Gli piaceva sognare, sognare ad occhi aperti. Gli bastava aprire quei grandi occhi cerulei per ritrovarsi ad esplorare mondi inconsueti, di nessun altro se non suoi … suoi e basta!
Era stato proprio per meglio viaggiare in quei mondi fantastici che in un caldo pomeriggio di primavera Vanni aveva deciso di metter su casa in un vecchio autobus in disuso, uno di quelli di un tempo che fu, dalla carcassa color verde oliva.
Il sole picchiava duro quel giorno di maggio; l’asfalto sembrava fumare sotto ai suoi piedi stanchi e fu allora che Vanni si accorse di quel torpedone dai fari tondi simili a due occhi tristi e dalle gomme sgonfie come piedi indeboliti dal tempo impietoso. Egli si avvicinò e, con circospezione, introdusse la testolina al di là di una delle porte aperte così da poter perlustrare velocemente l’interno del mezzo. Nulla vi era dentro e la cosa sembrò sollevarlo parecchio, così salì a bordo spedito.
Aveva camminato parecchio, Vanni, e proprio per questo, non appena entrato in quell’abitacolo squallido e tuttavia accogliente, si distese sui seggiolini che componevano l’ultima fila e si mise a pensare osservando la vecchia obliteratrice, particolare che gli fece ripensare al suo primo viaggio in autobus da solo, a 10 anni, per puro spirito di indipendenza.
Batté le palpebre una volta, poi una seconda e, alla terza, dopo un lunghissimo sbadiglio, stanco come non mai, si addormentò profondamente.
Come per magia le porte si chiusero, i motori si accesero e le gomme, di colpo rinvigorite da un getto d’aria imponente, tirarono su quella carcassa stanca. Due colpi di clacson, uno di acceleratore e tutto fu pronto sotto lo sguardo sbigottito del ragazzo. svegliatosi da tutto quel fracasso. Vanni si stropicciò forte gli occhi, quindi udì una voce provenire nitidamente dal vano motore: “Ehm … prova! Ci scusiamo con il nostro unico passeggero per gli improvvisi cali di voce cui saremo soggetti … ma le nostre cinghie vocali potrebbero essersi danneggiate durante questi lunghi anni d’inattività, pertanto le consigliamo di prendere posto sul sedile del conducente e di tenersi forte: potremmo incappare in fastidiose turbolenze!”.
“Turbolenze? Ma se in strada il sole sembra cuocere ogni cosa e di vento non c’è neppure l’ombra!” replicò Vanni d’istinto.
“In strada no … ma in cielo … chi lo sa?” rispose, misterioso, l’autobus.
“In cielo?”.
Fu proprio in quell’istante che il bus si mosse cigolando un po’ qua e là emettendo una gran nuvola di fumo grigio. L’avvio fu molto lento ma sempre più deciso.
Vanni osservava tutto con incredulità ma con sempre maggior curiosità. Decise di stare al gioco. “Dove si va?” chiese con tono di sfida.
“Voglio farti vedere una cosa” gli rispose il mezzo con voce pacata e poi aggiunse: “Credo che tu non sappia tantissimo di ciò che avviene nel mondo. Sei così giovane!!”.
“Può darsi, ma si può sapere dove andiamo?” tornò a chiedere Vanni con tono un po’ più preoccupato e meno spregiudicato di prima.
“Non preoccuparti! Pensa solo a rilassarti: al resto penserò io!” concluse la voce.
Vanni si tenne saldamente ai braccioli e chiuse forte gli occhi. Quando fece per riaprirli si sporse leggermente dal finestrino alla sua sinistra e rimase di sasso. L’autobus sembrava avvolto da un gran batuffolo di bambagia.
Il ragazzo non capiva dove si trovasse ma una risposta ai suoi dubbi giunse non appena il vecchio mezzo pubblico riuscì a liberarsi da quello strato di morbida consistenza. Con tono sempre più allarmato quasi urlò sobbalzando dal sedile: “Ma quella è la Sicilia! Mi sembra di guardare un mappamondo! A che altezza siamo?”
“In alto! Molto in alto ma solo mantenendoci così alti riusciremo ad accorciare notevolmente i tempi. Di strada da fare ne abbiamo ancora tanta!”.
Vanni provò a non far più domande; già che c’era voleva vedere come sarebbe andata a finire quella situazione così strana.
Sentì un rombo via via più imponente, fortissimo, poi un suono come di tromba da stadio “PARAPARAPPAPPARAPA’”. Si voltò nuovamente e si trovò a pochi metri da un “Jumbo” che gli parve immenso.
Quasi fuse la sua fronte al vetro del finestrino e focalizzò il pilota dell’aereo che si sbracciava come un vigile urbano al centro di un incrocio. Il pilota abbassò il vetro ed urlò: “Se vi fate un attimo da parte magari noi riusciamo a passare!!”
A Vanni venne da ridere perché mai avrebbe pensato ad una situazione simile. Dall’autobus la solita voce replicò: “Ma se il cielo è così immenso … !!”.
“Si, è immenso”, gli rispose il pilota ad alta voce ma con garbo, “ ma, per mille cornacchie!!! Vi siete messi proprio in mezzo alla nostra rotta!!”.
L’autobus, con uno scatto nervoso virò stretto e, finalmente, il “Jumbo jet” passò. Vanni continuò a seguire con lo sguardo l’enorme aereo che si allontanava e notò il braccio e la mano del pilota fuori dal finestrino a mo’ di saluto, in segno di ringraziamento.
Anche il loro viaggio riprese, ma più lentamente. Da quell’osservatorio privilegiato, vide mari e monti, meravigliose tinte ed uniche sfumature di verde e di azzurro ed ancora vide foci di fiumi e picchi innevati, coste schiumose e sabbiosi deserti senza fine. Viaggiarono e viaggiarono ancora lambendo le vette più alte. Fu proprio a quel punto che Vanni si ritrovò catapultato verso la sua destra e, mentre stava per protestare per quella manovra azzardata, nuovamente verso la sua sinistra fino a ritrovarsi col sedere nel corridoio, sul duro pavimento del torpedone.
“Che succede, adesso?” chiese Vanni.
“Sono gli uccelli migratori! Abbiamo beccato un grosso stormo e ci siamo ritrovati proprio in mezzo a loro ma, come avrai notato, l’ho schivato brillantemente come un pugile sul ring sotto i colpi del suo avversario”.
“Sì” proseguì Vanni, “ma, caro il mio pugile, ti sei accorto di quel pennuto con la zampa incastrata nel tergicristallo?”.
“Oh … mamma mia!!” fu tutto quello che l’autobus riuscì a dire. La grande spazzola iniziò a muoversi alternativamente da destra a sinistra nel tentativo di consentire all’uccello di divincolarsi ma l’operazione non andò a buon fine.
Vanni vide un nugolo di penne e piume sollevarsi in aria finché non scorse quel grosso uccello, un po’ stordito, riprendere il suo volo.
Finalmente l’autobus si decise a rivelare: “La nostra destinazione è Kabul, caro amico, ma non aver paura: saremo prudenti!”.
“Perché proprio una città così pericolosa?” chiese il ragazzo.
“Perché dietro a tutto quello che hai visto in tv … beh … potrebbe nascondersi altro”.
Vanni annuì fiducioso, appoggiò il capo sul vetro del finestrino e, piano piano, sbadiglio dopo sbadiglio, s’addormentò.
“Guarda!!” fu l’esclamazione che lo ridestò.
Vanni si stropicciò gli occhi e guardò l’orologio: era fermo! Pensò d’aver sognato ma gli bastò tornare a guardare di lato, attraverso il vetro alla sua sinistra, per rendersi conto che non era affatto immerso in alcun sogno.
“Quello lì è un ospedale. Siamo arrivati! Aspetta, atterriamo!”. Il pesante mezzo, leggiadro come fosse un foglio di carta in balìa del vento, fece per girare attorno a sé stesso, poi puntò deciso verso terra.
Il passeggero si tappò gli occhi con le mani, impaurito ma anche impaziente di comprendere ciò che non aveva ancora capito.
Quando l’autobus toccò terra, finalmente, il ragazzo udì un forte soffio, quasi un enorme sospiro provenire dal motore mentre la voce che gli aveva tenuto compagnia durante quel viaggio dalla durata indefinita riprese a dire, con foga e convinzione: “Vedi? Dietro a quelle mura vi è solo dolore, vi è solitudine, povertà. Dietro a quelle mura vi è l’oscuro lavoro, mai raccontato, di tanta gente generosa che quotidianamente rischia la vita anteponendo la sofferenza degli ultimi, degli ammalati, degli abbandonati ma, soprattutto, ci sono centinaia di occhi come i tuoi: occhi speranzosi che avrebbero potuto creare, inventare, comporre e che, invece, non sono più capaci neppure di comprendere che anch’essi possono aspirare ad avere un domani. Vorrei che ciò ti facesse rendere conto che dietro agli imponenti proclami di giustizia e di nobili propositi raramente attuati può esserci tanta ipocrisia, il dolore mai valutato abbastanza della gente comune, c’è la sofferenza, la morte ma, soprattutto, c’è il potere ed il denaro di chi usa questa gente nascondendone al mondo intero le inumanità subite”.
Poi, d’un tratto, la voce si calmò, si abbassò ed aggiunse: “Adesso, se vuoi, ripartiamo”.
“No! Io rimango” fece Vanni fiero, issandosi sulle sue gambe col petto tronfio e gonfio di entusiasmo.
“Rimango anch’io” replicò il vecchio bus. I fari si spensero come il motore, le porte si aprirono e da quel magico bus corse fuori un nuovo combattente, più forte che mai, deciso ad inondare d’amore e di sogni tanti altri giovani, potenziali sognatori, proprio come lui.
Un rivolo di sudore scese lungo la sua tempia sinistra fin sulla sottostante guancia e lo solleticò fino a costringerlo a riaprire gli occhi. Vanni si drizzò sul sedile, lo sguardo corrucciato e i capelli scompigliati di chi aveva dormito profondamente ed aveva sognato … un sogno che gli era parso fin troppo vero.
Ancora solo, all’interno del vecchio bus, si sollevò sulle gambe e si avviò verso la porta più vicina; la oltrepassò, si voltò ancora una volta a guardare quel mezzo che lo aveva così ben ospitato e si diresse verso un bar, dall’altra parte della strada. “Buongiorno” fece Vanni entrandovi e rivolgendosi alla cassiera, “ha mica un elenco telefonico?”
“Certo! Tenga!” rispose lei porgendoglielo.
Deciso come non mai, il giovane lo sfogliò fino a che non trovò ciò che cercava: “Ecco! … Emergency!! 06-688151”. Copiò il numero nella rubrica del suo telefonino ed andò via, complice lo strano sogno che aveva fatto, a dedicare la propria vita agli ultimi, in un paese lontano, laddove però, è molto difficile arrivare con un vecchio autobus volante!
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