«Vuoi dire che c’è un comma?».
«Certo che c’è un comma»,
rispose il dottor Daneeka,
«Il comma 22. Che dice: “Tutti quelli che desiderano di essere esonerati dal volo attivo non sono veramente pazzi”».
Se volava era pazzo e non doveva più volare; ma se non voleva volare era sano di mente e doveva volare.
Yossarian fu molto impressionato per l’assoluta semplicità di questa clausola del comma 22 […]
«È davvero un bel comma, quel comma 22», osservò.
Yossarian è un pilota bombardiere dell’ USAF di stanza con il suo gruppo di bombardieri a Pianosa, in Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Joseph Heller è lo scrittore aviatore che, nel 1955, ha raccontato le gesta del capitano Yossarian, l’antieroe e suo alter ego, e dei suoi commilitoni nel romanzo Comma 22 (10 milioni di copie vendute), osannato dalla critica letteraria e definito, dal Chicago Times: “Un capolavoro apocalittico” e dall’Espresso, “la Bibbia dell’antimilitarismo”.
«Non ho mai pensato a Catch-22 come a un romanzo a fumetti»,
ha dichiarato Heller sul New York Times,
«[Ma] … volevo che il lettore si divertisse, e… volevo che si vergognasse di essersi divertito. La mia inclinazione letteraria… è più verso il morboso [raccapricciante] e il tragico. Si sta verificando una grande carneficina [la morte] e la mia idea era di usare l’umorismo per rendere ridicole le cose irrazionali e molto terribili».
Heller, in seguito, affrontò lo stesso tema, ripescando figure, personaggi e situazioni da quella sua esperienza bellica in Italia, in una sua commedia di successo: Bombardammo New Haven.
Assieme agli altri militari e aviatori protagonisti di Catch 22, il titolo in originale in inglese, Il tranello 22 – il cappellano Shipman, il colonello Catchcart, Dunbar, Milo Minderbinder, il maggiore Maggiori – un ruolo importante è riservato all’aeroplano sul quale Yossarian è costretto suo malgrado a volare: il B-25 Mitchell della 265a Squadriglia. Lui è pigiato dentro la prua vetrata dell’aereo con il compito di sganciare le bombe sul nemico al momento opportuno, cosa che spesso fa con molta disattenzione, più preoccupato di andarsene alla svelta dal cielo pieno di sbuffi neri della contraerea tedesca, che di colpire il bersaglio. Non si capacita perché quelli là sotto ce l’abbiano proprio con lui:
«Che intendono uccidere della gente che nemmeno conoscono».
Cerca pure una spiegazione logica chiedendo al commilitone e amico Clevinger perché
«Stanno per uccidermi […] perché sparano contro di me».
Clevinger risponde che:
«Sparano contro tutti»,
e la replica del capitano Yossarian è degna di una battuta di Woddy Allen:
«E che differenza fa?», domanda con stizza.
Yossarian tiene a una sola cosa: portare alla svelta a casa la pelle. E ci si mette d’impegno. I suoi superiori invece fanno di tutto per trattenere lui e suoi compagni sul fronte di guerra aumentando di volta in volta il numero minimo di missioni da compiere per essere congedati: prima quaranta, poi cinquanta, e via via di decina in decina.
Heller, come il protagonista del suo romanzo Yossarian, dieci anni prima di scrivere Comma 22 è ufficiale puntatore a bordo di un B-25 Mitchell che nel libro descrive, come
«macchine molto stabili, scure, color verde opaco, con due timoni e due motori e ali molto lunghe. Il loro unico difetto […] era il troppo stretto passaggio che lo univa al più vicino portello di emergenza. Il passaggio era costituito da un cunicolo aderente, scavato sotto la plancia degli strumenti e un uomo robusto come Yossarian poteva sgattaiolarci dentro con notevole difficoltà».
Così nel naso di plexiglass del suo B-25, Yossarian assieme a sé non ci voleva nessuno, nemmeno l’ufficiale di rotta Aarfy, quando da sotto, già loro sul bersaglio, arrivano i colpi della contraerea. Voleva via libera verso l’agognato portello d’emergenza che significava la salvezza e imprecava ogni volta contro i progettisti del Mitchell perché non avevano ne avevano previsto uno anche in
«quella maledetta vaschetta per pesci rossi sospesa mentre quelle sporche maledette bordate di artiglieria gli tuonavano e rimbombavano ed echeggiavano tutt’intorno e di sopra e di sotto con un malvagità crescente e crepitante e fantasmagorica e cosmologica che screpava e sballottava e fracassava e assordava e perforava, e minacciava di annichilire tutti in un frammento di secondo dentro un ampio lampo di fuoco. Aarfy non gli era mai stato utile come pilota di rotta».
Joseph Heller ha ventidue anni quando raggiunge in Corsica il 488° Squadrone bombardieri, “The Avengers”, del 340° Bomb Group, 12° Air Force. Si è arruolato, a diciannove anni, due anni prima, nel 1942. I suoi genitori sono ebrei emigrati dalla Russia. Il padre, Isaac, è arrivato negli Stati Uniti nel 1913, è un simpatizzante dei socialisti e per mantenere la famiglia fa le consegne per conto di una panetteria. Gli Heller, una famiglia di povera gente, vivono a New York, a Coney Island, nel quartiere di Brooklyn dove Joseph nasce il 1° maggio del 1923. Lui è il più piccolo dei tre figli: ha una sorellastra, Sylvia, e un fratellastro, Lee. A sei anni Joseph perde il padre in seguito alle complicazioni subentrate dopo un intervento chirurgico. La madre ha serie difficoltà con la lingua del paese di adozione e la famiglia, privata dello stipendio di Isaac, non se la passa affatto bene.
Quando Joseph si diploma alla Abraham Lincoln High School nel 1941 scrive già da tempo racconti e novelle.
Nel dicembre di quello stesso anno, dopo aver subito un attacco dei giapponesi alla base navale di Pearl Harbor, gli USA entrano in guerra. Per risollevare il morale della nazione il presidente Roosevelt approva una rappresaglia contro il Giappone. Una squadriglia di bombardieri compirà un ardito raid per colpire infrastrutture civili e militari a Tokio. Un’azione dimostrativa per lanciare un bellicoso messaggio ai vertici militari giapponesi e all’imperatore Hirohito che regnava dal 1926, per diritto divino, e sognava di dare al suo popolo un vasto impero conquistando più terre possibili nel sud-est asiatico: non siete invincibili e possiamo colpirvi ovunque, anche a casa vostra, c’era scritto sulle bombe che piovvero sulla capitale giapponese. Il compito di guidare la missione quasi sucida è affidato al colonello ed eroe dell’aviazione James Doolittle, Jimmy per gli amici, un californiano già famoso come audace aviatore che nel 1932 aveva stabilito il record di velocità.
Nello stesso anno in cui i bombardieri Nakajima 97, gli Aichi 99, scortati dai caccia Mitsubishi Zero, indisturbati si fiondano in picchiata sugli incrociatori e le corazzate alla fonda nella baia di Pearl Harbor nell’isola di Ohau nelle Hawaii, a nord-ovest di Honolulu, il futuro scrittore Joseph Heller già lavora. Si era diplomato alla Abraham Lincoln High School, aveva subito iniziato a lavorare in un’agenzia di assicurazioni in qualità di archivista. Poi trovò un impiego come aiutante fabbro presso il Norfolk Navy Yard.
Nell’ottobre del ’42 si arruolò nell’aviazione e ottenne i gradi di ufficiale dopo aver frequentato la scuola cadetti. Quando nel ’44 fu inviato al 488° Squadrone della dodicesima forza aerea in Corsica.
Aveva cucito sulla tenuta di volo il grado di tenente addetto al puntamento per lo sgancio delle bombe, proprio come il pavido Yossarian di Comma 22.
«La guerra è quasi divertente all’inizio, avevi la sensazione che ci fosse qualcosa di glorioso in quello che facevi. Al ritorno a casa mi sono sentito un eroe. La gente pensa che sia stato notevole che io abbia volato su di un aereo da combattimento per sessanta missioni, anche se dico che erano in gran parte milk runs, come si diceva in gergo: lente e noiose missioni, dove non succede niente di che».
Yossarian non sarebbe d’accordo. Heller rimase in Corsica a combattere da maggio a ottobre del 1944. Alla trentesima missione però si dovette ricredere: volare in un cielo di guerra non è certo una passeggiata.
Era in volo verso Avignone, sul fiume Rodano, nel sud-est della Francia che quel giorno era l’obiettivo da bombardare. Lui è accucciato nella “vasca dei pesci rossi” sul muso del suo B-25 quando il copilota perde la testa e quindi il controllo dell’aereo che iniziò a picchiare schiacciando il corpo di Heller contro la parte superiore del vano trasparente di prua, dove lui stava in qualità di puntatore. Il comandante riprese il controllo del loro B-25 e il giovane tenente di Coney Island si rese allora conto che dentro quegli aeroplani si rischiava veramente la pelle; la morte lo aveva sfiorato.
Durante quell’incursione il mitragliere di coda rimase gravemente ferito e Heller rimase molto impressionato tanto da riproporre quell’episodio in Comma 22. La vittima è il compagno di Yossarian, Snowden, un ragazzo che conosceva appena, e che
«era stato ferito malamente e giaceva nel freddo della morte in una pozzanghera di luce gialla e assolata che gli scendeva sul viso da una feritoia dell’aereo […] Dobbs [il pilota, N.d.R.] l’aveva implorato attraverso il collegamento radio di soccorrere il mitragliere. […] Snowden giaceva sul pavimento con le gambe divaricate, appesantito e ostacolato dalla tuta protettiva, con in testa l’elmetto con le cinghie del paracadute e il Mae West sulle spalle».
Heller concentra tutto l’orrore della guerra in cinque dense pagine in cui descrive nel dettaglio l’agonia del compagno, mentre cerca di soccorrerlo tamponando le orribili ferite causate dalle schegge di un colpo di contraerea. Con la cassetta del pronto soccorso, dove qualcuno ha rubato dodici fiale di morfina per rivenderle al mercato nero, cerca in tutti i modi di alleviare il dolore di Snowden che continua a ripetere con un filo di voce
«Ho freddo, ho freddo»,
e lui che gli risponde:
«Andrà tutto bene, ragazzo, su, su andrà tutto bene».
Yossarian si è fatto ricoverare in un letto di ospedale per una finta malattia, per cercare di sfuggire all’ennesima missione di guerra e nel dormiveglia di una notte insonne ripensa alla morte di Snowden. Ma è come fosse Heller in prima persona che racconta e rivive l’episodio, anni dopo nel momento della stesura del libro. Come per Yossarian il ricordo è talmente vivo da togliergli il sonno, allo stesso modo allo scrittore di New York è necessario potersene liberare sublimandolo per mezzo della scrittura.
Heller rientrato in patria dopo la guerra, nel 1945, sposa Shirley Held. Nel 1952 nasce Erica e quattro anni dopo Theodore. Un anno dopo la nascita della prima figlia, Heller inizia a scrivere il suo romanzo partendo da una frase, quella che apre il primo capitolo e che pare gli sia sgorgata come d’incanto. Non pensa subito a un romanzo, ma tutt’al più ad un racconto: non ne è così entusiasta e decide di proseguire a scriverlo solo se qualcuno è disposto a pubblicarlo. Il titolo cui ha pensato è Catch–18, ma lo cambia in Catch–22 per non confonderlo con un altro libro dal titolo analogo, uscito anni prima: Mila–18 dello scrittore Leon Uris, quello di Sfida all’O.K. Corral ed Exodus.
Il romanzo di Heller esce nel 1961: la critica è divisa. Il Chicago Sun-Times parla del «miglior romanzo dell’anno», mentre altri lo considerano «disorganizzato, illeggibile, e grossolano». In Inghilterra diventa subito un best sellers. Per i giovani Yossarian diviene il portabandiera dell’antimilitarismo.
Dopo il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in Corea nel 1951, nell’anno di pubblicazione di Comma 22, il governo americano muove i primi passi che porteranno la potenza USA a intervenire in Vietnam.
«Inizialmente Comma-22 istigava ogni addetto alla censura a mettere il proprio nome su ogni lettera incontrata»,
racconta Heller nel 1977 alla rivista The Sixties.
«Poi, andando avanti, creai deliberatamente situazioni contradittorie ed elaborai degli stratagemmi narrativi. Iniziai ad allargare l’applicazione del Comma-22 per abbracciare porzioni sempre più ampie del sistema sociale. Comma-22 divenne una legge: «loro» possono farci qualsiasi cosa che noi non siamo in grado di impedire «loro» di fare. […] Yossarian è convinto che non ci sia nessun comma 22, ma non importa fino a quando la gente crederà che ci sia. Di fatto nessuno dei punti di vista – il sospetto e la sfiducia nei confronti degli ufficiali del governo, il senso d’impotenza e persecuzione – coincideva con le mie esperienze come bombardiere durante la seconda guerra mondiale.
I sentimenti antimilitaristi e antigovernativi del libro appartengono al periodo successivo. Comma 22 era più politico che psicologico. Nel romanzo l’opposizione alla guerra contro Hitler era data per scontata. Il libro affrontava invece i conflitti esistenti tra un uomo e i suoi superiori, tra di lui e le sue istituzioni. La lotta più dura è quando uno non sa chi lo sta minacciando e lo sta sfinendo, ma sa comunque che c’è una tensione, un antagonista, un conflitto di cui non è possibile immaginare la fine. […] In un modo o nell’altro, ogni personaggio nel romanzo è in balia di qualche contesto. Alterno situazioni in cui l’individuo è in conflitto con la società a situazioni in cui la società stessa è il prodotto di qualcosa di oscuro […] che sfugge ai limiti della ragione.
Ma c’è una frase che vale tutto il libro e con questo chiudo questa recensione:
«Apri gli occhi, Clevinger. Non fa una dannata differenza chi vince la guerra con qualcuno che è morto… Il nemico è chiunque ti prenda. Ucciso, non importa da che parte stia».
Testo a cura di Massimo Conti, didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR
Articolo giornalistico / Medio – lungo
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