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L’altra

un racconto da leggere soprattutto … dopo la parola “fine”

Quando ti sorprende un temporale del genere in autostrada, è persino difficile distinguere che tipo d’acqua sia quella che si rovescia addosso alla tua automobile da ogni direzione. Quella che scende dall’alto è pura e trasparente, e la manda giù gratis il buon Dio. Ma poi c’è anche quella grassa di fango e di olio schizzata dalle auto che ti corrono davanti, e dai camion che stai sorpassando …

Valerio guida da più di due ore, e l’ultima azione che ricorda con certezza di avere compiuto coscientemente è stato il ritiro del tagliando al casello d’ingresso di Firenze. Poi è stato un continuo susseguirsi confuso di chilometri e pensieri.

E’ sempre il cambiamento, quello che spaventa di più. Sa bene che dopo che avrà visto Elisa al di qua del cancello degli Arrivi Internazionali di Malpensa, la vita non sarà più la stessa. Non sarà più la stessa per nessuno, in effetti. “Un viaggio di lavoro. Questione di un paio di giorni a Milano.” La solita banale scusa che prima o poi ogni marito propina alla moglie, l’ha appunto somministrata per l’occasione a Teresa. E lei che come al solito gli ha creduto, senza fare domande, senza avanzare obiezioni.

Eppure … Come ha fatto a non sospettare niente nemmeno quando ieri, di sabato mattina per giunta!, lui s’è alzato di buon’ora, e se n’è andato con l’automobile a uno dei pochissimi “lavaggi a rullo” aperti in città? Possibile che non l’abbia sfiorata neanche un dubbio allorché le ha chiesto di portargli per favore il vestito in tintoria, accertandosi che lo stirassero come si deve … Senza parlare naturalmente della camicia e della cravatta comprate in Galleria il venerdì, e sistemate sulla poltrona, già pronte per essere indossate al momento di mettersi in viaggio. E che non abbia battuto ciglio, vedendolo tornare a casa il pomeriggio coi capelli freschi di taglio, shampoo e frizione? Che non abbia riconosciuto il taglio perfetto di Modaveri, il re incontrastato dei parrucchieri del centro, quello da cui lui non andava più dai tempi dei loro appuntamenti da fidanzati. “ Chissà, forse si tratta soltanto di una raffinata strategia psicologica: a volte per una donna accordare una fiducia talmente incondizionata al suo uomo si rivela in realtà il metodo più efficace per legarlo a sé, facendolo sentire costantemente sotto esame da parte della propria coscienza. “ Un sospetto più che legittimo per tutti, ma non per lui, che per oltre quindici anni ha avuto modo di sperimentare il coerente, candido e incondizionato amore di Teresa.

Cinquanta chilometri dall’aeroporto, adesso. Che vuol dire più o meno mezzora, manovra di parcheggio compresa. Altri quaranta minuti prima dell’atterraggio del volo sul quale viaggia Elisa. Quindi in tutto poco più di un’ora prima dell’incontro che, comunque vada, inciderà profondamente e irrevocabilmente il destino di tre persone.

Si ritrova fermo nello spiazzo dell’autogrill senza neppure sapere come e perché. Realizza che nonostante la stanchezza non è di un caffè che sente la necessità più immediata. Scende la scala che porta ai servizi, lascia cadere una banconota nel cestino della custode, poi si dirige subito al grande specchio che sovrasta i lavandini. Aggiusta il nodo della cravatta, liscia le pieghe della giacca e dei pantaloni, col pettine cerca di rimettere a posto, almeno per quanto possibile, la costosa opera di Modaveri. “I primi tre secondi”, gli suggerisce la voce da manager che troppo spesso ormai si sostituisce alla sua, e che gli parla dentro giorno e notte, senza pause per le feste. “ Sono in assoluto i più importanti quando incontri qualcuno.” Subito dopo estrae per l’ennesima volta dal portafoglio (dallo scomparto segreto) la foto di Elisa che porta sempre con sé. La guarda, e come sempre succede, sente il cuore accelerare i battiti. – Sei bellissima, angelo mio, e tra poco saremo insieme. – mormora, non abbastanza a bassa voce per impedire che il ragazzo che si sta lavando le mani accanto a lui si volti a guardarlo con l’espressione intimidita di chi s’interroga su quanto possa essere pericoloso un folle. “ Ma Teresa … ” non può fare a meno di chiedersi Valerio, mentre riallaccia la cintura di sicurezza, e il motore ronfa tranquillo in folle. “ Cosa dirà Teresa quando lo saprà? “

E’ incappato in un traffico imprevedibilmente intenso, nell’ultimo tratto di strada, e anche trovare un posto nel parcheggio dell’aeroporto non è stato poi così facile. Così adesso si deve affrettare nei lunghi corridoi, è costretto a camminare veloce sui nastri trasportatori troppo pigri, se non vuole rischiare di arrivare in ritardo. Cioè proprio l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, affannarsi fino all’ultimo istante, perdendo così il piacere intenso e struggente dell’attesa di un momento magico e irripetibile, per quanto breve. E’ uno slalom concitato tra centinaia di passeggeri in attesa, e i loro bagagli, scandito dagli annunci quasi incomprensibili degli altoparlanti che annunciano decolli, atterraggi e imbarchi. Poi finalmente in lontananza lampeggia l’incredibile rosso dei lunghi capelli della dottoressa Connors. La riconosce da lontano tra tanti e fra tante, col suo volto da fotomodella, le gambe lunghe, un fisico da schianto e l’eleganza sobria della donna in carriera. In realtà lei è una giovane e promettente pediatra, ma chi potrebbe indovinarlo, a vederla così? Una donna intrepida che, per svolgere la sua opera di medico volontario in uno dei Paesi più poveri d’Africa, a trent’anni ha rinunciato a una promettente carriera, abbandonando da un giorno all’altro la fresca cattedra e il prestigioso studio nel centro di Dublino, allestito dal padre apposta per lei. Anche lei l’ ha visto, un largo sorriso le scompiglia allegramente le lentiggini così deliziosamente irlandesi, mentre agita in alto il braccio in segno di saluto.

Valerio si ferma sul posto, stordito e confuso. Il salone, i bar, le botteghe stipate di giornali, profumi, cravatte, cinture e souvenirs scompaiono insieme alla gente che lo circonda, inglobati dalla nebbia chiara che ottenebrandogli la mente impedisce la formulazione di idee che conservino un minimo di coerenza. “Possibile che sia venuta dal Burkina Faso da sola?” si chiede, incapace di accettare quell’ipotesi, cercando non senza difficoltà di non cedere al panico che, salendo in una gelida spirale dalle gambe, gli paralizza i movimenti e gli tronca il respiro. Subito dopo però comprende che per trovare quello che cerca deve soltanto spostare lo sguardo appena più in basso, accanto alla donna: lì c’è una bambina di otto anni dalla pelle color cioccolato, con un vestito a quadretti bianchi e blu, i capelli acconciati in una miriade di treccine, che lo fissa con gli enormi occhi scuri spalancati. Compostamente seduta sulla sedia a rotelle, gli sta facendo timidamente ciao anche lei.

– Elisa! – urla Valerio, con tutto il fiato che ha in corpo. – Papà. – gli risponde la bambina, balbettando quell’unica parola così piano che lui, ancora lontano com’è, può soltanto leggerglielo sulle labbra. Quasi inciampa in un borsone da viaggio, mentre riprende a correre verso di loro per superare quegli ultimi quindici metri, un’altra valigia la salta come se fosse un ostacolo sulla pista di atletica.

Vorrebbe trasformare in parole tutto quanto gli vortica nella mente e nel cuore, vorrebbe abbracciare quella meravigliosa creatura e stringerla forte al petto. – Il viaggio è andato bene, Dottoressa? – invece è tutto ciò che gli riesce di dire. – Ci sono trecento chilometri da Bobo Dioulasso all’aeroporto di Ouagadougu, lo sa bene anche Lei, Mister Galanti, e non si tratta esattamente di un’Autostrada. – gli risponde la giovane donna, nel suo italiano deliziosamente farcito di risonanze britanniche. – E nelle condizioni di Elisa … – aggiunge subito dopo, appendendo un sorriso in fondo alla frase. – Vuole dire che … – – No, stia tranquillo, non ci sono stati particolari problemi. E’ una bambina molto coraggiosa. – – Sì, lo so. – Si china a carezzare la piccola malata, e lo fa con delicatezza persino esagerata, come se avesse paura di infrangere in qualche modo quell’incanto.

La opereranno in settimana a Milano, cercando di eliminare la malformazione congenita che le sta sgretolando il minuscolo cuore. Forse l’intervento riuscirà perfettamente (Valerio ha pregato tanto per questo) e una giovane vita riprenderà subito a germogliare, com’è giusto e naturale che sia alla sua età. Elisa tornerà finalmente a sedersi al suo banco, tra i compagni di classe, nella scuola costruita e gestita da Alpha Solidarité. Forse invece la piccola non ce la farà, e la sua anima salirà al cielo per andare a ricongiungersi con quelle di milioni di altri piccoli martiri della fame e della miseria. La sola cosa di cui è certo Valerio è la dolce violenza con cui lei ha saputo penetrargli nel cuore da quando l’ha scelta, la più indifesa e malata tra indifesi e malati, per l’adozione a distanza. Bella, così incredibilmente bella, molto di più di quanto gli era apparsa nell’unica foto in cui aveva avuto modo di vederla.

Basta premere sul cellulare il tasto col telefonino verde, per ripetere l’ultimo numero composto e chiamare casa. – Sono Valerio. – dice, trattenendo un’emozione che troppo presto sarebbe tentato di sciogliere in lacrime. – Quel figlio che aspettavamo, Teresa … che volevamo così tanto e che non ci è mai arrivato … è appena atterrato all’aeroporto. –

FINE (ma continua a leggere … il bello viene adesso!)


Ho voluto dedicare questo racconto al CIAI (Centro italiano aiuti all’infanzia) via Tertulliano, 70, 20137 Milano. Per saperne di più scrivi a info@ciai.it (sito internet www.ciai.it ) oppure chiama allo 02/540041 o al numero 848-848.841 (al costo di un solo scatto in tutta Italia e per tutta la durata della conversazione

Nota dell’autore: Il CIAI dal 1968 difende il diritto di ogni bambino, ovunque sia nato, a crescere nell’amore di una famiglia. Ogni anno sostiene i bambini del mondo attraverso oltre 5000 Sostegni a Distanza e ne previene l’abbandono con progetti rivolti alle loro famiglie in Burkina Faso, Etiopia, Ruanda, Cambogia, India e Romania. In trent’anni di vita ha anche dato a 1500 bambini una nuova famiglia in Italia, difendendo la centralità del bambino nell’Adozione Internazionale E poi, corsi di formazione per le famiglie e gli operatori, campagne di sensibilizzazione contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e numerose pubblicazioni per dire con fermezza che UN BAMBINO E’ UN BAMBINO IN TUTTO IL MONDO Senza il tuo aiuto tutto questo sarebbe impossibile! Sostieni l’impegno del CIAI e aiutalo a dare un domani a questi bambini. Puoi scegliere tu: 10, 25, 50, 300, 1.000 Euro… qualunque sia il tuo contributo, è il segno tangibile della tua amicizia e può rendere migliore il presente e il futuro di tanti bambini.

… perché non c’è modo migliore di dimostrare e di donare amore!

Buon Natale, buon 2004, buona vita … a tutti i bambini del mondo.

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Patrizio Pacioni

L’amore del vento

C’erano giorni in cui il cielo era coperto, altri in cui qualche fiocco di vapore qua e là cercava di rendere meno monotono il paesaggio. C’erano altri giorni ancora in cui le nubi si strappavano all’improvviso e cominciavano a correre e a inseguirsi senza riposo: voleva dire che era arrivato il vento. D’altronde il mondo era stato creato da poco ed il vento si divertiva come un matto ad esplorare le altitudini e a guardare i campi da lassù, ad arricciare i capelli alle nuvole, a fare a gara con gli uccelli, ad accarezzare le vette dei monti, a riscaldarsi la schiena al calore del sole, a spostare la pioggia sopra il mare o la grandine sulle foglie degli alberi. Non era dispettoso o stupido: era il vento. Aveva sentito parlare degli uomini e del loro darsi da fare. Non ne era molto attratto e comunque non aveva molta passione per ciò che rimaneva piantato in terra, per qualunque cosa che non fosse capace di volare o di innalzarsi. Era una creatura dell’aria e ne andava fiero: che c’era poi di così interessante da vedere, laggiù, dove tutto appariva infinitamente piccolo e insignificante? L’altezza, i grandi spazi, i divini silenzi, la profondissima calma e gli sterminati orizzonti era quello di cui aveva bisogno il re dell’aria, colui che muoveva i cirri ed i cumulonembi sulle vie dell’atmosfera. Un giorno come tanti che si trovava a giocherellare tra le cime delle montagne innevate, vide un’aquila posarsi su di un nido: – E’ un piacere incontrarti, aquila. – L’onore è mio, vento. – Da quale viaggio ritorni? – Sono stata lontano, seguendo i raggi del sole. Ho visto grandi città, fiumi ed erba: ho visto uomini innalzare torri alle stelle e camminare lungo sentieri che si perdono nei deserti. Ho visto uomini piangere e ridere, uomini felici e uomini meschini. Li ho visti rincorrere ricchezze e diventare poveri. Li ho visti amare ed odiare. Ho visto fuochi accesi nel buio delle case e ho visto uomini che spegnevano il fuoco, che distruggevano case. Li ho visti darsi la mano nel giorno e poi sollevare la stessa mano insanguinata di notte. – Già…Gli uomini: devono essere delle creature veramente stupide ed incoerenti… – E’ vero. Ma sono interessanti. Mi stupiscono: puoi vederli abbrutire per un’idiozia o risplendere di valore per grandi ideali. Li puoi vedere tradire per pochi denari come puoi scoprirli a morire per salvarsi l’un l’altro. – E tu, torni sfinita per vedere quei quattro imbranati senza capo né coda? Perché non rimani qui, dove tutto è calma e grandezza? Cosa cerchi laggiù, alle basse quote, che non hai qui? L’aquila rimase in silenzio per qualche secondo poi: – Non sei mai stato giù, vero? – No. E non ne sento la necessità. – Ma non sai come è esattamente. Sbaglio? – Beh … lo posso vedere da qui. – Da qui non vedi nulla. La terra, gli uomini, le loro piccole grandi emozioni, i prati in fiore, l’azzurro dei mari, il pianto di un bambino … tutto scompare se lo guardi da troppo lontano. – Che cosa è un prato in fiore? – Non si può spiegare a parole. Da qui è solo una macchia di colore in mezzo al verde. Una lacrima colorata dell’arcobaleno, forse. Dovresti dargli un’occhiata da vicino. – E come farò a sapere che quello che starò guardando sarà un prato in fiore? – Te lo dirà il cuore. Vai, ora. – Cosa significa? – Vai. Hai già perso troppo tempo. Detto questo, l’aquila piegò il capo sotto un’ala e si addormentò, incurante delle altezze e dei monti e delle nuvole e dell’azzurro, degli uomini e di tutto quello che aveva visto, che le affollava l’anima. Il vento, per la prima volta in vita sua, scese sulla terra.

Cominciò col seguire il corso di un fiume e ben presto arrivò ad una città: spalancò porte e finestre per meglio vedere gli uomini, sollevò tende e vestiti, spazzò strade e viuzze, accarezzò le teste dei piccoli e sciolse i veli alle donne. Ascoltò tutti i discorsi, capì la fatica dei naviganti ed il sudore dei contadini, scivolava tra le parole dolci e soffiava su quelle amare, agitò bandiere, risuonò nelle campane, infine passò in silenzio sui templi e sui cimiteri. Era stata una giornata piena ed emozionante e per riposarsi continuò a seguire il corso della corrente fino a ritrovarsi in un luogo che lo riempì di serenità: era tutto verde e cominciò a scorrere le sue lunghe dita tra gli steli dell’erba disegnandoci placide onde. Poi, per un attimo, quasi si arrestò: sul prato c’era qualcosa di colorato. Dalle quote in cui abitualmente si muoveva appariva talmente piccolo che non ci aveva mai fatto caso. Si avvicinò con curiosità e poi cominciò a girarci intorno: era un fiore. Un piccolo fiore azzurro. Bellissimo. Era perfetto, su quel prato. Non c’era dubbio: era un fiore, anche se era la prima volta che ne vedeva uno, non si poteva sbagliare. Quello era un fiore e quello doveva essere un prato fiorito. – Sei stupendo. – Disse il vento danzandogli attorno. – Grazie. Chi sei tu? – Sono il vento. Non sono di qui. Abito nel cielo. – Sei tu che mi stai facendo dondolare? – Si. Ma sto cercando di fare piano. Mi sto muovendo il più lentamente possibile. Spero di non recarti noia. – Non ti preoccupare. Anzi, è dolce. Mi piace come mi muovi. – E a me piace muoverti: sei delicato e leggero. – Stai attento a non fare troppo forte, sono fragile. – Non ti preoccupare…Tu abiti qui? – Credo di si. Sai, sono nato da poco e ancora non so bene qual è il mio compito…Tu sai qual è il tuo compito? – Non ho le idee molto chiare. Mi muovo. Sto sempre in movimento. Se non mi muovo non ci sono. Il mio esistere, il mio esserci è dato dal mio movimento. – E non ti fermi mai? Non puoi sederti un po’ vicino a me? – Non posso: te l’ho detto: se mi fermo, muoio. – Che peccato, pensavo avremmo potuto stare un po’ abbracciati. – Che significa “abbracciati?” – Significa stare fermi, aggrappati l’uno all’altro. Non lo hai mai fatto? – No. E’ bello? – Non lo so. Nemmeno io l’ho mai fatto. – Cercherò di imparare, allora. Il vento accarezzò per un po’ i petali del fiore che gli sorrideva nel caldo della primavera e poi disse: – Devo andarmene, ora: sono stanco e ho bisogno di tornare per un po’ in alto. Tornerò a trovarti presto. Fece un giro attorno al suo gambo, sfiorò con dolcezza ogni petalo, ogni millimetro di corolla e se ne andò. Il giorno seguente e gli altri ancora era ancora lì, a meravigliarsi per gli uomini e per la terra, ma soprattutto a cercare di abbracciare e stringere il suo fiore che con il tempo diventava sempre più bello. Venne l’estate ed il grano attorno cresceva alto e forte, ma il fiore si era aperto in tutta la sua gioia, ed ogni riflesso del suo colore riempiva di dolcezza il vento che nel frattempo diventava sempre più abile e lieve e il suo soffio era diventato una brezza: ogni tanto sembrava quasi riuscire a fermarsi e posare la sua mano sui petali ma era solo un istante e di nuovo cominciava a correre. E le carezze, i soffi leggeri, lo sfiorarsi continuò per tutti i mesi del caldo, per tutte le notti con le stelle ed i grilli a cantare alle lucciole tra le spighe.

Ma se ne andarono le lucciole. Ma tacquero i grilli. Scomparvero le spighe. Venne così l’autunno ed il fiore sembrava essere sempre più debole ed il vento si sentiva sempre più forte. Il vento doveva stare molto attento nel provare ad abbracciare il fiore perché questo avrebbe potuto farsi male. – Cercherò di essere più delicato che posso – sussurrò il vento – e ti starò sempre accanto. Mi stanco molto meno, ora. Un giorno il vento trovò il fiore triste e silenzioso, chissà, forse erano le nuvole scure all’orizzonte a renderlo triste, forse il grano che non c’era più… – Cosa ti succede? – chiese il vento preoccupato. – Non è nulla, pensavo. Ti ricordi di quando ci siamo incontrati? Cosa eri venuto a fare quaggiù? – Volevo vedere un prato fiorito. Ma poi ho incontrato te. E tu sei stato il mio prato fiorito. – Io sono solo un fiore. Ma non ti preoccupare: il prossimo anno qui ci saranno tanti fiori. In ognuno di quei fiori ci sarà un po’ di me e un po’ di te. Vedrai il prato fiorito. – Ma ci sarai anche tu, no?

Il fiore non rispose e quel giorno tutti e due non si dissero più nulla ed il vento accarezzò come mai era riuscito a fare ed il fiore non aprì più bocca, nemmeno quando due petali caddero piano. Ma il vento non se ne accorse. Piano, intanto, la neve cominciava a scendere. Il vento cominciò allora a correre più forte, a giocare con i fiocchi e a soffiare con più energia. Ma il vento non se ne accorse. Altri petali caddero piano. Ma il vento non se ne accorse. In un momento di gioia più grande il vento abbracciò il fiore e…ci riuscì. Sentiva il fiore vicino vicino, sentiva i petali e sentiva lo stelo, sentiva il profumo, ne sentiva i colori, il sorriso e l’amore. Poi sentì un odore più acre, più forte: era l’odore della morte. Non era più lì, quel fiore, ma era disperso, portato dal vento d’inverno su se stesso, disperato, riverso.

Il vento che voleva un abbraccio. Ma che abbracciare non sapeva.

Qualcuno giura di averlo visto gridare tra le gole della valle, urlare di rabbia sui fianchi del colle, colpire il mare e la terra. Era la pioggia ed il lampo, era artiglio di gelo, era alito d’arsura. Era un cielo impaurito. Era la notte senza la luna.

Qualcuno giura di averlo visto passare ancora d’estate, leggero, su quel prato fiorito a cercare di afferrare ciò che non può essere afferrato, a cercare di capire ciò che non può essere capito. Qualche volta piange. Qualche volta ride, divertito.

Qualcuno giura di aver visto quattro petali di fiore volare via, nel silenzio.

Volare in alto. Più in alto dell’aquila. Delle stagioni. E del vento.


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Ali d’angelo

Circa due anni fa mi trovai il giorno prima dell’inizio della scuola, seduto al bar con degli amici. Mentre chiacchieravamo felicemente pensando all’estate passata, un uomo ci avvicinò chiedendoci di farci qualche domanda, dicendo di essere stato incaricato di fare una statistica fra i giovani. Per nulla imbarazzati rispondemmo di sì. Ad un paio di domande molto semplici ne segui una …  “Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?” I miei amici, poco seriamente risposero dicendo tutte quelle stupidate che si dicono a 16 … Un motorino nuovo, una modella … Io però non riuscii a rispondergli e dissi che non ne avevo idea. Poi, durante un pomeriggio piovoso, in mente mi tornò quella domanda, “Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?”… Ci ripensai fortemente e alla fine senza sapere perché dissi un paio di ali d’angelo candide come la neve … Il campanello alla porta suonò, ed io solo in casa andai ad aprire … Avvolto da una luce bianca l’uomo dell’intervista mi comparve davanti e mi disse: “Ecco le tue ali provale per una settimana poi verrò io a prendermi qualcosa …”, “quando le vorrai usare basterà che le desideri intensamente ed esse usciranno dalla tua schiena, e per quanto alto volerai non avrai bisogno di ossigeno per respirare le sole ali basteranno …” detto questo scomparve davanti ai miei occhi in un lampo bianco … Credendomi pazzo, corsi preoccupato nel bagno a sciacquarmi la faccia e a guardarmi allo specchio … Poi ad un certo punto pensai  alle ali, e in quel preciso istante qualcosa, dolorosamente inizio a premere contro la maglietta fino a strapparla … un paio di lunghe ali bianche erano uscite dalla mia schiena e da esse una lunga serie di piume cadeva copiosa, svanendo toccando il terreno Pensai di non volere le ali ed esse si richiusero … Passò un giorno e un po’ preoccupato di essere preso per pazzo non dissi a nessuno di questo. Poi una notte tardi … decisi di provarle, le feci aprire, e in mezzo alla strada deserta spiccai un salto verso i cielo … Come fosse stato un movimento naturale le ali cominciarono a sbattere e a planare, a me bastava senza fatica pensare dove dirigermi, e quanto velocemente volevo farlo. Scoprii che in un attimo (Bastava pensarlo!!) potevo arrivare da Taranto a Roma … Lo pensai e così mi trovai a sorvolare la capitale. Mi diressi in una zona conosciuta vicino la stazione, sbirciai in ogni finestra del palazzo che avevo scelto, tutte aperte per il gran caldo di quell’estate. Quando stavo per perdere la speranza, la trovai finalmente, che dormiva profondamente nel suo letto … Era proprio bella … ed era cresciuta nonostante non la vedessi da un anno. Ad un tratto di colpo si alzò, ancora assonnata vide il mio viso dalla finestra … Non credendo ai suoi occhi corse verso la finestra, e vide le grandi e candide ali che sbattendo lentamente mi sostenevano … mentre stava per aprire bocca e dire qualcosa, le feci cenno di non parlare e sorridendo le diedi un bacio sulla guancia e volai via …Tornai a casa e mi misi a letto … Pensai alla mia piccola avventura. Il giorno dopo lei mi chiamò e mi chiese se per caso non ero stato a Roma in quei giorni. Le dissi di no, mentendo. Con un po’ di vergogna mi raccontò tutto e io  le risposi che forse aveva sognato tutto. Mi disse che probabilmente era stato così. Chiudemmo la telefonata con la promessa di sentirci presto. Quella notte stessa tornai da lei, ma la trovai sveglia ad aspettare alla finestra … invece di farmi sostenere dalle ali mi appoggiai dolcemente sul davanzale della finestra … Non rimasi per molto, giusto il tempo di spiegarle tutto ma in maniera molto vaga … Tornai a casa, ero ormai a metà settimana, fra un po’ lui sarebbe tornato e avrebbe voluto qualcosa di mio … Scacciai quel pensiero, ed ogni sera tornai a quella finestra, ma senza fermarmi mai  per molto tempo. Lei una di quelle sere mi confessò di essersi innamorata di me, ne ero felicissimo, ma subito mi prese il sospetto che fosse solo per via delle mie ali di angelo … Le dissi che se avessi perso le ali non sarei potuto più tornare da lei ogni sera, ma lei disse che non le importava. Le concessi comunque il beneficio del dubbio e continuai fino a domenica … Poi proprio domenica sera, quell’uomo tornò … Mi chiese se volevo tenere le ali … io gli chiesi quale fosse il prezzo da pagare, per avere la cosa che “di più avevo desiderato nella mia vita”. Mi portò con lui in volo, e atterrammo sul davanzale che avevo frequentato in queste notti … Mi disse: “Voglio lei … se accetterai la porterò con me e tu avrai ciò che desideri”… In quel momento stesso gli dissi di riportarmi a casa … e gli dissi avvolto in un turbinio di piume e lacrime di rabbia di riprendersi le ali … Mentre usciva dalla porta mi disse “Sapevo che avresti scelto bene… in fondo non hai già la cosa che più si possa desiderare nella vita?” Detto questo sparì … Ripensai a lei e capii ciò che voleva dire…..

 


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KoRn

Appunti di volo

Eccomi qui in aereo come tante altre volte. Ma stavolta è uno strano effetto. A me piace volare, viaggiare, vedere, conoscere, capire. E’ nella mia natura. Ma vi volevo parlare di altro. Di un emozione … Perché vedete volare, passare dall’alto su terre, mari, da’ un’altra prospettiva. E’ come se una telecamera fissa su un soggetto a poco a poco allargasse l’inquadratura. E’ cosi. Cioè, tu hai l’inquadratura fissa sulla tua vita, sulla tua normalità … normalità, si, no non mediocrità … vabbé, comunque tu sei li, fisso, e poi ad un certo punto tutto si allarga e si restringe e la tua prospettiva cambia. In volo. E’ bellissimo. Se gli psicoterapeuti fossero gente onesta dovrebbero consigliare questa esperienza a chi ha la vita inchiodata ad un muro. Così come le farfalle. In modo da riprendere il volo. Invece di impazzire. Ed io infatti ora mi libro. Ma vi volevo parlare di un’altra cosa. Vi volevo parlare di morte. No, non è un pezzo triste. Aspettate. E’ che oggi ci ho pensato. Ancora. Forse perché non sto bene? Forse, ma non so. Soprattutto perché ho capito. Ho capito che alla fine non deve essere male morire. E come quando parti in aereo. La sensazione meravigliosa del carrello che stacca è l’anima che sale verso l’alto. E’ certo che anche in quel caso bisogna che il corpo sia ben fermo. Con le cinture allacciate, ma proprio forte. Ed è cosi che poi lei, l’anima, si stacca e finalmente … vola. Libera. Allargando finalmente la prospettiva su tutto il mondo, sulla vita. Finalmente capace di non essere inchiodata in mille piccolezze, particolarità. Si. Che altro dire? … Il tempo è magnifico ed il panorama pure … Ah, ma mi raccomando cercate di volare lato finestrino. Altrimenti correte il rischio di cambiare la prospettiva della vita con quella dello schienale magari reclinato della poltrona davanti a voi. Alitalia docet … si, grazie del buon succo di frutta a farmi compagnia in questo volo. Un altro, di prova generale.


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space shuttle
Serena Iossa

Aeroporto

Ecco che sento di nuovo quella vibrazione. Quel senso di eccitazione e piacere, quasi come se il viaggio fosse lo scopo e non il mezzo. Le migliaia di persone che formicolano nelle sale d’attesa, con mille storie, i negozi cari e ovvi, il profumo artificiale e soprattutto quel ronzare basso degli aerei che atterrano e partono, portando con loro carichi di pensieri. Come sembrano grandi nel buio. Le piccole finestrelle come cento occhi e quella grande coda colorata. Un paesaggio del futuro, fuori di questo terminal che sembra anch’esso la pancia di un aereo. La luce dell’alba si fa avanti piano sul grande campo di operazioni. Non c’é nessuna piccola sagoma umana là fuori. Solo grossi mostri alati che vibrano, luci intermittenti e macchine di servizio ausiliarie.

Iniziano ad arrivare persone. Come sempre sono in un tremendo anticipo, per godermi con calma le sensazioni che si incollano piano sulla mia pelle, una dopo l’altra, una alla volta. Libertà, calore, solitudine, malinconia.

Iniziano ad arrivare persone e con loro anche la luce oscena. É come svegliarsi un’altra volta. Un altro traumatico passaggio alla coscienza. Voci forti, chiassose. Luce chiara, appuntita. I grossi mostri alati non fanno più paura, non sembrano più venuti da un altro mondo. Non sembrano più Dei alieni da adorare e temere. La gente aspetta di riempirli. Come semplici aerei da trasporto passeggeri. La luce é apparsa del tutto.


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Fabbrix