Era un giorno soleggiato, forse troppo, e il chiaroscuro del Sole che filtrava tra le fronde degli alberi disegnava nell’aria satura di polline miliardi di sbarre luccicanti, come il rigarsi della pioggia sui vetri.
E io ero triste.
Io ero sempre triste quando c’è il Sole: non avevo scuse per starmene in casa, al villaggio di Aleris, come quando pioveva.
Se c’era il Sole devo fare contenta mamma: dovevo uscire.
Ma la realtà faceva male, e bilanciavo l’allegria dei bambini che si dilettavano con le prime semplici magie con la consapevolezza d’essere solo.
E mentre i giovani maghi sollevavano formiche e gonfiavano le rane di passaggio come palloncini con la forza della mente io iniziai a correre, infiltrandomi tra gli alberi; dove Aleris finiva e il Bosco della Fata iniziava.
Ma mi avventurai troppo in là, ritrovandomi smarrito in pochi minuti.
“Nessuno verrà a cercarmi”, pensai, perché io appunto non avevo nessuno.
Allora mi misi seduto su un masso: da lì si vedeva il ruscello, e due uccellini che come foglie svolazzavano al pelo dell’acqua, per gioco.
Poi una mano mi toccò la spalla destra, io balzai in piedi abbastanza in fretta da sentire un leggero dolore alle ginocchia.
“Un Orco!”, pensai mettendo mano alla spada.
I due uccellini fuggirono impauriti, aprendo le loro ali.
“Ciao, io sono Ely. Tu chi sei?”.
Per tutti i Draghi Bianchi del Regno, mi trovai di fronte una giovane di tale bellezza che per un veloce attimo pensai di morire dalla meraviglia.
“Io!?!? Io … sono … credo di … essere … anzi, sono abbastanza sicuro di essere … slo … slowly …”, mi uscì.
“Bhé ciao Slowly, se vuoi puoi venire con me, nella mia città, dall’altra parte del Grande Fiume. Porta la mamma, se vuoi. Staremo sempre insieme. Ah, io sono Ely”.
E volò via.
Io come un imbecille provai a correre più forte che potevo e ad agitare le braccia per starle dietro e spiccare il volo, ma non mi riuscì. Provai a buttare a terra la spada ma non mi riuscì comunque di decollare.
Arresomi all’evidenza che mai più avrei rivisto Ely mi appoggiai ad un albero e iniziai a piangere.
Tra l’altro venne il buio e io pregai che mia madre venisse a cercarmi.
Invece venne la Fata.
“Che hai, giovane Slowly? Perché piangi?”.
“Ely è volata via, al di là del Grande Fiume. Io non so volare e non posso seguirla”.
“La soluzione è intorno a te. Crea qualcosa che possa portarti al di là del Grande Fiume con gli arnesi che ora materializzerò per te!”.
E non appena finì di parlare comparirono nelle mie vicinanze una miriade di oggetti strani, luccicanti alcuni, morbidi altri. Tutti senz’altro erano oggetti strani e io non li avevo mai visti prima.
Mi avvicinai alle cianfrusaglie sparse a casaccio per il prato, sotto gli occhi di un vecchio gufo, e cominciai ad esaminarle.
Presi con la mano destra un oggetto bianco, sembrava una leva. Sul pomello di un materiale a me sconosciuto la scritta nera “FLAP”. Dev’essere stata incisa a caldo, perché per quanto gli sputai addosso e strofinai non riuscii a cancellarla!
“Ma quale tipo di inchiostro magico è mai questo!?”, dissi iniziando a divertirmi davvero. Mi dimenticai d’essermi smarrito. E ormai scese il buio.
“Stai attento Slowly, non fidarti!”, disse poi il gufo. I suoi occhi accendevano due lucine rosse, l’unico modo che avevo per scorgerlo, sul suo ramo.
Continuai a farmi largo tra gli oggetti finché non rimasi estasiato alla vista di due lunghe lame, argentee e perfette nelle dimensioni. Non sarei riuscito ad alzarle, mi sarebbe servita la Fata, con le sue magie. C’erano alcuni pezzi, di uno strano ferro resistente, ma più leggero, più liscio, all’apparenza molto ben levigato. Pensai per un attimo che fosse una nave aliena. Magari la materializzazione di una macchina volante venuta in mio soccorso da un altro pianeta sotto richiesta della Fata.
E io dovevo montarla, per meritarmi d’usarla.
Certo mi pareva strano che un oggetto così più pesante dell’aria potesse librarsi in volo, ma non mettevo in dubbio che quella cosa sarebbe riuscita a farlo, una volta rimontata.
Feci ancora qualche passo e trovai due cilindri, bianchi, con una forma appena abbozzata di cono e due grosse aperture davanti e dietro.
Guardai all’interno di una di queste, e vidi le eliche come quelle dei girelli coi quali giocano i bambini non maghi del paese. Solo erano molto pesanti e le eliche certamente non erano di legno……
Sui lati c’erano delle strane scritte, che come quelle della leva erano incancellabili con lo sputo. Recitavano la scritta:
McDonnell Douglas
MD Super82
e più in piccolo:
P&W JT8D-217.
Le scritte non richiamarono in me alcun particolare ricordo, ma certamente erano due parti essenziali della macchina volante.
Le scritte comparivano sulla parte destra di uno dei due cilindri, e sulla sinistra dell’altro, quindi ne dedussi che dovevano essere monatti simmetricamente, entrambi con l’apertura più ampio verso il senso di marcia.
A cosa dovevano essere montati lo avrei scoperto di lì a poco.
Superai l’albero sul quale si aggrappava il gufo, divenuto nel frattempo taciturno. Si girò verso di me per non perdere nulla di quello che stavo facendo.
Davanti a me una miriade di pannelli bianchi, appena luminosi nell’ombra fitta in cui ormai era immerso il bosco. Ad intervalli regolari vi erano delle finestrelle circolari, anch’esse di un materiale che certo vetro non era, piuttosto di una lega molto leggera e forse più resistente.
Quei pannelli dovevano senza dubbio attaccarsi gli uni altri atri.
Ero certo che andavano a formare la zona abitabile della macchina volante.
Visti questi componenti capii che doveva essere molto più grande di un qualunque aquilone, e forse potevano salirvi molte persone. Forse più di quelle che il piccolo villaggio di Aleris contava.
Forse potevo garantire una vita migliore a tutti gli amici del villaggio, portandoli con me e la mamma al di là del Grande Fiume, a bordo della macchina volante venuta da un altro mondo.
Accanto ai pannelli erano messi in fila decine di sedili, tutti blu, tutti uguali. Solo due di questi erano poco più avvolgenti e all’apparenza poco più comodi.
Capii che erano quelli sui quali si sarebbero accomodati colori i quali avrebbero, (come ancora non sapevo), condotto la macchina volante.
Non appena la Luna si intravide tra le fronde dell’albero del Gufo, e i suoi raggi caddero sui componenti, questi presero ad animarsi. Cominciarono col muoversi autonomamente, gli uni verso gli altri.
Leve, pannelli, lucette, sedili, strani fili colorati, le due lunghe lame come ali di un immenso uccello e i due cilindri cominciarono una danza circolare. Iniziarono a unirsi.
La luce si fece insopportabile e dovetti ripararmi gli occhi con entrambe le mani per qualche minuto. Poi, la luce e il baccano finirono.
Riaprii gli occhi. La macchina volante era completa, e diversi alberi lasciarono posto ad una lunga striscia argentea. Due uomini stranamente vestiti mi guardarono, erano comparsi dal nulla come la macchina volante, non dissero niente e salirono a bordo, entrando in una stanzetta nel muso della macchina volante.
Gli altri abitanti del villaggio mi si fecero incontro, chi brandiva pale, chi ombrelli, chi pentolame vario; erano accorsi credendo che qualche mostro stava divertendosi dando alle fiamme il bosco.
Li invitai a salire. Non dovetti spiegar loro niente, le loro facce erano strane, nessuno parlava, semplicemente seguirono i miei ordini.
Trovammo posto all’interno.
I sedili erano posizionati in file, tre sulla destra, due sulla sinistra, e accanto a quelli più esterni una delle finestrelle circolari permetteva di vedere fuori. Le due lunghe lame si posizionarono come braccia protese ai lati della macchina volante. Era chiaro, erano le ali! Esattamente come quelle del Vecchio Gufo, che osservava la scena inebetito.
I due cilindri bianchi presero a girare, producendo un gran baccano e spettinando le chiome degli alberi, ma solo dopo essersi saldamente attaccati alla coda della macchina.
Altre strani ali, solo più piccole, si posizionarono sulla coda.
Poco dopo la macchina prese a correre, veloce, poi molto veloce, infine tanto veloce da farci urlare dalla paura.
Si alzò per aria, ci aggrappammo ai sedili.
Poco dopo saremmo stati per aria, io verso la mia Ely, i miei amici verso una vita migliore.
Tante grazie alla macchina volante e ai suoi uomini che con passione e amore la condussero per aria.
Nacquero due bimbi dalla mia unione con Ely:
McDonnell e Douglas …
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