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L’uomo delle mongolfiere


In Abruzzo c’è una festa, il 16 agosto, a Vasto; è la festa delle lanterne, migliaia di lanterne bianche costituite da una leggera sacca di carta che avvolge la fiammella vengono lanciate vero il cielo attorno alla mezzanotte, tutte insieme, creando una danza incantevole e suggestiva simile a quella delle libellule, ma più in alto, quasi a voler competere con il manto di stelle che punteggia le calde notti agostane sopra il golfo sottostante, quando ancora qualcuna, ritardataria a San Lorenzo, cade giù lasciandosi dietro la sua piccola scia di luce guizzante. E si esprimono in silenzio i desideri.

Non ci è dato sapere se l’autrice, letteralmente folgorata alla vista e poi dalla visita – presumiamo del tutto casuale – di un negozio che vendeva realmente mongolfiere multicolori, abbia trovato ispirazione nella stesura di un racconto così visionario … possiamo invece confessarvi il nostro stupore quando, lanciata la ricerca tra le pieghe multiformi di Flickr, è apparso sotto ai nostri occhi lo scatto che ritrae questo negozio … dunque esiste! E anche noi, come l’autrice, ne siamo rimasti basiti!! (foto proveniente da www.flickr.com)

Ecco a cosa è corsa la mia mente leggendo le prime righe di questo piccolissimo racconto, tanto contenuto nella lunghezza quanto ampio nelle suggestioni che riesce a suscitare. E mentre fuori del piccolo negozio di questo vecchio artigiano senza nome, si svolge appunto una danza delle lanterne, lui all’interno, crea piccole mongolfiere di creta, di mille colori, di mille dimensioni, e le vende (o così ci fa credere), mentre probabilmente regala invece storie, le storie che ognuna di esse “racconta” agli avventori che entrano ad ammirarle e osservarle, magari con occhi che sembrano stelle.

Alcuni anni orsono, sull’onda emotiva della folta schiera di feriti a causa di giochi pirotecnici inesplosi, petardi di fabbricazione improbabile e mini bombette dagli effetti devastanti, anche nel nostro paese fu introdotta l’idea di festeggiare il nuovo anno a mezzo delle lanterne volanti. Suggestive, poetiche, non c’è che dire ma – qualcuno se ne rese conto – altrettanto pericolose rispetto ai classici “botti” … e la novità non ebbe seguito se non – lo apprendiamo dalla recensione del racconto – a Vasto dove, presumiamo, le splendide lanterne volanti termineranno il loro volo benauguarale tra i flutti del mare Adriatico. La foto ritrae la selva di lanterne lanciate in occasione del Capodanno cinese nella baia di Jimbaran, sull’isola di Bali (foto proveniente da www.flickr.com)

Ma soprattutto lancia un messaggio che suona come un monito: l’uomo ha imparato a volare, a creare macchine volanti sempre più sofisticate per andare dove vuole, in un tempo sempre più breve, tanto forte è il suo bisogno di correre, di fare in fretta …ma poi, saprà tornare a seguire i ritmi naturali del tempo? Magari quello del vento che decide quanto, quando, dove, puoi godere della magia di un volo.

C’è stato un momento nella storia dell’umanità in cui, fatto salvo leggende ed episodi non adeguatamente documentati, l’umanità riusciva a volare solo grazie a macchine volanti più leggere dell’aria, i cosiddetti “aerostati” di cui furono inventori (ma non piloti) i fratelli Montgolfier da cui anche il nome “mongolfiera”, appunto. Correvano gli anni ’80 del 1700. Dovremo invece aspettare fino agli anni ’90 del 1800 per vedere solcare una macchina volante più pesante dell’aria (con appeso l’ingegnere/pilota tedesco Otto Lilienthal), antesignana dei moderni alianti e addirittura il 1903 affinché il cielo venga solcato da una macchina sempre più pesante dell’aria ma dotata di organo motopropulsore; rimane tuttavia inalterato il fascino ancestrale dell’incontrollabilità della mongolfiere pionieristiche anche se in realtà le moderne mongolfiere sono assolutamente controllabili, eccome! (“Le mongolfiere” di Antonio Morri proveniente da www.Flickr.com)

E allora ecco che l’autrice amplia di colpo la geografia del suo racconto e ci porta in un attimo dalla piccola dimensione di quella bottega, alla infinita dimensione del cielo parigino, ricordandoci che il primo a solcarlo, dopo gli uccelli, fu un grande pallone colorato nel 1783, perché …

Le mongolfiere, invece, ci ricordano che a volte dobbiamo lasciare che la vita vada dove vuole. A volte dobbiamo lasciarci trasportare dalla corrente ascensionale senza cercare uno scopo, ma solo godendo del paesaggio. A volte dovremmo dimenticarci dei comandi e degli strumenti, e assaporare il viaggio e quello che ci può insegnare.

Complimenti ad Arianna Bettin (anche perché ama i congiuntivi!).




Narrativa / Medio – lungo

Inedito

Ha partecipato alla XII edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2024


Recensione a cura di Rossana Cilli e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR


Nota della Redazione.

In copertina della vetrina di un negozio che, da quanto narra Arianna Bettin potrebbe essere tranquillamente quello in cui si svolge il suo racconto (foto di Maria Vittoria Argenti, “La favola”, scatto del 30 gen 2009, www.flickr.com)

L’uomo delle mongolfiere


Un tripudio di lanterne volanti illuminava il cielo. Si libravano nella notte in un viaggio senza mèta che sarebbe inevitabilmente terminato con il loro ritorno alla terra da cui erano partite.

La carta sottile regalava alla luce un colore caldo, rassicurante. Leggiadra fragile meraviglia che sfidava il buio la cui brutale fine sarebbe stata in uno sporco angolo di strada. La pioggia le avrebbe consumate fino a che qualcuno passando le avrebbe rimosse bofonchiando, in nome del decoro urbano.

La ragazza distolse dal cielo i suoi occhi di ghiaccio, per posarli sulla vetrina della piccola bottega alle sue spalle.

Si sarebbe potuto pensare che sarebbe stato il ragazzo a voltarsi per primo, nella comune convinzione che gli uomini siano meno romantici. Invece fu lei. Presto annoiata dall’effimero vagare delle lanterne volanti, cercò con lo sguardo qualcosa di più tangibile. E persistente. La bottega dunque catturò la sua attenzione.

Dalla vetrina colma di vasellame di ogni tipo si poteva scorgere una figura, in fondo alla stanza. La ragazza si avvicinò trascinandosi dietro la mano del ragazzo e anche tutto il resto del ragazzo, fino a schiacciare il naso sulla vetrina per vedere meglio. Era la figura di un uomo. Un vecchio.

Un vecchio uomo seduto al tornio, che lavorava la creta. La sua ombra ricamava sulla parete le movenze fluide e ritmiche di una danza segreta. La creta si modellava docile tra le sue dita in un girotondo di cui solo lui conosceva la canzone. Acqua e polvere  diventavano vasi e piatti e ciotole e tazze.

I suoi movimenti sapevano di amore e dedizione. E la creta sembrava leggergli nel pensiero, assecondando i suoi desideri. Spostava un dito di un niente e la creazione tra le sue mani si trasformava in qualcosa di completamente diverso. E fino alla fine non avresti saputo dire cosa ne sarebbe uscito.

Ultimamente ne uscivano mongolfiere. Mongolfiere di creta.

Si sarebbe potuto pensare che non avessero senso, che fossero un inutile prendipolvere un po’ infantile. Mongolfiere di creta… Che assurdità! Questo, si sarebbe potuto pensare, vedendo un uomo che crea ceste di creta grandi come un ditale, e vasi panciuti che una volta girati sottosopra ricordano palloni aerostatici.

La ragazza entrò nella bottega senza dire una parola al ragazzo che si trascinava dietro con la mano e tutto il resto. Lui non capì. La sua mano neppure. L’uomo alzò lo sguardo dalla creta che gli scivolava tra le dita agli occhi di ghiaccio della ragazza.

Dietro di lei vide un ragazzo, che la teneva per mano. E dietro il ragazzo, che stava sulla porta della bottega, vide le lanterne volanti nel cielo. Lo sguardo gli tornò sugli occhi di ghiaccio della ragazza, che erano più luminosi di qualsiasi lanterna. E la sua voce fu limpida e cristallina al pari dei suoi occhi quando disse

«Buonasera».

«Buonasera» disse anche il ragazzo con lo sguardo un po’ sperduto che non teneva la ragazza per mano. Era lei a tenere il ragazzo, capì il vecchio. E a tenere acceso il mondo, pensò, con quegli occhi di diamante.

«Buonasera a voi. Posso esservi utile?»

«Cosa sta modellando?»

Sorrise, il vecchio. «Si potrebbe pensare che sia un vaso, o un’ampolla dal collo corto» rispose.

«Si potrebbe» disse la ragazza, «ma non sarebbe corretto».

Sorrise di nuovo, il vecchio,  e completò il lavoro in silenzio.

Quando ebbe finito si rivolse alla ragazza, che era rimasta lì, in attesa, con i suoi occhi di ghiaccio e la mano del ragazzo e tutto il resto.

«Credo che dovresti andare di là» le disse, indicando una porta nell’angolo in fondo alla stanza.

La ragazza si mosse in quella direzione, come se stesse camminando verso il suo destino. Attraversò la bottega ed era come se avesse dei binari ad indicarle la strada e un istinto dentro a spingerla verso quella porta e quella stanza e ciò che vi avrebbe trovato. Il ragazzo invece era rimasto dove lei lo aveva lasciato. Senza nessuno a trascinarlo, non sapeva bene cosa fare.

La ragazza attraversò la soglia, ed entrò nella stanza adiacente. Una luce calda illuminava l’ambiente e il pavimento era completamente sgombro. Ma la stanza non era vuota. Fece qualche passo fino ad arrivare al centro e poi, girando lentamente su se stessa, alzò gli occhi di ghiaccio verso il soffitto.

Centinaia di vasi che non erano vasi pendevano dal soffitto, ognuno con il proprio ditale che non era un ditale. Erano mongolfiere. Mongolfiere di creta, ognuna con il proprio piccolo cesto di creta collegato con del sottile filo bianco.

Ce n’erano di ogni colore e dimensione. Grandi come palloni da calcio e piccole come palline da golf. A righe orizzontali, verticali, oblique. Sfumate, a quadri, a pallini. Arcobaleno variopinto e meraviglioso.

Il vecchio entrò nella stanza, seguito dal ragazzo.

«Sono bellissime» disse la ragazza.

«Scegline una», disse il vecchio.

«Non saprei quale scegliere…»

Continuò a guardarsi intorno finché si decise e scelse una minuscola mongolfiera rosa, e una molto grande a righe verticali, multicolore. Il vecchio le incartò con cura con strati e strati di carta velina e le mise in una busta color avana.

La ragazza gli porse la carta di credito, ma lui disse che non accettava pagamenti elettronici. Lei guardò il ragazzo, in una silenziosa richiesta di aiuto.

Lui disse «Non ho contanti».

«Neppure io» si giustificò la ragazza, con la carta di credito ancora in mano, sospesa nel vuoto.

Il vecchio le porse la busta che conteneva le mongolfiere: «Non importa, me li porterai».

«Ma siamo di passaggio… ci sarà una banca qui vicino, no? Vado a prelevare».

«Non preoccuparti, mi è già successo».

«Cosa le è già successo?»

«È già successo che dei clienti non avessero contanti e siano tornati a pagare in un secondo momento. Una volta un cliente ha acquistato tantissime mongolfiere, il conto aveva raggiunto un importo piuttosto alto. Se n’è andato con tutta la merce e ho ricevuto un bonifico qualche giorno dopo».

«E lei si fida?»

«Perché non dovrei?»

«Non so, magari perché la gente tende ad approfittare delle situazioni…»

«Finora nessuno ha preso una mia mongolfiera senza pagarla».

La ragazza lo guardò dubbiosa.

«Perché le mongolfiere?»

Il vecchio posò la busta color avana sul bancone, e cominciò a raccontare.

«Tutto è iniziato con le lanterne volanti, come quelle che vedete lì fuori. Poi, alla fine del 1783, a Parigi migliaia di persone si radunarono per vedere la storia scriversi davanti ai loro occhi. Qualcosa di inimmaginabile stava per succedere: due uomini avrebbero volato. Si sarebbero sollevati dalla terra a bordo di un enorme pallone di seta riempito di un gas più leggero dell’aria. Il sogno proibito dell’umanità si stava realizzando. La mongolfiera si librò a mille metri da terra e attraversò il cielo, percorrendo dodici chilometri. Fu un’impresa epocale che tracciò un confine tra il prima e il dopo.

Le mongolfiere, però, hanno un grave limite: sono guidate solo dalla forza del vento. E dovettero cedere il passo e mezzi più efficienti. Perché l’uomo vuole decidere dove andare.

Tutti noi siamo aerei a motore con le con le nostre belle rotte impostate. Alcuni sono vecchi catorci della prima guerra mondiale, con i motori rotativi e la fusoliera di tela e legno. Altri sono jet a decollo verticale invisibili ai radar, che rompono il muro del suono. Alcuni sono apache pronti alla guerra. Altri sono cargo che si portano in giro il loro pesante carico. A volte siamo i piloti, a volte ci muoviamo con il pilota automatico.

Tutti facciamo il possibile per arrivare in fretta dove dobbiamo arrivare, spesso dimenticandoci perché ci stiamo andando. Abbiamo i satelliti a dirci cosa combinerà il meteo, sappiamo quanto forte soffierà il vento e in che direzione, se la pista sarà ghiacciata, quanto carburante consumeremo e quanti minuti potremo recuperare in caso di ritardo.

Le mongolfiere, invece, ci ricordano che a volte dobbiamo lasciare che la vita vada dove vuole. A volte dobbiamo lasciarci trasportare dalla corrente ascensionale senza cercare uno scopo, ma solo godendo del paesaggio. A volte dovremmo dimenticarci dei comandi e degli strumenti, e assaporare il viaggio e quello che ci può insegnare».

Gli occhi color ghiaccio siderale della ragazza lo fissavano in silenzio.

«Farò in modo di recapitarle quanto le devo», disse poi.

«Lo so» rispose il vecchio, porgendole la busta che conteneva le mongolfiere.

Lei afferrò la busta con una mano, con l’altra mano prese la mano del ragazzo e si voltò verso l’uscita. Le lanterne volanti erano ormai puntini minuscoli nel buio del cielo.

Si confondono con le stelle, pensò la ragazza.

Quella ragazza ha le stelle negli occhi, pensò il vecchio, mentre la guardava uscire trascinandosi dietro la mano del ragazzo e tutto il resto.

Si sarebbero rivisti ancora, ne era certo.

Bastava solo lasciarsi portare dal vento, come fanno le mongolfiere.


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Intervista ad Arianna Bettin


NOTA della REDAZIONE.

Sebbene  Flickr sia un contenitore inesauribile d’immagini è sempre difficile scovare una fotografia che visualizzi perfettamente lo specifico scenario evocato in un racconto da un’autrice visionaria o un’autore assai fantasioso; talvolta ci dobbiamo accontentare di scatti che siano appena appena pertinenti ai racconti che andiamo a commentare. D’altra parte è risaputo che la forza della finzione letteraria è pari (e talvolta anche superiore) alla sola costruzione onirica … ma quando ci siamo imbattuti nell’immagine di copertina di questo racconto ci siamo detti subito: “E lei, perbacco!”.

La fotografia in questione non era scaricabile liberamente dal sito e anzi la didascalia a margine minacciava di non utilizzarlo previo esplicito consenso dell’autore, Angelo Cesare Amboldi. Dunque, senza pensarci un solo istante, abbiamo prontamente lo abbiamo contattato.

Eravamo certi che, proclamando il taglio squisitamente culturale del nostro sito e l’assoluta mancanza di fini commerciali, il sig Angelo ci avrebbe concesso il suo benestare senza alcuna restrizione, salvo citare il suo nome e il luogo dello scatto.

E abbiamo atteso. E abbiamo atteso la sua risposta. E abbiamo atteso ancora anche se in cuor nostro nasceva il dubbio che forse l’autore non “voleva” oppure non “poteva” risponderci. 

Purtroppo, alcuni giorni dopo,  la nostra seconda congettura ha avuto una drammatica conferma quando, dando in pasto al noto motore di ricerca il nome del fotografo, ci siamo imbattuti nel titolo. “LA PERSONALE POSTUMA DI ANGELO CESARE AMBOLDI”. La notizia era nella sezione news del giornale della città dove risiedeva sig Angelo. Risaliva al dicembre 2013. 

A questo punto ci siamo sentiti in dovere di pubblicare questo mirabile istante di vita catturata da ANGELO CESARE AMBOLDI e dalla sua macchina fotografica, se non altro per onorarne la memoria nonché le magnifiche capacità di cogliere l’attimo fuggente.

Non ce ne vogliano perciò gli eredi o i legali rappresentanti del sig Angelo se, a margine della suo scatto e nella certezza che nulla avranno da obiettare, ci limiteremo a pubblicare questa didascalia:

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fotografia di ANGELO CESARE AMBOLDI, “Flying lanterns”, scattata il 18 dicembre 2011, dal sito web www.flickr.com