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Le confessioni di un italiano

E’ andata bene, c’è mancato poco, ma è andata bene!! Il mio nome poteva essere inciso su una croce di legno conficcata tra le pietre delle Alpi Svizzere, ed invece fortunatamente sono qui a scrivere queste righe a tentare di dare un contributo alla sicurezza.

No, non si tratta della prima pagina di un romanzo di guerra. Mi sono solo deciso a tirare fuori dal cassetto un vecchio appunto e descrivere quanto mi è capitato, alla luce di molti dolorosi incidenti capitati a Piloti di grande fama e di indubbia capacità; vedi Konstantino, Holighaus, Alain Delylle e tanti altri anche ai giorni nostri come il Bob Monti. Vengo al fatto.

Qualche anno fa mi capitò di passare per lavoro in una linda località Svizzera, l’aria frizzante di una soleggiata mattina di aprile metteva in risalto l’orografia che si stagliava in un cielo limpidissimo privo di nubi. Vidi che l’attività volovelistica nel vicino aeroporto era già iniziata. Quale migliore occasione per andare a dare un’occhiata! Giunto in campo, fatte le dovute presentazioni venni immediatamente invitato ad andare in volo con un pilota locale molto esperto ( proprietario di un Nimbus-3 ) che stava già preparando lo Janus del Club. Quindici minuti dopo mi godevo il traino come tranquillo passeggero del posto posteriore. Notai che il mio Pilota seguiva il traino in modo un po’ impreciso, a volte si distraeva mi parlava e quindi poi doveva riallinearsi. Poco male, è capitato anche a me con degli ospiti. Allo sgancio in prossimità dei costoni a nord del campo, iniziò la normale ricerca delle ascendenze.

Volo da 15 anni ed ho acquisito un’esperienza sufficiente da capire che quel giorno le condizioni non erano delle più generose, pur essendoci una radiazione notevole erano presenti temperature a terra piuttosto rigide e una confluenza di venti sia da nord che dal passo di un massiccio imponente, disturbavano molto le prime termiche che si generavano.

Mi rilassai e cercai di godere dello splendido panorama che scorreva davanti alla capottina. Nonostante tutti gli sforzi che il mio pilota faceva per centrare una termica, dopo un quarto d’ora era più quello che avevamo perso che non quello che si era guadagnato. Lui allora, conoscendo il posto, non ebbe dubbi ” andiamo sul passo, lì becchiamo la dinamica!” esclamò. Mi fidai perché in effetti le termiche erano molto irregolari e scarrocciate dal vento, solo che in cuor mio a quei costoni mi sarei avvicinato più serenamente con un po’ più di quota. Bah! L’esperto era lui! Cominciò a ravanare come al solito con la cloche a mo’ di bastone da polenta scarponando un pò troppo all’interno con il filo di lana mai bene al centro e vidi che, contrariamente a quello che per me è ormai diventato istinto, che con più sono basso più cerco di essere veloce, lui si manteneva mediamente tra gli 80 e i 90 Km/h. L’iniziale godimento cominciava a trasformarsi in disagio. Avvertii chiaramente irrigidirsi la muscolatura dello stomaco, per prudenza tirai le cinture o gli occhi anziché sul panorama erano sempre più fissi sull’anemometro. Il disagio aumentò allorché giunti sul passo sentii che il vento spirava in raffiche, e l’aliante volava a meno di cento metri dai sassi. D’istinto allungai per la prima volta la mano sulla barra senza interferire sulle manovre che il mio ardimentoso stava facendo.

Si iniziò un 360°, poi un secondo, sempre più stretto, per non finire in sottovento e con preoccupazione vidi la velocità costantemente bassa. Sentivo le azioni del vento sulla traiettoria dell’aliante e continuavo a vedere che l’amico non accennava minimamente a regolare la velocità in modo da poter “infilare” le raffiche con un buon margine di sicurezza. Mi vennero alla mente le lezioni di aerodinamica – gli aneddoti – gli articoli di cronaca e pensai: “… ecco, è così che ci si ammazza!”

Ed ecco che arrivò quello che temevo; a metà di una virata in “tiro”, a velocità ridotta, con il filo di lana sempre all’interno e l’aliante costantemente in derapata verso l’esterno della virata, con il muso sempre troppo alto, come passammo nella fase di vento in coda si verificò l’inevitabile. Il vento si fece padrone dell’aliante accentuando in modo brusco la derapata. Il muso guardava il cielo, salivamo si, ma come una foglia sollevata dal vento. Per la prima volta vidi con terrore la lancetta dell’anemometro oscillare e poi vibrare non sapendo se stare a 65 o 70 Km/h! Il sibilo del vento era quasi cessato, la nostra velocità era creata più dal vento che dalla forza peso dell’aliante, il filo di lana era scomposto ed avvertii chiaramente la sensazione di essere “appeso” come all’apice di un fiesler ad attendere quella sensazione di leggerezza, quasi inebriante, seguita da un risucchio in cui l’aliante comincia a sprofondare. In animo mio mai provai così distintamente la certezza di una prossima fine. Come una macchina sospinta dal vento su un lago ghiacciato con le gomme che non fanno più presa, non potevamo più fare nulla, non avevamo più vie d’uscita: qualsiasi manovra per tentare di chiudere la virata e riportare l’aliante in velocità, sia con il piede che con la barra, avrebbe portato ad una traiettoria di collisione o innescato un’inevitabile vite, a pochi metri dal costone. Aprire la virata e affondare, con il vento in coda ed i costoni a pochi metri, era ormai impossibile. Mi sentii morto. Non fu così ! Non so cosa abbia tenuto su il generoso Janus che fu in grado di completare quella disgraziata virata.

Ci allontanavamo dal costone. Di getto quasi con rabbia afferrai la barra e strappandola di mano al mio compagno buttai in una ripida affondata il candido veleggiatore. Ora sì, a dieci metri dai sassi, ma a 140 all’ora! E gli gridai “… se vuoi fare viti e tonneau, fai pure, che mi piacciono anche tanto, ma con almeno 1000 metri sotto!” Solo allora il mio compagno si rese conto del pericolo corso e silenziosamente si pose in posizione di rientro asserendo “… se le termiche sono deboli bisogna volare lenti altrimenti le perdi.” Al che risposi “meglio perdere una termica che lasciarci la pelle!” Al ritorno a terra ci congedammo; non volle neanche che contribuissi al costo del traino. Potevo morire “gratis”.

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Si può morire per inesperienza ma anche per troppa esperienza. Mi spiego; chi ha volato con molti mezzi, in molti luoghi, assume un atteggiamento di acquisita sicurezza scontata , in quanto in fondo sono cose che ha fatto centinaia di volte ed è scontato che l’aliante stia su, ci mancherebbe … ERRORE !! Quante volte abbiamo perso dei compagni misteriosamente e non sappiamo capacitarci di cosa possa essere successo lassù?  Amici, OCCHIO! Non abbassiamo mai la guardia!   Risalgo nella storia dell’aviazione con il ricordo del grande Arturo Ferrarin, che dopo aver sfidato elementi – uomini – e macchine, aver toccato con il suo traballante biplano la Cina e con lo sperimentale SIAI S-64 anche il Brasile, il 18 luglio 1941 rimase vittima di una banale distrazione: sull’aeroporto davanti a casa in volo a bassa quota per controllare la spia del carrello … entrò in vite!      


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Claudio Cavolla

Cirillo e Brilla

Cirillo era un pettirosso che viveva in un caldo e confortevole nido, in compagnia di Brilla, la pettirossina sua compagna. La primavera era arrivata da un paio di settimane facendo bella mostra di se, gli alberi erano carichi di fiori e fiori traboccavano dalle aiuole e spandevano nell’aria tiepida i loro inebrianti profumi. Cirillo e Brilla se ne stavano tranquilli, come possono stare tranquilli i pettirossi, dentro il loro nido. Cirillo era un pettirosso sveglio e veloce, che beccava i vermiciattoli e poi felicemente li portava a Brilla, e la guardava, amorevole, mentre lei li ingoiava con avidità dimostrandogli così di apprezzare i suoi gesti.. Cirillo era minuto perché per tutto il giorno svolazzava di qua e di là alla ricerca di cibo sia per lui che per la sua compagna, mentre Brilla che per tutto il giorno se ne stava dentro il caldo nido era grassoccia, e questa era una cosa insolita per una pettirossina, come era insolito anche il fatto che una pettirossina non volasse mai fuori dal nido per cercarsi il cibo. Cirillo l’amava molto, e non voleva che lei si affaticasse, e anche l’amore di Cirillo per la sua pettirossina era una cosa misteriosa. Ma si sa, il mondo è pieno di cose misteriose, è solo che l’uomo è abituato a vedere un albero che ad ogni primavera fiorisce e fa i frutti e non gli pare misterioso, come invece misteriosa è tutta la natura e tante, tante altre cose, cose che magari non si vedono. Per Cirillo e per Brillla tutto ciò che stava loro intorno era meraviglioso, e meraviglioso era il loro amore. Ma in quella straordinaria primavera colma di eccessivi colori, cadde la neve, l’ultima neve dell’inverno. E la neve imbiancò tutto, l’erba e i fiori degli alberi e i fiori dei giardini. E portò il freddo, l’ultima neve dell’inverno, e bruciò e rovinò ogni fiore, dalla terra gelata i bruchi non facevano più capolino e Cirillo pur vagando per tutto il giorno non riusciva a trovare cibo sufficiente per due, ogni tanto incappava in qualche mosca spaventata e inebetita che volava in modo strano dentro l’aria fredda, allora apriva il becco e la ingoiava e si saziava, ma alla sua amata pettirossina che portare? Avrebbe dovuto librarsi in volo anche lei e approfittare degli insetti spaventati e ingoiarli con una sola beccata, ma ahimè, Brilla era troppo grassoccia per riuscire a volare, ed era oltremodo impigrita e oltremisura viziata dal suo compagno. “Non posso, proprio non posso!”, cinguettò lei quando lui le chiese di uscire insieme alla caccia di cibo, “Io non uscirò mai e poi mai con questo tempo … mi vuoi vedere morta?” Ma no!, pensò Cirillo. “Ma no …” cinguettò tristemente, “Io parlo perché voglio il tuo bene: e morirai solo se non verrai a cercarti il cibo! Ti prego …” “No!”, cinguettò lei cocciuta, “Non verrò da nessuna parte e tu farai bene a portarmi qualche verme!” Cirillo era talmente sconfortato che non sprecò fiato per spiegarle che in giro non si trovava niente da beccare perché la neve aveva ghiacciato la terra e i vermi erano intrappolati sotto la gelida crosta. Tante volte Cirillo uscì dal nido alla disperata ricerca di qualche insetto, morto o vivo, da portare alla sua amata pettirossina, ma non riuscì a trovare niente e faceva sempre ritorno al nido stanco e deluso. Ma poi un’idea lo rallegrò: considerò che se Brilla non mangiava sarebbe dimagrita, si sarebbe sentita più leggera e finalmente si sarebbe decisa a librarsi in volo con lui. Infatti, quasi ad avvalorare la sua tesi, i giorni passavano e Brilla dimagriva, tuttavia non si decideva a librarsi in volo. Aveva troppo paura di volare. Cirillo l’aveva viziata troppo, l’aveva fatta vivere sulla bambagia, e ora era incapace di qualsiasi sacrificio. E così a Cirillo non restò altro che osservare, avvilito, giorno dopo giorno, la sua pettirossina che deperiva senza trovare il coraggio, e la forza, di uscire dal nido per cercarsi il cibo. Ma finalmente dopo tanti sforzi Cirillo ebbe un colpo di fortuna, riuscì a prendere una mosca per la sua amata, e felice ritornò al loro nido ma Brilla non c’era. Lasciò cadere la mosca dal suo becco e l’insetto cadde sulla paglia del nido, poi immediatamente uscì in volo per cercare la sua amata pettirossina. La trovò a terra, sulla fredda neve bianca, ai piedi di un melo, e giaceva su di un fianco, con gli occhietti sbarrati e le zampine diritte. Restò a guardarla, felice di averla trovata, e in un impeto di gioia volò fino al loro nido, prese nel becco la mosca e scese di picchiata, avvicinò il becco al corpo di Brilla e lasciò cadere al suo fianco la mosca sperando che presto Brilla si svegliasse e la mangiasse. Poi si appoggiò a lei e la sentì fredda fredda, allora decise di scaldarla col suo corpo, restò lì sulla neve, e incominciò a cantare, e cantò fino al tramonto del sole. Fino a quando il silenzio inondò l’aria che scuriva.


#proprietà letteraria riservata#

Papera volante animata
Alìda Casagande

Ciao, Kosta!


– Mi scusi?!

– Sì?

– Lei è il signor Nedialkov? … Konstantin?

– Sì, …

– Ah, finalmente! … è davvero in grande onore per me … fare la sua conoscenza.

– Il piacere è mio … signor …

– Oh, mi perdoni … lasci che mi presenti: il mio nome è Otto … Otto Lilienthal.

– Piacere Otto … Lilienthal?! … davvero?

– Sì, certamente, ha ben detto. Eh, si sente che non ha certo problemi di pronuncia: parla correntemente tre lingue e ne comprende almeno altre due!

-Ah sì? E cos’altro sa di me?

– Praticamente ogni cosa! Al mio club lei è continuamente oggetto di appassionate disquisizioni!

– Ma senti! E quale sarebbe questo Aeroclub?

– Qual’è? … ehm … il Glider Center Club Paradise.

– Dov’è, in Australia?

– Australia? … no, non precisamente. Ma tralasciamo questi insignificanti dettagli: parliamo di lei piuttosto! Le dicevo che al mio club si parla continuamente di lei: sa, quanto accade qui … non passa certo inosservato. Inoltre quello che era un suo caro amico, e che da un paio d’anni vola da noi, ci ha parlato così tanto di lei che non abbiam potuto fare a meno dal tenerla “in custodia”.

– Mi scusi ma chi sarebbe questo “caro amico” di cui parla?

– Suvvia, non ha importanza. L’aspetto importante è che lei, per noi, è quella si dice “la persona giusta al posto giusto”, tuttavia “ancora più giusta per il posto più giusto”.

– Mi sembra giusto?!

– Uhm … vede, all’intera moltitudine dei nostri soci è ben nota la sua smodata passione per tutto quanto si libri in cielo, o l’entusiasmo dilagante, la disumana dedizione con cui svolge l’attività di capostage. E poi il pacato autoritarismo, la silenziosa competenza … insomma è inutile che aggiunga altro …

– La ringrazio ma … sinceramente non capisco!

– Comprendo perfettamente il suo imbarazzo: è giunto il momento di esprimermi in modo più esplicito. I soci del mio club, in qualità di presidente onorario – loro sostengono che il Volo a Vela … eh sì, l’abbia creato io! mah?! – … dicevo che i soci mi hanno affidato la non facile missione di contattarla … e di convincerla a trasferirsi da noi prima che sia “troppo tardi”.

– Ma veramente …

– Ascoltami figliolo … mi permetto di darti del tu perché potrei essere il tuo trisavolo …

– Ma sì, prego Otto …

– Ebbene … noi sappiamo per certo che tu pratichi una sola religione: il volo. Sappiamo che sei un’amante della vita, della “buona tavola”, che non disdegni affatto la compagnia altrui, ed in special modo quella delle belle gentildonne … nevvero?

– Beh … in effetti …

– Non ti scusare … son tutti aspetti a tuo favore, che ti consentirebbero di superare in modo agevole “il turno”. Ehm … però non era questo che intendevo dire … sarò più intelligibile. Mio caro … la vita, così come tu la stai vivendo in questo momento, non è che una breve frazione di una lunga esistenza! Questa vita terrena è una specie d’infanzia in cui s’incomincia a crescere, a maturare. Facendo però delle scelte e prendendo delle decisioni che apriranno la strada futura. Arrivati ad un certo punto, tu ne sei cosciente, questo periodo termina con quella che si chiama morte. Tuttavia si tratta solo di una morte terrena perché è proprio da lì che comincia la vera vita …

– Quella in Paradiso!?

– Bada! Non prenderti gioco di me Konstantino: so benissimo quanto sei incline alla burla … riconosco all’istante una tua facezia, anche se pochi qui, riescono a farlo.

– Ma era solo una domanda!

– E dunque ti risponderò: no! … non è quello che voi chiamate Paradiso: non esiste quello che la vostra religione o la vostra fantasia chiama Paradiso. Il vero Paradiso è quello che ci si crea durante la vita terrena, vivendo con rettitudine, in religioso rispetto altrui e dei valori umani. Solo così facendo è lecito aspirare al superamento del “turno”.

– Alla vita eterna?

– Non proprio: si continua a vivere nei luoghi ove si è consumata l’esistenza terrena … in un mondo parallelo, identico in tutto e per tutto a quello che si è lasciato, ma non indefinitamente … solo fin quando la bontà delle azioni compiute nella prima vita non svanirà del tutto oppure fin quando più alcuno sarà memore del nostro nome, anche nei pensieri più remoti. Allora non ci sarà più nessuno a rimembrare … dunque si potrà tornare ad un altra nuova vita terrena. E questo può accadere anche dopo moltissimi lustri. Quel mondo … ha molte finestre su questo mondo …

– Ah, ecco da dove mi spiate!

– Sì, in verità è così. Ordunque … siamo certi che tu abbia già compiuto la tua scelta, hai già tracciato il tuo sentiero futuro e … sì, lo confesso, … noi tutti abbiamo dannatamente bisogno di te dall’altra parte! Abbiamo i più arditi piloti, i più fantasiosi ingegneri e meccanici del passato, ma … sono tutti sorpassati … purtroppo.

– Beh, no: sono trapassati.

– E’ vero … sono trapassati!

Tutti i soci godono delle novità recate dall’ultimo arrivato, sia esso un costruttore di alianti o sia costui un pilota pluricampione. Ma ahinoi, ciò non avviene con regolare frequenza e poi ultimamente – occorre riconoscerlo – la qualità sta un po’ scadendo … comunque non c’è aggiornamento fino a quando non giunge un trapassato “fresco”.

– Così volete che io … “passi a miglior vita” prima del tempo stabilito?

– Sì … lo confesso, la proposta in parte è questa. Noi però te ne saremmo particolarmente riconoscenti ed avremmo pensato di dimostrarti questa nostra gratitudine – eh, siamo autorizzati! – ricambiando il tuo sacrificio: fare in modo che tu possa tornare, quando e come vorrai, nel mondo reale …

– Come spirito?!

– Beh, non esattamente … direi piuttosto in qualità di discreto angelo custode – così si chiama, no? – come presenza impalpabile, come essenza immateriale …

– Per fare cosa?

– Mah, non saprei davvero … per suggerire o consigliare i viventi nei momenti perigliosi – molti di noi lo fanno – e voi la chiamate intuizione, sesto senso o qualcuno, in modo pittoresco, “la vocina della coscienza”.

– Ah, allora siete voi?

– Non sempre, beninteso. Tu però, potresti di sicuro dar seguito all’opera d’insegnamento che stai svolgendo qui … e ciò con minor fatica e soprattutto con migliori risultati. Potresti essere con chi vuoi: con i tuoi amici, con i tuoi allievi, in volo come a terra, potresti parlare loro …

– Come una vocina?

– Sì, come una vocina che sussurra dal profondo della mente e ti dice, che so?, cos’è più salutare in quel momento, quale decisione prendere, insomma … in modo da essere loro di conforto e di aiuto. Nei momenti difficili. Starà comunque e sempre a loro seguire quella vocina o ignorarla del tutto. E poi immagina … immagina solamente alle infinite opportunità … come far la conoscenza e colloquiare amabilmente con tutti i tuoi idoli: il prof. Georgii, il tenente Milkov, e poi Wills, Makula e gli ultimi arrivati … Holigaus e Mantelli. Pensa alla possibilità di volare in ogni angolo del mondo reale! Con qualsiasi pilota e a bordo degli alianti o anche degli aeroplani più diversi! Ciò non costituisce forse la realizzazione dei tuoi più reconditi sogni?

– Sì … però …

– Ah, dimenticavo. Posso fin d’ora assicurarti che penseremo a tutto noi: il trapasso sarà perentorio, non proverai dolore. Il modo ed il momento … beh, purtroppo non è nostra facoltà stabilirlo … anche noi abbiamo un limite. Orsù Konstantino, rispondi dunque al mio quesito: accetti la nostra proposta?

– Beh …

– K o s t a n t i n o-o-o …

Scusa Kosta … volevo dirti che domani dovrai fare a meno del PAPA INDIA – dobbiamo fargli l’ispezione – … ah, il fischio sul MUZI era un nastro rotto, ora è O.K. … sei stanco vero?

– No, perché?

– Ehm, parli da solo!

– Quando?

- Adesso! Parlavi da solo.

– Ma che dici? Che da solo: c’è qui Otto … cioè, c’era qui Otto … un momento fa c’era.

– Otto? Otto chi?

– Mah, un tipo strambissimo! Sicuramente uno psicopatico: si spacciava addirittura per Otto Lilienthal.

– Ma chi, il padre del Volo a Vela?

– Sì, nientemeno. M’ha fatto una proposta così oscena! … però … ripensandoci … quasi quasi …

– Va beh, poi me la racconti eh? Va’ a volare va’! Sempre operativo?

– Sempre! … anche dopo la morte!

– Ciao, Kosta.

– Ciao.



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Big Mark

Calanchi

Dal diario del colonnello pilota Mario Gertz

Mercoledì, 29 luglio 1924, ore 12.37

L’aeromobile V90 siglato I-GH76, al cui comando mi trovavo personalmente, è precipitato in un luogo imprecisato della zona dei Calanchi. Il piano di volo prevedeva il decollo da Merty, il sorvolo dei Calanchi, e infine l’atterraggio a destinazione dopo sei ore. Eravamo diretti a Frybur. I danni al velivolo sono ingenti. L’elica quadripala è ripiegata su se stessa in due punti. Il tettuccio è completamente distrutto. Il carrello è fuori uso. La radio di bordo non dà segni di vita. La fusoliera appare sostanzialmente integra ma l’ala destra non è più in sito. Mentre l’ala sinistra è squarciata e risulta tranciata a metà. Quanto alla mia persona, a parte una lieve ferita alla gamba destra, sto bene. Posso muovermi e camminare. Il tenente Gertz appare priva di ferite importanti. Ha il volto insanguinato a causa di una lacerazione esposta alla fronte. Nell’incidente la ragazza ha perso i sensi ed è rimasta svenuta per alcune ore. Quando è tornata in sé ha dato segni di amnesia retrograda e di confusione mentale. La zona dell’impatto è impervia. Il territorio è spettrale. Lo scenario è simile a quello di un deserto ed è privo di ogni forma di vita. Non si scorge neppure un filo d’erba. Il velivolo giace in una strettissima gola circondata da cime alte e acuminate come guglie monumentali. Le creste dei calanchi, dell’altezza di parecchie centinaia di metri, appaiono sottili come lame di rasoio. Non so come ci si possa muovere in questo inferno inospitale di roccia viva, le pareti di basalto sono lisce e nere come specchi. Non disponiamo di viveri e l’acqua recuperata dal bagagliaio dell’aeromobile è contenuta in un’unica bottiglia termica di appena un litro. Al momento non riesco a fare nessuna ragionevole ipotesi sulle possibili cause dell’incidente. La bussola magnetica, poco prima dell’impatto, indicava una prua di 275°. L’equipaggio è formato dal sottoscritto, colonnello pilota Mario Gertz, e dal tenente navigatore Hulja Gertz, mia figlia. Siamo addestrati alla sopravvivenza. Sto riflettendo per valutare la situazione. Che Dio ci aiuti!

Colonnello pilota Mario Gertz


Le squadre di soccorso, giunte dopo diciassette giorni sul luogo dell’incidente, trovarono i due corpi abbracciati. Il colonnello stringeva ancora tra le mani l’unica bottiglia termica in loro possesso, ormai vuota. Nel tentativo estremo di offrire, con quelle ultime gocce d’acqua, la vita alla sua Hulja.  


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Mario Trovarelli

Coppia

elicottero kamovUn pilota militare va in pensione e decide di smettere di volare non trovando motivazioni adeguate per continuare a farlo nel mondo civile. Quando ormai il volo sembra definitivamente archiviato ed i brevetti scaduti, un evento fortuito porta lui e la moglie di nuovo in contatto con il mondo del volo. Un volo acrobatico, anch’esso del tutto imprevisto, appassiona la moglie che decide di prendere il brevetto, trascinando anche il nostro eroe a rientrare nel mondo del volo. Dopo varie vicissitudini i due riusciranno a raggiungere l’obiettivo di volare prima da soli e poi, finalmente, in coppia


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla I edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2012-2013; in esclusiva per “Voci di hangar”