica e possa raggiungere velocità considerevoli, con una motorizzazione di limitata potenza, di cento o centocinquanta cavalli. Il tutto, unito a consumi davvero molto contenuti.
Oltre al Falco, dalla matita di Stelio Frati sono usciti altri prestigiosi aeroplani, citati ed illustrati nel libro:
l’F7 Rondone,
l’F15 Picchio,
l’F14 Nibbio,
l’F20 Pegaso
l’SF 260
L’ultimo nato era l’LN 27 Furio.
Le caratteristiche eccellenti de questi aerei ne hanno fatto, specialmente nel caso del Falco, una macchina ideale per le gare di rallye aereo, che sono gare di regolarità, ma anche per le gare di velocità, disputate prevalentemente intorno a dei piloni. Infatti nel corso di tanti anni hanno partecipato e vinto numerose gare. Qualche pilota è diventato perfino famoso.
Uno dei più famosi è stato Luciano Nustrini. Un personaggio piuttosto particolare che ho avuto modo di conoscere di persona per aver partecipato al Giro Aereo d’Italia del 1982. Il mio aereo era un Morane Saulnier 150, uno dei più lenti. Il suo era un F8L Falco, velocissimo, divenuto famoso per le vicende che si sono svolte negli anni successivi. Il nominativo era I-ERNA.
Nustrini emigrò in Nuova Zelanda e si portò appresso molte cose, tra cui il suo Falco. E con questo, purtroppo, precipitò in mare perdendo la vita, insieme alla moglie Giuliana, mentre sorvolava una regata che era appena cominciata e alla quale partecipava il suo amico Giovanni Soldini. Pochi giorni prima, Nustrini aveva volato su quelle acque neozelandesi con Soldini come passeggero.
Come ho detto il libro è una raccolta di tanti racconti e articoli, molti scritti dai proprietari stessi, tra cui proprio Nustrini. Nel Giro aereo d’Italia del 1982, nella tratta tra Crotone e Lamezia Terme, il percorso attraversava lo stretto di Sicilia e prevedeva il sorvolo di un punto di controllo situato su una montagna, nella punta nord orientale della Sicilia. Mi ricordo di quella tratta, perché non capita tutti i giorni di attraversare lo stretto a volo d’uccello. Non sono mai stato in Sicilia. L’ho sorvolata quel giorno e basta. Ma la salita verso la montagna siciliana, Antennamare, fu memorabile. Avevo cominciato a salire già dal traverso di Reggio Calabria. Impiegai tutti i circa venti km di mare per raggiungere la quota.
Sul libro Nustrini racconta come condusse lui la traversata e la salita. Altro aereo, altro approccio al problema. Lui si fece i venti chilometri dello stretto a due metri dall’acqua, a 360 km orari, per poi salire ripido, sfruttando anche la spinta di alcune correnti ascensionali dinamiche lungo i costoni che incontrava.
Questo libro è opera di Gherardo Lazzeri, editore LoGisma, che si è avvalso della collaborazione di due piloti proprietari di Falco F8L, Luigi Aldini e Sandro Rosati.
Di Luigi Aldini ho già scritto la recensione del suo libro,”Passione”. Ed ho accennato al Falco che si è costruito da solo. Andate a leggere la recensione pubblicata proprio qui, su Voci di Hangar. Comunque, anche su questo libro, si trova tutta la storia della costruzione, raccontata da Aldini stesso.
Sandro Rosati, del resto, è proprietario di un altro Falco ed è il Presidente del Falco Club. Anche lui partecipa alle gare e insieme ne abbiamo fatte molte, in passato.
Ho citato questi due illustri piloti solo come esempio, ma il libro contiene racconti di altri. Ognuno ha dato il proprio contributo per aggiungere qualcosa alla storia di questi splendidi aerei. Nel libro sono citati tutti i nominativi, con foto ed informazioni. Perfino Stelio Frati, l’ingegnere che li ha creati, ha fornito materiale proprio.
Ma un aereo tanto blasonato non poteva rimanere confinato nel ristretto ambito del paese di appartenenza. Negli Stati Uniti, dal 1982 la “Sequoia Aircraft Inc.” ha messo in vendita un kit di montaggio dell’F8L e sono già stati costruiti centinaia di modelli. Molti tra i proprietari degli esemplari di cui abbiamo parlato fin qui storcono il naso, quando si parla dei Falchi statunitensi. Ma si sa. I puristi lo fanno. In realtà la Sequoia Aircraft Inc. ha impedito che una macchina tanto ben riuscita si disperdesse tra i rottami di un’infinità di altri modelli, nei vari cimiteri degli aeroplani che ogni tanto capita di vedere in qualche angolo di aeroporto o tra mucchi di auto degli sfasciacarrozze delle nostre città. Gli esemplari storici sono qui. Aerei d’epoca, ancora tanto attuali. Quelli della Sequoia sono giovani, lucenti e splendidi. Almeno altrettanto apprezzati dai loro proprietari. Ammirati dai visitatori degli airshows.
La vita del Falco continua.
Recensione a cura di Evandro A. Detti (Brutus Flyer)
Tempo di guerra, in Corsica un giovane pescatore ritornato dalla prigionia dell’Africa del Nord, vede una “Fortezza Volante” davanti all’altra “fortezza”, la Cittadella di Calvi, in pericolo di morte e salva l’equipaggio.
Ci sarà tra Ange, il pescatore, e il comandante una vera esperienza di vita.
Sintetizza così, con queste poche righe, il proprio racconto una delle autrici più talentuose – lo ammettiamo senza riserva alcuna – e anche più assidue nel partecipare al Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”. Il suo nome? … Maria Teresa Limonta ma, per i veri amici, semplicemente: “Mara”.
In occasione della V edizione, praticamente a ridosso della scadenza ultima di partecipazione, ecco che Mara, puntualmente, regala al Premio il suo “raccontino”, come ama chiamare tutte le sue composizioni.
In effetti si tratta di un racconto breve che, a giudicare dalle foto postate nella sua pagina personale, è nato a seguito della vacanza estiva di Mara in quell’angolo magnifico dell’Alta Corsica che ha, come perla incastonata nella costa, proprio la città fortificata di Calvi o Calvì – alla francofona – secondo il costume moderno.
Che Mara abbia visitato la presunta casa natale di Cristoforo Colombo non ne abbiamo la certezza, viceversa sappiamo per certo che sia venuta a conoscenza della presenza di un relitto aereo collocato sui fondali appena al largo dello sperone di roccia di Calvi. Ed ecco la scintilla! Perchè non parlare di quel bombardiere? Del dramma dell’equipaggio decimato dai caccia nemici? Dell’ammaraggo rocambolesco e del salvataggio provvidenziale dei pescatori locali? … fin troppo facile per Mara!
Ne è scaturito un racconto semplice, leggero che ha per protagonista un pescatore, Ange, anche lui reduce dalla guerra – ma nel deserto nordafricano – che non esita un istante a gettarsi tra i flutti per salvare i malcapitati aviatori.
Un racconto che si legge in un sospiro, tutto d’un fiato, che provoca il desiderio di vedere la foto-cartolina di Calvi e del B17, entrambe “fortezze”.
Ma noi faremo di più: ecco il link del video disponibile in rete proprio del relitto di Calvi:
Tornando al racconto di Mara che dire? … se non chè è scritto con il garbo e la delicatezza ormai marchio di genuinità dell’autrice milanese. Forse troppo breve? Forse troppo poco aeronautico? Probabile, tanto che la giuria del Premio non lo ha ritenuto sufficientemente aderente allo spirito di racconto tra le nuvole tipico dei finalisti della sezione letteraria e dunque presenti nell’antologia relativa. Peccato per Mara, fortuna per noi che possiamo averlo ospite nel nostro hangar.
Grazie, Mara, per aver ricordato questa storia di guerra.
Narrativa / Breve
Inedito; ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017; in esclusiva per “Voci di hangar”
L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.
Aforismi
La cosa bella di volare da solo è che non ci si annoia mai.
(Steve Fosset)
aforismi.meglio.it
Q.T.B.
PILOTA: carrello non bloccato. MECCANICO: operato il carrello posizione dentro del comando.
(Suggerita da Big Mark)
Check-In
HOSTESS: Finestrino o corridoio? PASSEGGERO della Wind Jet: Finestrino grazie HOSTESS: Ok, questa è la sua carta d’imbarco, l’uscita è la numero 6 … buon viaggio! PASSEGGERO: Ah signorina volevo anche una ricarica da 10 euro grazie! HOSTESS: Come?! PASSEGGERO: Sì, Wind … voi siete della Wind no? Mi serve anche una ricarica ...