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Dove il tempo non era mai stato

dove il tempo non era mai stato copertinatitolo: Dove il tempo non era mai stato

autore: Hugo Christensen

editore: Logisma

anno di pubblicazione: 2016

ISBN: 978-88-97530-74-9





I libri sono come piccoli scrigni. Ce ne sono alcuni apparentemente modesti che custodiscono invece degli splendidi diamanti come pure esistono quelli molto prestigiosi che, solo una volta aperti, svelano alla vista della semplice bigiotteria. E pure di qualità scadente.

Dove il tempo non era mai stato, il romanzo di esordio di Hugo Christensen pubblicato nell’estate 2016 dall’editore Logisma, rientra nella logica del forziere piccolo e onesto. Piccolo perché è composto di sole 325 pagine e onesto perché, apparentemente, si mostra come un portagioielli tutt’altro che appariscente. L’immagine di un sottomarino in emersione rapida con una vistosa stella rossa dipinta sulla torretta, il mare in tempesta e una forte luminescenza in cielo che non può essere confusa con la Luna, costituiscono infatti un valido rivestimento esterno di questo forziere – ma nulla di più -. Per inciso, si tratta della piacevole copertina che ritrae l’opera pittorica realizzata dall’artista Allan O’Mill cui si aggiunge – ma è una nostra congettura – anche l’immagine della IV di copertina con una barca a vela in navigazione sotto un cielo notturno a dir poco fantasmagorico.

Dove il tempo non era mai stato IV di copertina
La retrocopertina del volume di Hugo Christensen. Da notare la bella immagine della barca a vela – Golfinho o Savannah – che navigano sotto un cielo magico

Ad ogni modo, è solo scorrendo la nota dell’autore e poi il prologo di questo libro, che comincerà a svelarsi ai nostri occhi il vero contenuto di questo forziere: un grazioso diamante. Magari non del tutto formato, magari un po’ irregolare … ma pur sempre delizioso.

Proseguendo poi la lettura, pagina dopo pagina, nascerà in noi la consapevolezza che, quello che abbiamo sotto lo sguardo, a osservarlo bene, non è un singolo diamante bensì una quaterna di diamanti più piccoli che si confondono in un tutt’uno. Il volume si articola infatti in quattro diversi flussi narrativi che si sviluppano, si avvolgono e si attorcigliano tra di loro fino a formare, nelle ultimissime pagine, il flusso primario del testo. Quello stesso filo conduttore che, in modo molto flebile, unisce il titolo e tutti i capitoli.

Come sapientemente sintetizzato nella sinossi della IV di copertina, le vicende narrate vedono muoversi i vari protagonisti nientemeno che in tutte e tre le dimensioni: spazio, terra e mare. In quest’ultimo caso, addirittura sia “sul” che “sotto” il mare. E non solo – aggiungiamo noi – perché c’è poi la dimensione temporale. Già perché uno dei flussi narrativi prende avvio in piena II Guerra Mondiale mentre gli altri tre potrebbero essere associati ad un recentissimo passato o, volendo, addirittura alla contemporaneità.

Per comprendere poi il pretesto sul quale l’autore ha costruito il romanzo … rimandiamo sempre alla stessa sinossi; ci preme invece spendere qualche parola in più circa i quattro flussi narrativi di cui dicevamo.

Ebbene, in ordine rigorosamente di apparizione, il primo flusso, quello quantitativamente più corposo, lo definiremo “subacqueo”.

sottomarino classe akula fronte
Il moderno sottomarino nucleare russo classe Aula che, nella parte finale del romanzo, darà una caccia spietata al Ryklys.

Come lascia bene intuire il termine e come anticipa la copertina, il protagonista indiscusso è il Ryklys (tradotto letteralmente dal lituano: squalo), formidabile sottomarino della Voenno-Morskoj Flot SSSR (Marina Militare dell’URSS) di base a Murmansk. E, ovviamente, il comandante di questa unità di eccellenza: il Capitano di Vascello Yuri Ivanov.

Gli fanno poi da contorno gli uomini del suo equipaggio tra cui spiccano: il monoculare nostromo Palin, il marinaio Skunkas (letteralmente Puzzola) dalla vista aquilina, l’operatore sonar Mirko Mikoyan soprannominato “il grande orecchio” e, non ultimo, il commissario politico Boris Kozlov che, suo malgrado, veste il ruolo immancabile dello spione ottuso.

Cosa accade in questo primo flusso? Ebbene, senza svelarvi troppi dettagli, vi anticiperemo che: la II Guerra Mondiale è terminata da appena qualche anno; il Ryklys sta facendo il rientro trionfale a Murmansk dopo una difficile missione che lo ha lo visto navigare – non senza difficoltà – sotto la banchisa polare. Neanche il tempo di scendere a terra ed ecco che il capitano Ivanov viene prelevato dagli agenti della polizia politica e condotto al cospetto del braccio destro di Stalin: il famigerato e temutissimo compagno Beria. Da par suo, il capitano Ivanov, veterano di mille battaglie e per nulla impaurito dall’aureola di terrore che aleggia attorno a Beria, accetterà di buon grado la nuova missione, segretissima e ben più difficile della precedente il cui esito potrebbe cambiare il futuro del paese nonché ridisegnare gli equilibri internazionali negli anni a venire.

Un’avventura in cui il capitano dovrà dare fondo a tutte le sue capacità, di marinaio esperto e di stratega fantasioso, mettendo a dura prova la lealtà dei suoi uomini e le doti tecniche del suo eccellente battello.

Tornando invece a parlare di flussi, a quello subacqueo si aggiunge il flusso acquatico ma di superficie.

Anche in questo flusso, molto corposo in termini quantitativi, sono gli equipaggi a farla da padroni. Stavolta si tratta dei membri di ben due equipaggi – uomini e donne -, delle barche a vela oceaniche che portano il nome di: Golfinho e Savannah.

Ovviamente, anche in questo filone spiccano i due capobarca: Malcom Ranieri, affascinante skipper di successo che corrisponde perfettamente all’immagine stereotipata del “lupo di mare”, e la mascolina Tina Gaillard, bretone vigorosa eppure dal cuore tenero.

Le loro tormentate vicende prendono avvio quando Malcom e il suo amico di vecchia data, Tobia, si ritrovano a Porto Cervo, in Sardegna, nella sede del prestigioso Yacth Club Costa Smeralda. Si è appena conclusa la cerimonia di premiazione di una difficile regata in cui Malcom è stato incoronato quale vincitore. E’ lui la persona giusta – ritiene Tobia – per far compiere al Club un salto di qualità: la traversata atlantica in barca a vela, da Gibilterra via Canarie fino alle Azzorre e ritorno.

Sembra cosa fatta quando Tobia, colpito da un grave malore, dovrà cedere il posto all’unica skipper che può sostituirlo: la muscolare Tina … e allora sì che ne leggeremo delle belle!

ISS dopo distacco navicella
L’ISS – International Space Station è una stazione spaziale finalizzata alla ricerca scientifica nello spazio. E’ talmente grande – circa 100 metri di struttura – da rendersi visibile dalla Terra

E’ invece assolutamente extra-atmosferico, anzi – diremmo -, proprio spaziale, il terzo flusso narrativo. Anche in questo caso è sempre un altro equipaggio, ma stavolta quello della ISS (la Stazione Spaziale Internazionale) in orbita a 400 km dalla superficie terrestre, a occupare un po’ di pagine di avventure. O disavventure? … a voi il giudizio.

In quell’ambiente assai ristretto, ovviamente, non c’è da aspettarsi un gran numero di occupanti ma, tra loro, i protagonisti indiscussi sono: il comandante della missione, lo statunitense Brad Callagher e soprattutto l’affascinante astrofisica nonché cosmonauta (attenzione!… non astronauta) Iryna Alessandrovna, di evidente provenienza sovietica.

In questo filone le sorprese non mancheranno anche se – perdonerete il gioco di parole – nello spazio, gli spazi sono limitati e dunque non aspettatevi una grande dinamicità della trama. Ad ogni modo non mancheranno le sorprese e le vicende rocambolesche.

Che il cosmo sia un luogo ostile eppure di incommensurabile bellezza è cosa nota, che la Terra sia un pianeta unico … beh, l’autore del romanzo ce lo ricorda attraverso gli occhi dei suoi astronauti e cosmonauta. Nello specifico, diventa un punto di osservazione privilegiato dello strano fenomeno luminoso di cui parlavamo a proposito della copertina e dunque anche l’avamposto umano più “esposto”.

c5 galaxie parcheggio
Il C5 Galaxie, il velivolo cargo più grande dell’arsenale statunitense e secondo, per capacità di carico, solo al russo Antonov An-225 Mriya, versione esareattore dell’ Antonov An-124 Ruslan molto simile al C5

Infine il quarto flusso che, con un’ambientazione prettamente terricola, è quello più frammentato e anche più denso di personaggi. Per questo motivo ci troveremo catapultati, per esempio, a Bruxelles nella sede europea della Nato o al cosmodromo di Bajkonur, passando per la Casa Bianca a Washington – USA, finendo addirittura in uno talk-show televisivo in terra svizzera. Avremo modo di conoscere il Comandante Supremo delle Potenze Alleate in Europa, generale William Braddock, o il vegliardo direttore dell’osservatorio di Arecibo. Ma non temete perché avrete anche l’occasione di scorrazzare – si fa per dire – per i cieli di mezzo mondo a bordo del mastodontico quadrigetto C-5 Galaxie per un volo rischiosissimo dalla base di Vandenberg in California – USA, fino a Wheeler nell’isola di O’Hau – Hawaii. Ah, per inciso, con a bordo la più temibile bomba termonucleare mai costruita dall’umanità.

c5 galaxie carico
Ancora una bella immagine del C5 Galaxie che, confrontato alla due persone vicino al musone, rende vagamente l’idea di quanto sia immenso.

Quanto al tema di questo flusso, beh … potremmo confidarvi solo l’antefatto: la politica internazionale è in fermento, gli apparati militari in allarme, la comunità scientifica mondiale si interroga circa lo strano evento che si è manifestato nella costellazione di Orione. Si tratta di una strana luminescenza che è apparsa dal nulla e sembra avvicinarsi inesorabilmente alla Terra. Che si tratti di Nibiru, il fantomatico pianeta che ciclicamente appare nel Sistema Solare? Di alieni ostili? Di un banale fenomeno naturale? O c’è qualcosa di senziente che si nasconde dentro a quella nube anomala? … lo scoprirete solo leggendo!

Lo ammettiamo: così sintetizzata, l’idea narrativa di questo romanzo sembra un guazzabuglio di eventi scollegati, di personaggi che nulla hanno in comune se non costituire un vero e proprio rompicapo per il potenziale lettore. Ma non dubitate: proprio questo è il gioco – perverso, non c’è che dire – cui ricorre l’autore per tenerci incollati al volume, pagina dopo pagina, fino all’epilogo. Epilogo che, ovviamente, non potremo svelarvi. Neanche sotto tortura.

E nel gestire questa perversione – occorre ammetterlo – Hugo Christensen ci fornisce prova di grande abilità. Perché non è assolutamente facile né scontato unire l’azione al sentimento, l’avventura allo stato puro con i momenti di tenerezza, le imprese audaci (in cui la sopravvivenza dei personaggi è appesa a un filo) agli incontri carnali che, inevitabilmente, uniranno i vari protagonisti … ebbene in questo romanzo l’amalgama è perfetta e nulla è scontato.

La narrazione fila via liscia liscia che è uno splendore. Anzi, benché alcuni momenti di pausa concedano un po’ di respiro ad un ritmo incalzante, ci si ritrova facilmente in fondo al libro con l’unico rammarico che sia già terminato.

La trama non è affatto prevedibile né scontata mentre l’intreccio è – come dire? – davvero molto intrecciato. Forse troppo.

Fortunatamente capitoli e flussi narrativi sono contrassegnati. Ora, non ci è dato sapere se si sia trattata di una scelta dell’autore per scopi umanitari o un espediente strategico dell’editore … certo è che, fornire la collocazione geografica e una telegrafica anteprima di quanto leggeremo, costituisce un ausilio fondamentale per il lettore. Quel povero e spaurito lettore che, diversamente, risulterebbe disorientato dal frequente cambio di scenario. Sarà stato un caso … ma noi non ci siamo mai persi!

I personaggi di questo romanzo sono numerosissimi, molti marginali, alcuni fondamentali nel respiro generale delle vicende narrate. La connotazione che l’autore ha cucito loro addosso è spesso sintetica, forse troppo essenziale. Così facendo, l’immagine che si crea nella mente dei lettori è più legata alle loro azioni che non a una lunga e noiosa descrizione fisica o interiore.

blanik russo
L’aliante modello LET Blanik che verrà pilotato dall’allieva Irina Alessandrovna durante il corso di volo a vela tenuto dal capitano Andrej Eltsin

La maggior parte di personaggi ha comunque una caratterizzazione originale e credibile anche se – occorre ammetterlo – sono numerosi gli uomini duri, belli e intelligenti. Forse troppi. Ecco perché sarà praticamente impossibile non identificarsi almeno nel capitano Ivanov o nel pilota istruttore Andrej Eltsin. Ma questa – lo ammetterete anche voi – è proprio la magia della finzione narrativa, non trovate? Chi non è stato mai Sandokan, la Tigre della Malesia, o Tremal-Naik, re della jungla nera infestata dai Tugs? … appunto!

blanik e wilga
Nella finzione narrativa, l’aeroplano da traino polacco PZL Wilga porta in volo l’aliante cecoslovacco LET Blanik. Non è finzione, è realtà. Questa foto lo testimonia

In verità, alcuni personaggi come Marione o come la coppia Gruber/Skunkas, avrebbero meritato più respiro. E magari il romanzo ne avrebbe giovato in leggerezza. La loro componente è infatti tragicomica, quasi grottesca, ispira simpatia. E se Marione fosse stato più sguaiato, magari con la battuta dialettale – compresa qualche parolaccia – anche se un po’ gretta … beh, lo avremmo apprezzato ancor di più. Non perché avrebbe confermato lo stereotipo del metalmeccanico ignorante e rude, no, quanto perché avrebbe conferito una connotazione più realistica ad un romanzo pieno di primedonne e di superuomini perfettini.

I due marinai del Ryklys sono protagonisti di un siparietto spassosissimo che allenta la tensione e strappa un sorriso distensivo nel lettore. Eppure l’episodio ha lo scopo di sottolineare l’altissima pressione emotiva cui è sottoposto l’equipaggio del sottomarimo durante la missione e, non ultimo, anche il cieco rispetto per quel padre severo ma equo che è il loro capitano. Forse una presenza più odorosa della Puzzola e dell’omone Gruber avrebbe reso letteralmente strepitoso il flusso subacqueo del romanzo. Peccato!

Le ambientazioni dei vari flussi narrativi sono verosimili e mai eccessive. In molti casi si comprende che il buon Hugo ha visitato – sarebbe meglio dire: frequentato – certi luoghi; alcuni ce li descrive con dovizia di particolari ma senza mai esagerare, altri li accenna appena, frutto di racconti di terze persone o di ricerche documentali.

Certo, alcune parti, specie quelle che riguardano gli aspetti tecnico-scientifici dell’entità radiante, li riteniamo un filino eccessivi per un lettore che predilige l’azione alla congettura astrofica. D’altra parte, fondamentalmente, questo è un volume di movimento in cui storia, fantascienza e dinamismo si uniscono in un tutt’uno. Se poi alla componente scientifica fosse stato concesso meno spazio, beh … siamo certi che nessun lettore ne avrebbe sofferto né avrebbe tolto lustro al testo.

Dunque, per essere il libro di esordio, lo scrittore romano con origini danesi, minaccia di fare un gran bene per il futuro. L’augurio che possiamo formulare – usando un termine marinaresco – è che continui “alla via così”. Chissà che, alla distanza, non germogli davvero un nuovo virgulto della narrativa italiana. Noi glielo auguriamo di cuore.

marko ramius
Yurij Ivanov come Marco Ramius? Difficile immaginare il volto del comandante del RYKLYS diverso da quello del mitico Sean Connery che rese memorabile il personaggio del comandante del sommergibile OTTOBRE ROSSO

Ma se alle lodi – tanto per riciclare un famoso enunciato della dinamica – non possono che corrispondere delle critiche uguali e contrarie, ecco allora che non possiamo esimerci dal far notare alcune similarità tra il personaggio del capitano Yuri Ivanov con quello del capitano Marko Ramius, protagonista del celebre best-sellers di Tom Clancy nonché di quel film intitolato: Caccia a Ottobre Rosso che, grazie a un’icona della cinematografia mondiale come l’attore Sean Connery, è divenuto un vero e proprio classico del genere spy story-avventuroso-sommergibilistico.

Come pure ci tornano alla mente alcune scene della recente pellicola cinematografica Gravity o del più datato Mission to Mars per quanto riguarda alcune situazioni relative al filone spaziale. Ma attenzione: non stiamo parlando di plagi o scopiazzamenti vari, tutt’altro. Vogliamo intendere che, come in quelle pellicole hollywooddiane, anche nel romanzo Dove il tempo non era mai stato certe emergenze spaziali hanno delle dinamiche identiche. E questo perché, al momento, così vengono realmente gestite o risolte dagli enti spaziali. Dunque, niente di più verosimile. Certo un po’ di assonanza occorre ammetterla …

Inoltre, sempre in tema di critiche, non cesseremo mai di bacchettare l’editore nella reiterata scelta di stampare i suoi volumi con caratteri troppo minuti, dimentico che l’età media dei suoi potenziali lettori è sempre più avanzata. Un euro in più sul prezzo di copertina val bene la lettura senza l’ausilio della lente d’ingrandimento!?

Sempre all’editore, rimproveriamo poi di non aver sfruttato pienamente la grande potenzialità dei fonts tipografici oppure del semplicissimo carattere in corsivo per incorniciare alcune parti del romanzo. Quali? … per esempio quelle in cui avvengono le numerose digressioni temporali vissute dai vari personaggi oppure quella che riporta il diario del comandante dell’U-boot. Uno stacco grafico tra la contemporaneità e il passato non l’avremmo disdegnato. Magari nella seconda ristampa qualcuno provvederà, vero?

sottomarino classe akula
Ancora una splendida immagine di un moderno sommergibile classe AKULA. Da notare i due membri dell’equipaggio che si trovano sulla torretta e che rendono l’idea delle dimensioni davvero notevole di questa macchina da guerra

Infine qualche ingenuo svarione di verosimiglianza, onestamente del tutto evitabile. Esempio? … forse il più grossolano è quello di aver sostenuto che un aeroporto militare statunitense possa rimanere senza illuminazione della pista di atterraggio a causa di lavori in corso sul relativo impianto. Avete letto bene: statunitense, non italiano. Se questo non è uno svarione!?

A questo punto, occorre puntualizzare – come spesso facciamo – che, nell’opera prima di un qualsiasi autore, c’è sempre una forte componente autobiografica, nelle vicende narrate come pure nei personaggi che la animano. E anche questo romanzo non viene meno alla sacra regola, ovviamente “non scritta”.

In questo nulla di male – per carità – tuttavia, se da un lato ci possiamo concedere un atteggiamento moderatamente benevolo nei confronti dell’opera di esordio, dall’altro si innesca in noi una sorta di aspettativa per quanto riguarda un eventuale seguito dell’opera di esordio, se ci sarà. Della serie: questo libro è stata una mera casualità o l’autore ha davvero le capacità – nonché la materia prima – per un secondo romanzo? E poi un terzo e così via? … beh, noi ce lo auguriamo. E pure molto egoisticamente perché – di sicuro – saremo noi lettori a beneficiarne.

Tornando alla questione autobiografica, sulla base delle informazioni raccolte dal nostro servizio d’intelligence redazionale, siamo certi che l’autore non abbia faticato granché a inventare o a sviluppare il filone nautico di superficie e aeronautico. Egli infatti, è un provetto velista, volovelista nonché pilota di velivoli. Con secolare esperienza, per giunta. Dunque – immaginiamo – abbia raccontato nient’altro che una serie di disavventure in cui, inevitabilmente, è incappato in prima o, al massimo, in terza persona.

blanik al tramonto
Un immagine splendida del BLANIK immerso nel chiaroscuro del tramonto. Viene da domandarsi se Hugo Christensen si sia ispirato ad essa per raccontare il primo volo volo della sua eroina russa. L’atterraggio avverrà proprio al tramonto, non senza difficoltà

La creazione del personaggio di Andrej Eltsin, ad esempio, siamo certi che abbia comportato per l’autore una fatica letteraria pari pressoché allo zero.

Anche le vicende legate alle prime esperienze di volo in aliante della cosmonauta Iryna Alessandrovna, siamo certi che siano state redatte dall’autore con estrema scioltezza. Per non parlare poi del filone nautico di superficie in cui l’immagine di Malcom si sovrappone e diventa un tutt’uno con quella slanciata, nordica e carismatica proprio di Hugo Christensen in carne e ossa.

E infine, vogliamo parlare di tutte le vicende erotico-sentimentali vissute dai vari personaggi? L’autore vorrebbe farci credere che sono il mero frutto della sua fantasia? … giù la maschera, Hugo!

A questo punto anche noi vi dobbiamo una confessione: abbiamo il piacere e il privilegio di conoscere di persona – e pure da un quarto di secolo, se è per questo – il signor Christensen. Non solo: abbiamo seguito da presso la genesi lunghissima di questo romanzo. Altro che servizio d’intelligence!?

Svelata la tresca – penserete voi – potrebbe essere del tutto inutile continuare a leggere la nostra recensione … faziosa e per nulla equa … per carità, liberi di farlo, tuttavia permetteteci di testimoniare con forza, a chi non ha avuto la fortuna di conoscere di persona Mr Christensen né ha avuto modo di leggere le prime versioni del manoscritto, che questo volume è il frutto di un lavoro immane, minuzioso e paziente, soprattutto sotto il profilo dello stile e della tecnica narrativa. Stile e tecnica che l’autore ha definito e affinato enormemente proprio lavorando sul testo in una sorta di training autogeno.

Ci spiegheremo meglio: se per motivi professionali siete avvezzi a compilare relazioni e documenti a carattere amministrativo, insomma a “verbalizzare”, ciò non implica automaticamente la capacità di saper scrivere narrativa, anzi. E questo pur avendo già in mente trama, intreccio e personaggi di un potenziale libro.

Ryklys
Ve lo immaginate così il Ryklys?

A Hugo, è accaduto proprio questo: la fraseologia settoriale, la metodica e la capacità ormai acquisita di redarre il tipico documento ad uso giudiziario non sono stati per lui un aiuto nella stesura di un manoscritto che aveva in mente per buona parte. Anzi. Semmai hanno costituito un vero e proprio impedimento, una sorta di handicap che lui ha dovuto vincere affinché la sua creatura potesse prendere vita. Viceversa Hugo ha avuto la grande umiltà e anche l’intelligenza necessaria per mettere da parte la sua professione e lasciare spazio al proprio talento narrativo, alla naturale (e mai svelata) attitudine alla scrittura creativa.

Insomma, nulla accade per caso. L’autore ha voluto fortemente questo libro e noi gliene siamo grati perché ci concede di spaziare per mare cielo e terra ad un costo – tutto sommato – abbastanza ragionevole: 15 euro. Se poi considerate che lo scrigno che ci verrà concesso conterrà quattro piccoli diamanti al prezzo di uno … beh, è andata di lusso, non trovate?

Qui giunto, il visitatore più arguto di VOCI DI HANGAR, si domanderà infine perché mai abbiamo voluto concedere un angolino del nostro hangar al libro Dove il tempo non era mai stato nonostante – è evidente – il romanzo non sia prettamente aeronautico.

In effetti ci siamo posti anche noi questo quesito … ma poi ci siamo convinti che questo volume ha dei contenuti aeronautici consistenti anche se – dobbiamo ammetterlo – non preponderanti.

D’altre parte non possiamo ancora pretendere che Hugo Christensen – scrittore in erba – segua le orme squisitamente aeronautiche di Richard Bach. Diciamo che, in questo suo primo libro, Hugo si è ispirato all’autore del Il gabbiano Jonathan Livingston ma, contemporaneamente, ha strizzato l’occhiolino al thrillerista Ken Follett e all’aggrovigliatore storico Glenn Cooper … diciamo pure che sta ancora cercando una sua vera dimensione.

Nessuno è perfetto, men che meno il nostro “giovane” autore; alla prima uscita, egli ha scritto molto di mare, poco di donne e pochino di cielo … ma avrà tempo per redimersi. Nel prossimo romanzo solo donne e cielo! Promesso?

Scherzi a parte, vi assicuriamo che l’aspetto aeronautico è presente nel romanzo, eccome! Sarà sufficiente rivelare – udite, udite – che due capitoli, sebbene adattati, hanno partecipato a due diverse edizioni del nostro Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”. E con buoni risultati, per giunta. Questo prima ancora che tutto il romanzo fosse completato, s’intende. Inoltre, con lo speudonimo Ahug, il nostro Hugo è già da tempo una delle nostre VOCI, ospite del nostro hangar con alcuni racconti che riportano le sue imprese volovelistiche:

La prima termica del mattino,

La Daunia brucia,

Imprese inutili,

e – chicca delle chicche – proprio uno dei racconti partecipanti al Premio intitolato:

Nel cielo di Cecenia

blanik neve
Ecco come ci immaginiamo i decolli del Blanik russo utilizzato dal capitano Andej Eltisin per addrestare i suoi allievi di volo a vela.

Ecco spiegato il perché, avendo tenuto a battesimo le velleità scrittorie di Hugo, ci siamo sentiti in obbligo, una volta dato alle stampe, di recensire o comunque fornire la nostra opinione su questo libro. Serena e distaccata, si spera. E se proprio così non vi sembrasse … saremo lieti di conoscere la vostra opinione sul libro. Dopo averlo letto, s’intende. Chissà che non costituisca un viatico utile per l’autore o – perché no? – un motivo valido per farlo tornare rapidamente alla vela e al volo? Dove non siamo riusciti noi chissà che non possano arrivare i nostri lettori!?

Attendiamo i vostri responsi.



Recensione a cura della Redazione





 

dove il tempo non era mai stato copertinatitolo: Dove il tempo non era mai stato

autore: Hugo Christensen

editore: Logisma

anno di pubblicazione: 2016

ISBN: 978-88-97530-74-9





L’autore, Hugo Christensen, alla sua prima opera ha osato molto, concentrando in un unico romanzo: eventi storici, scienza e fantascienza, mitologia, realtà e immaginazione, mare-terra-aria, l’universo, presente e passato, odio e amore, vita e morte. E’ lo stesso autore, nella nota ad inizio del libro, che ci svela il vero protagonista del romanzo: “il tempo”.

Il lettore all’inizio potrà avere un attimo di smarrimento, ma poi si abituerà rapidamente ai salti temporali e a seguire più storie contemporaneamente.

Siì, perché si tratta di tre storie più una. Tre storie tra di loro separate ma percorse da quella storia unica del sottomarino Ryklys con il suo misterioso carico.

L’intreccio è solo apparente e viene generato dalla disposizione dei capitoli, creando così nel lettore l’illusione e l’aspettativa che le tre storie si andranno a riunire prima o poi.

Questo voler mettere troppe tematiche tutte insieme non ha permesso di sviluppare più profondamente i personaggi e ha portato qualche problema anche all’autore:

– il capitolo 4 sembra quasi una bozza di un qualcosa che poi non si è più sviluppato, o addirittura dimenticato;

– esagerato il racconto del volo del C-5C Galaxy, in cui l’autore ha concentrato in un’unica missione tutto quello che poteva, forse, capitare a un comandante in 40 anni di servizio.

Fa pensare poi il fatto che in tutto il romanzo ci sono tre personaggi che perdono la vita, due anche drammaticamente, e tutte e tre sono donne … qualche problema!!??

E’ evidente un piacere nello scrivere di storie di azione o di eventi storici. La descrizione del ritrovamento dell’U-Boot è un omaggio a tutti i sommergibilisti, di qualunque bandiera, morti nell’adempimento del loro dovere.

ISS sud Italia
La ISS ripresa sullo sfondo di una Terra che mostra un tacco di stivale a noi ben noto e una – apparentemente – vicinissima Grecia

Mentre traspare un disagio nel trattare di sentimenti, quasi un fastidio, che decade in stereotipi come l’allieva che si innamora dell’istruttore o il fascino del comandante; o in amori contrastati, difficili e tragici, che purtroppo decadano in un finale surreale degno della peggiore delle soap opera.  

Peccato perché le capacità narrative non mancano. Lo stile è molto fluido, anche accattivante e appassionante in molti tratti. Sarebbe stato sufficiente ampliare di più la storia di Savannah e Golfinho con il loro carico di umanità, senza andare a scomodare la Stazione Spaziale e le relazioni tra Americani e Russi.

Fortunatamente la lettura scorre piacevole, anche se la scelta tipografica, da vecchia macchina da scrivere con nastro consumato, dei caratteri per l’intestazione dei capitoli ed in alcuni passi del testo risulta alla fine sgradevole e non se ne capisce l’utilità né quale apporto vorrebbe portare al testo.

L’immagine di copertina è molto bella e suggestiva.

La biografia dell’autore è inesistente: non ha nemmeno i requisiti da minimo sindacale.

Che dire…!!

Quando leggiamo un libro ci chiediamo: perché è stato scritto? Che messaggio vuole inviare? Su cosa vuole fare riflettere? Cosa vuole trasmettere?

Una presentazione, degna di questo nome, all’inizio con riferimenti alla vita dell’autore avrebbe aiutato a capire il senso di questo romanzo anche se è evidente che Hugo Christensen scrive molto della propria esperienza e passione per il mare e per la vela. Ma se voleva scrivere di questa sua passione perché andarsi ad impelagare con le altre storie?



Recensione a cura di Franca Vorano





 

Il giorno dell’aquila

giorno dell'aquila - copertinatitolo: Il giorno dell’aquila

autore: Richard Collier

editore: Mursia

anno di pubblicazione: 1968

ISBN: non disponibile





Nella lingua tedesca Adler tag significa: “Giorno dell’aquila”.

Fu con questa parola in codice che il 13 agosto 1940 gli alti comandi della Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca, diedero il via alla Adlerangriff o “Attacco delle aquile”, la prima grande operazione di attacco che – almeno nelle intenzioni – avrebbe dovuto smantellare la linea di difesa aerea britannica più avanzata. In effetti questa sarebbe stata solo la fase preliminare di un’operazione militare ben più articolata e distruttiva che aveva il nome in codice di Liechtmeer, in italiano “Mare di luce”. Il suo scopo era di annientare tutte le basi del Fighter Command (letteralmente “Comando Caccia”) della RAF – Royal Air Force, l’aviazione militare britannica, dislocate nella parte meridionale dell’isola britannica. A quel punto, conseguito il dominio dell’aria, Hitler avrebbe dato ordine di procedere ad una “eccezionale, coraggiosa iniziativa” che aveva il nome convenzionale di : “Leone marino”, ossia l’invasione terrestre della Gran Bretagna.

Il giorno dell’aquila (con sottotitolo: La battaglia d’Inghilterra) di Richard Collier, pubblicato nel 1966 con il titolo originale: “The eagle day. The battle of Britain. August 6 – September 15, 1940”, ricostruisce minuziosamente gli eventi verificatesi proprio in quel giorno fatidico nonché nei giorni immediatamente precedenti e seguenti, ossia nell’arco temporale in cui si consumò quella che viene ricordata come la battaglia aerea più imponente e sanguinosa della II Guerra Mondiale.

La versione italiana del libro giunta in nostro possesso, è basata sulla traduzione dall’inglese ad opera di certo Peter Bastogi e fu pubblicata, nell’ambito della collana “Testimonianze storiche tra cronaca e storia”, dall’editore Mursia nel lontanissimo 1968. Si tratta dunque di un volume piuttosto datato che si può trovare solo presso i venditori di libri usati o, preferibilmente, specializzati in aviazione, meglio se nella cosiddetta “militaria”.

Il giorno dell'aquila - II copertina
La sottocopertina del bel libro di Richard Collier, autore di numerosi libri sulla II Guerra Mondiale e di numerosi articoli pubblicati nel corso della sua lunghissima carriera da magazines britannici e statunitensi

Non ci è dato sapere se, all’epoca, il libro ebbe successo. Di sicuro – dopo averlo letto, s’intende – non ci sentiamo in animo di definirlo quale un classico della letteratura aeronautica mondiale benché inquadri un periodo storico e un’area geografica in cui ebbe luogo lo scontro più cruento tra le due aeronautiche militari europee tecnologicamente meglio dotate. Periodo di estremo interesse per chi è interessato a questioni di storia militare, dell’aviazione militare in particolare.

Eppure Richard Collier, londinese purosangue, classe 1924 e autore assai prolifico di saggi storici – uno dedicato anche a Mussolini -, affronta il suo compito con l’originalità espositiva e il ritmo incalzante che non sono abitualmente prerogative del saggio a carattere storico. Beninteso, “Il giorno dell’aquila” non è un romanzo di guerra ma neanche un susseguirsi cronologico e asettico di eventi; obbiettivamente può considerarsi la ricostruzione della Battaglia d’Inghilterra attraverso il racconto degli accadimenti – tra i più disparati – che videro come protagonisti una miriade di persone appartenenti ad entrambe gli schieramenti. Ne scaturisce un puzzle storico, frammentato eppure nitido, composto dai cento volti di uomini e donne, piloti da caccia ma anche semplici contadini che vissero – loro malgrado – quei giorni terribili quanto memorabili.

Inizialmente – lo riconosciamo – al lettore sarà difficile abituarsi all’espediente narrativo di Collier giacché non ci sono personaggi principali né secondari ma è tutto un susseguirsi di micro-eventi e di micro-personaggi racchiusi nell’arco temporale che va appunto dal 6 agosto al 15 settembre 1940 e collocati nella Gran Bretagna meridionale – terra e cielo -, Stretto della Manica – mare e cielo – e coste francesi – mare e cielo.

Il giorno dell'aquila - sovraccopertina
Il risguardo interno della II di copertina del libro “Il giorno dell’aquila” che riporta una breve sinossi e alcune informazioni relative all’autore

Ovviamente l’esito della Battaglia d’Inghilterra è noto ma leggendo il libro vi accorgerete che non fu poi così scontato. Da ambo le parti, s’intende. Sicuramente ne esce uno spaccato che conferma pienamente alcuni stereotipi universali come il carattere pragmatico e altezzoso dei britannici come pure quello martellante e schedulare dei teutonici.

La prosa del libro – neanche a dirlo – è fluida e piacevole, lo stile dell’autore è quello tipico dello storico navigato che sa alternare in modo armonico la narrazione in terza persona e i colloqui/affermazioni dei personaggi; preziose le 39 foto fuori testo; utilissima la cartina geografica relativa dell’Inghilterra meridionale nel 1940 con indicata tutta la miriade impressionante di aeroporti e stazioni radar.

Ottima la qualità di stampa in termini di carta e dimensioni dei caratteri anche se non ci è dato conoscere il prezzo di copertina.

Insomma un libro che abbiamo letto con piacere e che, a distanza di tanti anni risulta ancora vivo ed evocativo come solo i libri di storia sanno essere.  Quelli migliori, è ovvio. 



Recensione a cura della Redazione



Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto dal 1940 al 1986

storia della guerra aerea - copertina

titolo: Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto dal 1940 al 1986

autore: Ferdinando Sguerri

editore: Logisma

anno di pubblicazione: 2016

ISBN: 978-88-97530-82-4



Ci sono libri – pochi, purtroppo – che, appena sfogliati ti fanno esclamare: “Perché non l’ho comprato prima?”. Semplice: perché non esisteva ancora.

E’ il caso del volume intitolato:

Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto dal 1940 al 1986

pubblicato “solo” nel novembre 2016 da Logisma, lodevole editore dell’area fiorentina che sta accrescendo sempre più la sezione aeronautica del suo catalogo in termini quantitativi oltre che qualitativi.

In effetti non possiamo recriminare granché nei confronti del suo autore, l’ex generale dell’Aeronautica Militare italiana Ferdinando Sguerri, che ha riunito in questo libro la bellezza di trentatré pezzi giornalistici già pubblicati nel corso degli anni nelle pagine di due importantissime riviste specializzate di aviazione. Semmai – potremmo obiettare – che avrebbe potuto pensarci prima – lui ma anche e soprattutto l’editore – perché questo è un libro che in sole 328 pagine approfondisce alcune vicende della storia dell’aviazione e dell’astronautica sicuramente meritevoli di essere raccontate; riesce a ricostruire aspetti ed episodi tra i più disparati con i dettagli e la dovizia di particolari come solo un’analisi postuma può consentire; è in grado di dissipare o, viceversa, consolidare supposizioni e congetture che caratterizzano all’incirca cinquanta anni di storia di volo del genere umano nell’atmosfera terrestre e circa venticinque nello spazio.    

Un esempio? … vi affascina la corsa alla Luna e come i russi la persero? Vi incuriosisce la storia del “Concordski”, imbarazzante clone del celeberrimo Concord? Non avete mai veramente compreso come e perché scoppiò la guerra in Vietnam? O magari vi siete sempre chiesti come Gheddafi riuscì a scampare nel 1986 al bombardamento statunitense di Tripoli e Bengasi? Vi tormenta la sensazione che l’attacco giapponese a Pearl Harbour avvenne – udite udite – con la complicità degli stessi americani? E, rimanendo in tema, vi domandate ancora se l’uso delle bombe atomiche fu davvero necessario per piegare la resistenza militare del Giappone?  Ebbene … in questo libro troverete tutte le risposte. A queste e ad altre domande similari. Le troverete espresse in un linguaggio semplice, giornalistico appunto, con un punto di vista obiettivo e storicamente ineccepibile, talvolta inedito sebbene suffragato da una bibliografia imponente.

Una lettura piacevolissima che farà la gioia dei curiosi o di coloro che intendono approfondire, che amano i dettagli e non si limitano alla “crosta”.

Non occorre aggiungere altro a proposito di questo validissimo volume: il titolo – oggettivamente molto lungo – è un’esauriente anteprima di quanto troveremo al suo interno. E se ancora non foste convinti della bontà del testo, beh … la IV di copertina vi fornirà informazioni altrettanto utili, comprese quelle che riguardano l’autore.

Storie della guerra aerea - IV di copertina
La IV di copertina dell’ottimo volume dell’ex generale Sguerri, pilota per professione, storico per passione

Degna di nota è invece la I di copertina che, sacrificata per metà dal chilometrico titolo, mostra una  splendida aeropittura di Marcella Mencherini intitolata “Aerosiluranti in azione”, conservata presso la “Casa dell’aviatore” a Roma.

Ottima la scelta editoriale di disporre i capitoli secondo l’ordine cronologico  degli eventi; validissima  l’idea di inserire foto e cartine a supporto del testo; ragionevole il costo di copertina; discutibile invece la dimensione dei caratteri di stampa che, salvo disporre di una vista aquilina – giusto per rimanere in tema aereo -, affaticano un po’ la lettura, specie di quei ragazzi molto molto cresciuti cui, inevitabilmente, finirà in mano il volume.

Un libro da leggere “random”, ossia da aprire a caso in corrispondenza ogni volta di un capitolo diverso perché non esiste una trama o un tema conduttore se non quello della storia.

In definitiva, permetteteci di esprimere all’editore un sincero plauso per aver creduto in questa operazione editoriale, pur consapevole che non conseguirà tirature da best-sellers; all’autore va invece il nostro ringraziamento per essersi cimentato in quest’opera di divulgazione e, in diversi casi, di approfondimento.

Chissà che in un prossimo immediato futuro non voglia cimentarsi con la disamina di altri avvenimenti “torbidi” che hanno visto come scenario il cielo e lo spazio. Per esempio … l’attacco aereo del 11 settembre alle Twin Tower di New York? La falsa missione NASA che avrebbe portato per la prima volta l’uomo sulla Luna? I voli segretissimi del velivolo “Aurora”, spesso scambiato per un UFO?  Ebbene … noi attendiamo fiduciosi altre:

Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto ( … ma stavolta) dal 1940 al 2017.



Recensione a cura della Redazione


Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto dal 1940 al 1986

Il senso di Smilla per la neve

L’aliante è una macchina davvero molto strana. Tutti credono di conoscerla, ma in realtà sono pochi quelli che la conoscono davvero. E sono pochissimi a sapere come vola. Il problema sta nel fatto che l’umanità tende sempre a generalizzare, a racchiudere dentro schemi. Provate a chiedere cos’è un aliante e ne scoprirete delle belle. Molti vi descriveranno un deltaplano, altri vi parleranno di quegli aeroplanini di carta che facevamo da bambini. E che molti di noi, me compreso, fanno ancora da adulti. Oggi, grazie alla pubblicità, tanta gente risponderebbe in modo corretto, per aver visto lo spot di un noto amaro. L’aliante in questione è proprio quello che ho utilizzato per anni per fare scuola di volo a Lucca-Tassignano. Ma anche così, in realtà, sono pochi ad aver visto da vicino un club di volo a vela, ad aver toccato quelle macchine meravigliose dalle lunghe ali.

Inoltre, esistono tanti tipi di alianti e non sono certo tutti uguali. In Groenlandia c’è la neve. Tanta. Per tanti mesi dell’anno. Gli abitanti non dicono semplicemente “neve” come facciamo noi. Hanno una dozzina di termini diversi per designare altrettanti tipi di neve. Allo stesso modo, non si può dire semplicemente “uccelli” per designare un animale che vola o che ha le ali. Ciò che la gente non sa, a volte neanche coloro che si dedicano con passione all’osservazione degli uccelli, è che esistono due grandi categorie di uccelli: quelli veleggiatori e quelli non veleggiatori.

Che significa? Per semplificare il concetto al massimo, diciamo che gli uccelli non veleggiatori volano battendo sempre le ali, tranne quando planano per atterrare. Gli altri battono le ali occasionalmente, ma di solito volano ad ali spiegate, ferme, sfruttando le correnti ascendenti dell’atmosfera.

il senso di smilla per la neve - copertina
La copertina del thriller dal quale è stato tratto l’omonimo film in cui Smilla è impersonata dall’attrice britannica Julia Ormond

Ho appena fatto un accenno alla Groenlandia. Nel 1997 uscì nelle sale un film, tratto da un libro del 1992 scritto da Peter Hoeg. La storia, ambientata a Copenhagen, inizia con la scena di un ragazzino che sale su un tetto ricoperto di neve, si avvicina troppo al bordo e cade di sotto, uccidendosi nell’impatto con il suolo. La gente si raduna sul luogo dell’incidente e in quel momento arriva anche una ragazza che abita nella palazzina e conosce il ragazzo. Questa ragazza, Smilla, sale a vedere il tetto insieme ad altra gente, Tutti guardano le tracce sulla neve lasciate dal ragazzino e a tutti appare chiara la dinamica del fatto: il ragazzo è salito imprudentemente sul tetto, è scivolato per la neve ed è caduto. Tutti interpretano così gli scarni elementi che si trovano davanti, tutti tranne Smilla. Lei vede ben altro. Gli elementi che vede non sono solamente dei passi sulla neve. Lei vede un omicidio, non un incidente di gioco.

Perché?

Perché Smilla è una Innuit. E anche il ragazzino è Innuit come lei, sono nati in Groenlandia anche se ora vivono in Danimarca. E gli Innuit non hanno solo un termine per definire la neve, ne hanno moltissimi. Frazil, grease ice, pancake ice, hiku, hikuaq, puktaaq, ivuniq, maniilaq, apuhiniq, agiuppiniq, killaq, ghiaccio permanente, acqua di fusione, banchi blu e neri: per gli abitanti dell’estremo nord sono tanti i nomi del ghiaccio, tanti i suoi colori, tanti i modi di uccidere del freddo che gela il sangue nelle vene.

il senso di smilla per la neve - locandina
La locandina del film tratto dal romanzo dello scrittore danese Peter Hoeg

Quindi il ragazzino non sarebbe mai salito sul tetto per gioco. Mai si sarebbe avvicinato al bordo, con quel tipo di neve che ricopriva il tetto. Doveva esserci un’altra spiegazione, forse era inseguito e in grave pericolo di vita.

Da qui si snoda il resto della trama del film, con le indagini di Smilla e le scoperte che fa. Ma ho preso ad esempio questo film per dire che si fa presto a dire “neve”. Qualcuno potrebbe avere tantissimi altri modi per definire una cosa, di neve possono esserci tantissimi tipi diversi, che noi non distinguiamo.

Si fa presto a dire aria. Si fa presto a dire vento. Noi diciamo “neve” e non sappiamo riconoscerne la dozzina di tipi diversi. Così diciamo “aria” e non ne riconosciamo le decine di caratteristiche diverse. Del vento sappiamo che è aria in movimento orizzontale, tutto qui.

Ma dovremmo avere una trentina di termini diversi per l’aria. E il vento non è sempre orizzontale, anzi. Spesso è obliquo e impatta la superficie delle acque, del mare o dei laghi, generando le onde. Se il vento scorresse parallelo alla superficie del mare, le onde non ci sarebbero.

A volte il vento è verticale. Spesso scende dritto dall’alto verso la terra, ma altre volte sale dalla terra surriscaldata dal sole e si spinge a quote alte, dove l’umidità contenuta al suo interno si condensa e diventa una nube. Allora gli uccelli veleggiatori volano al suo interno ad ali ferme e si fanno portare in alto senza sforzo. La papera non veleggia. Tranne che per brevissimi tratti, quasi per caso. Il gabbiano veleggia quasi sempre e così il condor, la poiana, il falco, il rondone, l’aquila. Il passero, il piccione, il merlo non veleggiano. Pur essendo formidabili volatori. Non conoscono le decine di termini diversi per designare i diversi tipi di aria e di vento. Il pilota di aereo o di elicottero, perfino loro potrebbero non conoscere quei tipi e quei termini. Difatti non veleggiano.

Il pilota di aliante è un veleggiatore puro. Se il pilota di aereo guarda verso l’alto, verso le cime dei monti, verso le nubi, vede aria. L’aliantista vede un gran numero di cose diverse. Vede la dinamica tutta dell’atmosfera, vede i raggi del sole impattare la superficie secondo angoli diversi a seconda dell’orografia del terreno, vede le rocce scaldarsi di più dei boschi, vede l’aria a contatto delle rocce riscaldarsi e dilatarsi per poi iniziare a salire. Vede l’aria calda andare su, quella fresca scorrere a prendere il posto di quella che se ne è andata e scaldarsi a sua volta e poi salire. Vede gli sbuffetti di condensazione apparire e sparire qua e là nel cielo, ad indicare il punto dove il vento ascendente ha portato la propria umidità. Vede i costoni sopravento e sottovento, vede i punti dove poter salire ad ali tese e la strada nel cielo, da un cumulo all’altro, da seguire. Vede anche le aree da evitare, dove sa che il vento verticale, in quei luoghi, sarebbe discendente. Il pilota di aliante, chiamato anche volovelista, conosce l’aria come lo scandinavo conosce la neve. Tanti tipi diversi. Tanti termini.

Non si vede solo con gli occhi fisici, ma anche con gli occhi della mente e la vista è tanto più lunga e nitida quanto maggiore e più accurata è la conoscenza.

Una guida turistica di un paese africano ha detto, una volta, ridendo: “I turisti, qui, vedono solo ciò che conoscono”…

Ho osservato le persone in visita nei vari club di volo a vela. Nel guardare da vicino un aliante rimangono stupiti. Molti lo trovano una macchina fragile, per via delle lunghe ali, goffa e poco maneggevole, perché ci vedono spostarlo a terra con una certa difficoltà. Alcuni lo trovano anche scomodo e stretto, da claustrofobia e si chiedono come si fa a volare dentro quel “coso”. Il paragone con l’aereo è inevitabile. L’aereo è lì, magari il nostro Robin da traino, tozzo e robusto, con le ali corte e forti, ampio, comodo e soprattutto, dotato di motore, simbolo di affidabilità e sicurezza. Le cose non stanno proprio così, ci sarebbero moltissime cose da dire al riguardo.

La gente vede la neve, ma non ne riconosce la dozzina di tipi diversi.

Il traino si allinea, viene agganciato il cavo, tutto motore e si va, le due macchine in fila verso il cielo. Subito dopo la partenza, l’aliante si stacca leggero e si mette a pochi metri da terra, in attesa che anche l’aereo venga su. Poi lo segue con assoluta precisione, rivelando una maneggevolezza estrema. Dei due, il più penalizzato è l’aereo. Ad appena cinquanta metri da terra, se il motore del traino si fermasse, in nessun modo potrebbe riatterrare in pista. L’aliante sì, senza problemi. Potrebbe fare una virata perfetta di centottanta gradi e tornare al suolo in contropista, mentre l’aereo va a cercare fortuna nei campi vicini. Il traino ha circa quattro ore di autonomia, con la benzina contenuta nei suoi serbatoi. L’aliante non ha limiti di autonomia. La sua benzina sono le correnti ascensionali. Il traino può salire poco oltre i quattromila metri. L’aliante potrebbe anche superare i diciassettemila.

E la robustezza? Un aliante di categoria normale è robusto quanto un aereo di categoria acrobatica. Il nostro aliante ha una robustezza più che doppia rispetto al Robin da traino. A dispetto delle sue lunghe ali, dieci metri l’una, le cui punte potrebbero quasi toccarsi prima di rompersi. Il pilota di aereo teme la piantata di motore. L’aliantista no, lui vola sempre senza motore. Il pilota di aereo teme l’incendio. L’aliantista non porta in giro nessun serbatoio di benzina. Nella sua macchina fortissima, che non cade e non si rompe, il volovelista sale con le correnti, osservando il cielo più che la terra, senza rumore, senza paura. Ha tutto, anche il paracadute come estrema risorsa. Guadagna quota, preziosa energia da spendere per fare strada, verso altre ascendenze, altra quota e altra strada. Il suo pilotaggio è praticamente perfetto. Visto di fronte è un punto con due linee, le ali. La pulizia delle sue manovre non è valutata attraverso il rozzo viro-sbandometro dell’aereo, ma attraverso un filo di lana attaccato sopra la cappottina trasparente. Un filo che deve rimanere sempre allineato all’asse longitudinale della macchina, a pena di un terribile scadimento delle prestazioni aerodinamiche della macchina.

L’aliantista non vola mai basso. Motivo per cui l’aliante è meno visibile dell’aereo. A mille piedi, quota che gli aerei mantengono ordinariamente per lunghi tragitti, l’aliante è prossimo all’atterraggio. E alle alte quote, sopra le montagne, sopra le pianure, sotto i cumuli, vola in silenzio, in compagnia, a volte, di altri esseri che, come lui, vedono ben di più che della semplice “aria” intorno a loro: gli uccelli veleggiatori. I quali non si spaventano nel vedere l’aliante. Girano insieme nella termica, senza timore alcuno, anche per parecchio tempo, almeno quanto basta all’uccello veleggiatore, vero padrone degli spazi aerei, per guadagnare quota più in fretta, diventare un puntino, confondersi con il cielo e scomparire. Un aliante ha di solito un’efficienza di circa trentotto. Vale a dire che da mille metri potrebbe percorrere trentotto chilometri, in aria calma, prima di toccare terra. La tecnologia odierna è in grado di fornire macchine con efficienza sessanta, ma presto si raggiungerà quella di cento. Ho detto in aria calma, ma l’aria, abbiamo visto, non è quasi mai calma e contiene sempre, qua e là, le ascendenze che ci permettono di riguadagnare la quota persa in un trasferimento. Per cui, quando infine decide di scendere, il volovelista deve azionare dei dispositivi chiamati “diruttori di portanza”. Sono due “palette” che escono dalle ali per un certo tratto e oppongono al vento relativo la loro superficie. Non sono aerofreni, non servono a frenare, ma propriamente a rompere la forza di portanza di quel tratto di ali, come se le tagliassero letteralmente, accorciandole, riducendone drasticamente l’enorme efficienza, facendo sì che il peso riesca infine a riportare giù una macchina che per sua natura, altrimenti, non scenderebbe più a terra.


# proprietà letteraria riservata #


Evandro Detti

 

Condividere il dolore

caccia con postbruciatoreDurante un turno di servizio in sala operativa Franco (Duty Controller) e Luigi (Fighter Coordinator) si scambiano alcune confidenze. In particolare, Luigi, colpito recentemente da una disgrazia familiare (la perdita prematura di una figlia) è sempre triste e sembra assente durante i suoi rapporti con gli altri. Quella sera però sembra pronto a parlare con Franco per condividere il suo dolore e dare uno sfogo alla sua situazione psicologica.

Mentre si trova al culmine del suo racconto, un evento operativo interrompe la forte condizione d’emozione venutasi a creare. La professionalità, però, prende il sopravvento e il racconto di Luigi sembra dissolversi nel cielo con gli intercettori fatti decollare per una missione operativa di riconoscimento di un velivolo civile non autorizzato a sorvolare lo spazio aereo Nato.

Alla fine, però, Luigi, pur stanco, sembra contento sia per la buona riuscita dell’attività operativa che per la possibilità che ha avuto di poter condividere il suo dolore con Franco. Prova ne è il complice scambio di sguardi, completato da un timido sorriso tra i due, mentre si avviano verso il parcheggio delle auto per fare rientro a casa dopo il lungo e proficuo turno di servizio notturno.



Narrativa / Medio-breve Inedito; ha partecipato alla IV edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2016; in esclusiva per “Voci di hangar”