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Buon anniversario a me

Fa freddo qui a Ginevra ed è ancora buio. Sono le 06.10, le procedure per l’imbarco dei passeggeri, della posta e dei bagagli vanno avanti, tante persone affaccendate attorno all’aeroplano. Non c’è brina sull’aereo e non faremo de-icing, ma il cielo non si vede, nuvole? E’ tutto scuro… mah… Alle 07.00 iniziamo il rullaggio, avanziamo nel buio, le luci di rullaggio ci indicano la strada, sono pigre, ma svolgono il loro compito. Arriviamo in pista, ci allineiamo, sono le 07.15 … potenza, i motori motorano, le eliche elicano e l’ATR … Eccolo si ripete, come ogni volta, il miracolo del volo manifesta la sua magia … miriadi di particelle d’aria vengono scompigliate, strappate dalla loro quiete dall’ala che avanza sempre più veloce. “Rotazione” e mentre la cloche viene tirata indietro, i piani di coda si flettono verso l’alto imponendo la rotazione del mezzo intorno al fulcro del carrello. La baruffa delle particelle continua ma si dispongono in maniera diversa, si auto-ordinano, le leggi fisiche che governano il moto dei fluidi consentono la nascita di forze che la natura ha reso proprie solo agli uccelli: la portanza infine manifesta la sua potenza e voliamo!! Per il momento è solo una sensazione, ci lasciamo dietro le luci della pista, ci lasciamo tutto, siamo nel buio con 12 gradi di assetto, e potenza di salita, poi, di colpo, l’inaspettato … sbuchiamo nel cielo. Ma allora … ma allora … il cielo c’era, anche oggi era qui che ci aspettava: “Ciao cielo, siamo qui, scusa il ritardo, eccoci”. C’è luce in cielo, luce informe, luce che combatte il buio, luce che ci accoglie. La coltre grigia delle nuvole acquattate per terra si estende su tutto il lago e termina contro le prime montagne, sia a destra che a sinistra. Il sole ancora non splende, ma la sua luce irradia quasi che lo facesse di nascosto. Le montagne sono senza forma, scure, sentinelle immobili della nuvolaglia bassa, informe e soffocante che non riesce a allontanarsi dalla madre terra. La terra … vi è mai venuto in mente che le terre siano due? Una che viviamo, percorriamo, sudiamo, e una che osserviamo, apprezziamo, godiamo. La nostra, la terra dei “volatili” è una terra diversa, non di strade, salite e discese, ma è fatta di conche, di valli, di anfratti, spiaggie, boschi, laghi…. di nuvolaglia informe che viene arginata dalle montagne. Noi fortunati esseri volanti ad un certo punto non sudiamo più, e nel momento in cui ci impossessiamo della terza dimensione diventiamo liberi. Scrivo per coloro che non sanno, per coloro che non volano, per coloro che non si trasformano in volatili. Dall’alto il colore è un altro, lo spettacolo è tutto un altro. Case piccole, i paesi che sono piccole macchie gialle arroccate sulle montagne. Il sole ha iniziato come al solito il suo cammino. Le ombre sono le stesse della sera, lunghe e un po’ spettrali, però a guardarle bene di direbbero più allegre, in fondo non chiudono il giorno: lo anticipano. Osservo ancora le nuvole, sono impotenti contro le montagne, il colore cambia diventano bianche splendenti: il sole le ha raggiunte! E anche le montagne innevate sberluccicano, un gioco di colori che appaga l’occhio e riscalda la mente. Osservo il mondo dall’alto, sempre diverso, non stanca mai. Qui non c’è smog, non c’è traffico, non ci sono semafori. Poi quasi per magia mi trasferisco, mentalmente, sul mio ulm (velivolo ultraleggero, ndR). Ci sono delle differenze: la quota e la libertà. Il contatto col mondo a quota minore è più vero, segui le colline, con lo sguardo riconosci i crocicchi, le case, le valli: è la bellezza, la diversità del volo a vista. Trasporti la carta che hai sulle ginocchia su quello che vedi e viceversa. Quant’è bello!! E poi la libertà. Non c’è pressurizzazione, non c’è un vetro blindato, il colore, l’odore, il tatto dell’aria, tutto contribuisce ad un immenso senso di libertà. Da qui oggi a 18.000 piedi osservo e mi beo, con l’ulm non volo e basta: sono immerso, sono un volatile; non sono un pilota, sono un uccello; non guardo le montagne dall’alto, ne faccio parte, sono staccato da mamma terra ma la vivo con più intensità, la osservo da angolazioni che altrimenti mi sono impossibili, assaporo l’aria, sono penetrato dalla sensazione che vivo. Io sono Icaro, sono Leonardo, sono Orville (Wright, ndR), sono miracolato, sono un fortunato, io vivo l’aria, io posseggo tutto questo mondo che mi scorre sotto e quando riatterro, quando ritorno è come se ne possedessi un pezzo di più. Il 27 dicembre per me sarà un giorno importante, un anniversario: sono 30 anni che colleziono le tessere di questo mio mosaico. Chiudo gli occhi e guardo nel contenitore, trovo questa prima tessera: 27 dic 1971, P66, il decollo solista. E’ solo un circuito, 7 minuti, ho 17 anni, mamma mi aspetta, quando torno ha gli occhi inumiditi, una delle rarissime volte che l’ho vista piangere! Un’altra tessera con il primo decollo sul reattore MB326. 1977: non sembrava un aereo, ma un flipper. Tante lancette che ruotano vorticosamente, e poi zot… siamo già in aria? Un’altra tessera, l’esame di volo strumentale con il G91T. 1978. Decollo di sera avanzata e fino a 22000 piedi nuvole spesse e buio, poi sbuchiamo dalle nuvole, avevo 25 anni, mi sono trovato a testa in giù a guardare l’immenso spettacolo del sole su un infinito materasso rosa. Un’altra tessera: 1980. Il bersaglio trainato dalla nave che va in pezzi sotto i colpi del mio cannone, lo guardo incantato, e poi quando richiamo il kicker entra spietato, cinque volte, il cuore va in gola, paddle switch, continuo a tirare e … poi sono di nuovo verso il cielo. E quest’altra: notte fonda, quasi spersi in mezzo al mediterraneo a 1000 piedi trasmettendo all’aria la posizione delle navi nemiche agli F-104 che sacramentavano. 1985. E ancora altre tessere, un tormentato avvicinamento a Keflavik su una pista ghiacciata. 1990: la forza del temporale africano che si estende da est a ovest, osservato da 41000 piedi 1992: sull’atlantico con i tornado attaccati tubi per il riforimento in volo. 1993: il fuoco che corre per chilometri e chilometri, sorvolato con un Canadair a pistoni.  1997: toh guarda, il primo lancio con il paracadute della Folgore. 1975: il volo sugli appennini con il deltaplano. 1981: in termica con il parapendio sul Subasio 1995: in ammaraggio col Canadair nello stretto di Messina con Scilla e Cariddi che urlano. 1997: in planata con l’aliante a Rieti, però come sono basso, passo sulle case, magari mi sostengono un po’ di più. 1999: in volo con il mio Buccaneer fra le creste degli Appennini andando verso il lago di Garda, 2001. Eh sì, tante tessere, colorate, multiformi, divertenti, appassionanti, per il più bel mosaico che abbia mai montato: quello di una vita dedicata al volo!! Buon anniversario a me!!!


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Hangar con Biplano e Honda - Nate Stevens
Paolo Vittozzi

Buon compleanno!

Cinquant’anni! Erano un traguardo importante, una specie di giro di boa al quale si arriva una sola volta nella vita. Non che Benigno e Massimo fossero gente di mare, benché avessero imparato a nuotare fin da ragazzi; né sorrideva loro l’idea che verosimilmente si trovavano a metà del proprio percorso esistenziale. Tuttavia era un dato di fatto: secondo le statistiche era già ottimistico considerare l’età raggiunta come l’apice della curva della vita e la cifra tonda si prestava inevitabilmente a due attività: un bilancio degli obiettivi raggiunti ed un festeggiamento in grande stile. Per quanto riguarda il primo punto, era stato Benigno a nominarlo in quel modo. Affermato manager a livello internazionale, gli capitava spesso di farcire i discorsi di tutti i giorni con il linguaggio professionale. Massimo allora, piccolo imprenditore di successo, l’aveva guardato con tanto d’occhi e aveva arricchito il programma di quel secondo goliardico elemento: “Sì, ma dobbiamo anche divertirci alla grande!”. Del resto i bilanci furono presto fatti. Entrambi godevano di un agiato tenore di vita, alimentato da una proficua remunerazione lavorativa, e avevano da tempo messo su una bella famiglia in cui si respirava la vicinanza autentica degli affetti. Non rimase quindi che dedicarsi al secondo punto, ma la scelta non fu semplice: “Un viaggio al Polo!” “Un safari!” “Una mega-abbuffata!” “Un’orgia!” Molte idee rimbalzarono tra loro, ma nessuna fu giudicata abbastanza speciale; nessuna avrebbe dato loro la potente scarica adrenalinica che cercavano nel singolare festeggiamento; nessuna sarebbe riuscita a rappresentare il senso di ebbrezza e di sospensione, provato col raggiungimento della significativa pietra miliare sulla strada partita nel lontano 1963. “Affrontiamo il cielo!” propose alla fine Benigno. È vero che Massimo aveva al suo attivo due o tre lanci nel corpo dei paracadutisti durante il servizio militare, ma erano un ricordo ormai sfuocato, un’esperienza vissuta troppo in fretta, sotto il segno dell’incoscienza giovanile. È vero anche che Benigno viaggiava spesso in aereo per affari, ma si trattava solo di una comoda situazione salottiera da business class. Entrambi quindi convennero sull’insolita trovata, rispondendo d’istinto al richiamo di quell’autentico elemento primordiale: l’aria. “E che ci vuole?!” commentò in modo sprezzante Benigno per fare coraggio ad entrambi ed affrontare il vuoto apparente del cielo. L’amico sorrise con ostentata sicurezza. Fu così che i due uomini con i piedi ben piantati per terra e già visibilmente stagionati dal tempo, si ritrovarono rispettivamente l’uno appeso alle funi di un parapendio, l’altro attaccato alla barra di un deltaplano.

“È fantasticooooo” urlò Benigno all’amico, nell’auricolare del telefonino che avevano deciso di tenere reciprocamente in comunicazione. Si era appena buttato dal pendio arrotondato della base di lancio con quella specie di paracadute e già le correnti ascensionali gli avevano fatto capire che là, a differenza di ciò che accadeva nel suo lussuoso ufficio, non sarebbe stato il solo a dirigere il gioco. “Non mi parlare proprio adesso, sono troppo concentrato.” rispose Massimo pilotando quella moderna versione della macchina volante leonardesca, che si era appena staccata dalla rampa di legno affacciata sulla profonda vallata sottostante. Avevano scelto di compiere l’impresa in un luogo del cuore: l’incantevole conca alpina che li aveva ospitati per molte vacanze estive e nella quale avevano fondato affetti, amicizie … e non solo. Tra i campi adatti al pascolo ed al foraggio, gli schiumosi torrenti e le folte pinete alcuni paesi si mimetizzavano come lastre rocciose con i loro tetti in beola: in uno di quelli si trovavano le case di entrambi, ospitali proprietà, simbolo dello status economico raggiunto dai due uomini di mezza età. I due ammirarono il ben noto panorama, che non avevano mai potuto godere da un punto d’osservazione così privilegiato. I variopinti elementi umani del paesaggio e quelli naturali con la loro prevalenza di grigio, azzurro e le mille tonalità di verde si mescolavano così amabilmente nella visione d’insieme che ai due sorse spontaneo un commento estatico. Ecco che cosa poteva aggiungere il volo, quello vero, alla loro vita, spesso orientata secondo un’ottica prevalentemente orizzontale: una nuova prospettiva da cui guardare le cose. Né mancarono altre intense emozioni. L’energica scossa vitale che speravano di ricevere dall’esperienza non tardò a pervadere il loro corpo teso, nella forma di un’istantanea e magnifica sensazione di eccitata vertigine. Se non fosse stato per il corso di volo simulato, frequentato in un moderno centro d’addestramento, i due avrebbero provato solo panico e terrore; ma le competenze acquisite nelle torri d’aria e nei tunnel del vento artificiali diedero ai due novelli Icaro sufficiente controllo d’assetto e di guida. Inoltre, l’abbigliamento tecnico delle migliori marche, acquistato per l’occasione, conferì a quella sorta di ex-atleti un aspetto talmente sportivo che perfino loro finirono per credere alla virtù intrinseca di quel travestimento “da esperti”. Assunta infatti una posizione sicura, iniziarono a percepire lo strumento di volo come un’espansione del proprio corpo. Ogni fune, ogni leva, ogni lembo di tessuto gonfiato dalla resistenza dell’aria, particolarmente fresca a pungente a quell’altitudine, divenne un organo meccanico-anatomico adatto agli spostamenti nel cielo.

Le loro abilità di conduzione dei rispettivi mezzi aerei si rivelarono inizialmente all’altezza della situazione. Lo scetticismo sulla modalità di conseguimento del brevetto, non troppo velatamente manifestato dagli altri amanti del cielo che avevano preso con loro l’impianto di risalita, sembrò da principio solo suggerito dalla nefasta ispirazione di qualche uccellaccio del malaugurio. “Un corso simulato?” avevano commentato “Vedremo come ve la caverete nella realtà!”. Ma il loro legittimo sospetto sembrò purtroppo rivelarsi profetico dopo pochi minuti dal decollo. Improvvise ed inaspettate folate di vento iniziarono a sbalzarli in tutte le direzioni, obbligandoli a bruschi cambiamenti di rotta. “Che cosa succede?” chiese Massimo a Benigno, sentendone gli urli spaventati nel cellulare. “Non riesco più a governarlo! Le raffiche sono troppo potenti!” si allarmò quello. Ma di lì a poco la stessa sorte toccò all’altro. “Aiuto. Neanch’io riesco più a virare verso terra!”. Le correnti presero infatti a spingere entrambi verso l’alto, sotto gli sguardi attoniti e increduli degli altri frequentatori del cielo, che non capivano se i due fossero dei temerari o degli sprovveduti. Per alcuni interminabili minuti la situazione sembrò irrecuperabile e del tutto fuori controllo: i due inesperti piloti non potevano far nulla se non assecondare i capricci di quel bizzarro vortice ascensionale, che li fece turbinare verso gli strati più alti della troposfera. Le immagini piacevoli e solari delle planate iniziali lasciarono il posto al minaccioso roteare sotto i loro occhi di tutti quegli elementi montani, prima così stabilmente ameni e tranquillizzanti. Benigno e Massimo pensarono allora di non farcela. Chiusi in una solitaria disperazione, annullarono la comunicazione tra loro, lasciando echeggiare solo le sonore imprecazioni individuali contro la propria avventatezza e la malasorte, raccomandandosi a sprazzi alla protezione di qualcuno che, se c’era, stava ben oltre la ionosfera. Poi di colpo la situazione si capovolse. Un istantaneo e deciso movimento discendente dell’aria modificò radicalmente la forza della portanza sulle proprie superfici di volo e i loro essenziali velivoli iniziarono a perdere velocemente quota. Allora Massimo e Benigno si ripresero d’animo e diressero prontamente i leggeri apparecchi verso il basso, riuscendo a sfrecciare obliquamente tra gli eterei e lattiginosi cirri. Capirono ben presto però che a quella velocità l’impatto l’atterraggio sarebbe stato rovinoso e i primi sospiri di sollievo, accompagnati dalla ripresa di scambi di incoraggiamento reciproco, si trasformarono in una nuova solipsistica sequenza di irripetibili invettive contro tutto e tutti. I due amici arrivarono perfino a dubitare della protezione e della benevolenza da parte degli abitatori delle più alte sfere celesti, che forse li stavano abbandonando ad un destino crudele.

Fu allora che Benigno e Massimo scorsero qualcosa di stranamente animato e dinamico nell’aria intorno a loro. Una specie di grande figura umana incolore, dai tratti non pienamente definibili, apparve e scomparve ora più nitida, ora più evanescente. Come uno spessore di materia aeriforme, si delineò sullo sfondo della vallata sottostante, pur rimanendo trasparente e di una consistenza plastica. “L’hai visto anche tu?” chiese uno dei due all’altro, che annuì incredulo con un filo di voce. “Che cos’era?” incalzò allora il primo. “Non lo so. Forse …” esitò il secondo non sapendo dare altra spiegazione “lo Spirito dell’aria.” Non ne discussero per cellulare. Era troppo per due esseri umani così radicalmente piantati nella concretezza della realtà quotidiana. Ma non ebbero neppure la sfrontatezza di rinnegare l’incredibile eppur realistica e comune visione, che avrebbe potuto trovare facilmente spiegazione razionale nello stato di panico totale in cui essi versavano. Ma a sostegno della vista, arrivò subito dopo un’inaspettata esperienza uditiva. Una specie di sussurrata e sibilante interferenza si intrufolò con due sole parole negli auricolari, ripetendole alcune volte fino a dissolverle in una debole e bonaria risata. “… leggerezza … gravità … leggerezza … gravità …” Udito quella specie di sospiro parlato, la situazione si normalizzò all’istante ed entrambi ripresero facilmente il controllo del parapendio e del deltaplano, iniziando le manovre di discesa. Se quello era davvero lo Spirito dell’aria, allora era stato lui a prendersi gioco di loro o più probabilmente aveva voluto semplicemente giocare i due nuovi ospiti. Forse, più semplicemente, il suo intervento era stato animato dal desiderio di mostrare loro le due potenti, opposte e complementari tensioni del volo, che insieme sostengono e precipitano ogni essere che affronta il cielo. Atterrare con quella nuova consapevolezza, significò per Benigno e Massimo aver imparato davvero qualcosa, grazie a quell’esperienza.

Appena toccarono il suolo, i due si scambiarono un’occhiata e fu come se avessero capito in quel preciso istante la lezione: le due facce dell’essere irreale erano le stesse presenti nella vita di tutti i giorni. Il peso dei gravi ruoli sociali in contrapposizione al sollievo degli affetti personali. Forse la loro equilibrata miscela dà senso all’esistenza. A quel punto della loro vita, rassicurati dalla morbida carezza del terreno sotto le suole, capirono di aver ricevuto un regalo degno del loro festeggiamento e alzarono lo sguardo al cielo con un senso di gratitudine. Sciolti moschettoni e funi che li tenevano ancora agganciati all’atmosfera, si abbracciarono, confessandosi tacitamente gli stessi pensieri. La folla di parenti e amici si avvicinò intanto ignara e festaiola, accogliendoli con un applauso e un grido corale di nuovi felici auspici: “Buon compleanno!”


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Roberto Morgese

La birichinata

(il naso e le orecchie mi hanno tradito)

Ero vestito impeccabilmente, giacca e cravatta con un paio di scarpe lucidissime che mi stavano anche un po’ strette, il battere dei tacchi sul marciapiede di corso Venezia a Milano, mi facevano sentire a disagio, ma il ruolo del tecnico commerciale che ricoprivo in quegli anni in cui mi occupavo di strumenti scientifici, me lo imponeva. Eravamo agli inizi di una di quelle primavere lombarde, quando ancora si avvertiva che l’aria stava cambiando e recepivo una carica elettrica eccitante in quel cielo profondamente azzurro e imponente che mi sovrastava. Erano le nove del mattino, mi fermai un istante di fronte ad una vetrina non ancora illuminata e lì, oltre a vedere la mia immagine riflessa, l’effetto specchio ritornato dal vetro mi mostrava uno sfondo di cui non mi ero accorto. In fondo alla panoramica del corso si stagliava verso nord, netta ed imponente, la sagoma della Grigna e del Resegone, le familiari palestre di roccia degli alpinisti lombardi. La Grigna, quando le condizioni meteo sono favorevoli, è notoriamente generosa, a regalare potenti termiche sognate ed amate dai piloti di aliante. Un blocco allo stomaco misto ad un senso di rabbia mi pervase al pensiero di sprecare una giornata di tali caratteristiche per dedicarmi ad estenuanti attese in corridoi angusti e bui per ottenere udienza dal funzionario di turno preposto ad ascoltare le mie proposte professionali. Combattuto tra istinto e raziocinio analizzai rapidamente tutte le opzioni. Un giro di telefonate, un elenco di menzogne, attribuzione di mille motivi e difficoltà insormontabili come … traffico in blocco, influenza … mancanza del software, etc … mi ritrovai a invertire la direzione dell’auto e muovermi a razzo con prua N–NE.

Alle nove e trentacinque varcai il cancello dell’aeroporto volovelistico Prealpi Orobiche di Valbrembo. Erano da poco stati aperti gli hangar ed il pilota trainatore vedendomi esclamò: “Potta, cosa ci fai conciato così ?” riferendosi all’abito.

Un quarto d’ora dopo chiusi la cappottina del mio fedele Hornet, stupendo aliante monoposto in vetroresina con 15 metri di apertura alare e mi accinsi al decollo con il paracadute addosso e la cravatta in tasca. Quel giorno non era ancora venuto nessuno in campo, trattandosi di un giorno lavorativo, a Milano si lavorava ancora e non c’erano tutti i “pensionati quarantacinquenni” di oggi, perciò nessuno poteva tenermi l’ala livellata per il decollo. Il trainatore mi chiese … Te la senti di decollare da solo? Un’occhiata alla manica a vento che mi indicava una bavetta d’aria da cinque nodi proprio sul naso e perfettamente in asse pista mi fece rispondere alla radio: “Potta … dò un po’ di piede e lo tiro sù!”

Traino allineato per pista 02, chiamata radio “cavo – teso” e “flaps – tutto motore” … si va!!

L’ala ruggiva strisciando sull’asfalto della pista macadam e faticava a sollevarsi poi il mio contrasto sul direzionale ed il vento relativo riuscirono a farla pigramente scollare da terra. L’aliante si scompose per qualche metro assumendo una prua ed un assetto scorretti ma poi sotto l’effetto dei comandi coordinati si allineò ed iniziò a correre sul suo unico ruotino centrale fino al distacco dalla pista. Il rumore della ruota si smorzò ed io …volavo!!!!! Il filare di alberi della soglia pista 20 mi passò come per magia sotto la pancia del mio candido aliante.

Comunicazione radio sulla 122.60 MHz dal pilota dello Stinson da 180 HP… “Il tuo decollo ai ’ 55” … rispondo … “Ricevuto … passati i 60 metri QFE !”

Rispetto volentieri questa mia abitudine di dichiarare il superamento della quota critica per un eventuale aborto del decollo al fine di consentire, vento permettendo, di effettuare un 180 ° e rientrare in campo; molti sono gli incidenti che ancora oggi funestano il nostro mondo per un inadeguato rispetto dei parametri di sicurezza in caso di rottura cavo o piantata motore.

Rapido sguardo all’orizzonte intanto che il traino mi faceva salire di quota e … lo spettacolo era inebriante … l’aria fresca e secca che mi penetrava dalla presa di ventilazione mi rivelava i profumi della primavera incipiente e la potenza della giornata si stava materializzando ai miei sensi con l’apparizione dei primi segnali di condensazione in prossimità delle cime più alte dei monti circostanti; Canto Alto Ubione Albenza Pertus Resegone questi i nomi delle montagne prossime a Valbrembo da dove nei giorni volabili arriva la voce qualificata dei piloti in volo sulla 123.375 MHz.

Raggiunta la quota abituale di 700 mt tirai con decisione il pomello giallo di sgancio e guardai con tenerezza la sagoma dell’aereo da traino che si separava dolcemente a sinistra mentre la voce amica del pilota mi augura buon volo. Contribuii alla separazione accennando una virata a destra, ricambiai il saluto e con energia azionai la leva di rientro del carrello. Ero solo !!!

Ora tutto dipendeva da me, dalle mie scelte, le mie intuizioni e dalla capacità di analisi dei segnali che la natura mi offriva. Lo scenario che mi si proponeva era incantevole, la quota raggiunta mi consentiva di spingere lo sguardo in grande lontananza e con piacere scorsi che in Valtellina le formazioni cumuliformi cominciavano a diventare evidenti.

Già, i “cumuli” sono loro i nostri motori, o meglio ci indicano dove l’atmosfera possiede quell’energia termica che con il cambio di densità lascia gli strati bassi del suolo per salire prepotentemente verso l’alto portando con sé polvere moscerini falchi e perché no, noi piloti di aliante che nella nostra goffa emulazione cerchiamo di imitare i grandi veleggiatori come poiane ed aquile.

La mia decisione di “tradire” il lavoro si stava rivelando un’ ottima scelta poiché via via che il tempo trascorreva io cercavo di galleggiare nella fluida massa d’aria quasi calma, e di tanto in tanto avvertivo distintamente degli scuotimenti alla cellula del velivolo. Era una conferma che l’aria diventava instabile e si muoveva. Infatti ecco che di lì a poco, scivolando a 95 km/h sul fianco di un costone di roccia che aveva già ricevuto il sole del primo mattino, un potente sobbalzo mi indicava la partenza di una buona termica. Impugnai la cloche con decisione e dopo aver fatto scorrere lo sguardo nello spazio circostante detti inizio alla danza. Disegnando degli otto sul fianco della montagna aprendo le virate sempre verso valle per non trovarmi mai con il muso verso la parete, iniziai a salire con un rateo di 1,5 metri al secondo: in cinque minuti avevo già raggiunto una quota di 1.200 mt. Potevo già pensare di osare ad ispezionare pareti più lontane. E così fu… nel breve spazio di 30 minuti ero già aggrappato alle pareti del Resegone sovrastanti Lecco ed il variometro mi indicava una costante salita. La bellezza del lago si spalancava sempre più ai miei occhi che ora alla quota di 2.500 mt QNH mi faceva intravedere il lago di Lugano.

Spiralai con decisione con una inclinazione di 45° la cloche quasi alla pancia, l’assetto dell’aliante era decisamente a cabrare e le ali vibravano spinte da una termica rotonda e potente che con pochi giri mi portò a vedere la cima della Grigna più bassa del mio livello. Sotto il rifugio scorsi degli scalatori che mi salutavano e che probabilmente pensavano: “Guarda quel matto !” non immaginando che pure io esprimevo lo stesso pensiero verso di loro.

Ero ricco!!!! La gioia ed il piacere erano tali che il mio fisico non recepiva che la temperatura esterna era diventata –15 °C . Il mio corpo era tutt’uno con l’aliante. Era una delle prime volte in cui provavo la sensazione che le semiali fossero parte di me in una sorta di prolunga delle mie scapole. Sentivo solo il sibilo dell’aria il segnale acustico del variometro elettronico e le comunicazioni radio di altri amici che nel frattempo si erano accorti della giornata ed avevano iniziato a popolare lo spazio aereo del nord Italia. Sentivo Biella – Calcinate – Caiolo e un amico in Val d’Aosta ! L’unica cosa che non sentivo più erano i miei piedi !!!!

Eh sì! Perché il corpo bene o male, si espone al sole nell’ampio volteggiare tra una termica e l’altra, ma i piedi no loro sono segregati nell’angusto cono di prua della cellula all’ombra, a soli 5 centimetri dal mondo esterno con l’unico ingrato compito di azionare con vigore la pedaliera che governa il timone. Cosa importante questa perché per consentire all’aliante di non sprecare nulla dell’energia acquisita, sia cinetica che potenziale, bisogna volare perfettamente coordinati in massima efficienza, quindi ogni virata deve essere tassativamente controllata con precisa interazione dei comandi.

Orbene, avevo acquisito la quota e se volevo pensare di spostarmi nell’arco prealpino dovevo conservarla: perché la quota è un po’ come i soldi, se è vero che la si guadagna facilmente è altrettanto vero che a mangiarsela ci si mette un attimo. Basta distrarsi o sottovalutare un traversone oppure non aver capito bene il vento, per lasciare la termica sicura e imbattersi in “buchi” paurosi ed allora bisogna “filare” via veloci incassando una perdita di quota andando subito alla ricerca di un punto dell’orografia dove “tira” Quel giorno fui abile ma anche molto fortunato in quanto arrivai a “girare” il Legnone poi il pizzo di Coca poi ad accarezzare il Disgrazia a quota 3500 QNH. Ricordo che per radio mi raggiunse il grande amico Emilio Pastorelli che cito volentieri in quanto grande figura del volo a vela italiano, che mi disse: “Claudio cosa fai lassù ..l’astronauta ?” Lui era verso il Tonale ma essendo partito tardi aveva più difficoltà a guadagnare quota.

In quel momento però anche per me cominciarono i problemi: il freddo iniziava ad impossessarsi di me, le mani erano intirizzite e le sentivo dure sulla cloche, mi accorsi che le dita non rispondevano quando andai per cambiare frequenza radio per portarmi su quella di Caiolo, i commutatori erano diventati durissimi e faticai a ruotarli. Il desiderio e la possibilità di conquistare il Bernina erano a portata di mano e la maestosità della grande montagna era invitante, ma le quattro ore e mezza di volo che avevo addosso cominciavano a farsi sentire. Per fortuna prevalse il buon senso e con dispiacere invertii la rotta.

Prua verso casa !!

Data la posizione assunta a nord della Valtellina pensai che era bene prendere la via più breve attraversando il passo San Marco a 2000 mt e poi dentro in Val Brembana sfruttando il supporto orografico del Cancervo a 1.800 e il Castel Regina con 1.400. E la scelta si rivelò corretta ma avevo sottostimato i limiti fisici… il freddo e l’urina.

Una cosa che non ho detto è che durante il volo in inverno si deve sempre tenere aperta la ventilazione in cabina, per evitare che la traspirazione provochi l’appannamento (come in auto) ma stavo esattamente al centro della Valtellina con Caiolo in vista,quando avvertii un freddo penetrante che mi prendeva il collo e la gola, senza riflettere troppo misi mano al comando di chiusura della ventilazione. Mi trovavo a 3.200 mt con temperatura esterna di -22 °C appena il flusso d’aria cessò: una cortina bianca si parò tra me e il mondo esterno. Non vedevo più niente !!!!! Cercai di tenere l’aliante livellato e alla pendenza giusta per conservare la velocità, sapevo di essere ancora lontano dalle montagne e con una quota considerevole, ma non vedere nulla è terribilmente sgradevole. Passai una mano sul plexiglas della cappottina e mi venne un accidente! Era ghiaccio !!

Con le unghie arrivavo a scalfirlo ma la traccia che lasciavo era ben poca cosa per vedere fuori. Non mi rimaneva che una cosa da fare, riaprire la ventilazione! Lentamente il cristallo riprese la sua trasparenza ma il freddo mi stava attanagliando. Mi ricordai della cravatta e così me la misi al collo arrotolata a mo’ di sciarpa. Ripresi il controllo della situazione quando ero ormai sulla verticale del Passo San Marco.

Stimavo circa ancora un’ora di volo perché la giornata “teneva” e scivolando a zig zag tra le montagne della Val Brembana la quota per il rientro era quasi certa.

Ma non avevo fatto i conti con un altro “nemico”: LA PIPI’ Ero giovane e la mia prostata era quasi nuova, però quando pianificavo i voli lunghi prevedevo di portare a bordo la sacca per l’urina assieme alla tuta di volo imbottita. Quel giorno no! Era stato tutto così imprevisto che la tuta e la sacca erano al calduccio nell’armadio di casa.

La vescica era sensibilmente gonfia e avvertivo la necessità di battere e piedi e stringere le gambe nel tentativo di procrastinare lo stimolo di orinare.

Volavo male, il mio pilotaggio stava scadendo, e invece di preoccuparmi a ricercare l’appoggio orografico più adatto a consentirmi di trovare le termiche che mi avrebbero riportato a casa, il mio sguardo si protendeva con impazienza verso sud per identificare la via più breve per raggiungere l’aeroporto. Ormai non avevo scelta, la possibilità di atterrare a Caiolo l’avevo alle spalle e con la quota che avevo perso non era più attuabile, potevo solo proseguire e la Val Brembana è noto che è inatterrabile. Il mio aliante procedeva come se fosse pilotato da un ubriaco. La mia fortuna fu che nel volo precedente avevo guadagnato una notevole quota. Decisi di impostare la rotta ortodromica cioè quella più diretta a Valbrembo, confidando di poter scavalcare l’ultima piccola catena di colline della Val Brembilla e Valle Imagna prima di affacciarmi sulla accogliente pianura con il sottostante aeroporto. Ero percorso da un fremito continuo, quegli ultimi chilometri furono eterni. Avrei desiderato in quel momento avere in mano un caccia per poter dare tutta manetta motore e passare a volo radente l’ultimo crinale. Fu proprio così; lo passai proprio a volo radente, ma non per scelta; di quota ormai non ne avevo più. Ero stato un uomo ricco e mi ero mangiato tutto il capitale!!! Scollinai passando a cinque metri sopra le piante della Roncola a 110 Km all’ora. Avevo la rassicurante visione della pista erbosa di Valbrembo pronta ad accogliermi, dovevo riuscire a rimanere in volo ancora per tre minuti!!!

–         Valbrembo radio da India Alfa Victor Bravo Charlie … –         India Bravo Charlie da Valbrembo…avanti… –         Valbrembo da India Bravo Charlie … in avvicinamento da nord col carrello estratto e bloccato … – India Bravo Charlie da Valbrembo … ricevuto … la pista in uso è la 20 erbosa … nessun traffico .. il vento è calmo … riportate sottovento per 20. – Valbrembo da India Bravo Charlie … NEGATIVO chiedo un diretto perhé mi sta esplodendo la vescica !!!!!!!!!!!!!!!!!

Non ne potevo più, faticavo a tenere sia la velocità che la prua per il tremore che mi percorreva il corpo. Finalmente superavo la tanto attesa soglia pista 20 con solo cinque metri di quota sugli alberi, non dovetti nemmeno estrarre i diruttori, gli aerofreni mi sono serviti solo nell’ultimo tratto prima di toccare il prato.

Non fu un bell’atterraggio … arrivai troppo veloce e rimbalzai sulla ruota che mi scagliò nell’aria ancora per tre secondi poi finalmente l’aliante perse energia e rullò fino a due terzi di pista sobbalzando. Saltai giù tremante e senza nemmeno raggiungere gli alberi attivai la procedura di “svuotamento dei ballast” , avevo le surrenali sature !! Erano passate quasi sei ore.

Altri piloti quel giorno avevano fatto degli splendidi voli alcuni Domodossola altri il Tonale e uno addirittura Merano con una Val di Sole tutta portante, ma nessuno in giacca e cravatta !!

Il futuro mi avrebbe donato altre “grandi giornate” gratificate da meravigliosi voli, ma tutti debitamente preparati.

Davanti ad un bicchiere di latte caldo ritrovai la mia lucidità e potei narrare del mio particolare volo prima di rientrare a casa.

Al mio ritorno mia moglie che non sapeva nulla, mi chiese: “Come è andata oggi ?

E io: ” Normale … come al solito … una barba … un traffico …! “…ma non mi ero ancora guardato allo specchio: Ero paonazzo! Il naso la fronte e gli zigomi viola bruciati dal sole … le orecchie bianche con riflessi blu prossime alla cancrena, la giacca e la cravatta stropicciate …un disastro!!!!!

Non l’ha bevuta … ho dovuto confessare !!!!!!!!!

Polpenazze del Garda 18/12/2003


#proprietà letteraria riservata# §§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§


Claudio Cavolla

Buon compleanno!

aereoplano jumbo jetDue amici decidono di festeggiare il proprio cinquantesimo compleanno con un’esperienza di volo, rispetto alla quale sono impreparati sia sul piano tecnico, sia su quello spirituale. Sopravvivono ed atterrano, con nuove consapevolezze nella vita.


Narrativa / Medio-breve Inedito; ha partecipato alla I edizione del premio letterario “racconti tra le nuvole”, 2012-2013; in esclusiva per “Voci di hangar

Buon anniversario a me

elicottero acquaE se la vita di un uomo, le sue esperienze e gli episodi che lo hanno maturato umanamente e professionalmente fossero rappresentate da un enorme mosaico? Ogni tessera costituirebbe una storia, una situazione, una data. E se poi quest’uomo non fosse un uomo qualunque bensì un pilota? Beh, allora avremmo di fronte il ritratto di un personaggio davvero unico. Un testo semplice, con un prologo a dir poco poetico e scandito, nel corpo centrale, dall’interminabile successione di date. Non un opera di autoincensamento ma un appunto per la memoria. Felice anniversario, comandante!


Narrativa / Medio-breve Pubblicato:  nella rivista Aviazione Sportiva a marzo 2002.